Boschi
Roma, 20 Maggio 2014. Dibattito con candidati: Verso la Smart Nation, la Regione Lazio nella nuova competizione europea

The Mediterranean is back
by Pasquale Salzano (published on Longitude, n.38)
Between calls for diversification of natural gas sources and new basins being developed in the Mediterranean and North Africa, a geopolitical axis shift is occurring.
Recent political turmoil in Ukraine is reviving the long-standing European debate on energy security and competitiveness. The European Union today relies on Russia for a significant proportion of its gas imports – around 24% in 2012 at some 160 billion cubic meters, half of it passing through Ukraine – with Central Eastern and South – east Europe almost entirely dependent on this supply. If the Old Continent wants to further diversify its energy sources in the short to medium term, the Mediterranean will become increasingly relevant along with other options, such as shale gas or LNG from the UnitedStates.
Per rinnovare il Paese, un nuovo management è urgente adesso
Nelle prossime settimane il governo Renzi nominerà i nuovi managers delle grandi aziende controllate dallo Stato.
Come sempre capita in questi casi, non vi è discussione pubblica a riguardo, nonostante l’importanza cruciale di queste scelte per provare a rimettere in campo il Paese – in ginocchio dopo un decennio pieno di crisi – disegnando nuove politiche industriali e nuove alleanze internazionali.
Evidente infatti quanto le grandi aziende italiane (ENI, Enel, Finmeccanica, Telecom e le altre) contribuiscono a definire quello che è il presente e quello che potrebbe essere il futuro del Paese.
In questo passaggio cruciale, il governo ha la possibilità di definirsi “innovatore”, nel rinnovare con nuove personalità e competenze di caratura internazionale i management di queste grandi aziende, per poter ragionare insieme ad essi sulle nuove sfide di natura industriale e politica, emerse nell’ultimo decennio, che possono essere affrontate e vinte dal nostro Paese.
E con un nuovo management dare il senso del cambiamento di prospettiva e di visione ad un intero Paese, con effetti positivi – politici e sociali – a cascata che sono immaginabili.
Per il momento, le attese suscitate dal Governo Renzi sono sicuramente positive e l’idea di cambiare la totalità dei top-manager attuali delle grandi imprese dopo molti anni di governo di quelle imprese e risultati a volte modesti (come documentato per la più grande società italiana, l’Eni, da un ottimo articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera) è presupposto fondamentale per continuare incisivamente la sua azione riformatrice.
A leggere la stampa delle ultime settimane, anche il Tesoro, con il competente neo ministro Padoan, sembra volere puntare dritto in questa direzione.
Come qui doverosamente già evidenziato alcuni giorni fa, l’unico elemento di perplessità in questa vicenda riguarda il lavoro di uno dei cacciatori di teste scelti a suo tempo dal precedente Governo proprio per collaborare proprio con il Tesoro alla selezione dei nomi per la guida delle grandi imprese partecipate. Ci riferiamo a Spencer & Stuart, i cui requisiti di indipendenza in questo caso rischiano di essere offuscati in quanto sembra essere consulente proprio delle grandi imprese il cui management dovrebbe contribuire a cambiare. E dalla presenza nel suo advisory board della figura politica di Gianni Letta, che fu evidentemente uno dei protagonisti principali delle nomine degli attuali vertici delle imprese di stato.
Tutte notizie che oggi risultano confermate anche da L’Espresso, con un articolo della sua importante firma Denise Pardo.
Viene allora da chiedersi: possibile che, anche per motivi di opportunità, non potesse essere individuato un altro cacciatore di teste al suo posto?
Di donne non basta solo parlare
di Giuseppina Bonaviri – Le donne non sono riserve protette, non sono vessillo di conquista o di supposta emancipazione. Dare spazio alle donne, ancor più se a quelle donne che vivono la loro normale quotidianità, in qualità di persone comuni che agiscono virtuosamente, ha un forte significato progressista. Sollecitare l’adozione spontanea di nuovi codici di comunicazione non ha semplicemente valore di questione di quote ma di un vero salto di qualità, di un avanzamento della democrazia paritaria, di cultura di genere diffusa. Non si può continuare ad abusare di luoghi comuni che ci vedano prigioniere di partiti o di finte lotte progressiste spesso , purtroppo, agite proprio da quelle donne che rimangono ostaggio del potere maschile. Le strategie culturali e di dominazione di genere stanno involvendo ma la verità rimane che l’appartenenza al gruppo come il cognome si trasmettono per linea maschile: questo è il modello imposto ancora esistente. Allora non basta proporre sulla pelle delle donne -vedi sexy-worker- bisogna, prima, imparare l’arte dell’ ascolto e dell’accoglienza rispetto alle minoranze per sentirti classe civile e politica liberata. Necessita un grande apprendistato prima di avvicinarsi ad un gruppo stigmatizzato senza cadere nel precostituito rigido e questo, al momento se lo possono permettere poche-i eletti come le-gli studiose-i e scienziate-i. Diversamente, anche i messaggi più alternativi serviranno solo a rinforzare gli stereotipi tradizionali. Continuare a credere che ci sono donne cattive e donne buone giova solo alla stabilità di un sistema logoro, è un elemento di controllo sociale. Si continua a perseguitare, così, la sessualità autonoma delle donne mentre dovremmo essere, invece, consapevoli dell’esistenza di questi modelli standardizzati per demistificarli e modificarli. Potremo pensare di cambiare solo quando disporremo di soluzioni sociali corrispondenti al di là dall’approssimazione intellettuale.
Iniziamo dal modificare i linguaggi comuni per permettere che anche il nostro territorio si trovi al passo coi tempi . La lingua rispecchia la nostra cultura, dunque, le riflessioni sul modo di rappresentare le donne attraverso il linguaggio e la storia è la ragione per la quale essa svolge un ruolo prioritario nel processo di costruzione dell’immagine femminile collettiva. Le donne possono e devono essere sempre in prima linea -insieme agli uomini paritariamente- se si vuole scrivere un nuovo, fiorente capitolo d’epopea italiana. Noi donne, che lottiamo per la giustizia e per la pace, per i diritti civili siamo in prima linea e ben sappiamo che è solo un atto di giustizia che potrà rendere consapevoli le classi dirigenti che, se non si lascerà spazio alla democrazia di genere fuori dal becero utilizzo questa sarà negata. Allora non ci potrà essere cambiamento che tenga nell’immediato.
Non vogliamo essere complici di un pregiudizio che ci vuole vittime di soprusi. Fuori dalle strumentalizzazioni della mala gestione politica che continua ad enfatizzare le quote rosa- pensiamo a quello che succede nella formazione del governo e poi a seguire nella proposta della nuova legge elettorale- fare Rete tra donne comuni e virtuose della, siano esse intellettuali o di riconosciuto talento crea le vere condizioni di beneficio per tutta la società. Nell’ambito delle iniziative che la Rete La Fenice porta avanti è stato dato grande spazio alle criticità moderne dell’essere donna. Basti pensare alla iniziativa, ormai di respiro nazionale ” L’arte contro il femminicidio”. Il nostro appello, che partì il 21 settembre scorso nel corso della prima iniziativa provinciale a sostegno del donne vittime di abusi alla Villa Comunale di Frosinone, è stato ascoltato ed ha sensibilizzato amministrazioni comunali e provinciali, a partire da quelle locali, che hanno accolto la nostra richiesta uscendo dai sentieri di omertà e di silenzio. Ne da conferma l’iniziativa provinciale dell’8 marzo scorso a Frosinone per l’inaugurazione della Campagna di sensibilizzazione provinciale contro discriminazioni e violenze di genere e la Marcia di solidarietà alla quale hanno aderito più di 50 comuni locali, moltissime scolaresche provenienti da tutta la provincia, associazioni, sindacati unitari, gente comune in una terra, la nostra, corrosa da microcriminalità e dall’arroganza di un potere politico irrivente.
Consapevoli, dunque, che la partecipazione è solo l’inizio di un lungo momento di riflessione innovativa ed aperta al contributo di tante e tanti sono stati messi in cantiere per i prossimi mesi altri importanti momenti di incontro con la gente, con le Università e nelle scuole (dibattiti pubblici sull’evento saranno trasferiti a Napoli, Pescara, Rieti, Milano e proseguiranno sino a giugno su Roma).
Portare sul piano del confronto pubblico -tenendo alla base prerequisiti tecnico-specialistici che ne certificano la qualità- in provincia e fuori, tra i giovani e nelle piazze tematiche occultate significa scavalcare i limiti dell’attuale dibattito politico sterile ed usurante. Perché di donne non basta solo parlare.
Verso le europee. Un PD più innovativo possibile. Adesso o mai più
di Massimo Preziuso su L’Unità
Per il Partito Democratico è tempo di spingere nel solco di quel cambiamento innovativo invocato da Matteo Renzi, per ora avviato nella comunicazione e nella forma.
Con il declino netto del Partito Socialista francese alle amministrative di ieri, a due mesi da elezioni europee “costituenti”, fondamentali per il rilancio del Sud Europa, non si può davvero scherzare.
Soprattutto se si pensa che, dopo anni di tentennamenti, il PD a guida Renzi ha deciso di entrare nella famiglia socialista solo qualche settimana fa, dando vita ad una chiara contraddizione politica: quella del giovane premier rinnovatore, formatosi nella Margherita, che aderisce ad una famiglia politica piena di valori sedimentati nel tempo, in alcuni casi meno innovativi e attuali di qualche anno fa.
Una scelta rischiosa, dunque, come si è poi visto con i risultati di ieri. Che si sommano al precedente annuncio del mancato supporto dei laburisti inglesi al candidato socialista alla presidenza della Commissione Europea Schulz.
E allora per ovviare al rischio di una débâcle alle europee, il Partito Democratico ha una sola via possibile: quella di tradurre le speranze di rinnovamento e riformismo riposti nella carica comunicativa e di leadership di Matteo in cambiamenti concreti da qui a maggio.
Tre sono i livelli su cui operare:
– Riforme. Il PD sostenga Renzi a migliorare e approvare quella elettorale e avvii una sostanziosa spending review che dia forza ai consumi italiani, con un aumento dei salari netti degli italiani tutti (non solo i dipendenti!).
– Alleanze elettorali. La sensazione è che il PD non possa più permettersi le alleanze storiche. Fortunatamente, il “Centro Democratico” è andato ad avventurarsi nell’ALDE italiana. Ma è evidente che anche la alleanza con un “SEL” statico e pieno di contraddizioni non regge più. Essa è in forte contrasto con la visione che gli italiani e gli elettori democratici hanno di questo nuovo PD.
– Persone e competenze. Il Partito di Renzi ha finalmente la forza di aprire la porta ai Talenti italiani presenti nel mondo, che oggi han voglia di “ricostruire” il Paese, disegnando con il governo nuove politiche industriali competitive. Lo può fare a partire dalle nomine delle aziende quotate di cui si discute in questo periodo. Può non farlo, riconfermando il molte volte vetusto management attuale, o imponendo figure politiche senza riguardo al merito, dando in quel caso il via ad una slavina. Evidentemente lo stesso ragionamento è applicabile nella scelta dei candidati alle europee.
In conclusione: il PD diventi più “innovativo” possibile. Faccia sua, con fatti netti e svelti, la voglia di cambiamento politico e progettuale presente nel Paese. Attui le prime soluzioni anticrisi. Altrimenti, rimanendo in una sorta di limbo tra visioni socialiste e rinnovamenti annunciati, i suoi risultati elettorali alle europee saranno sicuramente deludenti. Con effetti sulla stabilità del governo, e del Partito, immaginabili.
Il network come metodo. Francesco Nicodemo, voce del Pd
Originario di Lauria superiore, ecco chi è l’uomo che organizza la comunicazione del Partito democratico.
di Sara Lorusso (Quotidiano della Basilicata)

POTENZA – Cominciamo dalle origini. «La mie? Orgogliosamente lucane», twittava qualche giorno fa.
Di Lauria superiore, per la precisione. Il papà di Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione del Pd, è arrivato a Napoli dalla Basilicata anni fa per studiare e poi ha messo su famiglia. Ma Francesco, classe ’78, a sua volta da Napoli a Roma con – racconta nella bio – il pallino per i Radiohead e la politica, in Basilicata torna spesso. Un’infanzia passata a lungo qui tra mare e montagna, a zonzo tra i luoghi di famiglia, le contrade dove erano cresciuti i nonni; oggi in estate tappa a Maratea. Ricordi densi di una terra che «accidenti quanto è bella». Uno per uno, cita tutti i paesi della costa tirrenica, gira a largo, poi approda mentalmente nell’entroterra. «Al Pollino, a quei paesaggi, sono legato. Molto».
Matteo Renzi ha chiamato Francesco in segreteria, a organizzare il partito anche in rete, a costruire la comunicazione democratica tra luoghi e digitale. «È che non c’è differenza tra l’abitare la rete e il paese reale. Cittadini. Perché dovremmo prediligere un luogo, o un canale, piuttosto che un altro?»
La capacità di Renzi, spiega, è anche lì. Non basta twitter, non basta il sito, né solo la tv. Comunicazione integrata perchè quello che conta è saper spiegare alle persone e poi ascoltarle. In uno scambio di messaggi, feedback, reazioni, informazioni che viaggia dal centro alla periferia, e poi tra nodi di periferia, e torna al centro. «Circolarità» restiuisce l’idea.
Francesco fa parte di una squadra giovane, il pragmatismo conta. «È un problema di coerenza: il metodo della velocità, la spinta a fare, non è un vezzo, solo l’urgenza del Paese».
Lo sforzo è restituire fiducia alla popolazione. La parte difficile è nel legame con i territori, dove le storie si mescolano, le comunità devono ricucire, superare disfatte e ripartire. «Con i congressi il partito deve anche ritrovare un ruolo, essere un po’ cinghia di trasmissione tra il governo e le comunità e ritorno. Se Renzi sceglie di andare nelle scuole è per stare dove la struttura del Paese si ricostruisce».
Fare network. «Perché il renzismo non funziona se è una corrente. Preferisco pensarlo come metodo di cambiamento». Che parte dalla disintermediazione a cui il premier sembra tenere molto. «Servono risposte, spetta a chiunque si candidi a essere classe dirigente».
Al sud, ripete spesso, vale persino doppio. «Dopo anni di lamentele sulle risorse tagliate, forse è il caso di ripensare al rapporto tra fondi erogati e risultati ottenuti».
La Basilicata è un po’ caso a sé. Premiata sempre per la spesa dei fondi comunitari, ricca di risorse naturali, petrolio da poter sostenere a livello energetico mezzo Paese, però povera da primato.
«La cosa che mi colpisce ogni volta che torno è l’assenza di sistema. Penso, per esempio, all’agroalimentare. Non c’è paese, contrada, angolo di questa regione dove non ci siano sapori o prodotti straordinari, spesso riconosciuti e molto richiesti. Manca, però, una rete, sono tutte esperienze isolate. Mi aspetto un po’ più iniziativa dall’impresa privata. Al pubblico, invece, il compito di costruire gli asset principali dello sviluppo locale». Formazione, infrastrutture, superamento del digital divide. «In Basilicata ci sono alcuni temi forti, che mescolano necessità e opportunità. Vale per il green job, per il turismo e la cultura».
La direzione da seguire, giura, resta quella dello sguardo in Europa. Soprattutto ora che è già campagna elettorale. «Vorrei un Pd delle cento piazze», dice Francesco. E lo dice spiegando ancora «che la differenza online/offline non ha più senso, e la politica deve capirlo. Organizzare una comunità politica in rete, coinvolgerla, ascoltarla, significa affiancare quelle stesse persone anche nel porta a porta».
La lezione «dovremmo averla imparata. È già successo: mentre noi ci chiudevamo nei teatri, altri si prendevano piazza San Giovanni. Il Pd non stava capendo». Ora, magari, «è la volta buona».
Renzi e i rinnovamenti necessari
di Massimo Preziuso su L’Unità
Matteo Renzi ha deciso di accelerare e scalare il Paese, senza passare per le urne.
Forte di un consenso pressoché unanime (!?) nel Partito Democratico e in tanti stakeholders del Paese, dopo aver chiesto e ottenuto in maniera discutibile le dimissioni di Enrico Letta, presidente del consiglio del suo stesso partito, egli si propone come premier alla stessa compagine governativa (?).
Una operazione così rapida e ambiziosa è chiaramente rischiosa: lo si vedrà nelle prossime ore, fino alla richiesta di fiducia alle camere, e nei prossimi mesi, con tensioni nelle istituzioni parlamentari, dentro il Partito Democratico e nell’elettorato del centrosinistra.
Per attenuare questi rischi, Renzi allora eviti di proporre un governo di legislatura, fissando un termine per completare, migliorandole, le riforme istituzionali programmate nelle scorse settimane ed avviarne nuove sui gravosi temi del lavoro e dell’economia.
E soprattutto – per costruire un solido consenso in un Paese che sembra lentamente uscire (almeno formalmente, con un +0,1% di PIL nello scorso trimestre) da una dura recessione a “doppia V”, con una classe politica “rottamata” da dentro e da fuori – Matteo attui rapidamente una serie di ”rinnovamenti” (dal titolo di questa rubrica), ovvero cambiamenti di qualità (più che di quantità).
E allora Renzi diventi “rinnovatore” in Italia (a partire dalla composizione del governo che va a proporre a breve, per proseguire con le nomine di primavera nelle grandi aziende pubbliche) e in Europa (nel semestre europeo a guida italiana si faccia portatore delle istanze dei Paesi del Sud Europa, richiedendo a Brussels l’avvio di quei cantieri europei di crescita sostenuti dalla leva pubblica).
Contestualmente apra il governo e il Partito Democratico al contributo di variegate energie esterne presenti nel mondo dell’associazionismo e della piccola e media impresa. Lì risiede gran parte dell’energia vitale del Paese, soffocata in questi anni di austerità e di centralismo decisionale, che va adesso messa al centro della ripresa economica e sociale italiana.
Insomma, verificate nei prossimi giorni le condizioni politiche per un governo di riforme, si utilizzi questo forse irripetibile momento per “cambiare rotta” sul serio al Paese.
Se riuscirà nel 2014 su questi temi, Renzi potrà tornare alle urne da “costruttore” per vincere la vera “missione impossibile” italiana: quella di portare il centrosinistra al governo pieno del Paese, attraverso i voti degli elettori, e non ad accordi di “larghe o medie intese”.
Parlando di donne e di legge elettorale
di Giuseppina Bonaviri
La legge elettorale che viene presentata alle Camere esprime una parità di genere solo enunciata che penalizza la società italiana. E’ il risultato d’inerzie culturali che si ripercuotono sugli squilibri della rappresentanza. Un vulnus che si ripete, già visto in occasione dell’approvazione del “Porcellum” nel 2005. In quell’occasione , infatti, l’emendamento che proponeva «quote di genere» presentato dalla stessa maggioranza fu respinto alla Camera in sede di votazione con scrutinio segreto: ottenne 452 voti a sfavore, contro solo 140 favorevoli.
Il testo base della legge elettorale, l’Italicum, pur rappresentando un passo avanti rispetto al passato, continua a non assicurare un’equa rappresentanza per noi donne italiane. Sebbene la nuova legge in studio preveda l’obbligo di garantire uguale presenza di uomini e donne nelle liste non assicura altrettanto nella rappresentanza in parlamento. Occorrerebbe che tutte-i i parlamentari lavorassero per modificare il testo, introducendo la semplice alternanza “una donna un uomo” e la parità 50-50 rispetto ai capilista. Molte deputate e senatrici si sono già mobilitate trasversalmente ai partiti politici dandoci la sensazione che, finalmente, le donne e la gente è diventata consapevole che le questioni di genere sono temi di cittadinanza e non sessisti.
Attualmente non viene salvaguardato il principio antidiscriminatorio previsto dagli art.3 e 51 della Costituzione, articoli che sanciscono la pari dignità sociale delle-i cittadine-i e le condizioni di eguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. “ Nonostante l’elemento positivo introdotto all’art.1, comma 9, l’ alternanza dei generi due a due maschera in realtà un ritorno al passato cancellando di fatto l’ unico elemento capace, come è noto, di garantire una reale rappresentanza.” La politica non vuole ancora capire che le donne non sono riserve protette. Stando così le cose, torniamo a sottolineare, che per rendere realmente efficace il principio di pari opportunità nella rappresentanza politica è necessario introdurre quel vincolo dell’alternanza di genere uno a uno nelle liste e la medesima alternanza per i capilista. Quella presentata nei giorni scorsi dalla legge in discussione ci pare una formula inadatta che non ci consentirà nuovamente il cambiamento tanto profondamente auspicato. Crediamo che non si tratti di semplice questione di quote ma di un vero salto di qualità, di un avanzamento della nostra democrazia oggi, purtroppo, ancora assai zoppicante.
Proporre allora profili eccellenti, come già molti movimenti di base in Italia stanno facendo, perché le prossime donne che entreranno in Parlamento possano essere espressione della migliore società italiana (ciò sta già avvenendo, grazie alla legge sulle quote di genere, nei CdA delle società quotate e controllate) può restituire alle cittadine e cittadini un vero potere di scelta che peserà sul reale interesse per il bene comune del Paese e sulla determinazione di scrivere regole trasparenti che restituiscano capacità di decisione reale alla base.
Manca l’attenzione al tema della democrazia paritaria da parte della maggioranza delle forze politiche. Bisogna iniziare dal modificare i linguaggi comuni per permettere che anche il nostro territorio si trovi al passo coi tempi. Il linguaggio non è solo strumento di comunicazione; rimane la piattaforma prioritaria della formazione dei nostri pensieri tanto che, come ci insegnano gli scienziati, non esiste pensiero senza linguaggio. Per una cittadinanza di genere diffusa dobbiamo partire proprio da qui: trovare le parole giuste che siano l’inizio di un cambiamento di rotta. La lingua rispecchia la nostra cultura, dunque, la riflessione sul modo di rappresentare le donne attraverso il linguaggio è la ragione per la quale è importante il ruolo che esso svolge nel processo di costruzione dell’immagine femminile collettiva. Sollecitare, allora, l’adozione spontanea di codici di autoregolamentazione nella comunicazione dei problemi e nelle aspettative progressiste di genere è condizione primaria per una politica più umana ed equa.
Le innovatrici fanno un appello perché sia modificata della legge elettorale ricordando anche l’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria che va sostenuto con azioni comuni di massa. Proponiamo da tempo di lavorare insieme per riscrivere una agenda di democrazia paritaria mobilitandosi verso un’altra Europa come opportunità reale di voltare pagina e costruire un futuro nuovo, con un parlamento profondamente rinnovato, nelle pratiche e nelle ideologie. Solo se non si lascerà indietro metà della popolazione, quella che sta dimostrando le migliori performance e il più forte impegno nel sociale, si creeranno le basi di una svolta sociale, civile e politica. Le donne non sono vessillo di conquista e di supposta emancipazione, ciò sarebbe un segnale assai negativo. Le donne possono e devono essere, invece, in prima linea insieme agli uomini se si vuole scrivere un nuovo, fiorente capitolo di storia italiana.
Ben dice il Presidente Romano Prodi: “Si salvano solo gli innovatori”.
Adesso, il PD rinnovi istituzioni e governo!
Abbiamo salutato con entusiasmo la nuova segreteria del Partito Democratico.
L’avvio netto del rinnovamento dipenderà ora dalla reale apertura che si vorrà dare a quelle personalità della società civile che hanno stimolato e sostenuto il dibattito negli ultimi anni.
Un progetto riformatore non può fare a meno di un percorso condiviso con la società.
– Si dia vita ai dipartimenti nazionali, nel PD, che siano estrapolazione della voce di quella cittadinanza attiva che è sinonimo di vero cambiamento.
– Si apra istituzioni e governo a figure rinnovatrici e competenti.
Noi ci siamo da sempre. E ci saremo.
Auguri!