Significativamente Oltre

donne

GENERAZIONE DI FENOMENI

PISA, 30 giugno 2007 – Stazione Leopolda (Leocaffè) – ORE 17,00

Lo strano caso di un Paese che ha dimenticato i suoi giovani e sta generando una generazione di precari e di esuli.

Tavola rotonda con

Giancarlo Bruno – Head, Banking and Capital Markets World Economic Forum – New York

Giuseppe Forte – Capogruppo Ulivo del Comune di Pisa

Paolo Gallo – Director of Human Resources Bers – Londra

Alessio Misuri – Responsabile Innovazione Dintec – Roma

Sandra Savaglio – Astrofisica, Istituto Max-Plank – Monaco

Ivan Scalfarotto – Human Resources Director, Russia & CIS – Citi – Mosca

Scarica il volantino dell’iniziativa, e visita il sito www.pdpedia.eu per altre informazioni.

NASCE WWW.DONNEINRETE.COM

Nasce www.donneinrete.com

Una iniziativa strutturata ed interessante che nasce dalla Società civile, a supporto delle donne, future protagoniste della politica italiana.

In bocca al lupo da parte nostra!

Massimo

POLITICA E ANTIPOLITICA

di Salvatore Viglia

L’antipolitica è un po’ come l’antimateria. E’ composta da anti-tesi corrispondenti alle tesi della politica ordinaria. Per la materia, quando una delle sue particelle viene a contatto con una antiparticella, ambedue si annichiliscono ed emettono radiazioni elettromagnatiche. In politica, avviene qualcosa di simile quando le anti-tesi dell’antipolitica si scontrano con quelle della politica. Si annichiliscono a vicenda ed anch’esse emettono “radiazioni”: una qualunquista, l’altra finta-responsabile. Con la prima subentra la rassegnazione, la superficialità caratterizzata dallo sfiancamento della delusione tra la gente. Si arriva persino a stigmatizzare la banalità. I partiti sono la causa dei mali, delle indigenze, delle ruberie di questo mondo. Cosa aspetteremmo da un partito come Alleanza Nazionale la cui sede è in via della Scrofa? Oppure l’Udc in via dei Due Macelli? Rifondazione Comunista che è passata all’Ocurità delle Botteghe a viale del Policlinico? E che la sede di Forza Italia il cui leader soffre di un forte complesso di superiorità (parole sue) si trovi a via dell’Umiltà?

Il qualunquismo, diviene ragione di protesta. Si evolve in una esagerazione insipida che non ha neanche la forza necessaria di distruggere. Diciamo che danneggia bene e gravemente.

Con la seconda “radiazione”, finta-responsabile, si muovono i moniti severi delle istituzioni più autorevoli. Si cerca di ritrovare il rispetto perduto e la credibilità richiesta per ricominciare a fare politica. Questa volta, onesta ed efficiente. E’ questo l’aspetto più sopraffino dell’antipolitica. Convincere, reclutare, recuperare la fiducia della gente ed il suo consenso, è oggetto di discussione, di analisi, di progetto. Insomma, il “non si può andare avanti così” assurge ad inno sino a divenire esagerato e per questo anche inefficace. Finta-responsabile, perché predica solo ma non intende, in realtà, perseguire affatto le correzioni del sistema distorto nel quale la politica è caduta.

Il tentativo dell’antipolitica, la sua naturale propensione, sarebbe quella di essere antinomica alla politica per avere conferma della sua validità.

Fortunatamente, sia il qualunquismo che la “reazione” finta-responsabile, essendo frutto dell’annichilamento tra tesi ed anti-tesi, non ha energia fattuale sufficiente ad imporre il primato dell’antipolitica nella contrapposizione con la politica. Si tratta di energia potenziale, negativa ma per la maggior parte, potenziale.

Allora, se così stanno le cose, il singulto necessario per porre rimedio al proliferare dell’antipolitica, deve provenire solamente da “tesi” nuove. Tesi che non hanno e non avranno per molti anni, il loro corrispettivo in anti-tesi. Non sembra ci sia niente altro da fare e niente di male che affidare ai giovani, alla freschezza ed alla novità delle azioni, un nuovo programma sul quale ricostruire il primato della politica.

ATTIVISMO E DIRITTI UMANI

AMNESTY INTERNATIONAL PER I DIRITTI UMANI
L’attivismo contro la pena di morte
di LAURA TUSSI
L’approccio attivista contro la pena di morte da parte della legislazione internazionale, ma anche delle associazioni e organizzazioni che la contrastano, durante questi ultimi cinquanta anni, ha reso noto ed ha manifestato il concetto base per cui ci si oppone alla pena di morte.
Risulta molto chiara la posizione di Amnesty International quale questione di principio contro la pena di morte, non degna di paesi civili.
Amnesty è un’associazione nata quarantatre anni fa per tutelare e difendere i diritti umani e da parecchio tempo lavora su tali tematiche, alla base dello statuto della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Amnesty sul piano operativo ha introdotto tecniche particolari all’interno dell’attivismo di opposizione alla pena di morte, e nel suo operato, in concreto, cerca di salvare il numero maggiore possibile di vite umane condannate a morte e questo è un lavoro svolto dagli attivisti che operano nell’ambito dei gruppi, delle strutture e delle articolazioni territoriali di Amnesty. Tutte queste attività si concretizzano con l’invio di petizioni, di lettere, di appelli, di raccolta di firme indirizzate alle autorità che detengono o che hanno condannato queste persone. In Lombardia esistono parecchi gruppi di operatori attivisti di cui la metà svolge azione specifica contro la condanna alla pena di morte e si occupa di alcuni di questi casi o svolge azioni urgenti relativamente a persone detenute e a rischio di morte.
Educazione ai diritti umani
Il problema della pena di morte costituisce per Amnesty International una questione fondamentale, quale violazione terribile e barbara dei diritti fondamentali della persona e l’impegno contro l’abolizione della pena di morte significa anche mobilitarsi per la diffusione e la promozione di una cultura dei diritti umani: solo questo afferma quanto è rilevante il tema della tutela dei diritti inalienabili dell’uomo, anche per le attività di educazione ai diritti dell’individuo umano, impegno che presso l’Associazione sta acquistando un’importanza ed un significato sempre maggiori. Gli obiettivi principali dell’impegno e dell’attività di Amnesty si evincono dal considerare la pena di morte una terribile vendetta di Stato, che non ha a che fare con la giustizia, ma è veramente una sorta di omicidio amministrativo che non risolve certo il problema della ferita al corpo sociale, inferta dall’atto delittuoso, vale a dire l’offesa che il crimine porta alla società, viene da questa forma di omicidio supplementare in realtà ancora approfondita e ulteriormente acutizzata.
Amnesty International contro la pena di morte conduce una campagna permanente che ha sia l’aspetto dell’impegno assiduo e quotidiano per salvare vite umane e quindi di evitare il maggior numero possibile di esecuzioni, ma anche poi l’altro aspetto consiste nel lavoro all’interno della tutela internazionale dei diritti umani, ossia di quelle norme che gli stati reciprocamente si danno per difendere i diritti basilari ed inalienabili di donne, bambini, uomini. E’ proprio una caratteristica essenziale della strategia abolizionista quella di rendere la questione della pena di morte un affare internazionale, ossia una questione con una rilevanza che oltrepassa l’ambito d’azione e quello della sovranità esclusiva dei singoli stati
I tre livelli dell’impegno umanitario
Sussistono più livelli nella strategia abolizionista di Amnesty e delle altre organizzazioni che si battono contro la pena di morte. Il primo livello d’azione è quello delle vite da salvare. Il secondo livello d’azione consiste nel cambiare quelle regole che permettono agli Stati che mantengono la pena di morte di continuare ad applicarle e di eseguire le sentenze.
Il terzo livello consiste nel costruire una cultura ed un’educazione ai diritti umani, in cui non vi sia spazio anche solo di ingiusta prevaricazione e volontà di annientamento della dignità dell’individuo.
L’ultimo livello forse consente di raggiungere traguardi definitivi perché quando le opinioni pubbliche divengono, a larga maggioranza, profondamente contrarie alla pena di morte, a quel punto, in genere, neppure i governi insistono nel mantenere in vigore quelle norme, regole e leggi che consentono di eliminare fisicamente una persona a seguito della decisione di un organo dello Stato.
Laura Tussi

VELTRONI SI, MA….

di Fernando Cancedda
Conosco personalmente e apprezzo Walter Veltroni da quando era solo un giovane e intelligente funzionario addetto alle comunicazioni del PCI.
Non dubito che sarebbe una guida eccellente per il PD.
Non mi piace però il modo confuso e plebiscitario in cui si sta progettando e preparando la sua elezione, prima che il sindaco di Roma abbia chiarito e precisato agli elettori della Costituente quale cammino propone, tra le diverse strade possibili per un soggetto politico plurale come quello che sta per nascere.
Mi pare – questo modo di procedere, non ovviamente Veltroni – un altro pericoloso passo avanti verso una sorta di “democrazia demoscopica” in cui le urne servono solo a ratificare quello che in alto è già stato deciso in base all’indice di popolarità di questo o quel concorrente.
La personalità e l’affidabilità dei candidati non può non contare, ma la partecipazione democratica non può esaurirsi in un feeling, che oggi c’è e domani chissà. Anche il giudizio sul passato politico è importante, ma non è sufficiente, perché mutano i tempi e le circostanze.
Scegliere tra politiche chiare e alternative, meglio se abbastanza precise da non riscuotere il consenso universale: questa è la NUOVA POSSIBILITA’ che iscritti ed elettori del futuro Partito democratico vorrebbero darsi. Se tale possibilità non ci fosse, diciamolo chiaro, non avremmo dato vita a un partito “nuovo”.
Walter Veltroni, già segretario diessino, sarebbe plebiscitato a ottobre segretario di un partito di centro sinistra che ha sbarcato la cosidetta sinistra radicale e imbarcato la Margherita. Questo è tutto.
Se non è questo che si vuole, almeno da parte nostra, smettiamo per un po’ di parlare di candidati e mettiamoci con i candidati a parlare concretamente di contenuti politici, prescindendo sentimentalmente da chi li propone.
Parliamo dunque di come attuare concretamente la riforma del potere e della politica, la nuova legge elettorale, nuove regole per il mercato del lavoro e la previdenza, la politica dell’energia e dei consumi in un nuovo modello di sviluppo, la sicurezza e la giustizia, la laicità dello Stato, la politica estera delle alleanze e la messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa, il sostegno alla famiglia e ai soggetti più deboli, i rapporti tra scuola pubblica e scuola privata, tra la sanità pubblica e quella privata, lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, ecc.
Invitiamo i candidati che si proporranno nelle circoscrizioni locali a esporsi, senza ambiguità e demagogia, su questi temi o su alcuni di essi, in modo che almeno localmente sia possibile, da parte nostra, una partecipazione reale. Potrà essere un utile esercizio anche per le primarie che verranno negli anni futuri.
Visita il Sito Nandocan.it

LA SINDROME DEL PLEBISCITO

di EDMONDO BERSELLI
Succede talvolta che la politica subisca un’accelerazione impensata. È stato sufficiente l’annuncio che l’elezione del leader del Partito democratico avverrà in modo diretto, attraverso la sovranità popolare, e tutto ciò che si diceva della nascita del Pd, che era un incontro di oligarchie, che si trattava di una fusione fredda, che era gestita esclusivamente dai corridoi di partito, è stato superato.
C’è voluto un atto di coraggio di Romano Prodi, o forse di rassegnazione: ma in ogni caso si è innescata una miccia che farà brillare l’ordigno sclerotizzato della politica italiana: si comincia a intravedere l’opportunità di un processo di democratizzazione radicale i cui risultati potrebbero risultare decisivi per un recupero di credibilità dell’intero sistema politico.
Ci sarà tempo per osservare gli effetti di questa decisione, un’onda d’urto che dovrebbe investire anche il centrodestra: perché non è pensabile il perdurare di un’asimmetria che veda da un lato un partito di mobilitazione, all’americana, e dall’altro un partito proprietario, gestito dal suo titolare. Ma nello stesso tempo occorre chiarire subito che il Big Bang del Partito democratico, perché di questo si tratta, non può e non deve essere neutralizzato da manovre preventive di composizione, di negoziato interno, di smussamento dei contrasti: l’elezione del leader è un’eccezionale occasione perché si manifestino, e si mescolino, appartenenze, idealità, valori, culture.
E quindi la ricchezza potenziale di questo confronto non può essere sprecato in vista di un plebiscito. Vanno guardate con preoccupazione, se non con sospetto, le esitazioni e i surplace che stanno accogliendo la svolta “democratica”: mentre si fanno più intense le pressioni perché Walter Veltroni si assuma la responsabilità politica e civile dell’ingresso in campo, al punto che gli sarà praticamente impossibile sottrarsi alla chiamata, cominciano invece a manifestarsi le perplessità dei suoi competitori. Ad esempio sembra che Francesco Rutelli sia intenzionato a sottrarsi al rischio di un confronto; e il suo esempio potrebbe indurre altri possibili protagonisti a uscire dall’arena.
Conviene ripeterlo. Un prodotto politico come il Partito democratico non può nascere in provetta. Non si può immaginare che due congressi di partito, lo scioglimento di Ds e Margherita e l’assemblea costituente del 14 ottobre conducano a un risultato preconfezionato e a una leadership predefinita. Anzi, in questo momento è urgente che le migliori personalità dell’area “democratica” entrino in campo e giochino la loro partita. Non per una questione di personalismo: ma perché intorno alle figure di Rutelli, di Bersani, della Finocchiaro, e di chiunque volesse giocarsi con la necessaria spregiudicatezza un futuro politico di primo piano, ruotano anche culture, sensibilità politiche, memorie e proiezioni verso un’idea di società desiderabile.
Tutto questo non può essere lasciato al patteggiamento fra correnti, partiti o leader. L’opinione pubblica apprezzerà un confronto leale sui temi in gioco. Molti hanno notato che la spiazzante mossa d’apertura di Dario Franceschini, che ha dichiarato con chiarezza il proprio voto per Veltroni, è stato una carta pesante giocata sul tavolo politico: che un leader della Margherita spinga la candidatura di un leader diessino rappresenta un modo spettacolare per fare respirare il confronto politico, fuori da condizionamenti e logiche di clan.
Una volta tanto, c’è spazio per il coraggio più che per le mediazioni. I leader del centrosinistra dovrebbero riflettere sul fatto che è possibile che la casella numero uno sia già stata assegnata, dall’umore popolare e dalle sensazioni che si respirano in politica. Ma in primo luogo questa eventualità non è una necessità deterministica. E secondariamente le primarie dei democratici non sono soltanto l’evento che fonda il partito; sono anche lo strumento per scremare la sua classe dirigente, definendo la forza relativa di ogni protagonista e la sua credibilità pubblica. È un gioco, per certi aspetti; ma richiede dai giocatori un impegno senza veli. Altrimenti, i cittadini, gli elettori, avrebbero ragione di pensare che chi si sottrae adesso, nel momento del gioco duro, chi fa calcoli troppo prudenti, chi valuta in modo troppo certosino il proprio interesse personale, non avrà titoli di merito per rientrare più avanti, quando il gioco sarà più facile.

INTERVISTA: ON. MIGLIAVACCA

Intervista all’on. Maurizio Migliavacca dell’Ulivo, Membro della IV Commissione Difesa e componente autorevole del Comitato dei 45 per il Partito Democratico

di Salvatore Viglia

Lei è uno dei 45 del Comitato per il Partito Democratico. Non sembra essere in compagnia di giovani quarantenni. E’ un problema.

Noi facciamo un partito nuovo anche per favorire un ricambio delle classi dirigenti e le regole che abbiamo sostanzialmente definito nella riunione di lunedì 18, vanno in questa direzione.
Primo, potranno votare i sedicenni. Quindi, ci sarà una quota di giovani elettori significativa, di ragazzi e ragazze che potranno pesare nel voto. Secondo, potranno essere candidati i sedicenni ciò significa che si avrà la possibilità di avere l’immissione di energie fresche. Terzo, lo stesso metodo elettorale che abbiamo adottato, cioè il meccanismo delle liste plurinominali, cioè 5 nomi per fare una lista da presentare in ogni collegio con una raccolta di firme piuttosto bassa, cento, è un meccanismo assolutamente favorevole ai giovani, alle donne, alle forze nuove. Come l’esperienza ci insegna, semmai, è la preferenza quella che consolida le figure radicate già portatrici appunto di consensi consolidati.
Mi pare che siamo sulla strada per dare il giusto spazio ai giovani per fare del 14 ottobre prossimo, una occasione di rinnovamento della politica.

Non eluda la domanda, faccia un nome che l’aggrada alla guida del PD.

Capisco la sua curiosità ma non sono in grado di dirle un nome per la semplice ragione che stiamo ancora definendo le regole e le candidature. Sarà questione delle prossime settimane, abbia un po’ di pazienza. Mi impegno a farglielo sapere quando appunto ci saranno le condizioni per farlo.

Romano Prodi parla di un nome forte. Cosa intende con questo?

Sicuramente deve essere un segretario autorevole, riconoscibile nel paese quindi dotato di prestigio e con capacità politiche di governo, che sappia dare voce al nuovo partito che nasce e che sappia trasmettere anche agli italiani le idee forti, le idee guida di questo nuovo partito. Deve essere una personalità di primo piano. Credo che le primarie saranno l’occasione per poter scegliere tra più personalità di primo piano.

La questione del sodalizio tra DS e Margherita sta tutta nella concezione di uno Stato laico, è possibile adoperare una sintesi, non è che il problema si presenterà all’improvviso in tutta la sua portata?

Credo che ci siano le condizioni perché il partito nuovo, sia un partito assolutamente laico. Siamo laici. I DS su posizioni di autonomia ed anche la stragrande maggioranza dei componenti della Margherita che, non a caso sui DICO, hanno dato una prova di indipendenza. Ci sono tutte le condizioni perché sia un partito laico. Poi, non mi nascondo che su questo o su quell’altro tema etico, su questo o su quell’altro tema che riguarda i diritti civili ci potranno essere dei distinguo, potranno emergere posizioni, sfumature diverse,
ma a quel punto, saranno le regole della democrazia a decidere. E’ un partito democratico, quindi, saranno i militanti, saranno gli organismi democratici a decidere dentro una ispirazione laica a stabilire nel merito e per le soluzioni da adottare.

In Europa siederete nei banchi del PSE?

Penso di sì. Penso che la forza delle cose spinga questo partito ad avere un rapporto organico con i socialisti. In Europa c’è un bipolarismo, una forza di centrodestra rappresentata dal partito popolare e una forza di centrosinistra rappresentata dal partito socialista. Esistono poi alcune forze intermedie ma che non hanno assolutamente né la massa critica, né le caratteristiche per rappresentare un terzo polo. In definitiva, il PD, nelle forme che si decideranno, starà dove stanno i progressisti in Europa.

ITALIA, PAESE VIOLENTO!

da Repubblica
Un italiano su quattro non si sente sicuro
Violenze sessuali, in aumento le denunce
Seicentoventuno omicidi, sale il numero delle rapine e dei furti
La mafia ha “un’alta capacità di infiltrazione nell’economia”
ROMA – Cresce la paura delle criminalità, di subire aggressioni, di essere a rischio, una sensazione di insicurezza che ormai tocca un italiano su quattro. Aumentano le denunce per violenze sessuali e una donna su tre sostiene di aver subito una qualche forma di violenza. Gli omicidi passano dai 601 del 2005 a 621. Sale costantemente da oltre 30 anni il numero delle rapine. Questi i dati che saltano agli occhi nel Rapporto del Viminale sulla sicurezza presentato dal ministro dell’Interno Giuliano Amato.
Paura diffusa. In generale la paura di subire un reato non sia cresciuta nell’arco degli ultimi 14 anni anche se è un sentimento di “dimensioni non trascurabili”. In Italia, infatti, una persona su quattro si sente poco o per niente sicura quando cammina sola al buio la sera nel proprio quartiere, e questa insicurezza cresce in Sicilia, nel Lazio e in Lombardia ma raggiunge il massimo in Campania dove supera un terzo della popolazione. L’insicurezza “è fortemente cresciuta” anche nel nord-est: mentre negli anni Novanta solo il 17,3% degli abitanti considerava a rischio la zona in cui viveva, nel 2005 la percentuale è salita al 28,1%.
Violenze sulle donne. Negli ultimi dodici mesi hanno subito violenza 1.150.000 donne, il 5,4% di quelle tra i 16 e i 70 anni: il 2,7% ha subito violenza fisica, il 3,5% violenza sessuale e lo 0,3% stupri o tentati stupri. Le violenze fisiche sono state commesse dal partner nel 62,4% dei casi, le violenze sessuali, senza considerare la molestia, nel 68,3% dei casi e gli stupri nel 69,7% dei casi.
Le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita sono 6 milioni 743 mila, pari al 31,9% della classe di età considerata. Tre milioni 961 mila donne, pari al 18,8%, sono state vittime di violenze fisiche, 5 milioni (il 23,7%) hanno subito violenze sessuali. Più in particolare, nell’ambito delle violenze sessuali, 482 mila donne sono state vittime di stupro e 703 mila di tentato stupro nel corso della loro vita. Complessivamente, circa 1 milione di donne (il 4,8%), quindi, ha subito stupri o tentati stupri.
Omicidi. Nel 2005 era stato toccato il minimo storico. Nel 2006 c’è stato di nuovo un aumento ma si rimane ancora al di sotto del picco toccato nel 1991 con ben 1.901 assassinii. In sostanza, nel 2005 e 2006 si è registrato un tasso di omicidi di poco superiore a 1 ogni 100.000 abitanti. Per trovare un tasso più basso bisogna risalire ai primi anni ’70. Sono i livelli più bassi degli ultimi 30 anni.
Da rilevare che nel 2006 gli omicidi attribuibili alla criminalità organizzata sono stati 121, il numero più basso da decenni, e uno su tre è stato commesso da stranieri. Al Sud e nelle isole il tasso di assassinii nel 2006 è risultato quasi doppio rispetto al Centro-Nord. Il 2006, segnala il Viminale, “contro l’immagine che è passata sui media”, è in realtà uno degli anni con i tassi più bassi: 3,3 omicidi ogni 100.000 abitanti, contro il 3,8 del 2005 ed il 5,3 del 2004.
Rapine e furti. Nel 2006 il tasso di incidenza delle rapine è stato 18 volte superiore a quello del 1970. Per quanto siano tra le maggiori preoccupazioni dei cittadini, quelle nelle abitazioni non superano il 3% del totale. Nel sud il picco del 1991 (113 rapine ogni 100mila abitanti) è stato superato solo nel 2004 e nel 2006 (124). Al centro-nord invece si è passati dal picco di 44 nel 1991 a 65 del 2006. Discorso a parte merita la Campania che è la regione a maggiore frequenza di rapine: nel 2006 il tasso è di 296 ogni 100mila abitanti.

Diverso il discorso sui furti dove, sottolinea il rapporto, incide molto la parte dei reati non denunciati. Per quanto riguarda gli scippi, comunque, nel 2006 si è registrato il tasso più basso degli ultimi 30 anni (37 ogni 100mila abitanti) mentre i furti in abitazione hanno fatto registrare una diminuzione tra il ’99 e il 2006 del 41%.
Mafia. La criminalità organizzata continua a mantenere “un’elevata capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario” grazie anche alla presenza di affiliati “dotati di un adeguato profilo culturale (operatori economici e finanziari)”. Il Rapporto evidenzia tra le associazioni mafiose “modelli in persistente evoluzione” e lancia l’allarme sull’alleanza tra la criminalità organizzata italiana e quella di matrice straniera. In particolare Cosa nostra si è evoluta grazie ai nuovi affiliati esperti di economia e finanza mentre la ‘Ndrangheta è diventata altamente competitiva e orientata alle attività criminali che investono ambiti territoriali, nazionali e esteri, tramite una struttura molto solida improntata su veri e propri ‘network’. La Camorra è invece caratterizzata da una tendenziale frammentazione tra realtà criminali fluide che determinano una particolare instabilità e danno luogo a un rilevante fenomeno di gangsterismo metropolitano.
Terrorismo. Nel 2006 sono stati espulsi 20 stranieri – 8 algerini, 8 tunisini, 2 marocchini, un egiziano e un siriano – ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale (nel 2005 le espulsioni erano state 14). Le indagini sul terrorismo internazionale di matrice islamica hanno portato all’arresto di 23 persone. Sono stati commessi 1.433 attentati e danneggiamenti di varia natura e 873 atti intimidatori. Presi di mira in particolare gli amministratori pubblici (158 attacchi) e le sedi dei partiti politici (429).
Immigrazione. Sempre nel 2006 sono stati espulsi 22.770 immigrati irregolari, esclusi quelli respinti alle frontiere e dai questori: un numero che è tornato ai livelli del 1998, anno d’esordio della Turco-Napolitano. Dai dati del Viminale emerge anche che gli immigrati clandestini rintracciati (al netto dei respinti) sono stati complessivamente 101.704 nel 2006 e gli espulsi con accompagnamento alla frontiera 13.397. Dei 4.065 irregolari cui è stata intimata l’espulsione, solo 214 hanno ottemperato al provvedimento. Nei Cpt sono invece transitati complessivamente 12.842 immigrati, di cui 7.350 sono stati espulsi. Infine, dei 73.671 destinatari di un ordine del questore, solo 866 lo hanno ottemperato. Un altro dato interessante è quello sugli sbarchi: i clandestini che arrivano nel nostro Paese via mare non hanno mai superato il 15%.

VELTRONI A CAPO DEL PD!

da Repubblica

Fassino: “Veltroni a capo del Pd?  Avrà il sostegno di tutti i Ds”

ROMA – Ora, è quasi ufficialmente in corsa. Il sindaco di Roma, da molti evocato, e dai sondaggi esaltato, potrebbe essere il primo leader del Partito democratico. Il pressing di queste ore si rafforza con le parole di Piero Fassinio: “Mi auguro che Walter Veltroni, che in questo momento sta riflettendo sulla sua eventuale candidatura, risolva positivamente questa riflessione scegliendo di candidarsi”. Parole che irrompono nel dibattito sul futuro partito unico del centrosinistra. Una vera e propria benedizione da parte del leader della Quercia. Frutto, forse, anche di una serie di riunioni che Veltroni ha avuto ieri con D’Alema (al mattino, in Campidoglio) e Fassino (alla sera).

La posizione di Fassino si spinge più avanti di quella sostenuta da D’Alema: “Sarebbe un buon candidato premier”: come a dire che la nomina a segretario potrebbe essere inutile. O forse controproducente.

Fassino, invece, prevede che la candidatura di Veltroni alla guida del Pd “sarebbe sostenuta da tutti i Ds con grandissima convinzione. Ma soprattutto sarebbe una candidatura attorno alla quale si potrebbe raccogliere un consenso politico e sociale molto largo nella società italiana”.

Il diretto interessato, finora, ha taciuto. Nell’ultima riunione del Comitato dei 45 non ha fatto mistero dei suoi dubbi sulle regole per le primarie di ottobre (liste bloccate e collegate ai candidati leader). Ed è noto che preferirebbe altri tempi e altri modi per una eventuale “discesa in campo”. Ma a questo punto, con l’imprimatur della segreteria di via Nazionale, Veltroni è chiamato ad un risposta. Che non potrà più farsi attendere.

DON RODRIGO E IL PARTITO NUOVO

di Fernando Cancedda

“Questo partito nuovo non s’ha da fare né domani né mai”.
Immaginate una stradina solitaria di campagna, fiancheggiata da ulivi, e la tranquilla meditazione di un galantuomo bruscamente interrotta da quella singolarissima intimazione. A chi assegnereste in questo caso il ruolo di don Abbondio, dei “bravi”, di don Rodrigo o di altri personaggi coinvolti nello scenario manzoniano? Il gioco è divertente ma i nomi veri limitatevi a immaginarli, potreste beccarvi una querela per diffamazione. Quanto al ruolo dei promessi sposi, lo assegniamo a noi, a tutti “democratici” in attesa di quella benedetta “novità”.
Proviamo insieme a immaginare il seguito di quel colloquio, liberandolo tuttavia dalla minacciosa brutalità del modello, che non si conviene più allo spirito dei nostri tempi.
“Partito nuovo? – potrebbe subito precisare uno dei “bravi” – chiamatelo pure come volete, purché quell’aggettivo, “nuovo”, resti sempre tra virgolette. Figurarsi. Da che mondo è mondo le rivoluzioni, le innovazioni sono servite a stimolare la fantasia dei potenti o degli aspiranti tali per escogitare metodi sempre più raffinati per tenere a bada le masse. Chiamatelo anche Partito democratico. E’ bene infatti che la democrazia sia proclamata, dichiarata, esaltata, difesa, esportata. Praticata, dipende”.
“Ma come – sospira il galantuomo, affidandosi al suo entusiasmo per la grande democrazia americana – e il sogno americano allora?”
“ Il sogno americano, certo – interviene il secondo “bravo” – il sogno è fondamentale, meglio se individuale e non collettivo. Vuol dire che qualunque cittadino, purché abbia la fortuna, la capacità, i mezzi e la volontà necessari, lottando e sgomitando senza guardare in faccia nessuno, potrà riuscire ad entrare nel ristretto numero dei potenti. Se la novità che aspettate è questa, possiamo metterci d’accordo”.
Il galantuomo prende coraggio. “Noi però vogliamo affermare il principio: una testa, un voto. E non basta: vogliamo anche più giovani e più donne al vertice del partito e delle istituzioni”.
“Beh, ora non vi allargate, adelante Pedro con Juicio – replica il “bravo”, prendendo in prestito una battuta dal vecchio copione – tutti avrete certamente il diritto di dare o negare il voto ai candidati delle nostre liste, ma quelli li dovremo scegliere noi, giovani e donne compresi. Non si è fatto così anche per il Comitato dei 45”?
Il galantuomo, subodorando l’imbroglio, decide allora di osare: “E se le liste le facessimo noi, noi cittadini elettori, anche quelli non iscritti, proponendo le candidature dal basso?” Una risata colossale rischia di seppellire il galantuomo: “…ma tutti i nostri candidati saranno proposti dal basso!”, gli gridano i “bravi”, allontanandosi sghignazzando.
Preoccupato ma non depresso, il galantuomo riprese la sua meditazione, pensando a come fare perché quelle candidature “dal basso” non fossero davvero le stesse suggerite dall’alto. E a noi non resta che darci da fare, sperando che anche questa storia abbia il lieto fine che piaceva tanto a Manzoni.

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