Energia e Ambiente
IL POPOLO DELL’INNOVAZIONE
Viaggio tra proposte di ripresa del conflitto di classe e iniziative in direzione del socialismo.
di LAURA TUSSI
Attualmente, nel mondo occidentale, si assiste ad un ritorno prepotente delle politiche e dei partiti conservatori, dall’America, alla Spagna, dall’Italia, all’Inghilterra, per non parlare delle correnti xenofobe e neonaziste dell’Austria. Nel mondo intero si è assistito ad un movimento di protesta contro lo status quo, dissenso e opposizione e ad una presa di coscienza valoriale senza paragoni nella storia passata: dalle correnti pacifiste, ai nuovi globalizzatori. Queste innovative realtà comprendono tutte le frange più irrequiete, i partiti riformisti, le fazioni di dissenso, gli estremismi più propositivi, tutte le categorie più innovative, progressiste e propositrici di qualcosa da portare avanti, da proporre, da perseguire nonostante il conflitto di classe, la protesta nelle piazze, per il cambiamento generale dello status quo di un sistema neoreazionario, con proposte costruttive di azione, per agire, per risolvere i gravi problemi dell’umanità intera, dal disastroso degrado ambientale a livello planetario, di cui stiamo pagando le scottanti conseguenze, alla povertà, al regresso, alla fame nel mondo, la mancanza di occupazione, le guerre, i conflitti interreligiosi.
Il nuovo socialismo ancora e di nuovo, in base a corsi e ricorsi storici sempre attuali, ripropone antichi valori e sempre attuali, quali l’equità sociale ed il pluralismo in materia decisionale delle scelte più drastiche e drammatiche, come l’interventismo bellico, per esempio.
Anche in Italia, quindi a livello più locale, molti intellettuali si sono mobilitati contro il revanchismo delle destre sulle più disparate questioni sociali, coinvolgendo ampie sacche di popolazione, proprio quel popolo portatore di idee di innovazione e progresso, di novità e trasformazione positiva in materia sociale, giuridico legale, sanitaria, economica, fiscale ecc…
Sullo sfondo di tali imprescindibili questioni si stagliano i problemi cruciali del mondo contemporaneo che interessano il processo di globalizzazione, il razzismo scientifico, lo sviluppo delle biotecnologie, la bioetica, la sostanziale e fondamentale relazione uomo-ambiente.
Gli Stati Uniti si sono rifiutati di aderire al protocollo di intesa di Kyoto e non per volontà del popolo americano, quindi non per decisione di una scelta democratica e pluralista che comprendesse le più differenti frange e classi del tessuto sociale americano, che peraltro ha manifestato, in buona parte il dissenso, ma per l’effetto di un capitalismo degenerato, di un sistema votato a una logica di dominio nazionalista, scaduta in assolutismo dispotico.
L’esigenza di socialismo si ripete a intervalli nella storia, risorgendo ogni volta al fine di portare la pace e la realizzazione e concretizzazione delle utopie, ossia di valori, ideali e conquiste sul piano dei diritti del popolo, della società tutta, che il capitalismo esasperato, o peggio la degenerazione irrazionale di quest’ultimo, annienta, vilipende, schiaccia, provocando conflitto tra le classi sociali, per evidenti sperequazioni: un conflitto epocale, millenario, dalle prime forme di vita associata dell’umanità.
Anche la magistratura è stata costretta a reclamare il proprio diritto d’autonomia, a rifiutare le ingerenze da parte di altri poteri statali. In questo modo si è sovvertito il principio basilare di un paese libero, elaborato dall’illuminismo e da Montesquieu relativamente alla tripartizione delle mansioni principali dello Stato e l’inalienabilità dell’autonomia dei tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario, così da evitare la degenerazione del sistema politico in anarchia o peggio in dittatura assolutista.
Il socialismo si è sempre posto l’obiettivo di promuovere programmi di riforme graduali, tese a migliorare le condizioni di vita della classe operaia e delle masse lavoratrici nel quadro degli spazi democratici, concessi dallo stato borghese.
Nel dopoguerra i partiti socialdemocratici dei paesi dell’Europa occidentale fondarono nel 1951 l’internazionale socialista. Dopo i fatti d’Ungheria anche i partiti socialisti, come quello italiano, che avevano privilegiato l’unità d’azione con i comunisti, si spostarono su posizioni riformiste. La revisione ideologica e il rifiuto del ruolo guida dell’URSS toccarono anche i partiti comunisti a partire dagli anni’60 che si orientarono verso posizioni socialdemocratiche, affermatesi in tutti i partiti socialisti europei.
I movimenti del popolo, attualmente, rilanciano le idee di un neoilluminismo, di un nuovo socialismo che ovviamente contesta la globalizzazione del mercato unico, ma soprattutto del pensiero unico neonazionalista che riconferma politiche volte a instaurare e riassestare economie radicalmente capitalistiche.
Il socialismo del popolo di Seattle sostiene l’eguaglianza dei diritti sociali ed umani, la solidarietà, il bene comune, la tolleranza dell’”altro”, del diverso contro le esproprianti politiche xenofobe e razziste, per l’eliminazione del privilegio di classe, del classismo, e soprattutto il diritto delle masse meno abbienti a manifestare ed a protestare, senza essere perseguitate, contro le scelte ritenute errate e capitaliste del sistema, dei governi restauratori di un atavico, obsoleto e stanco modo di fare politica.
INTERVISTA ON. MIGLIORE SUL PD
Intervista all’on Gennaro Migliore sul Partito Democratico
di Salvatore Viglia
L’on. Migliore è capogruppo parlamentare di Rifondazione comunista-Sinistra europea. E’ componente della II Commissione Giustizia, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, della Conferenza dei capi gruppo.
Il Partito Democratico è una malattia che deve fare il suo corso, un processo degenerativo, una conseguenza ineluttabile delle forze di sinistra, un giorno, anche lei passerà attraverso questo processo?
Il Partito Democratico, non è un partito di sinistra. E’, per sua stessa decisione, un partito che coinvolge le forze che in questo momento, e neanche tutte, si identificano come riformisti. La divisione che si è verificata all’interno dei DS con il distacco di Mussi ed ora di Angius, è consistente. Una parte della sinistra che non ha una collocazione internazionale.
Personalmente, credo invece che ci sia bisogno di sinistra in questo paese. Non c’è, quindi, nessuna contiguità tra i processi che si sono avviati tempo fa nel cantiere della Rifondazione ed oggi Sinistra europea con un processo
di formazione e di unificazione del PD, di gruppi dirigenti di partito che si sono già misurati alle elezioni con liste comuni.
Allora, questa è una necessità politica o una evoluzione di carattere ideologico? Fassino è stato comunista, uomo di sinistra ed ancora oggi si definisce tale, però, è l’artefice della formazione di un partito che lei definisce non di sinistra.
A me sembra che sia lo stesso partito democratico a non definirsi di sinistra. Per quanto mi riguarda, lo decideranno loro che cosa è. Io non credo che sia un percorso legittimo che viene scelto politicamente. Non è né un obbligo, né l’ultima spiaggia, è una scelta politica che fanno i gruppi dirigenti di Margherita e DS che, in questo momento, probabilmente, leggono la fase politica italiana, con questi occhi. In ogni caso, è sembrato chiaro che il processo sia stato molto difficoltoso. Gli stessi propugnatori, in fase d’avvio di questo partito, di questa idea, i Parisi, i prodiani in genere, erano in grande fermento. In alcune fasi, la polemica è stata anche molto vivace. A me sembra piuttosto che la preoccupazione sia stata soprattutto quella di confezionare il contenitore prima ancora dei contenuti.
In questo sodalizio, chi sarà penalizzato maggiormente dal punto di vista ideologico?
Non lo so, sinceramente. Non mi pare che questa unione sia stata impostata su base ideologica. E’ un partito molto pragmatico, non mi pare neanche che il carattere del manifesto che lo istituisce entusiasmasse granché gli stessi sostenitori, per cui sinceramente non so.
Da questo ulteriore frazionamento che i DS dovranno sopportare, lei auspica un ricompattamento a sinistra?
Credo che sia in campo una possibilità di ricomposizione importante del processo politico di sinistra in questo paese e che tutte le forze, da Rifondazione comunista a quelle della sinistra dei DS, si devono proporre questa ambizione, cioè quella di costruire una nuova soggettività politica.
Gli unici ad avere un vero vantaggio, sarà la sinistra?
La sinistra che aspetta da molto tempo un soggetto più ampio in cui vedere realmente rappresentata la sua ragion d’essere.
CONVEGNO SU CONGESTION CHARGE
Congestion charge e Tecnologie ICT: automobili e infrastrutture intelligenti per città senza traffico
25 Maggio 2007 ore 9.30
FORUM PA Roma
Il seminario si presenta come un follow-up del progetto “Beyond e-government” presentato insieme alla London School of Economics nel maggio 2006 e della ricerca di Vision, condotta nel 2004-2005, sull’impatto delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione sull’automobile e sul sistema dei trasporti.
Il progetto condotto in collaborazione con il Forum PA affronta una questione di grandi proporzioni per almeno due motivi:
1. la congestione urbana sta diventando sempre di più un problema con il quale i cittadini sembrano non più disposti a convivere: i cambiamenti climatici, il pericolo concreto del picco nelle riserve, la crescita del valore che attribuiamo al tempo e l’insopportabilità di sprechi così estesi rendono sempre più vicino il punto di rottura “politico”, di consenso rispetto ad un problema spesso ritenuto irrisolvibile;
2. l’aumento delle informazioni a disposizione dell’automobilista (o del passeggero nel caso del trasporto pubblico) e del sistema di gestione della mobilità urbana è, per diverse ragioni industriali e tecnologiche, la nuova frontiera di quella rivoluzione tecnologica che stenta ancora a trovare proposte di creazione di valore di grande interesse e continuità.
I principali obiettivi del seminario sono:
1. presentare una misurazione del problema da affrontare e l’evoluzione nel tempo delle varie categorie di costo (tempo perso, danni ambientali e contributo al cambiamento climatico, sicurezza, infrastrutture) che sono associate alla congestione;
2. ricostruire il quadro delle iniziative internazionali e legislative che sempre di più rendono irrimandabile un intervento;
3. misurare l’efficacia delle soluzioni tradizionali ed, in particolare, delle strategie di ampliamento della infrastruttura stradale e di spostamento di quote di trasporto dal mezzo privato a quello pubblico;
4. identificare l’impatto e le caratteristiche di una strategia innovativa che punti all’aumento dell’informazione disponibile sia agli individui (automobilisti, fruitori del servizio pubblico) che a chi governa il sistema complessivo (centrali del traffico, centrali di gestione del servizio pubblico) per assumere decisioni sia nel breve (risposte ad emergenze, itinerari) che nel medio e nel lungo termine (fino alla scelta delle opzioni ottimali in termini di costruzione di nuove infrastrutture); verranno, a questo proposito valutate strategie di interazione tra individui e sistemi che abbiano come finalità quella di gestire la domanda di mobilità attraverso consigli, incentivi, pagamenti di prezzi per l’ingresso in determinate aree della città;
5. descrivere le problematiche tecnologiche che esistono per realizzare diverse politiche (tecnologie di rilevazione dei volumi del traffico, sistemi per governare – knowledge management system – le informazioni disponibili e trarne suggerimenti operativi, strumenti per effettuare il pagamento di biglietti per l’ingresso nelle città, diversi approcci al controllo delle automobili nel caso di divieti e zone a tariffazione, prenotazioni e pagamento di parcheggi), le soluzioni esistenti e le necessità in termini di integrazione di sistemi;
6. valutare la complessità politica, di consenso per le amministrazioni locali di operazioni di questo genere e chiarire i criteri con i quali in altri ambienti (Londra, ad esempio), attraverso un’azione di coinvolgimento, di comunicazione e di leadership sono state superate le resistenze più difficili;
7. definire le opzioni di finanziamento (anche privato) di queste ipotesi e alcune progettualità da sperimentare nell’ambito dei programmi destinati all’innovazione e governati dall’Unione Europea e dalle Regioni e enti locali italiani.
Il seminario indica una serie di soluzioni (rispetto alle quali è stato misurato il gradimento da parte di segmenti di cittadini) e propone sulla base di quest’ultime un confronto tra i protagonisti (le amministrazioni delle grandi città, i produttori di automobili, i produttori delle tecnologie ICT che stanno trasformando la natura della stessa automobile) coinvolti, a vario livello, nei diversi progetti sul traffico.
L’obiettivo finale è identificare una serie di progettualità, da meglio calibrare nel corso del seminario e rispetto alle quali sviluppare applicazioni in grado di produrre dei vantaggi concreti per tutti.
CAMBIAMENTO E INNOVAZIONE IN POLITICA
di Laura Tussi
Il cambiamento consiste nella trasformazione che un individuo sperimenta su un piano evolutivo-naturalistico, anche intenzionalmente, ossia voluto, provocato e indotto da uomini per il benessere o il malessere di altri uomini. In filosofia il cambiamento può definirsi il rendere o divenire diverso; nelle scienze sociali è riferito al mutamento sociale; in sociologia è legato all’evoluzione e al progresso; in pedagogia è un’esperienza temporale da cui si esce con diverse percezioni del sé. Il cambiamento è un laboratorio in cui il soggetto si scopre “capace di…” ciò non si verifica se non vi è un contenuto come qualcosa da apprendere, capire, usare, costruire, così importante da rigenerare e sviluppare una parte nuova o rigenerare la parte sepolta dall’identità adulta, verso un’innovazione, un mutamento di positività. Secondo i cognitivisti il cambiamento riguarda il soggetto attivo. L’educazione è concepita come educazione della mente, innescamento e attivazione di processi cui il soggetto può rispondere per cambiare, per evolversi, per rin-novarsi ed in-novarsi, ossia rendersi nuovo, innovativo, diverso da dentro, fondamentalmente, senza comunque perdere totalmente i propri capisaldi, i propri punti di riferimeno, ma facendo memoria di sè e della Storia degli eventi. Il cambiamento inteso come trasformazione rappresentativa avviene prima a livello cognitivo, poi emotivo e affettivo. Secondo la psicologia culturale postpiagetiana il cambiamento avviene quando il soggetto si accorge che da passivo ricettore diventa attore della formazione del proprio conoscere e si accorge di pensare di pensare: ciò genera il panico della mente necessario al cambiamento. Per la psicanalisi, Freud ha elaborato il modello psicanalitico di resistenza al cambiamento, oltre all’istinto di piacere subentra l’istinto di morte, meta di tutto ciò che è vivo è morte, ossia pulsione a ritornare allo stato inanimato, nella pulsione che è cambiamento apparente. Il cambiamento in base all’approccio fenomenologico, con Rogers, analizza il soggetto che tende all’autorealizzazione mediante una continua ricombinazione degli elementi del suo sé. Secondo Lewin l’accettazione e la reazione all’ambiente sono le funzioni più importanti della personalità totale. Quando il soggetto è incapace di modificare le sue modalità interattive con l’ambiente insorge la nevrosi. Il cambiamento è un modo nuovo di guardare la realtà, lasciando immutati i fatti concreti e oggettivi da cui è composta e trasformando la loro interpretazione soggettiva. Secondo l’approccio sistemico, Bateson sostiene che la mente è un aggregato di parti e componenti interagenti e le differenze che percepiamo si trasformano nella mente in informazioni. L’informazione è un cambiamento in quanto processo soggetto a trasformazione. Per l’approccio psicosociodrammatico, Levy Moreno intende indagare il mondo psichico a partire da alcuni metodi di azione con lo scopo di liberazione soggettiva della spontaneità per permettere l’espressione e lo sviluppo della creatività senza le quali emergerebbero psicopatologie. Lo psicodramma è una metodologia basata su cinque elementi: spazio scenico, protagonista, degli io ausiliari. E’ la messa in scena di una vicenda umana che porta la psiche sul palco impersonificandola nell’attore, in un processo catartico per l’individuo, in cui il soggetto non è solo, ma inserito in un gruppo che vive emozioni dell’attore protagonista (empatia). La Gestalt di Polster vede il cambiamento come effetto del contatto, in quanto far proprio l’elemento di novità o rifiutarlo, comporta l’interferenza nel sistema percettivo dell’individuo. Secondo Bion l’identità è la capacità di continuare a sentirsi gli stessi nella successione dei cambiamenti che si verificano in relazione a momenti di disagio e crisi, in corrispondenza delle fasi evolutive quali lo svezzamento, l’adolescenza, la vecchiaia. Il cambiamento comporta la perdita di rapporti e di relazioni precedenti e di alcuni aspetti della personalità, verso l’innovazione e la trasformazione intrise di molteplici potenzialità.
L’ITALIA E I TALENTI SPRECATI
di Andrea Benedetto
Tempo fa, ho letto sul Sole24ore, un articolo, che mi ha destato estremo interesse, sull’economia della conoscenza, “L’Italia, un capitale di talenti sprecati”.
Il concetto di “Economia della Conoscenza”, introdotto negli anni ‘60 da Eritz Machlup e ripreso da Dominique Foray, indica una nuova fase di sviluppo in cui l’istruzione, la conoscenza scientifica, le risorse umane rappresentano fattori di crescita essenziali, ancor di più del capitale tangibile (strutture fisiche, macchinari, risorse naturali…).
Oggi, la competitività delle imprese si gioca sulla qualità del prodotto e del processo, sulla riduzione dei tempi di decisione, di produzione e di lancio di nuovi prodotti, sull’adozione di innovazioni nei processi produttivi di tipo tecnologico ed organizzativo.
Per questo, fondamentale è lo sviluppo di competenze e di professionalità della forza lavoro, dei quadri e dei dirigenti. Non solo quindi investimenti fissi, capitale ma soprattutto know-how e competenze distintive. I lavoratori con capacità di analisi e soluzione dei problemi sono più produttivi rispetto agli altri in tutte le mansioni che implicano attività più complesse della semplice routine. Accrescono la loro produttività e quella degli altri perché insegnano ai colleghi meno capaci, imparano dai più abili e sono pronti ad operare con nuovi strumenti e processi produttivi, consentendone una rapida adozione.
Nel confronto con altri paesi dell’OCSE, l’Italia si caratterizza per bassi livelli di capitale umano sia nello stock che negli investimenti. Nel 2004, la quota dei laureati, fra i 25 e i 34 anni, è pari all’15%, contro il 25% della media dei paesi dell’OCSE.
Altri dati (Banca d’Italia) dicono che in Italia il tasso di abbandono delle università è pari a circa il 60%, il doppio rispetto che negli altri paesi industrializzati.
Medesimo discorso vale per le Università e i centri di ricerca pubblica. I primi 10 atenei, secondo una recente classifica mondiale, si trovano negli Usa e in Gran Bretagna. L’Italia? La prima università è al 100° (La Sapienza). All’interno delle università, i docenti universitari italiani sono 92 mila di cui il 40% a contratto (ovvero ricercati malpagati che insegnano). Il 35% dei ricercatori ha più di 50 anni e con molta probabilità non avrà mai una cattedra.
Questa difficoltà italiana di competere si acuisce ancora di più nel confronto con l’India, con le sue elevate performance sulle tecnologie dell’ICT, la Corea, la Cina, che stanno investendo pesantemente parte del proprio PIL in Ricerca e Sviluppo. Una serie di evidenze davvero sconfortanti per noi giovani. Non solo numeri, ma lo specchio di quello a cui quotidianamente assistiamo nelle nostre università, nei centri di ricerca, nei posti di lavoro.
Il capitale umano, cosi importante, deve essere incentivato e selezionato su base ESCLUSIVAMENTE MERITOCRATICA, perché se è vero che c’è bisogno di menti preparate e formate, queste menti devono essere promosse ed aiutate, non certo mortificate da contratti precari, da sorpassi in ambito lavorativo e concorsualistico da parte di figli di papà o del politico di turno. E se il governo precedente non sembra aver brillato, anche l’attuale, dopo aver messo nel suo programma l’Università fra le principali priorità, si sta comportando come quelli precedenti: la legge non aiuta le nuove leve e il ricambio generazionale è troppo lento. La proposta di un semestre Erasmus obbligatorio, per laurearsi, sembra un’ idea coraggiosa, ma senza un programma organico e senza concreti finanziamenti, destinate a cadere nel vuoto.
Bisognerebbe valorizzare adeguatamente il merito, insieme ad una adeguata remunerazione degli investimenti in istruzione, speriamo che questo governo riesca a dare una svolta.
CONVEGNO DI VISION E INNOVATORI EUROPEI
VISION – the Italian Think Tank, con la collaborazione di INNOVATORI EUROPEI
PRESENTANO
Energy and Democracy, the future is……now. Options for Europe
18th May 2007, 15:00 pm Rome – Italian Parliament, Camera dei Deputati, Sala del Refettorio
PER PARTECIPARE ALL’ INCONTRO, scrivi a v.sirabella@vision-forum.org
FIRMA APPELLO PD AREA SAPERE
Adesione all’appello per il Partito Democratico dell’Area Sapere
Innovatori Europei aderisce, convinta della necessità di fare del Sapere il cuore del Partito Democratico
Se ti va, compila il modulo (lo trovi in formato Word sul Google Group) e invialo a sapere@dsonline.it
L’APPELLO
La politica che vogliamo
Crediamo e vogliamo un partito capace di far passare il sapere da priorità predicata a priorità praticata, che promuova lo sviluppo delle conoscenze, non più come pura affermazione propagandistica ma attraverso misure effettive, reali, frutto di scelte anche difficili, dolorose, ma non rinviabili. A livello di “predica” le cose sono chiarissime. I differenziali nei livelli di sapere, di educazione, di ricerca, di cultura, di diffusione delle nuove tecnologie della informazione e della comunicazione, sono quelli che spiegano più di ogni altro indicatore i livelli di produttività e di competitività delle nazioni, dei territori, delle imprese.
Il sapere che c’è nella testa delle donne e degli uomini che in un Paese vivono e lavorano è la maggior risorsa che il Paese ha a disposizione per la propria crescita.
Una straordinaria occasione per la politica riformatrice.
Non c’è vera libertà senza sapere
Nella economia e nella società della conoscenza, gli investimenti e gli strumenti atti a incrementare la produttività del Paese sono gli stessi che sono essenziali per far crescere la qualità del vivere civile, per preservare il proprio patrimonio culturale e ambientale, per promuovere le capacità delle persone, per l’inclusione dei più deboli e svantaggiati, per rimettere in moto la mobilità sociale, per affrontare le sfide del mondo globale, che permea oggi il nostro vivere quotidiano. Sapere è libertà, è facoltà reale e non formale di scegliere la propria vita e le proprie vocazioni.
La conoscenza come priorità per il Paese
Proprio sul terreno della conoscenza l’Italia misura la sua più grande distanza dai Paesi più sviluppati e innovativi: una inadeguata qualificazione del capitale umano – il minor numero di diplomati, di laureati, di ricercatori, il più alto tasso di analfabetismo di ritorno – e insieme la scarsa capacità di utilizzarlo al meglio. Le persone lavorano al di sotto delle loro capacità e l’intelligenza dei giovani viene sprecata nelle sacche del precariato.
Innalzare la qualità del nostro sistema produttivo e dei servizi, incrementare in quantità ed efficacia gli investimenti in educazione e ricerca costituiscono la assoluta priorità per il nostro Paese.
Politiche nazionali, territori, Europa
Occorrerà guardare all’Europa e ai territori. All’Europa, perché solo a quel livello è possibile affrontare le grandi scelte necessarie a colmare il ritardo sulle frontiere più avanzate della ricerca e dello sviluppo tecnologico; ai territori, perché la diversità e la ricchezza culturale del nostro Paese sono la marcia in più a nostra disposizione per affrontare le sfide della economia e della società della conoscenza.
Le politiche nazionali saranno efficaci se sapranno collocarsi su questa frontiera; essere parte attiva nella costruzione dello spazio europeo della ricerca e dell’educazione; aprire nuove opportunità di sviluppo ai territori, alle mille città d’Italia, perché è lì che la sfida della qualità può essere vinta.
Scuole, università e centri di ricerca
Le scuole, le università, i centri di ricerca sono lo snodo decisivo tra il globale e il locale, tra il sapere del mondo e il sapere dei territori. Per questo è necessario valorizzarne l’autonomia e la responsabilità. Dell’autonomia è elemento essenziale la valutazione, così come il riconoscimento sociale ed economico del valore professionale di chi, nei tanti luoghi del sapere, con queste sfide si confronta.
Sono questi i luoghi dove si formano le eccellenze necessarie a interagire con le frontiere più avanzate della ricerca e dello sviluppo, e quel sapere diffuso, quell’innalzamento generale dei livelli di sapere della popolazione, che sono la condizione imprescindibile perché i risultati della ricerca diventino prodotto, servizio, vita delle persone.
Nuovo umanesimo
Va promosso il sapere scientifico e tecnologico, insieme alla educazione alla cittadinanza, alla libertà e alla responsabilità necessari per interpretare il proprio futuro e il futuro del mondo, aperto a nuove straordinarie opportunità e anche a nuovi temibili rischi. Nella prospettiva di un nuovo umanesimo in cui i diversi saperi convergono nella formazione integrale della persona. Sarà sempre più questa la condizione della partecipazione democratica, la strada maestra per evitare che la complessità e l’incertezza del tempo presente generino derive populiste. E’ per questo che è decisivo promuovere la partecipazione e il nuovo protagonismo degli studenti, delle famiglie, dei cittadini.
Il Partito Nuovo
Il Partito Democratico è per noi un partito che costruisce a tutti i livelli – al Governo e nei territori – un agire politico conseguente a questi obiettivi, a queste finalità, a questa idea del futuro.
Nuovo, perché sa superare una visione puramente economicista dello sviluppo, la quale fa delle variazioni del PIL l’alfa e l’omega per valutare l’efficacia delle proprie politiche.
Nuovo, perché va oltre una visione dello Stato sociale puramente redistributiva, risarcitoria, tesa a contenere e rendere accettabili le disuguaglianze indotte dell’economia di mercato, piuttosto che ampliare le opportunità, promuovere i talenti, avere cura delle persone in difficoltà.
Nuovo, perché sa mettere al primo posto l’interesse generale e un’idea condivisa del futuro rispetto ai corporativismi e ai particolarismi, di cui la frammentazione della politica è troppo spesso riflesso e amplificazione.
Nuovo, perché al proprio interno promuove e dà valore a chi costruisce, piuttosto che a chi oppone veti.
Nuovo, perché sa superare quei limiti che la prima fase della nostra azione di governo ha rivelato essere presenti, al di là delle difficoltà di bilancio, all’interno del nostro stesso schieramento.
Ma nuovo soprattutto perché sa chiamare a raccolta le persone. Quelle che non si sono rassegnate ai ritardi della politica, che nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca, nelle tante fabbriche del sapere, con le novità del presente si sono cimentate, consapevoli che ridare dignità e futuro al proprio lavoro era decisivo per ridare dignità e futuro al proprio Paese.
Dobbiamo a loro, alla loro capacità di pensare insieme, fare rete, di praticare la cultura della sussidarietà, se il nostro Paese ha ancora un futuro davanti a sé.
Al loro sapere e al loro impegno partecipativo il nuovo partito deve attingere. Le loro teste, prima che voti, sono sede di pensieri, idee, emozioni, necessari a ridefinire un nuovo profilo dell’agire politico.
Ne abbiamo più che mai bisogno quando governiamo. Superando una pratica vecchia della politica, che chiama alla partecipazione per battere l’avversario, e si schiaccia sul governo quando l’avversario è battuto, e prepara così la strada alla sua rivincita.
Per farcela occorre allargare i confini, non restringerli. Semplificare la politica, non complicarla. Alleggerire i vincoli identitari, perché le persone possano trovare nuovi spazi di protagonismo, a partire dalla loro esperienza di lavoro e di vita. L’unità tra i Democratici di Sinistra e Margherita, e quanti dei socialisti, degli ambientalisti, dei repubblicani, dei liberali e di quanti altri saranno con noi, è la precondizione, non l’esito del processo. E’ un atto di umiltà, non d’arroganza; è la presa di coscienza dei limiti delle culture politiche esistenti per interpretare e governare il cambiamento.
Un percorso da realizzare insieme
Questo documento è un primo contributo alla costruzione di un partito che sappia imboccare questa strada.
Sarà importante non solo che sia sottoscritto dai tanti che lo condividono – iscritti o non iscritti ai partiti – ma soprattutto se saprà suscitare critiche, miglioramenti, proposte.
Se aprirà un processo di riflessione che accompagni la fase costituente.
Se darà vita nei territori a comitati che ne discutano e ne promuovano le finalità.
Se accompagnerà passo passo la nascita del Partito Democratico, orientandone le priorità programmatiche e gli esiti.
Alla fine sarà, col vostro contributo, un documento nuovo, come Nuovo deve essere il Partito che costruiamo.
Andrea Ranieri, Antonio Rusconi, Giuseppe Fioroni, Luigi Nicolais, Luigi Berlinguer, Giancarlo Lombardi, Mariangela Bastico, Giampaolo D’Andrea, Luciano Modica, Nando Dalla Chiesa, Mario Ceruti, Italo Fiorin, Susanna Mantovani, Marco Rossi Doria, Walter Tocci, Domenico Volpini, Fausto Raciti, Pina Picierno, Paolino Madotto, Paolo Zocchi, Gianni Pittella
Massimo Preziuso
UNA NUOVA VISIONE POLITICA
di Luca Lauro
Il progetto per la costruzione del Partito Democratico sta generando un effetto di portata epocale assolutamente poco percepito working in progress.
E’ in atto una riflessione di massa su cosa è democratico.
Si cercano modelli nella storia e nella geografia, si ragiona e si discute e ci si accorge con stupore che l’aggettivo democratico si presta a numerose interpretazioni da quella propria.
Adesso però viene la parte più importante, la parte costruttiva del progetto, e non possiamo fare a meno di una traccia che guidi e dia la giusta direzione a tutti gli sforzi.
Dove si trova questa traccia?
Sicuramente se il Partito Democratico fosse solo una operazione di consenso si rivelerebbe un boomerang soprattutto per i partiti fondatori.
Sarebbero i primi a pagare il prezzo della disillusione o della mancata illusione di vedere fare una politica nuova magari anche da parte di soggetti non altrettanto nuovi.
Ecco perchè la traccia da seguire nel cantiere non può solo essere un esclusivo riferimento a regole su come creare strutture che decidono, controllano, eseguono, rappresentano come si sta facendo all’interno dei partiti e dei comitati promotori.
Non possiamo rimandare il confronto e la discussione sui contenuti politici ad un momento successivo alla creazione di un soggetto strutturato, perchè la sua forma deve anche essere funzionale agli obbiettivi del Partito Democratico, quindi è anche di questo e oggi di cui si deve necessariamente parlare.
Ciascuno per la sua parte ha oggi l’opportunità e il compito, se crede in questo progetto, di proporre e contribuire alla formazione di obiettivi, ideali, principi che oltre a ispirare l’azione del futuro Partito ne modellino da subito la forma più congeniale in cui riconoscersi nel suo operare sulla scena politica, ed è chiaro che l’esperienza dei partiti fondatori è il riferimento certo, che abbiamo a disposizione, ma non esclusivo di questa immensa operazione, anzi .
Il Partito Democratico può solo proporre una visione politica nuova rispetto a tutte le altre proposte politiche esistenti e del passato: una visione innovativa.
Innovativa perché, a mio avviso, è l’unica possibile, quella che per la prima volta si emancipa da un novecentesco atteggiamento di fare politica in cui pochi ormai si riconoscono anche fra i promotori, e cioè quello di creare delle categorie politiche, partendo dalle categorie della società (gli imprenditori, gli immigrati, le donne, i dipendenti pubblici, i giovani, gli anziani, i disabili, i manager, i professionisti, il pubblico, il privato, i giudici, i meridionali ecc…) e fare politica e leggi ricollegando effetti giuridici non ai comportamenti in quanto tali ma alle caratteristiche personali riferite alle ‘categorie d’appartenenza’.
Abbiamo passato, così, decenni a vivere conflitti inutili e talvolta imprevedibili, come quello ultimo fra famiglie e famiglie (di fatto ma sempre famiglie sono) sottraendo energie preziose alla cooperazione e all’amore per lo spirito di fare e di essere insieme ed un insieme.
Dunque, quando bisogna distribuire risorse non si distingue più fra le categorie ‘politiche’ imprese e famiglie contrapponendole come ancora sta avvenendo con la vicenda del cosiddetto ‘tesoretto’:
si distingue fra le imprese che pagano le tasse e investono nell’innovazione e quelle che invece evadono e si mangiano i ricavi (ottenuti in nero);
si distingue fra le famiglie numerose e con un solo stipendio, che rischiano di gravare poi doppiamente su tutti i servizi assistenziali, da quelle che possono permettersi appartamenti e macchine di lusso;
non si deve distinguere più tra italiani e immigrati, ma fra persone che, una volta ne sia accertata l’identità il domicilio e la residenza, si comportano onestamente contribuendo al benessere proprio e della collettività secondo le regole che valgono per tutti, e coloro che difettono in tal senso, anche se italiani.
Gli esempi potrebbero andare avanti e a lungo, ma il concetto di fondo è unico e semplice:
il Partito Democratico può solo proporre una nuova visione politica che superi la logica delle contrapposizioni di categorie ‘politiche’ di tipo corporativo (quelle ereditate nella storia) e sociale (quelle che si sono affermate più recentemente) e la traccia da seguire consiste nell’identificare oggi e tutti insieme i contenuti che permettano all’impresa e al sindacato, o in un altro tavolo di discussione, al giovane precario e ai datori di lavoro, e così via, di addivenire a contenuti che definiscano in maniera chiara, condivisibile e infine condivisa il bene e l’interesse comune di tutti gli attori in gioco (non di tutte le categorie in cui essi sono ricompresi in base a sesso, attività svolta di lavoro, provenienza geografica ecc.).
Il Partito Democratico ha il compito epocale di individuare, con questa modalità, e non con altre a mio avviso, il bene e l’interesse comune e di introdurre l’innovazione politica più seria, urgente e desiderata: l’unità.
LE LIBERTA’
Democrazia dell’informazione, ovvero la libertà di stampa
di Luigi Restaino
La libertà è senza ombra di dubbio un Valore indiscutibile. E senza ombra di dubbio dare maggiore libertà ai cittadini, al popolo, ad ogni singolo individuo è una ambizione di progresso civile. Mi spiego meglio: una persona più libera è secondo me una persona migliore. In ultima analisi credo che maggiore libertà corrisponda ad una maggiore possibilità di gestire la propria vita, indipendentemente da condizionamenti esterni, orientandola verso le proprie aspirazioni e rendendola più soddisfacente. Ma su questo vorrei lanciare una raccolta di proposte ed idee nuove per definire come si articoli in pratica questo concetto, e come lo si possa misurare (senza misure non è possibile darne una valutazione oggettiva). Cosa è dunque la Libertà, come la definiamo e come la misuriamo?
Vorrei iniziare subito con la Libertà di espressione e di Stampa, sulla limitazione della quale alacremente i nostri politici dipendenti lavorano in Parlamento. Tale libertà è sancita dalla nostra Costituzione ed è un concetto cardine di tutte le democrazie. Una misura indipendente del grado di libertà di stampa, e quindi di espressione in un Paese ci è fornita dalla House of Fredom (Casa della Libertà, ironia della sorte) www.freedomhouse.com, una organizzazione indipendente e non-governativa americana fondata da Eleonore Roosvelt, che supporta lo sviluppo della libertà di stampa nel mondo. In Europa Occidentale esiste un unico Paese dove la Stampa è valutata “Partly free”: L’Italia! (vedi http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=271&year=2006) Il nostro amato Paese è in compagnia del Botswana al 79° posto precedeuto persino dalla Mongolia, dalla Bulgaria, dalla Bolivia! Non starò qui ad analizzare le motivazione di questa valutazione (che largamente condivido, come fanno daltronde tante altre organizzazione nazionali ed internazionali). Il punto è che che se vogliamo fare qualcosa di veramente nuovo e positivo dobbiamo avere persone che lavorino perchè ci sia più Libertà e più Libertà di Stampa (come valutata indipendentemente da organizzazioni nazionali ed internazionali, e non dai nostri politici interessati), e non mi sembra che le operazioni in corso vadano in questa direzione. Mi piacerebbe vivere in un Paese dove la Stampa fosse libera come in Finlandia (non so voi?), ma di qeusto passo temo che l’anno prossimo ci ritroveremo dietro il Burkina Faso.
L’EUROPA E LA FRANCIA
Monsieur Sarkozy e le ricette per la sfida europea
di Tommaso Visone
Con la vittoria di Sarkozy alle presidenziali francesi si annuncia una ripresa dell’iniziativa della Francia in sede europea. Se i problemi sul tavolo dell’ Unione restano sempre gli stessi- l’impasse dovuta alla mancata ratifica del trattato del 2004- le soluzioni di certo non appaiono innovative. La proposta del neoeletto Président, volta a creare un tavolo per giungere ad un compromesso su un “nuovo” Trattato europeo (a detta del proponente la semplificazione del vecchio), ha il triste e ben noto sapore del compromesso a ribasso per tutti coloro che speravano in un rinnovato impegno d’oltralpe sul testo dell’attuale Trattato, già ratificato da ben diciotto stati. Tuttavia, un compromesso a ribasso risulta maggiormente digeribile se confrontato con il persistere dell’attuale stasi sul fronte delle riforme istituzionale dell’Unione. Detto questo, occorre fare alcune osservazioni.
Primo, se si lavorerà per una versione semplificata del “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa” si dovrà tener conto del fatto che esso a sua volta semplifica ed integra le molteplici componenti dell’acquis comunitario, il che rende consapevoli della difficoltà concernente lo stendere in modo egualmente esaustivo un Trattato ulteriormente semplificato che, per forza di cose, dovrebbe quindi escludere alcuni ambiti od alcune conquiste del precedente testo.
Secondo, semplificare il precedente accordo significa, non di meno, riproporne, in forma più accessibile e en bref, le principali acquisizioni; altrimenti si tratterebbe non di una semplificazione bensì di uno stravolgimento. Queste ultime sono: la creazione della carica di Ministro degli affari esteri dell’Unione; l’elezione a maggioranza qualificata del Presidente del Consiglio europeo; la riduzione del numero dei commissari a partire dal 2014; l’abolizione dei pilastri istituiti col Trattato di Maastricht; il riordino delle competenze tra Stati ed Unione; la semplificazione degli strumenti e delle procedure dell’Unione stessa, la possibilità d’iniziativa popolare (art.I-47) per invitare la Commissione ad elaborare una proposta; le basi per una politica comune di difesa.
Sarà in grado Sarkozy di far entrare dalla finestra della conferenza intergovernativa quelle innovazioni che i francesi avevano rifiutato dalla porta referendaria? E soprattutto riuscirà la conferenza intergovernativa a mantenere le fondamentali innovazioni previste nel testo del 2004? Non si può far a meno di concordare con G.Napolitano sul fatto che “aprire un nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora, correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e dai tempi imprevedibili”.
Il rischio che si profila all’orizzonte è il rallentamento esiziale del processo di integrazione politica europeo il quale comporterebbe (come già sta comportando) una perdita d’influenza mondiale per tutto il continente, legata ad un indebolimento costante delle singole influenze nazionali europee (causato dalla loro “piccolezza” geopolitica) sullo scacchiere globale. La campagna francese è stata condotta da entrambi i candidati all’insegna del rêve francese, un sogno che si può ancora esprimere attraverso il motto rivoluzionario liberté, egalité, fraternité. Ma si badi, senza un implementazione dell’integrazione politica europea, quei tre valori sono destinati a restare sulla carta. La Francia deve capire che non ha un futuro di potenza ed influenza al di fuori dell’Europa e deve inoltre riflettere sul fatto che i passati tentativi intergovernativi (es. De Gaulle), volti a rendere l’Europa una potenza “strumento” della Francia stessa, hanno incontrato la ferma opposizione dei paesi più piccoli dell’Unione (all’epoca della Comunità) in quanto non vi è garanzia per gli Stati più piccoli al di fuori di istituzioni comuni (ed inclusive) nei confronti di tutti i membri, piccoli e grandi. Quindi, se non vi è chance per un Europa intergovernativa o per una Francia solista, a quel grande rêve condiviso da tutti i francesi resta aperta solo la strada sovranazionale. Infondo, per Sarkozy vale oggi la stessa indicazione che Spinelli fantasticava di inviare a De Gaulle. “Potete voi dubitare un solo istante del posto che spetta alla vostra nazione, alla sua civiltà, alla sua lingua, a voi stesso, per l’avvio di questa impresa? Non credete che dando la Francia all’Europa voi darete, in realtà, l’Europa alla Francia?”