Significativamente Oltre

Energia e Ambiente

LE RIFORME DI PADOA SCHIOPPA

da Repubblica
“I sindacati lo devono capire. La riforma delle pensioni va fatta, è un’occasione da non perdere”. A poche ore dall’apertura del tavolo sul Welfare, Tommaso Padoa-Schioppa in un’intervista a Repubblica lancia il suo appello a Cgil, Cisl e Uil: “Capisco le loro difficoltà. Ma stavolta anche a Epifani, Bonanni e Angeletti chiedo di essere ambiziosi e coraggiosi, e di vincere la battaglia in casa loro, invece che di portarla sempre in casa d’altri”.
Il ministro del Tesoro è fiducioso. Ma alla sinistra sindacale dice: “Il negoziato non può durare in eterno, va chiuso in fretta”. E alla sinistra politica ripete: con il “tesoretto” evitiamo la manovra 2008, se lo sprecassimo oggi “saremmo scellerati”. Il risanamento dei conti è compiuto, la crescita economica supera le previsioni. Il ministro è soddisfatto: “Gradisce un caffè?”, chiede all’intervistatore. È il segnale che le cose, per il Belpaese, vanno meglio davvero. Fino a qualche mese fa, per risparmiare denaro pubblico, nell’ufficio che ospitò Quintino Sella avevano tagliato anche i caffè. Oggi si respira un clima più rilassato. Missione compiuta, in un solo anno? “Non me lo aspettavo, ma ci speravo – risponde – la congiuntura ci ha aiutato, ma la risposta del Paese c’è stata, ed è stata superiore alle aspettative. Le imprese hanno reagito, c’è un clima molto positivo e la lotta all’evasione sta dando buoni risultati. Ma queste risposte non le avremmo avute, se non ci fosse un governo che ispira fiducia”.
Ministro Padoa-Schioppa, non teme la solita, italica “sindrome da appagamento”?
“Questo è un rischio che mi preoccupa. L’anno scorso la prova più difficile era far sì che, dopo la campagna elettorale, ci si rendesse conto che occorreva una grande determinazione per il risanamento. Sembra una banalità, e invece allora non era affatto chiaro. Né per il governo uscente, né per la maggioranza vincente. In poco più di un mese, tra il giuramento del nuovo esecutivo e il Dpef, riuscimmo ad ottenere il pieno consenso della maggioranza. Oggi la sfida è diversa. Superata l’emergenza, l’incognita vera è verificare se nel Paese, nel governo, nella politica e nella società c’è un’ambizione che ci consenta di fare il vero salto di qualità”.
È dura, con una coalizione piena di disfattisti che dicono “il governo non dura quindi spendiamo tutto”, e di trionfalisti che dicono “abbiamo già vinto, quindi spendiamo tutto lo stesso”.
“Non possiamo cadere in questa deriva, accontentandoci di aver rimesso la testa fuori dall’acqua e fermandoci lì. Lo considero un errore esiziale. La grande prova è questa: se abbiamo l’ambizione di fare davvero il salto in avanti, dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dalla meta, e dobbiamo proporci obiettivi molti più importanti. Se non superiamo la prova, ci ripieghiamo su noi stessi. Non c’è più l’emergenza, c’è la mediocrità. Ma se invece superiamo la prova, allora succede davvero un fatto nuovo per questo Paese. Smettiamo di fare l’eterna rincorsa sui nostri partner internazionali, e cominciamo a fare con loro una vera e propria “gara di testa”. In tutti i campi: la crescita, la competitività, la ricerca e l’università, le infrastrutture, i tavoli di concertazione, lo Stato Sociale. Per riuscirci serve l’impegno di tutti: forze politiche, governo, parti sociali”.
Oggi comincia la trattativa su lavoro e previdenza. Cosa si aspetta da questo tavolo, finora assai improduttivo?
“Mi aspetto risposte all’altezza della sfida che ho appena descritto. Dobbiamo puntare ad un assetto del mercato del lavoro e delle relative tutele in cui si realizzi la piena accettazione della flessibilità, che è un dato ineludibile della tecnologia e del mercato globale, ma anche la fuoriuscita dalla precarietà, che invece è dannosa soprattutto per la generazione con meno di 40 anni. Vincere la sfida dell’eccellenza vuol dire proprio questo: porre il problema dei giovani al centro della questione del lavoro e della previdenza”.
Cosa le fa pensare che il sindacato accetterà l’aumento dell’età pensionabile e la revisione dei coefficienti?
“Non entro nel dettaglio di una trattativa che dobbiamo ancora concludere. Ma ci sono due principi, ai quali non possiamo derogare. Il primo è che vi sono ancora oggi, per molte persone, trattamenti pensionistici insufficienti. Il secondo è che ogni ipotesi di riforma previdenziale deve avvenire nel rigoroso rispetto degli equilibri finanziari del sistema vigente che, piaccia o no, contempla tanto la legge Dini del ’95, tanto la legge Maroni del 2005”.
Vuol dire che bisogna tener conto sia dell’impegno a rivedere i coefficienti, sia dello “scalone”?
“Questo è il quadro delle compatibilità normative. Ogni intervento di modifica deve essere “neutrale” dal punto di vista finanziario. D’altra parte, se lei va a rileggere il memorandum che firmammo con i sindacati nel settembre del 2006, troverà esattamente questi impegni, scritti nero su bianco”.
Ma Cgil, Cisl e Uil già minacciano lo sciopero generale. Come fa ad essere ottimista, con questi chiari di luna?
“Non mi piace il termine “ottimista”. Diciamo che sono fiducioso. Ho fiducia che le forze politiche e le organizzazioni sindacali capiscano che questa è un’occasione da non perdere. La perdemmo già una volta, nella legislatura 1996/2001, e il risultato fu la sconfitta elettorale e poi l’intervento della legge Maroni, compiuto in modo piuttosto rozzo e fortemente conflittuale. Ripetere oggi quella sequenza di errori sarebbe imperdonabile”.
Intanto la scadenza del 31 marzo 2007 è passata invano.
“Ha ragione, io per primo sono dispiaciuto per questo ritardo. Non è detto che i negoziati, anche quelli più difficili, debbano durare così a lungo. Gli accordi di Bretton Woods furono sottoscritti in due settimane e mezzo. La Costituzione americana fu redatta in sei settimane. Onestamente mi sembra che la trattativa sulla previdenza sia un po’ meno complessa. Non può durare in eterno”.
Cosa si sente di dire a Epifani, Bonanni e Angeletti?
“Li incoraggio ad essere, a loro volta, ambiziosi. Anche loro devono vincere sfide, al loro interno, esattamente come stiamo facendo noi. Capisco le tensioni tra le confederazioni, vedo il travaglio che attraversa la Cgil. Ma ognuno di noi deve fare in casa sua un pezzo della battaglia. Non può limitarsi a trasferirla nella casa degli altri”.
In questo momento la battaglia in casa vostra è sul “tesoretto”. Cosa risponde a chi vuole usarlo tutto e subito?
“Capisco che quando si è stati stretti a lungo in una morsa, appena si ha la sensazione che la morsa si allenti, prevalga l’istinto immediato a muoversi. Ma in realtà le divergenze interne al governo su come usare le risorse aggiuntive sono meno aspre di quel che sembra. Ci sono due limiti accettati da tutti. Il primo: nessuno pensa che si possa fare a settembre una manovra correttiva sul 2008, per correggere un uso smodato delle risorse aggiuntive effettuato prima. Il secondo: nessuno pensa che si possa rompere la disciplina imposta dal Patto di stabilità”.
Basta questo a renderla tranquillo? E non c’è forse un braccio di ferro tra voi su come impiegare queste risorse?
“C’è una discussione, che a volte si sviluppa in modo forse un po’ troppo dialettico. Questo è un problema: non vorrei che facessimo come nell’autunno scorso, quando sulla Finanziaria convenimmo tutti i principi di fondo, dall’ordine di grandezza della manovra ai tempi del risanamento concordati con la Ue, ma nonostante questo riuscimmo a dare al Paese la sensazione che tra noi vi fosse un dibattito caotico e inconcludente”.
A quanto ammonta questo “tesoretto”?
“Al momento possiamo contare su un miglioramento strutturale del nostro indebitamento netto pari a 8/10 miliardi di euro in più rispetto alle stime del settembre scorso. Secondo i patti con Bruxelles, siamo tenuti ad un aggiustamento strutturale di mezzo punto di Pil sul 2008. Questo vuol dire che, se vogliamo evitare una manovra correttiva nel prossimo autunno, 7,5 miliardi sono “ipotecati” per quell’obiettivo. Le risorse aggiuntive che restano ammontano a circa 2,5 miliardi di euro”.
E questo è quello che possiamo spendere?
“Direi di sì. La manovra correttiva per il 2008 l’abbiamo già fatta, e sta in quegli 8/10 miliardi di risorse aggiuntive. Saremmo scellerati se la disfacessimo ora, per poi doverla rifare fra tre mesi”.
Non c’è molta benzina nel motore. Come si fa correre l’Italia, in queste condizioni?
“Questo è un punto fondamentale. Il Paese ha bisogno di risorse complessive superiori ai 2,5 miliardi. Per le infrastrutture, per il sostegno ai redditi più bassi, per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Trovare queste risorse è possibile e necessario, a condizione di escludere due scorciatoie, entrambe improponibili. La prima: non si rompe il Patto di stabilità. La seconda: non si aumenta ancora la pressione fiscale”.
Quindi mai più nuove tasse?
“È così. Fissati questi due argini, la via possibile è una sola: incidere sulla spesa pubblica. Cioè spendere meglio e, a parità di servizi resi, spendere meno. Io sto cercando di farlo qui al Tesoro, dove ci proponiamo di chiudere nei prossimi mesi 40 uffici provinciali del ministero e 40 della Ragioneria. Ora il nostro obiettivo è convincere tutti i settori della pubbliche amministrazioni, centrali e locali, a muoversi sulla stessa linea di riforme e risparmi: dalla sicurezza ai tribunali, dalle infrastrutture alle università”.
Sono quegli sprechi che Prodi chiama “i costi della politica”?
“Chiamiamoli i costi delle funzioni pubbliche. Ho appena letto il gran bel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, “La casta”. Ciò che ora va fatto è tradurre questa eccellente inchiesta giornalistica in misure correttive. È il nostro vero “tesoro” nascosto. Si tratta solo di farlo emergere. Anche perché non bisogna alimentare un senso di ostilità nei confronti della politica, già troppo diffuso nell’opinione pubblica. Resto convinto che dalla cattiva politica si esca con la buona politica, e non con l’anti-politica”.
E nella disputa Prodi-Rutelli sull’Ici lei come si schiera?
“In nessun modo. Le questioni di compatibilità di bilancio competono al mio ministero, quelle di priorità degli interventi devono rientrare in una sfera collegiale. Quello che posso dirle, è che dobbiamo fare riferimento alle tre categorie già usate in Finanziaria: risanamento, crescita, equità. E dunque, se sul risanamento si tratta ormai di mantenere la rotta e non di correggerla, adesso dobbiamo concentrarci sulla crescita e sull’equità”.
Proprio la crescita resta il nostro tallone d’Achille: possiamo stare al traino della ripresa europea?
“Certo che no. Quest’anno cresceremo del 2%, secondo le nostre stime, e dell’1,9% secondo quelle della Ue. Sono livelli superiori alle stime, ma restano comunque inferiori alla media europea. Di nuovo: non possiamo accontentarci. Nei prossimi mesi dobbiamo perseguire tre grandi obiettivi. Il primo, appunto, è crescere stabilmente oltre il 2%. Il secondo è completare la riforma del nostro Stato Sociale, che è abbastanza avanzato per pensioni e sanità, ma ancora in parte inadeguato per la povertà e la disoccupazione.
Il terzo, lo ripeto, è scommettere tutto sull’eccellenza”.
“Vaste programme”, le avrebbe risposto De Gaulle. Come pensa di riuscire a realizzarlo?
“Io ho due bussole. Una bussola mi dice che dobbiamo allungare oltre l’orizzonte. Non ragionare più di anno in anno, ma su una prospettiva di 5, 10 o 15 anni. La Germania ha impiegato un lustro, per realizzare un formidabile recupero di competitività. Un’altra bussola mi suggerisce che, in tutti i campi, dobbiamo separare il grano dal loglio, come dice la parabola. Distinguere ciò che è produttivo da ciò che è rendita. Incentivare fortemente il primo, e penalizzare severamente la seconda. In altri termini, dobbiamo fare quello che in Italia non si è fatto mai abbastanza: riconoscere il merito, e premiarlo”.
Cominciate a farlo nei contratti pubblici, allora. Quello che avete firmato proprio qui al Tesoro ha sollevato enormi polemiche.
“Chi ha polemizzato lo ha fatto senza voler conoscere i fatti. Per il biennio 2005-2006 abbiamo più che dimezzato i premi, per il 2007 e per gli anni successivi abbiamo fissato dei tetti, il 30% delle risorse verrà distribuito in base ai risultati dei singoli uffici, i dipendenti con sanzioni disciplinari subiranno, per la prima volta qui dentro, delle decurtazioni. Mi sembrano passi avanti tutt’altro che irrilevanti”.
Un’altra polemica velenosa che le è piovuta addosso riguarda l’affare Telecom. Siete intervenuti pesantemente. Galeotta, quella sua telefonata a Bernheim…
“Non voglio riaccendere polemiche. Mi limito a questo: pensare che la politica economica e il mercato siano due realtà che devono astenersi dall’interagire, per conservare una specie di purezza incontaminata, è una visione sognante sia della politica sia dell’economia”.
Per concludere: cosa si devono aspettare gli italiani, sempre che questo governo duri? Altri sacrifici?
“Sacrifici non è la parola giusta. Meglio parlare di impegni e di sforzi che devono riguardare tutti. Il governo può creare un clima, ma poi la spinta vera deve venire dalla società, dalle classi dirigenti e dai cittadini. Non adagiamoci su ciò che si è fatto. Il Paese non si deve accontentare del poco. Se saremo poco ambiziosi, saremo sempre poco soddisfatti. È questa la sfida, per l’Italia di oggi”.

RIDATECI IL MATTARELLUM

di Luigi Restaino

Il Referendum per porre rimedio alla brutta, bruttissima legge elettorale votata dal centrodestra a fine legislatura e ripudiata dal suo stesso padre, il leghista Calderoli che la definì “una porcata”, è senz’altro da sostenere. Eppure ci sarebbe una via più semplice, veloce ed elegante di risolvere questo pasticciaccio e ridare al popolo il potere (una parte almeno) di eleggere i prorpi rapresentanti, di scegliere i propri “dipendenti”. Basterebbe, come suggerisce intelligentemente ed anche un pò provocatoriamente, Sebastiano Messina su Repubblica del 30 Aprile, che il Parlamento approvasse una legge di nove (solo 9) parole “la legge 21 dicembre 2005 n.270 è abrogata”. Si tornerebbe immediatamente alla legge Mattarella che fu approvata “sotto dettatura del corpo elettorale” che aveva votato sì al maggioritario e sarebbe una soluzione eccellente (almeno inconfronto alla situazione attuale o a quella che ne verrebbe fuori da una vittoria del referendum).

PARTITO DEMOCRATICO: ARRIVO?

di Luca Lauro

Sono tante le sensazioni che si addensano in questo periodo politico italiano in cui, dopo la lotta eletorale nazionale e l’affermazione definitiva del centro – sinistra, lo scontro tra i poli più che un confronto serio e serrato nell’arena dei contenuti, riecheggia i rumori delle folle da stadio pronte ad applaudire ma ancora di più a fischiare questa o quella manovra o azione di gioco della squadra avversaria, ma anche dell’arbitro e dei suoi odiosi collaboratori.

In questo habitat le strumentalizzazioni si confermano sempre più il sale che condisce la politica: condiscono i discorsi dell’oratore di turno che partendo dal ‘fattaccio’ di cronaca ne fornisce una versione che calza a pennello con la sua idea politica, non necessariamente quella che ha sempre sostenuto, visto che di casacche ne ha già cambiate tante e la coerenza è un lusso che, di questi tempi, nessuno può permettersi, diciamo l’ultima convizione della sua serie, l’ultimo opportuno aggiornamento, quella che gli ha permesso di non scendere dalla sella del cavallo chiamato Parlamento.

Adesso si può stare tranquilli per un pò, ci sono altri 5 anni per riorganizzarsi, per scaldare bene il posto così tanto ambito e desiderato; per rifare un’altra legge elettorale che pur essendo completamente diversa non cambi nulla, per creare una nuova coalizione o modificare quella preesistente, per disegnare un nuovo simbolo e versare qualche lacrima di commozione, sempre pronte a guizzare dagli occhi quando si annuncia davanti ai propri cosiddetti ‘militanti’ che il partito si scioglie, che una storia finisce e che il simbolo vecchio si abbandona.

Eppoi c’è il futuro, i giovani, le donne, l’innovazione, l’europa e la solidarietà: ecco ripetiamolo insieme, ad alta voce ‘futuro, giovani, donne, innovazione, europa e solidarità’ 10 volte ….è incredibile ci si sente già meglio …. ma poi il calendario dice che si avvicina il 15 del mese ed è già tempo di tagliare qualche spesa che si era preventivata
che non è il caso di ripassare davanti a quella vetrina dove c’è esposto quel bel completo in fresco lana oppure di chiamare l’idraulico per sistemare il difetto della caldaia che sta lì dà mesi a spegnersi sul più bello mentre fai la doccia,
anche perchè a giugno, oltre all’ici da pagare, ci sono i bilanci consuntivi di condominio e i relativi conguagli, e allora lo stipendio o la pensioncina mensile non potrebbero essere sufficienti, quindi bisogna risparmiare un pò dei soldi di aprile eppoi si vedrà a luglio per l’ìdraulico, il vestito nuovo e tutto il resto, ci sarà il tempo di riorganizzarsi,….. una nuova coalizione, un nuovo simbolo, qualche lacrima con gli amici cosiddetti ‘militanti’ eppoi ‘i giovani, le donne, l’innovazione, l’europa e la solidarietà’ ….. ci si sente già meglio,

SEGO’ E SARKO’

di Redazione

La vittoria di Nicholas Sarkozy, Sarkò come direbbero i francesi, era purtroppo, nonostante una bellissima, avvincente ed appassionata campagna elettorale condotta da Segolene Royale (Segò), una vittoria largamente annunciata. Le ragioni profonde della sconfitta che la sinistra francese assapora ormai da 12 anni, cioè dall’epoca di Mitterand (che per inciso è stato l’unico presidente di sinistra in Francia) sono, a mio parere da ricercarsi oltre che nella scelta di una candidata oggettivamente debole, fondamentalmente nella ancora più debole strategia politica. L’incapacità ormai decennale per la sinistra francese di elaborare una politica ed un/a leader capaci di interpretare compiutamente le esigenze ed i bisogni della società attuale e di guardare avanti rivolgendosi in maniera concreta a tutto l’elettorato, anche a quello che ha scelto Bayrou (e quello che ha votato Sarkozy perchè “forte”), in modo convincente e credibile, ha impedito il coagularsi di una maggioranza tale da evitare che la Francia dei prossimi anni fosse l’espressione degli interessi delle classi sociali storicamente di destra e (benchè mitigate) LePeniane. Da questa esperienza credo anche noi possiamo apprendere una lezione politica.

SULLE ELEZIONI FRANCESI

Breve riflessione sulle elezioni francesi. Sarkozy e il rigurgito Bush

di Veronica Flora

Alla fine ha vinto Sarkozy.

Temo non sia un segno positivo per la Francia, per l’Europa. Ecco già proteste nelle piazze parigine, nella banlieu, come in altri centri importanti francesi. E la polizia non esita a lanciare i lacrimogeni, si legge sui giornali.

Speriamo che il sistema presidenziale d’oltralpe, pur più forte di quello italiano, tenga a bada l’elezione di un leader di cui Le Pen ha già detto “Sarkozy? È un uomo con cui si può parlare”.

Solo questa affermazione dovrebbe far preoccupare tutti.

Un politico che si dice europeista, ma chiama “canaglie” i giovani francesi, in gran parte di origine algerina, che popolano le periferie, alimentando un “Odio” di kassovitziana memoria che continuerà/riprenderà a crescere, si rivela istantaneamente per quello che è.

Se l’europeismo raccoglie le istanze di volontà di crescita dell’Europa in una visione di integrazione e sviluppo culturale, di crescita della consapevolezza dei valori, fortemente illuministici – di laicità, libertà, uguaglianza, fratellanza, nei cittadini europei nell’ottica di un apertura al resto del mondo – come può un candidato, ora presidente della repubblica francese, trattare la propria gente con quella violenza (toute fasciste) che abbiamo osservato nei suoi blitz nelle periferie?

I francesi hanno ignorato i sintomi di un’aggressività che ha spaventato persino un’ombra astuta come Chirac, che pure è riuscito a tratti – anche se certamente, comunque sempre per interessi economici – in qualche modo a distaccarsi dalla politica guerrafondaia capeggiata da Bush e il suo tirapiedi Blair.
I francesi hanno nuovamente perso l’occasione di cambiare le cose, certo non di livello, come sarebbe potuto accadere con l’ormai lontana candidatura di Jospin.

Un’occasione che era stata forse avvistata per prima stavolta, a dispetto di ciò che si dice sulle nuove generazioni (nel nostro paese almeno), proprio dai giovani, che più degli altri sanno davvero intuire ciò che cambia e avviene nel tessuto sociale, e hanno nella maggioranza sostenuto la Royal, e quindi la necessità di una più vigorosa apertura al métissage culturale, alle tematiche dell’istruzione e dell’occupazione su cui puntare in un ottica di diritto di tutti.

Questa sarebbe forse stata l’unica strada perseguibile davvero per garantire “la sicurezza” alla Francia, di cui tanto si riempie la bocca Sarkozy. Creare muri, difese, all’identità nazionale, invece di allargarla, come comunque accade e necessariamente accadrà sempre di più nei fatti, è andare inevitabilmente verso il disastro.

In un momento così delicato della geopolitica, dell’economia mondiale, solo il dialogo, la volontà più profonda di cercare di abbassare i toni per poter ascoltare le difficoltà e evitare estremizzate reazioni, che sempre più vedono accamparsi sorde istanze religiose, la vittoria di un candidato con al centro l’impegno per la pace (e nella pratica l’integrazione, la regolarizzazione degli immigrati) sarebbe stata fortemente diversa. Una donna, forse, sarebbe stata diversa.

Altro discorso, non troppo diverso invero, per il nostro paese.

Preoccupano oggi sfoghi come “Sono di sinistra, sto diventando razzista” (Repubblica di oggi, che non esita a inserirlo subito dopo la vittoria di Sarkozy) perché rivelano un’incapacità di vedere che il disagio sociale in cui vivono molti immigrati, la marginalizzazione, l’indifferenza sono spesso le cause prime di reazioni violente (certamente da punire con gli strumenti della giustizia) .

Solo una politica che tocchi le corde profonde della coscienza a sua volta rispecchiandole, e che agisca perché non si acuisca l’odio come, non più solo sotterraneamente sta accadendo in questo periodo, può forse cambiare questa realtà.

Tra l’altro mi piacerebbe dire a questo signore “di sinistra, che sta diventando razzista”, ma anche alla Repubblica che pubblica queste cose, che è abbastanza assurdo, se non ridicolo, costruire un attacco del genere su avvenimenti del tutto personali (altri avvenimenti posso vivere io o chiunque altro sui mezzi pubblici), utilizzando termini come “razzista”

E “razzista”, e “fascista” sono termini in contrapposizione ai quali – nel rifiuto assoluto dei quali (ce lo dimentichiamo sempre più facilmente) – è stata originata la Grundnorm, la norma fondativa della costruzione europea dopo la seconda guerra mondiale.

DONNA E DIVERSITA’

di Laura Tussi

Tutta la nostra esistenza è imperniata di conoscenze e sensazioni recepite lungo l’arco dell’esistenza, dalle genti e dalle cose con cui abbiamo convissuto, nell’ambiente usuale che ci ha circondato. La crescita individuale ha acquisito, passo dopo passo, in un percorso alquanto travagliato, un bagaglio culturale costruito con i frammenti del sapere che ci hanno trasmesso moltitudini di persone incontrate lungo il cammino della nostra vita, comunicando tramite la parola, i gesti espressivi, il senso religioso e tutti quei codici etici di comportamento utili per perseguire una buona convivenza sociale e familiare negli agglomerati urbani e nelle città.

Sin dai primi approcci, con il senso comune del bene e con gli elementi Dio, Madre, Terra, Patria, Paese ed i loro rispettivi significati, ci si orienta verso una crescita individuale e soggettiva, durante la quale si forma il senso dell’appartenenza. Consapevoli dell’essere e coscienti di far parte di un popolo e di una specifica comunità, nel rispetto della vita individuale nell’ambiente che ci circonda. Il tempo scorre cosi in armonia con il creato e gli individui diventano collaboratori ideali nel mistero della creazione. La mercificazione della vita che domina l’etica capitalistica frantuma gli equilibri del buon governo e del saper vivere. Gli uomini si fanno la guerra, deturpano i territori, fanno crollare le cattedrali e con la degenerazione nelle strutture sociali, si creano strumenti che annullano la partecipazione degli individui a favore di un individualismo di massa solo dedito al consumismo sfrenato che porta inevitabilmente al declino di un’etica che ha coltivato nel tempo nel cuore degli uomini; radici profonde di benessere e serenità accantonate per dar spazio all’etica del soldo. E se la vita è essenzialmente merce, se tutto è qualificabile al dio soldo, se dobbiamo rassegnarci all’etica del successo e del superfluo, allora bisogna combattere questa “etica” perché colpisce valori e bisogni non misurabili in denaro. E’ necessario allora impegnare le forze sulla rieducazione delle coscienze e con le risorse umane, creative, che non mancano, ritrovare l’armonia tra noi stessi ed il creato. La parola guida della nostra azione deve essere “Eticità”, intesa non come generica onesta, ma come onestà impegnata.

E’ vero che esiste anche un clima di sradicamento generalizzato, ma è altrettanto vero che gli uomini del nostro tempo sentono anche vivo il bisogno di una rinascita. A questo bisogno di rinascita le donne possono dare un contributo di rinnovamento se sapranno fare buon uso, come fu per il passato, del loro “genio femminile”. Ma per far questo bisogna ritrovare e recuperare la memoria delle opere e degli atti che sono stati compiuti dalle donne in tutti i campi sociali lungo l’arco della storia: impegno protratto nella ricerca del bene comune per tutti, uomini e donne. Le donne sono passate dagli atti compiuti nel silenzio a quelli durante i quali hanno fatto sentire la propria voce. Sul piano educativo il vecchio modello della donna subalterna all’uomo è superato, anche se rimane ancora da raggiungere l’obiettivo della reciprocità. Non solo per quanto riguarda la diversità sessuale, soggettiva e personale, ma piuttosto per la diversità che si presenta più complessa, rappresentata dalle differenze culturali, razziali e religiose presenti nella nostra società avviata a diventare sempre più multietnica. E’ da sottolineare il fatto che manca ancora una consapevolezza chiara sulle differenze ed in modo particolare sulla differenza sessuale. E’ indubbio che non esiste solo una diversità fisica tra il maschile ed il femminile, ma esiste anche una differenza d’identità soggettiva anche nel modo di giudicare le situazioni dell’esistenza. Bisogna trovare un metro di acquisizioni e farlo accettare; un modo di essere al femminile che possa originare modi diversi di porsi davanti alle molteplici situazioni da parte delle donne. C’è ancora uno scavo culturale da fare, una verifica sui comportamenti ricorrenti, perché le giovani generazioni rischiano di non avere dei piani di formazione che tengano conto di questi cambiamenti. Urge la necessita di creare strumenti ed ambiti di confronto anche sulle esperienze che viviamo, su argomenti concernenti le pari dignità nella differenza. Riconoscimento della “differenza” come valore e non come causa di emarginazione; riconoscimento delle caratteristiche di ognuno come ricchezza da far emergere e condividere; riconoscimento della “parità” non come adeguamento agli stereotipi maschili; riconoscimento della dignità di ciascun essere umano, quindi anche della dignità delle donne, rifiutando il concetto di “massa senza dignità”; riconoscimento del diritto alla dignità in virtù dell’impronta di Dio in ogni creatura.

INQUINAMENTO E COSTI MOBILITA’

Ciao ragazzi, ho scritto questo nel blog di Antonio Di PIetro pensando hai costi legati all’uso dell’auto privata e scaricati sui grandi numeri dei costi della circolazione, difficilmente imputabili e quantificabili.
Caro Antonio, ti pongo un elementare quesito:

inquina, consuma le strade, provoca/è oggetto di incidenti e così via di più una macchina euro 0 che in un anno fa 10 mila chilometri oppure una macchina euro 4 che nello stesso anno ne fa 100 mila?
credo che bisogna comprendere che l’italia non può avere un parco auto in circolazione e circolanti nello stesso numero della popolazione maggiorenne, ma allo stesso tempo chi fa 100, oppure 10 volte i chilometri di uno che ne fa meno di 10 mila in un anno deve pagare un pò di più (non dico in
proporzione);
perchè non conta chi ha la macchina se se la tiene nel proprio box, ma chi e quanto ci sta girando nelle strade pubbliche, sottraendo spazi di libertà e circolazione agli altri.
Condividi?
Spero di si ma mi va bene anche una tua cortese smentita, sarebbe una buona notizia.
Un caro saluto,
Luca Lauro

Mobilità e Infrastrutture

Penso che il Tema della MOBILITA’ sia uno dei maggiori pensieri che il nostro Paese attualmente ha.

In questo Tavolo Tecnico, ci piacerebbe studiare il Tema della MOBILITA’ legata alle politiche di infrastrutturazione del Territorio (Strade, Ferrovie, Interporti, Porti).

In questi anni, sempre più si parla del “deficit infrastrutturale italiano”.

Vogliamo cercare di capirne i perchè e i possibili modi di Risoluzione del Problema, con un approccio che parte dalla MOBILITA’ come (maggiore, a mio avviso) problema sociale ed economico dei nostri tempi.

Un gruppo di ricercatori e amici si è già detto disponibile a discutere e fare proposte in tal senso.  Speriamo nel contributo di tanti altri.

Un caro saluto,

Massimo Preziuso

Energia

Apriamo questo altro Tavolo tecnico, in cui credo molti di noi potranno contribuire (Fabrizio, Mario , Guglielmo, Davide..).

Come dice Guglielmo, chiaramente il discorso sulle Rinnovabili è fondamentale (Mario, aspettiamo il tuo contributo), messo in relazione con la scarsità di risorse energetiche che , sempre più, avremo nei prossimi anni.

In quel contesto potremmo poi parlare di Termovalorizzatori e affrontare il Tema complesso dei Rifiuti (in cui Fabrizio potrà darci il suo contributo di Esperto).

A presto,

Massimo

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