preziuso
Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per la Green Economy and Society in Italia (4 anni dopo)
Sono passati quasi 4 anni, la situazione economica e politica si è ulteriormente deteriorata. Ma il tema dello sviluppo sostenibile è oggi più attuale. La nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile ha fatto parte degli 8 punti della proposta politica di governo di Pierluigi Bersani. Un eventuale governo guidato da Enrico Letta dovrebbe farla sua. Lanciando un super ministero, il MISS, che ponga il tema della sostenibilità quale motore della rinascita culturale, economica ed industriale italiana. Riporto la proposta che feci nel 2009 nel dibattito congressuale del PD.
Se si vuole essere protagonisti nella nuova epoca della Sostenibilità, questo è il tempo delle grandi innovazioni, soprattutto in Italia.
Tante sono le cose da fare, nel settore pubblico ed in quello privato, nei mondi della scuola, della ricerca, dell’industria, dei media, della finanza ed altri ancora.
Ma la prima cosa di cui un Paese come il nostro ha bisogno oggi è la nascita di una struttura di Governo che attui e coordini tutto il complesso di “politiche pubbliche” necessarie all’avvio di un percorso che ci porti ad una Green Economy and Society.
Una soluzione in tal senso è la nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (MISS), che accorpi in sé il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).
In tal modo, il MISS si doterebbe della forte capacità di impatto sul mondo industriale dell’attuale MSE (che è l’amministrazione di riferimento per i settori portanti dell’economia italiana) e dell’esperienza e competenza in tema ambientale del MATTM (che è l’amministrazione preposta all’attuazione della politica ambientale), migliorando efficacia e efficienza della spesa pubblica.
Il Ministero per lo Sviluppo Sostenibile diverrebbe così, insieme al Ministero dell’Economia, il motore delle politiche di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni in Italia.
Una proposta come questa, oggi, è chiaramente una provocazione, ma un Paese moderno, perché possa cambiare davvero, ha il dovere di discutere anche di provocazioni.
Enrico Letta premier. Un bel goal, all’ultimo minuto, per il PD
L’Agcom e il telecomando TV
Il Presidente della REA, Antonio Diomede, lo aveva detto “…le Autority nostrane sono da riformare profondamente o da abbattere. Sono di nomina partitica e difendono solo gli interessi delle grandi lobby. Sono incorreggibili”. E’ ancora successo ciò che si voleva dimostrare. Il Paese, le Isituzioni hanno bisogno di un grande cambiamento in senso democratico e di partecipazione dei cittadini alle scelte della vita politica e sociale. Con la delibera AGCOM 237/13/CONS, pianificazione della numerazione dei canali tv sul telecomando, Cardani e la sua squadra di commissari di nomina partitica, ha tradito le aspettative del pubblico televisivo e delle emittenti locali che si aspettavano una gestione democratica del telecomando così come aveva ordinato il Consiglio di Stato annullando la precedente delibera fondata su criteri a dir poco indecorosi come quello relativo all’assegnazione LCN in base alle graduatorie dei Corecom sui contributi di sostegno all’emittenza locale che, come sappiamo, hanno generato una gran quantità di abusi di carattere penale. Grazie alla REA, non c’è più traccia di tale criterio nella nuova delibera LCN, dunque sembra che giustizia sia stata fatta, ma così non è in quanto, raggirando l’Ordinanza del Consiglio Stato e non tenendo in alcun conto delle osservazioni della stragrande maggioranza dei partecipanti alla consultazione pubblica, l’AGCOM, appoggiata in fase di ricorso TAR da FRT e AERANTI, ha “cacciato” le emittenti locali storiche dalle prime posizioni del telecomando sottraendo 25 numerazioni del primo arco, dal 1 al 99, per favorire le reti nazionali e le musicali MTV e DeeJay e La7 notoriamente sostenute dalle lobby agganciate ai partiti. Dunque questa volta non si tratta più di intraprendere una nuova lotta giudiziaria, che ovviamente la REA farà, ma di un affondo anche nel campo politico per “demolire il palazzo AGOM” in tutte le sedi a cominciare dalle sedi istituzionali italiane fino alla sede Europea. Intanto proprio oggi, 5 aprile 2013, alle ore 12.12, è stato depositato il primo ricorso all’Antitrust a firma del Presidente Diomede, per capire come la pensa la sorellina di Piazza Verdi riguardo alle ricadute della delibera 237/13/CONS sul mercato. Dopo di che, la REA proseguirà con il ricorso al TAR del Lazio per chiedere ai Magistrati un nuovo annullamento della vergognosa delibera emanata dalla società AGCOM di Cardani & C. Il testo integrale della istanza presentata dalla REA all’Antitrust su www.reasat.it
Seminario Italia – Usa 27 Marzo, Roma: Intervista sul Network Reasat
Seminario: Opportunità per le imprese innovative europee negli USA
OPPORTUNITA’ PER LE IMPRESE INNOVATIVE EUROPEE NEGLI USA
27 marzo 2013, Roma – ore 10.30 – 13.00
Ufficio di Rappresentanza del Parlamento europeo a Roma
Via IV Novembre 149, Roma – Sala delle Bandiere
PROGRAMMA
10.30 – INTRO
Massimo Preziuso, Innovatori Europei: “Le attività del nostro Think Tank per lo sviluppo europeo”
10.45 – INTERVENTI
Ing. Paolo Marenco, Direttore AIZOON, Silicon valley Study Tour, Rappresentante in Italia di Silicon Valley Italian Executive Council: “Fare impresa innovativa con gli USA: il bridge tra Italia e Silicon Valley”
Avv. Marco Rossi, avvocato internazionale, managing partner di Marco Q Rossi & Associati PLLC, studio legale e fiscale internazionale Italia-USA: “Sbarcare negli USA: pratiche legali, societarie e fiscali”
Avv. Mark Santo, socio, Marco Q. Rossi & Associati, studio legale e fiscale internazionale Italia-USA: “Accesso ai mercati di capitali e modalità di finanziamento di start up innovative negli USA”
Prof. Carlo Alberto Pratesi, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla facoltà di Economia dell’Università Roma Tre, fondatore di InnovAction Lab: “Come nascono le idee di business: l’esperienza di InnovAction Lab”
Altri interventi
12.00 – DIBATTITO APERTO CON I PRESENTI
“Quali sinergie tra creatività e finanza di rischio per fare impresa innovativa?”
Con Massimo Preziuso, Paolo Marenco, Marco Rossi, Mark Santo, Carlo Alberto Pratesi, Luisa Pezone, Ruggero Arico, Salvatore Viglia, Susi Billingsley, Mario Sforza, Giuseppe Spanto e altri.
Modera: Giuseppina Bonaviri, Innovatori Europei
Evento su Facebook: https://www.facebook.com/events/153459321484420/
Per informazioni: infoinnovatorieuropei@gmail.com o eprincipato@lawrossi.com
Taranto Sostenibile
di Massimo Daniele Sapienza – Innovatori Europei
(con questo contributo, presentato alla assemblea di IE di febbraio scorso, diamo il via alla nostra riflessione su “Taranto Sostenibile”)
Vorrei affrontare una delle questioni chiave e più calde del dibattito ambientalista italiano non con una prospettiva locale ma inquadrando il caso Taranto nel suo contesto più generale globale e storico.
Taranto può essere vista come la madre di moltissime battaglie ambientaliste perché rappresenta molto bene lo scontro fra due diverse e antitetiche concezione della storia: innovazione contro conservazione.
Per cercare di spiegare meglio si può dare un’occhiata ai numeri: il mercato mondiale dell’acciaio è cresciuto triplicandosi dal 1995 al 2012 con un tasso medio di crescita pari a circa il 4,5% all’anno.
Questa crescita però non è stata omogenea su tutti i mercati, ma anzi al contrario abbiamo assistito ad una fortissima migrazione delle produzioni verso i mercati asiatici e in particolare quello cinese. L’acciaio con tutti i suoi costi ambientali e sociali tende a spostarsi dai paesi ricchi a quelli in corso di accelerato sviluppo anche perché in quei paesi è maggiore la domanda per evidenti ragioni: espansione del settore infrastrutture e manifatturiero in primis.
Se guardiamo all’Unione Europea notiamo che la produzione in Europa è scesa per circa il 3% all’anno mediamente. Anche il dato dell’Unione Europea, come quello del mercato globale, va letto in una prospettiva duale: da un lato Germania e Italia, che hanno un modello di sviluppo basato su settori tradizionali e, in particolare per l’Italia, sulla produzione di macchinari, hanno cercato di tenere le proprie quote di produzione (Germania -0,1% e Italia -0,3% all’anno fra il 2005 e il 2011); dall’altro paesi che hanno diversa vocazione industriale e che stanno abbandonando velocemente la produzione di acciaio (Gran Bretagna -5%, Francia -4% e Spagna -3,5% all’anno fra il 2005 e il 2011).
Il primo fatto saliente che vorrei sottolineare e quindi la scelta complessivamente molto tradizionalista e conservatrice del nostro paese: in un mondo che sta delocalizzando e spostando le produzioni di acciaio verso altre geografie l’Italia cerca di resistere contrapponendo un modello di sviluppo industriale tradizionale basato sulla tenuta dell’acciaio.
Parliamo adesso un po’ più specificatamente di Taranto e dell’Ilva. L’impianto creato negli anni 60 ha raggiunto il suo picco di occupazione e di produzione nel 1975. In quell’anno lavoravano all’Ilva 25.000 persone. Da allora il livello occupazionale ha cominciato a declinare. Dopo quasi 40 anni di deriva oggi lavorano all’Ilva circa 12.000 persone, la metà del picco. A Taranto si produce il 30% dell’acciaio italiano.
Con quali prospettive?
I lavori di bonifica previsti dall’AIA imporrebbero un onere stimato in circa 2,5 miliardi di Euro, chiaramente un’enormità, e soprattutto insostenibile se commisurati agli utili totali realizzati dall’azienda negli ultimi 15 anni (3 miliardi di Euro).
Nella sostanza non è necessaria una laurea in economia per comprendere la realtà: nessun privato investirebbe mai una somma pari ai suoi utili degli scorsi 15 anni per ambientalizzare un impianto che produce un prodotto, il cui mercato, secondo tutte le analisi di tendenza è destinato a ridursi considerevolmente nel breve, medio e lungo periodo. Aggiungo infine, perché non è un elemento di poco conto, che il costo dell’acciaio prodotto a Taranto crescerebbe molto a valle delle ambientalizzazioni rendendolo di fatto fuori mercato anche al di là del trend più generale al quale abbiamo fatto riferimento in precedenza.
La notizia tragica della richiesta di cassa integrazione per 6.000 dei 12.000 dipendenti di Taranto ha 2 chiavi di lettura. La prima appare squallida e legata al ricatto occupazionale nel quadro della lotta con la magistratura per ottenere il dissequestro delle somme provenienti dalla vendita dei prodotti realizzati durante il semestre di sequestro degli impianti.
La seconda, ugualmente grave, è invece legata all’assoluta mancanza di prospettive per uno stabilimento e per una produzione che ormai è fuori mercato e fuori dal tempo.
Torno quindi al dilemma che ponevo all’inizio del mio intervento, ossia il confronto fra innovatori e conservatori.
Il governo italiano con i decreti salva Ilva ha fatto una scelta di vera e totale conservazione. Si è rifiutato di prendere atto della semplice verità che Ilva non può costituire un’opzione di sviluppo e occupazione per Taranto e ha cercato di tutelare lo status quo a danno della salute dei tarantini, della giustizia e del progresso. Il governo ha messo al primo posto le esigenze delle banche creditrici del gruppo Riva piuttosto che il diritto del popolo italiano in questa, come in mille altre situazioni, a migliorare, innovare e progredire.
Sia bene inteso l’origine del problema è molto più profonda. Il Salva Ilva è solo l’epifenomeno, la punta dell’iceberg. Come abbiamo scritto prima sono 20 anni che è in corso un mutamento nell’economia globale che sposta le produzioni di acciaio. Questo semplice fenomeno economico andavo studiato, compreso e elaborato. Sarebbe stato necessario inventare un’alternativa per Taranto già 10 anni fa probabilmente.
La subalternità dell’innovazione rispetto alla conservazione ci ha condotti nella situazione critica nella quale ci troviamo adesso.
Nell’emergenza sono necessarie misure eccezionali e sacrifici che si aggiungono ai lutti e agli inqualificabili soprusi patiti dalla popolazione di Taranto in questi 40 anni. Si noti che non ho mai fatto riferimento nella mia trattazione ai dati ambientali e sanitari. L’ho fatto di proposito. Non perché non siano importanti, tutt’altro, sono evidentemente e indiscutibilmente capitali. Ho voluto mantenere il filo del mio discorso confinato strettamente entro i sentieri del ragionamento economico per mostrare quanto la conservazione sia stata perdente sull’innovazione anche nel suo terreno elettivo.
Se si fosse creata una no-tax zone quanti investimenti alternativi si sarebbero potuti attrarre a Taranto? Se si fosse puntato sulle energie rinnovabili che in Italia hanno dato lavoro a quasi 150.000 persone quanti posti di lavoro si potevano creare a Taranto? Non dimentichiamoci che la Puglia è stato nel biennio 2009-2010 il faro della green economy italiana. Si sarebbe potuto fare di Taranto la capitale di questo modello di sviluppo. Si sarebbe potuto dare un’alternativa di lavoro e di salute ai tarantini.
Mi piace collegare la vicenda di Taranto alla Fiat e a quanto è avvenuto nel mondo delle rinnovabili.
Come molti sapranno recentemente la Germania si è data l’obiettivo di 1 milione di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Cosa accadrebbe se l’Italia adottasse una misura simile?
A spanne per produrre tutti quegli autoveicoli elettrici ci vorrebbero circa 85.000 lavoratori (pari a 7 volte quelli occupati dall’Ilva) e non sto considerando l’indotto quale ad esempio la produzione e l’installazione delle colonnine di ricarica che probabilmente porterebbe a raddoppiare questi numeri. Se poi decidessimo di alimentare con tutta energia rinnovabile questa nuova flotta di auto elettriche sarebbe necessario installare ulteriori 1.700 MW fotovoltaici (pari al 10% del parco solare attualmente in esercizio in Italia) con tutta l’occupazione che ne deriverebbe.
Vi sembrano sogni? A me sembra innovazione e sviluppo sostenibile. Mi sembra occupazione su una scala prossima a 15 volte quella attualmente in essere presso l’Ilva. Mi sembra salute e ambiente. Mi sembra un modo assai più saggio e consapevole per spendere i 2,5 miliardi di Euro previsti dall’AIA dell’Ilva.
Nella sfida fra innovazione e conservazione, io ho già scelto.
Oggi a Città della Scienza per il futuro di Napoli
di Massimo Preziuso
Stamane siamo stati a Città della Scienza, dove si sono incontrati – insieme alle istituzioni e ai rappresentanti della Fondazione – associazioni come Innovatori Europei, ricercatori e società civile.
Abbiamo fatto il primo passo per un progetto di lungo periodo che si potrebbe chiamare “Stanford in Bagnoli”.
Al fine di aprire la discussione alla cittadinanza e alla rete, abbiamo insieme proposto a Città della Scienza – che ha accettato – di dare vita ad un Osservatorio Open sullo sviluppo di Bagnoli, in modo da poter ricostruire mentre si avvia il ridisegno del futuro di quell’area (e di Napoli).
Siamo in attesa della data di convocazione di una riunione operativa da cui avviare formalmente questo entusiasmante progetto collettivo di innovazione territoriale e progettuale.
Sabato 9 Marzo: “Diamo vita a Città della Scienza” – Rilanciamo Bagnoli, Napoli e il Paese a partire dalla cultura e dalla scienza
Sabato 9 Marzo a Città della Scienza, a partire dalle ore 10,00, vari gruppi di ricercatori, associazioni, reti di operatori dell’informazione e il comitato scientifico di Città della Scienza promuovono un incontro di riflessione su quanto accaduto Lunedì 4 e sulle proposte per rilanciare Bagnoli, Napoli e il Paese tutto, a partire dalla cultura e dalla scienza.
Tra i promotori dell’incontro gli Innovatori Europei e tante altre realtà locali e nazionali.
Segnaliamo l’adesione del Primo Vice Presidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella.
Vi aspettiamo!