Significativamente Oltre

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GENERE E GENERAZIONI

Ciao.

Poche righe per dire la mia su quello che, a mio avviso, è successo in questi mesi, sia in questo gruppo, sia nel dibattitto sul PD, e soprattutto in ambito sociale, in Italia e in Europa.

Nel 2006, sopratutto dopo le elezioni vinte dall’ Ulivo, sono nati moltissimi Gruppi e Movimenti nella Società civile, e questo è un primo gran segno ( dagli anni 90, mai c’è stata tanta energia nella società civile).

Riguardo alla nostra esperienza: in 9 mesi siamo riusciti a creare un bel gruppo di discussione, su tematiche che sempre di più stanno prendendo piede nella Società.

Genere e Generazioni è un argomento forte e attualissimo. A tutti i livelli se ne sta parlando: dalla strada, ai tavoli di ristorante, alla televisione, ai seminari, ai Gruppi come il nostro, ai seminari politici, alla Camera, al Senato, nel Governo, a Brussels..sembra che, finalmente, ci sia spazio per fare innovazione politica in questo senso.

A me sembra che ci sia una “rivoluzione intellettuale” (di Cervelli, come dice Giuseppina) in atto: sono convinto che questo sia un momento unico in Italia (soprattuto) e in Europa per cambiare le cose e modernizzare le nostre società, soprattutto con il contributo vivo e vivace di Giovani e Donne.

Speriamo bene.

A presto,

Massimo

E’ TEMPO DI CAMBIARE

Eccomi tornato da un periodo all’estero.

Come tutte le volte in cui visito un Paese diverso dall’Italia, al ritorno mi ritrovo a fare le stesse considerazioni:

– L’Italia è il Paese più bello del mondo (per bellezza, cultura, clima, cibo…)
– L’ Italia è il Paese più “anziano” del mondo (nel senso sociale del termine)
– In Italia, a differenza di tutti i Paesi che ho visitato, i Giovani, per strada e nei luoghi di lavoro, non si vedono fisicamente
– In Italia il sistema universitario (che è poi , secondo me, IL motore dello sviluppo “oggi”) è lento, anti-meritocratico, chiuso

Allora, mi viene da dire, come sempre: perchè non ci vogliamo rendere conto del fatto che il problema che il nostro paese vive da decenni è di tipo generazionale?

Perchè non si dà la “possibilità” ai Giovani (tutti) di scommettere e vincere sul proprio destino?

Un abbraccio.

Massimo

INQUINAMENTO E COSTI MOBILITA’

Ciao ragazzi, ho scritto questo nel blog di Antonio Di PIetro pensando hai costi legati all’uso dell’auto privata e scaricati sui grandi numeri dei costi della circolazione, difficilmente imputabili e quantificabili.
Caro Antonio, ti pongo un elementare quesito:

inquina, consuma le strade, provoca/è oggetto di incidenti e così via di più una macchina euro 0 che in un anno fa 10 mila chilometri oppure una macchina euro 4 che nello stesso anno ne fa 100 mila?
credo che bisogna comprendere che l’italia non può avere un parco auto in circolazione e circolanti nello stesso numero della popolazione maggiorenne, ma allo stesso tempo chi fa 100, oppure 10 volte i chilometri di uno che ne fa meno di 10 mila in un anno deve pagare un pò di più (non dico in
proporzione);
perchè non conta chi ha la macchina se se la tiene nel proprio box, ma chi e quanto ci sta girando nelle strade pubbliche, sottraendo spazi di libertà e circolazione agli altri.
Condividi?
Spero di si ma mi va bene anche una tua cortese smentita, sarebbe una buona notizia.
Un caro saluto,
Luca Lauro

D’ALEMA: ECCO IL MIO P.D.

Credo che sia una grande idea, perché semplifica la politica italiana che ha bisogno di grandi partiti che unifichino e non di tanti partiti che litigano. Ma anche perché il partito democratico corrisponde ad una visione più moderna della sinistra che unifica diverse anime, diverse correnti riformiste, diverse culture in uno stesso progetto politico”. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio Massimo D’Alema in un’intervista al Tg La7. “Tra quelli che sono favorevoli al nuovo partito c’è naturalmente un dibattito su come costruirlo. Sostenere che il partito si chiami partito dell’Ulivo – osserva D’Alema – non è una tesi assurda.

Il partito democratico non può ridursi ad una sommatoria di Ds e Margherita. Per questo credo che i congressi dei partiti debbano aprire una fase costituente, non riducendosi semplicemente ad una decisione burocratica di fusione”. Parlando poi della democrazia interna alle forze politiche il vicepremier si dichiara d’accordo con Sergio Cofferati sull’idea che non si possano traghettare le vecchie oligarchie nel nuovo partito. Ma aggiunge D’Alema questo non lo decidiamo né io né lui: “i gruppi dirigenti dei partiti sono eletti dagli iscritti. È una buona regola democratica. Certo auspico che gli questi scelgano anche dirigenti nuovi. Dipenderà solo da loro. Invece le personalità che vengono candidate alle cariche pubbliche vanno scelti con le primarie. E io sono favorevole alla formula delle primarie aperte”.

DONNE, FEMMINISMO E..

di Giuseppina Bonaviri

Ci vien da chiedere se il femminismo è cosa di altri tempi.
Su questo argomento c’è molta disinformazione e, forse, confusione, approssimazione, fraintendimento storico.
Già alla fine dell’800 le donne operaie iniziano la lotta per l’affermazione dei loro diritti e nascono le prime organizzazioni femminili che rivendicano l’istruzione obbligatoria e la legislazione sociale senza discriminazione di sesso.

Anna Maria Mozzoni, Anna Kuliscioff, Adelaide Coari, Sibilla Aleramo, Luisa Anzoletti fanno la storia del femminismo attraverso le due guerre mondiali per arrivare agli anni ’50, ’60 e ’70.

Per le donne, in quel momento, era compliato il percorso sociale, fuori dalla famiglia. Non c’erano i collettivi e i combiamenti erano solo individuali: l’alterità della donna rispetto al maschio!

Si arriva, col passare negli anni, al pensiero della differenza di genere e alla nascita dei gruppi autogestiti che rivendicheranno, nella teoria dell’eguaglianza, il tentativo ideologico di “asservire la donna al maschio a piu alti livelli”.

Si elabora la differenza tra “emancipazione e liberazione”: si puo’ essere paritarie di diritti sociali ma anche consapevoli della propria differenza.
Essere consapevoli della propria differenza per essere portatrici di valori al femminile.

Siano arrivati oggi, in Italia, ad un sistema che dimentico di tante passione, lotte e conquiste ha perso smalto e dinamismo critico divenuto crosta corporativa burocratizzata. Appare chiaro l’appiattimento ideologico e programmatico, le falsità di auspicate trasformazioni, la confusione
dialogica.

Non rimane, allora, che rilanciare alla dimensione umana il mandato sociale ed etico di una programmazione politica innovativa, tutta in divenire!

QUANDO VINCE IL FATTORE MO

di Giuseppina Bonaviri

Thomas Mann, professore del Brooking Institute di Washington ritiene che le donne abbiamo un approccio alla politica opposto a quelo degli uomini:” Lo chiamo fattore MO=Modus Operandi”.

Se la percezione positiva di questo atteggiamento attecchisse, nei paesi si potrebbe andare incontro a grosse sorprese.
Infatti, secondo Mann le donne sono piu’ capici di negoziare e mediare con l’opposizione e sono piu’ oneste, sono grandi imprenditrici e ottime diplomatiche.

Presso l’Università di Harvard all’ Instituto di Politica -dove ci si occupa di indagini e sondaggi- guardano al fenomeno con attenzione. Jeanne Shaheen spiega:”Le donne non devono mostrare i muscoli ogni volta. Le donne hanno un seguito piu’ ampio perchè non hanno la frenesia di prendersi i meriti. Soni piu’ capaci di ascoltare e lo fanno indistintamente. Sono concrete ed oneste”.

Aggiungo, che noi donne siamo anche tutto questo perchè prive di un Ego ingombrante.

TEO & TEO

Di Enrico Neiretti

Con l’approdo di Giovanni Lindo Ferretti, ex leader del gruppo musicale CCCP, all’universo dei devoti, il prefisso “Teo” ormai variamente abbinato, incontra un nuovo suffisso, dando così vita aduna ennesima corrente, quella dei Teo-punk, che va ad affiancarsi alle altre sigle più o meno note che costellano il firmamento “Teo”.
Temiamo che ormai, visto il loro proliferare, sia difficile orientarsi tra le migliaia di declinazioni del concetto di organizzazione “Teo”, e visto che si stanno verificando alcune liti sulle proprietà dei marchi, cercheremo di fare un po’ di chiarezza elencando le più note organizzazioni e i soggetti che, in alcuni casi si contendono la titolarità del logo.
-Teo-con: Antesignana delle organizzazioni “Teo” è in realtà un format importato dagli Stati Uniti.
Nata dal ribaltamento del concetto di pentimento, la dottrina alla base del movimento teorizza che, per evitare di doversi pentire di qualsiasi bieca azione, basta rivestirla preventivamente di un’aura di religiosità che la rende immediatamente limpida e specchiata, e che getta un’ombra di infamante collusione con il maligno contro tutti i detrattori.
Noti e numerosi gli adepti italiani che hanno dato il via alla moda “Teo”, grande fenomeno sociologico di portata non ancora pienamente compresa dagli studiosi.

-Teo-dem: Politicamente in opposizione ai “Teo-con” è un’organizzazione dalla vita difficile e tormentata: sta sulle scatole a tutti. Dalla destra religiosa che l’accusa per i suoi rapporti con la sinistra miscredente, ai laici di ogni ispirazione che la rimproverano per la posizione succube alla chiesa; la vita per i Teo-dem si è fatta ancora più difficile da quando anche il loro nome è diventato oggetto di contesa. Una cover-band di Elio e le storie tese, chiamata Aldo e le mani giunte, nota per il connubio rock demenziale – fervente religiosità, ha rivendicato il possesso del
logo che a suo dire identificherebbe il suo genere musicale.
La contesa si è fatta ancora più aspra, quando un geometra di Trofarello, Teodoro Demartini, che aveva per caso usato la formula come contrazione del suo nome nell’indirizzo e-mail Teodem@libero.it, e si è trovato la casella di posta intasata, e ha diffidato gli altri soggetti dall’usare la formula.

-Teo-pop: Amici rivali dei “Teo-dem”, i popolari in salsa Teo, non hanno ancora fatto in tempo a prendere alcuna iniziativa, ma hanno già, per equivoco, provocato la nascita di altre correnti, quelle dei “Teo-folk”, dei “Teo-rock”, e dei già citati “Teo-punk”.

-Teo-com: Da non confondersi come spesso accade con i “Teo-con”, è una sigla che raggruppa i comunisti clericali. Sparuta la rappresentanza composta anche da una zia suora di Marco Ferrando in precedenza vicina alla teologia della liberazione, e dalla perpetua del cardinale Ruini, ammiratrice di Oliviero Diliberto, che per non dispiacere a nessuno ha scelto la via “Teo-com”.

-Teo-rad: Organizzazione fondata da un disturbato mentale uscito dal partito radicale, che si propone di fare entrare l’eutanasia tra i comandamenti e di sostituire l’incenso nelle celebrazioni ecclesiastiche con la marijuana.

Teo-contro: Non si tratta come molti pensano di un’organizzazione antireligiosa, ma della sigla di un gruppo di autonomi ferventi cattolici.
Fondata da Luciano Casaron, portavoce della rete no-global Kanonika, e avversario storico del quasi omonimo Luca Casarin, la formazione si distingue per alcune trovate originali nell’attività di guerriglia urbana, come l’uso del turibolo per sfasciare le vetrine e la benedizione degli occhi dei poliziotti con l’aspersorio pieno di acquaragia, fino alla cerimonia delle ceneri fatta con i residui delle auto bruciate.

PERCHE’ IL PARTITO DEMOCRATICO?

Enrico Neiretti

Tradurre un’idea, un’intuizione, una sensibilità in un progetto, è sempre impresa dura e faticosa, in cui occorre definire in modo ordinato le premesse, analizzare attentamente la situazione in cui si opera, stabilire una connessione logica tra parti ed elementi diversi; è necessario poi, una volta definito questo impianto, metterlo a confronto con gli strumenti di cui si dispone per trasformarlo in un’opera reale.
Un lavoro gravoso che coinvolge differenti abilità, interessa vari protagonisti, si snoda in tempi distinti.
Affrontare questo impegno in politica è compito ancora più difficile essendo, quello politico, un campo per sua natura plurale, in cui, anche nella condivisione di una sensibilità di fondo, si intrecciano mille differenti sue coniugazioni.

Penso perciò sia importante, ora che il tavolo di lavoro deve essere impostato, partire dalla prima fase del progetto, riflettendo sulle ragioni che sono alla sua base ed analizzando quali strumenti abbiamo a disposizione per svolgere il nostro lavoro.
Mi si dirà che questa fase propedeutica dovrebbe già essere superata, c’è da costruire il Partito democratico e urge definire le strategie!
Eppure io penso che, proprio per definire le strategie, occorra fare un passo indietro e chiedersi: “perché fare il Partito democratico?”
Credo che tutte le ragioni relative al riformismo forte, alla semplificazione del panorama politico, alla naturale convergenza “storica” dei partiti di centrosinistra, siano condizioni, come direbbe un manuale di matematica di scuola media, “necessarie ma non sufficienti”; la motivazione che si aggiunge a queste, e che le traduce nell’identikit del Partito democratico, va, secondo me, ricercata nella nostra società.

Si denuncia spesso l’ormai generale tendenza della politica a trasformarsi nell’espressione dei privilegi di un’oligarchia che ha perso il contatto con la realtà.
Parallelamente, il profilo pubblico dei cittadini diventa sempre più indefinito sino a dissolversi in una dimensione puramente privata, in cui le domande che la società pone alla politica si riducono alla tutela di interessi e privilegi.
E queste corrispondenti degenerazioni producono fatalmente i tarli dell’antipolitica e del populismo, due facce della stessa medaglia, che corrodono la nozione di convivenza civile e il concetto stesso di democrazia.
Una forza politica che ambisce, sin dal suo nome, a tutelare la democrazia, deve quindi necessariamente ristabilire il rapporto politica-società, invertendo i processi di involuzione oligarchica e populistica in atto, con la valorizzazione della dimensione sociale della cittadinanza e della partecipazione attiva.
E il ruolo delle associazioni e dei movimenti si esprime, a mio parere, proprio in questa direzione.
Trovare gli strumenti e gli argomenti per risvegliare il senso di cittadinanza laddove si è assopito, e soprattutto dare reali prospettive di partecipazione a quei cittadini che non si rassegnano alla degenerazione della democrazia, diventa il contributo determinante che un’associazione può portare all’ambizioso progetto di costruzione del Partito democratico.

Le spesso incaute riflessioni dei non addetti ai lavori, come il sottoscritto, che ahimé non sono neppure sostenute dal possesso di qualche nozione di scienza della politica, ma sono solo supportate da passione ed intimo sentire, hanno il vizio d’origine di essere visioni soggettive proiettate impudicamente in un ambito generale, che imporrebbe invece il massimo dell’oggettività.
Ma in questo caso specifico della stretta connessione Partito democratico – partecipazione, non sono certamente voci fuori dal coro.
Credo quindi che valga la pena seguire queste “ragioni del cuore”.
Se poi si tratterà di un’illusione e non si riuscirà a fare emergere una massiccia domanda di partecipazione alla politica, vorrà dire che avremo peccato di generosità.
Sarà in quel caso una sconfitta politica, perché in politica vincono i numeri, ma comunque una vittoria della democrazia.

 

UN PAESE IMPAZZITO

Di Franco D’Antonio

Cimoli guadagna 12.000 euro al giorno (e Alitalia intanto fallisce). L’Alitalia – ha detto Prodi – forse fallirà. Perché?
Perché è stata amministrata male. Male in che senso? Troppi sprechi.

Chi è l’amministratore delegato dell’Alitalia? Si chiama Giancarlo Cimoli. E’ un tipo in gamba? Beh, a giudicare dai risultati forse c’è di meglio in giro. Quanto guadagna questo Cimoli, ha un buono stipendio?

Ha uno stipendio di 2 milioni e settecentomila euro all’anno. Più i benefit. Scusi, come ha detto? Sì, due milioni e settecentomila, quasi tre milioni. Per capirci meglio, circa 225 mila euro al mese, e cioè, grosso modo, 10-15 mila euro per ogni giorno lavorato (a seconda di come si calcolano i week end e le ferie). 10-15 mila euro corrispondono all’ammontare dello stipendio annuo di un precario tanto per orientarsi, cioè 365 volte meno.

Vogliamo anche fare i conti di quanto spetterà a Cimoli di liquidazione quando si decideranno a mandarlo via? Lasciamo stare, sennò ci gira la testa (pare più di otto milioni).
Riprendendo una vecchia idea di Bertinotti forse è ora che si ponga un tetto agli stipendi pubblici e al di sopra di quel tetto si studi anche un sistema di tasse micidiali per i dipendenti privati.
La proposta è che il tetto possa essere agganciato in percentuale allo stipendio del più povero tra i dipendenti pubblici, moltiplicato per 10 o per 15 o per 20 così da evitare appiattimenti o blocchi.

Il massimo quotidiano nazionale ieri ha ripreso la proposta ed è andato a chiedere il parere a vari personaggi politici. Qualcuno si è un po’ spaventato, qualcuno si è pronunciato contro (“contro l’appiattimento salariale”: ha detto così: appiattimento…), qualcuno, per fortuna, si è detto a favore.
Qualcuno ha citato il caso degli aumenti ai parlamentari passati sotto silenzio.

C’è chi ha fatto questa osservazione: attenzione, se li paghiamo poco i migliori scappano all’estero.

Allora faccio questa domanda: perché un primario, un cardiochirurgo di fama internazionale, capace di salvare vite su vite con la sua sapienza e abilità, viene stipendiato dallo Stato circa 5 o 6000 euro al mese (mezza giornata di lavoro di Giancarlo Cimoli…) eppure non scappa all’estero?

Perché alcuni nostri giovani geniali ricercatori – che gli svizzeri e gli americani ci invidiano – guadagnano nemmeno 1000 euro al mese (20 minuti di lavoro di Cimoli) e nessuno se ne preoccupa?
Perché i presidenti di Air France e Lufthansa che guadagnano un terzo (si avete letto bene un terzo) di Cimoli e portano i bilanci in mostruoso attivo non vengono a lavorare in Italia dove si arricchirebbero?
Oltretutto, state sicuri: né gli svizzeri né gli americani ci invidiano Cimoli…

Però noi chiuderemo la compagnia di bandiera con un danno economico incalcolabile quasi come gli investimenti in Iraq e Afghanistan.

Ho paura anche io che il paese sia impazzito, nessuno escluso però.

P.S. ho preso ad esempio una realtà che conosco bene, ma credo che molti di voi possono avanzare esempi simili e se non bastasse basta farsi del male e seguire le trasmissioni di Report

IL PAESE NON PENSA AL FUTURO

Prodi: “Paese è impazzito non pensa più al futuro”

ROMA – Difende la manovra e scaccia le ombre di una crisi del suo governo. E’ un Romano Prodi grintoso quello che commenta le polemiche che, quotidianamente, si abbattono sul suo governo. “Qui ormai siamo in un Paese impazzito – dice Prodi – che non pensa più al domani. Io ho fatto una Finanziaria che pensa allo sviluppo domani, dopodomani e nei prossimi anni, che pensa a ricostruire il Paese. Con una Finanziaria del genere si fanno molti scontenti. Ma questo non mi fa paura perché non ci sono elezioni imminenti e perché è ora che i politici governino anche scontentando, ma per il bene di tutti. Lo ripeto: scontentare a volte significa fare il bene di tutti”.

Io condivido.

Massimo

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