Significativamente Oltre

Monti

Quella paralisi di fine impero

di Francesco Grillo

Ma cos’altro bisogna tentare per scalfire questo muro opprimente dello spread? Rispetto a questa domanda i ministri dell’Economia dell’Eurogruppo riuniti ieri a Brussels apparivano ancora più impotenti dopo che persino il tanto celebrato vertice che si è tenuto dieci giorni fa e che era parso a tutti segnare una discontinuità rispetto al passato, si è dimostrato incapace di invertire l’inarrestabile aggravarsi della crisi: i progressi che dopo l’incontro erano stati realizzati in termini di risparmi potenziali nel costo di finanziamento del debito pubblico di Italia e Spagna sono stati in solo dieci giorni completamente spazzati via.

Cosa manca  allora dopo ventisette vertici dall’inizio della crisi più grave che l’Unione Europea abbia mai affrontato? Cosa continua a mancare in una rincorsa affannosa che vede i governi europei costretti nella scomoda posizione di un medico al quale rimane solo la possibilità di comprare tempo in attesa che a qualcuno venga un’idea?

Molti commentatori continuano ad invocare passi decisi verso l’unione fiscale. Tuttavia, essa non può che esigere anche un’unione politica che pur essendo teoricamente la soluzione, appare oggi improponibile per la stessa mancanza di condizioni politiche che l’inconcludenza dei vertici fa emergere. Voler fare, in questo momento, il salto verso gli Stati Uniti d’Europa tra Paesi che neppure si riescono a mettere d’accordo sull’utilizzazione di 500 miliardi di Euro da attribuire al fondo creato per assicurare la stabilizzazione finanziaria (ESM), sarebbe un po’ come per una coppia decidere di fare un figlio quando si è in crisi: le difficoltà verrebbero accantonate momentaneamente per la necessità di rispondere alla nuova sfida solo a costo di esporsi a guai ancora più devastanti nel giro di pochi mesi.

All’Unione politica mancano, del tutto, opinioni pubbliche europee, meccanismi istituzionali e modelli di partecipazione che costringano le nuove istituzioni a rispondere nei confronti dei contribuenti europei dell’utilizzazione di risorse pubbliche: più grave ancora è il fatto che sia mancato un qualsiasi serio investimento nella direzione della costruzione di un demos europe senza il quale l’Unione politica rischia paradossalmente di sancire una nuova drastica lacerazione tra classi dirigenti e cittadini.

Molto più utile è, come segnala il think tank Breugel, lavorare più pragmaticamente su quella che è la contraddizione più forte che si legge in tutti gli atti dell’Unione: la distanza tra gli annunci con i quali si cerca di placare i mercati, e l’implementazione che lasciano regolarmente gli operatori economici, finanziari e persino i cittadini nella più totale incertezza.

Anche per ciò che concerne, l’ultimo vertice la realizzazione concreta delle due più importanti decisioni prese – la possibilità che l’ESM intervenga direttamente nell’abbassare il costo del debito pubblico dei Paesi in maggiore difficoltà e nella ricapitalizzazione delle banche – è condizionata da almeno cinque aspetti si sa troppo poco per indicare che una strada precisa è stata intrapresa: quale è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatta l’operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tali indicatori l’assistenza finanziaria verrebbe fornita ed in che misura ai vertici – governi per gli Stati e management per le banche – sarà concessa  l’autonomia per raggiungere tali obiettivi e quando scatterebbe al contrario l’alternativa di sostituire di fatto chi ha assunto le decisioni che hanno creato il problema? Fino a quando l’intervento di supporto deve e soprattutto può continuare e, considerando che le risorse attualmente a disposizione del meccanismo di stabilizzazione sono una frazione molto piccola dei debiti sovrani e bancari da garantire, attraverso quali meccanismi è possibile immaginare un suo rifinanziamento? Quali criteri di informazione sui rischi – nel caso delle banche – e omogenizzaione delle contabilità pubbliche  – in quello dei governi – devono essere rispettati da tutti gli aderenti al patto in maniera tale che il soggetto deputato a stabilizzare possa identificare le crisi prima che esse si materializzino? Ed infine chi governa l ‘intero processo nelle due diverse aree di consolidamento degli Stati e delle istituzioni finanziarie e su quali basi giuridiche verrebbero perseguiti eventuali inadempimenti considerando che i soggetti regolati sono sovrani o comunque soggetti a leggi nazionali?
Stati e Banche rappresentano, ovviamente, questioni diverse sia per motivi tecnici che politici e, tuttavia, le due crisi gemelle avvicinano i due problemi e impongono un approccio in una certa misura simile.

La soluzione, a mio avviso, deve essere in entrambi i casi quanto più lineare è possibile: uno o due organismi – certamente uno dei quali deve essere la Banca Centrale Europea – devono essere dotati della capacità autonoma di intervento e della possibilità di finanziarsi o attraverso aumento della quantità di moneta oppure attraverso obbligazioni garantite dai Paesi dell’Eurozona collettivamente. I  livelli di rischio ai quali corrisponda l’attivazione di pre definite tipologie di intervento devono essere stabiliti in anticipo in maniera tale da rendere più credibile l’impianto di stabilizzazione e ridurre le possibilità di doverlo effettivamente scattare. La capacità di risposta deve essere potenzialmente illimitata in maniera da scoraggiare gli speculatori e le soglie oltre le quali intervenire devono essere fissati a livelli sufficientemente bassi per limitare i rischi.

Un vertice come quello consumato nelle ore della semifinale tra Italia e Germania avrà impatto: le possibilità però che esso diventi l’ennesima occasione per salvare chi  meriterebbe di uscire dalla partita con l’effetto di aumentare la propensione all’azzardo morale, sono però assolutamente uguali a quelle che costituisca un buon equilibrio tra necessità di non uccidere il malato ed esigenza assoluta di una modifica dei comportamenti che ne hanno determinato la malattia.

Tutto dipenderà dai dettagli nei quali spesso il diavolo si nasconde. Questi dettagli mai più devono essere rimandati da un vertice ad un altro , passando da livelli politici ad altri più tecnici. Non necessariamente tutti gli aspetti potranno essere stabiliti una volta e per tutte e correzioni del meccanismo sulla base dei risultati dovrà essere previsto. Ma perlomeno una strategia chiara  deve essere chiaramente condivisa in maniera da far capire a tutti in che direzione – nei prossimi anni e non nei prossimi giorni – ci si vuole muovere per salvare un progetto – quello europeo – che merita visione e pragmatismo.

 

Lentezza incomprensibile della società civile

di Pierluigi Sorti

Assistiamo in questo torrido segmento di luglio alla rappresentazione mediatica di un gran fervore dell’ azione di governo, impegnato nell’ opera di “ spending review “ ( analisi critica della spesa pubblica n.d.r. ) .
Esso si accompagna allo speculare conclamato dissenso dei sindacati, all’ intenso lavorio sottotraccia delle direzioni dei partiti nella ( finta o autentica ) elaborazione di una nuova legge elettorale, a una opposizione parlamentare di minoranza, dura ma non rassegnata della sua scarsa incisività, infine alla silente ma compiaciuta attesa del movimento grillino.
Delude invece il mancato riscontro di nettezza di analisi e di proposte da parte di tutte quelle associazioni che, quale surrogato dei partiti e quali espressioni della società civile, sono sorte, nominalmente, per una più spregiudicata elaborazione di nuove ipotesi di offerta politica o per un più realistico approfondimento dei tanti temi che investono il quadro politico italiano ed europeo.
In questa fascia di iniziativa politica, oggettivamente impotente a bucare visibilità mediatica, e nota soltanto nell’ ambito di cittadini particolarmente sensibili al crescente aggravarsi della situazione politica, esistevano i presupposti di una capacità di reazione più costruttivo e comunque alternativo alla visione ormai difficilmente contrastabile del M5s ( movimento 5 stelle , quello di Grillo ) e al suo monolitismo demolitore.
Due sembrano infatti gli elementi ostativi a ogni concorrenza con il M5S per assumere un ruolo di ipotesi elettoralmente accettabile : entrambe forse riconducibili a paradigmi extra politici, forse di carattere psicanalitico .
L’ evidente indisponibilità , da parte delle numerosissime associazioni in campo, riscontrabile nelle principali realtà cittadine, in primis a Roma , di connettersi, per gelosia e diffidenza, fra di loro per realizzare una sufficiente massa d’ urto e la difficoltà di condividere iniziative in non piena formale armonia con i presupposti d’ origine e con la politica attuale, delle variegatissime provenienze individuali.
La cartina di tornasole più significativa è rappresentata da Alba, la più recente fra tutte le associazioni, che per inconscia vocazione, dopo una partenza non priva di clamore, non riesce a darsi capacità di crescita se non ricorrendo a obiettivi che vadano oltre formulazioni organizzative interne di funzionamento, identificabili con la lentissima predisposizione di uno Statuto.

Forse l’ imprinting dei diversi percorsi di apprendistato ideologico e politico entra a far parte del substrato di quei complessi che la psicanalisi individua come ostativi al libero sviluppo della personalità individuale.

R-innovamenti politici dalle associazioni

di Massimo Preziuso su L’Unità

La situazione politica è alquanto strana, come al solito, in Italia.

Basta leggere il botta e risposta di pochi minuti fa su Twitter tra la senatrice Finocchiaro (che dice “vogliamo che gli elettori scelgano gli eletti, ma non vogliamo le preferenze”) e il leader Casini (che risponde “ma senza preferenze, con l’uninominale, i cittadini non scelgono nulla”) – laddove la riforma elettorale è l’unico eventuale goal che gli italiani possono fare con questo Governo tecnico, fatto solo di austerità, tagli e nuove tasse – per capire che siamo messi male davvero.

E’ chiaro che i Partiti tutti sono immobilizzati nelle solite logiche di dibattito interno sulla direzione da prendere.

E in questo immobilismo stanno tralasciando completamente le esigenze di noi cittadini, nel nome dello “spread” (è sempre di pochi minuti fa la reazione fuori dai canoni del premier Monti alla critica, da me condivisa a pieno, del presidente confindustriale Squinzi sull’operato del primo, che dice “in questo modo, facciamo crescere lo spread”) e dei mercati finanziari.

Tra le necessità, le principali sono due: il lavoro e la riforma elettorale appunto.

Sul tema lavoro, mentre migliaia di lavoratori ogni settimana vengono “dismessi” da aziende che molte volte approfittano della crisi per dichiararsi “fallite” e chiedere l’intervento dello Stato, il governo e la politica non si rendono conto della necessità di interventi globali, possibilmente di natura europea, come i “sussidi alla disoccupazione” accompagnati ai “contratti di solidarietà” (di cui abbiamo discusso sin dal 2009 in Innovatori Europei), prima che il calo dei consumi e della produzione ci porti a breve in una spirale irreversibile di recessione economica e crisi sociale.

Sulla riforma elettorale, mentre il governo tecnico va avanti come un treno (solamente) nell’abbassare standard di vita raggiunti in Italia in almeno 50 anni, iniziando pure a mandare sul mercato i primi (ma non ultimi) importanti pezzi di patrimonio pubblico, con i partiti politici (in questo caso) ”distratti” dalla gestione di proprie complessità interne, i cittadini rischiano di dover votare di nuovo molti di quei politici che dovrebbero tornare a vita privata, non avendo raggiunto nemmeno minimamente i propri obiettivi di public servants.

Come ci siamo detti già nei mesi scorsi è proprio tempo di r-innovamenti politici, nei partiti e nelle associazioni.

Ma è soprattutto da queste ultime che deve arrivare nuova linfa verso le istituzioni e la società tutta.

E’ arrivato il momento che vari pezzi dell’associazionismo di settore – che in molti casi condividono radici, percorsi e finalità – la smettono di viaggiare in solitario e si uniscano per fare goal condivisi, per il bene del futuro prossimo del Bel Paese.

Non è più possibile stare a guardare la politica e le istituzioni auto riformarsi.

E’ un dovere per tutti partecipare, con i propri limitati mezzi e le proprie capacità, alle prossime elezioni politiche.

Con o senza (molto più probabile) il permesso dei partiti politici.

Questo il mio augurio per il nostro Paese.

La leggenda di Super Mario

di Francesco Grillo (su Il Mattino del 3 Luglio)

Negli ultimi fantastici giorni vissuti tra Varsavia e Brussels, tra gli italiani si deve essere diffusa una strana leggenda: quella di uno, anzi due, forse tre Fratelli Super Mario (Monti, Ballottelli e probabilmente Draghi) che proprio come nel famoso gioco della Nintendo avrebbero salvato, ancora una volta, il Paese che più di qualsiasi altro e’ specializzato a sfornare miracoli dell’ultima ora. Un paese vecchio, depresso, che da tempo perde la parte migliore delle sue generazioni piu’ giovani, da un anno sull’orlo di un vero e proprio fallimento e che da venti non riesce più a crescere. Una specie di bella addormentata che però trova sempre un eroe buono disposto a caricarsela sulle spalle e tirarla fuori dalla acque limacciose che rischiano costantemente di farla affogare.

E’ stato proprio Prandelli, uno dei personaggi più positivo degli Europei, a dire quanto la favola – perfettamente riuscita sei anni fa a Berlino – del trionfo costruito sula disperazione sarebbe stata controproducente:“la vittoria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a tanti” – ha ricordato il nostro Commissario Tecnico – perché “per cambiare c’e’ bisogno di molto tempo” e solo quando “ci saremo riusciti, saremo pronti per rivincere subito dopo un risultato positivo, senza alternare picchi e periodi bui”.

Deve essere per questo motivo, per poter continuare il Progetto che Prandelli ha deciso di rimanere proprio dopo aver perso. E quello che dice l’allenatore italiano vale non solo per il calcio. Anche per l’economia e la società italiana la logica è la stessa: un paese fermo per vent’anni, avrà bisogno dei prossimi venti per fare i conti con un passato ingombrante e trovare una prospettiva di crescita duratura.

La Nazionale “ha, in effetti, provato a cambiare in un Paese vecchio”. E se e’ vero che l’età media dell’Italia era ancora più alta di quella fatta registrare in media dalle altre nazionali, è altrettanto vero che, rispetto al Mondiale del Sud Africa, la squadra è ringiovanita di quasi due anni e che  in termini di numero medio di presenze (ventotto) nella squadra nazionale prima del torneo, i giocatori azzurri erano quelli che erano cambiati di più subito dopo la Polonia e la Francia.

Tuttavia, è altrettanto vero che non basta rinnovare i vertici, i punti più visibili di un movimento o di un Paese per modificare quella società in profondità: e così come a Prandelli non possono bastare le buone intenzioni se le squadre di club non gli consentono di allenare con sufficiente continuita’ gli azzurri, a Mario Monti non può bastare la credibilità internazionale se, contemporaneamente, a casa, la montagna della revisione del rapporto complessivo tra lo Stato e i cittadini è costretta a partorire il topolino di cinque miliardi di Euro che neppure vedra’ mai la luce per l’opposizione pre giudiziale dei sindacati e della Camusso.

Non basta Mario Ballottelli che diventa insieme la bandiera dei giovani e degli immigrati che tanto possono dare ad un Paese che non ha più fame. Non basta se dalle pubbliche amministrazioni italiane continua ad essere escluso per legge (a differenza degli altri Paesi) chi non è cittadino italiano, laddove in alcune aree – ad esempio la stessa polizia di stato – ce ne sarebbe bisogno vitale per poter avere le competenze linguistiche e le conoscenze per affrontare fenomeni nuovi. E non basta che un ventunenne diventi simbolo di un’Italia vincente, se nel frattempo l’approccio puramente contabile alla trasformazione della macchina statale ha prodotto solo un lento e inesorabile invecchiamento che ha, di fatto, pietrificato universita’, ospedali, ministeri, magistrature, organi istituzionali di uno Stato che vive ormai solo per sopravvivere a se stesso. Non basta anche perche’ Mario e’ anche il simbolo involontario di tanti giovani talenti italiani che sono scappati dal nostro Paese e che non vedono le condizioni per poter tornare.

Non basta una vittoria del cuore anche se puo’ costituire la premessa per la riscossa. Non basta un accordo tra capi di governo – quello di Brussels della settimana scorsa e’ peraltro ancora quasi totalmente da riempire di contenuti – e non basta da solo neppure lo scudo anti spread, anche se puo’ essere utile per comprare tempo laddove un governo in difficolta’ dimostrasse alla Commissione Europea di fare veramente autocritica. E non esiste, infine, un bottone magico premendo il quale otteniamo la crescita anche perché la leva degli investimenti pubblici per far ripartire l’economia dovra’ essere usata in maniera molto limitata e selettiva.

Quello che dobbiamo davvero realizzare per ottenere una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva come chiede il documento conclusivo del vertice della settimana scorsa, e’ un enorme trasferimento di risorse tra sprechi e rendite di posizione a generazioni e gruppi sociali che avrebbero i mezzi per creare ricchezza ma che sono stati assurdamente penalizzati per decenni. Dobbiamo avere meno avvocati, meno notai, meno amministratori di patrimoni che essi stessi senza cambiamenti sono destinati a ridursi progressivamente; meno lobbies che ferocemente litigano per conservare la propria fetta di una torta che sta scomparendo. E molti piu’ innovatori veri, disposti a rischiare per il proprio talento e che, prima di tutto, possano essere messi in grado di utilizzare la propria inventiva.

Un cambiamento di mentalita’ ed una riallocazione di priorità così massiccia richiede di più dello sforzo di un governo o di una squadra; qualcosa di diverso dei “sacrifici per uscire dalla crisi” che continuano ad essere centrali nella retorica del presidente del consiglio italiano. Esse richiedono una trasformazione che non può che coinvolgere una parte grande della opinione pubblica ed, in particolar modo, delle “classi” (giovani, donne, immigrati) che dal cambiamento sarebbero beneficiati; riforme che non possono vivere senza il supporto dei cittadini che decidano di spegnera la televisione e scendere in campo per difenderne le ragioni; richiede un’autocritica di milioni di italiani che dallo status quo sono stati beneficiati per molto tempo e che da quei privilegi rischiano essi stessi di essere travolti; e, anche, sacrifici che pero’ non possono essere uguali per tutti perche’, per definizione, se dobbiamo ripartire dovremo farlo con chi da questa crisi otterra’ il riconoscimento – atteso da tanto tempo – del proprio valore.

 

 

Seconda lettera al sindaco di Frosinone

Verso una democrazia partecipativa

La Rete Indipendente “ Nuove Idee nei territori” ritiene urgente ed auspicabile, all’interno della Amministrazione comunale di Frosinone, proporre l’istituzione a costo zero di un tavolo di lavoro per l’organizzazione di un modello di democrazia, quello del governo partecipato, responsabile e condiviso e di un Garante ai “Beni Comuni e alla Partecipazione”.

Si propone contemporaneamente una riflessione che, rispondendo ai principi di trasparenza e integrità, previsti dalla normativa vigente per tutte le pubbliche amministrazioni istituisca referendum abrogativi e propositivi senza quorum soprattutto per le opere di interesse pubblico e dai costi sociali particolarmente rilevanti quale risposta ad un percorso di consultazione nel pubblico dibattito.

Proponiamo altresì l’adozione dello schema operativo di Agenda 21 locale che può diventare un modo di operare strategico a medio e lungo termine essendo modello partecipativo, democratico, antidogmatico e consapevole responsabilizzante tutti i soggetti partecipanti al dibattito sulla cosa pubblica. Inoltre, attenendosi al principio di legalità nella gestione delle amministrazioni, appare determinante che nei contratti pubblici sia abolito il criterio del “massimo ribasso” e venga istituita una commissione comunale, sempre a costo zero, per l’attuazione di un sistema tale da controllare in automatico eventuali infiltrazioni malavitose mediante verifiche incrociate dei dati su appalti, licenze, redditi, anagrafe. Sarà fondamentale, per evitare sprechi, implementate sia la formazione che l’aggiornamento dei dipendenti comunali così da ridurre al minimo le consulenze esterne.

 

Certi di trovare adeguata risposta alla suddetta proposta la Rete si rende disponibile ad una collaborazione, su un concetto chiave di gratuità assoluta, perché il percorso individuato sia fattibile ed in linea con una idea di innovazione dei Governi locali.

Giuseppina Bonaviri

Rete Indipendente “Nuove Idee nei territori”

Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità

di Pierluigi Sorti

Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi,  e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma,  e Matteo Renzi, a Firenze.

Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui,  specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono,  in massimo grado consapevoli.

Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd  e, ancor più,  degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.

Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge  chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con  tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni  di elettori.

E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,

Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.

Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.

Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?

E ora subito una “Patrimoniale” per lanciare i “Cantieri di Crescita”

di Innovatori Europei

Oggi gli spread sul decennale BTP – BUND tornano a 540 punti base.

E’ la prova evidente che i mercati sono in attesa frenetica di novità concrete e riforme dall’Italia.

Speriamo allora che questo fortissimo Governo Monti dia una risposta netta al mondo e cominci subito – con un accordo bipartisan – da una PATRIMONIALE da almeno 100 miliardi di euro l’anno per abbassare lo “Stock di Debito” e rilanciare “Cantieri di Crescita”.

Un esempio di Cantiere? La valorizzazione del patrimonio immobiliare attraverso efficientiamento energetico, di cui discutiamo nel “Cantiere per le Rinnovabili”.

Senza una PATRIMONIALE ,rischiamo di perdere un’occasione storica di rilancio e di leadership europea per colpa di chi ci ha portato a livelli altissimi di rischio default, con l’ingresso nel “club dei 500”.

Agiamo subito, valorizzando il Paese, prima di doverlo svendere o dismettere ai mercati.

Lettera aperta a Mario Monti

di Outsider – Partito degli Esclusi

Italia, 10 novembre 2011

Egregio Senatore a vita, Prof. Mario Monti,

siamo un movimento di liberi cittadini, Outsider – Partito degli Esclusi, che ha deciso di rimboccarsi finalmente le maniche per aprire le porte dei Palazzi facendo entrare aria fresca. Siamo stati esclusi e penalizzati dalle cricche e dalle vecchie Caste, che decidono sempre contro i giovani, il futuro e l’innovazione, macrediamo ancora nella Politica. Finora ci siamo tenuti in disparte perché il sistema scaccia chi è più competente e idealista ma adesso è arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Vogliamo far crescere la libertà di ognuno in una società pluralista e multietnica. Ci proponiamo di costruire regole di convivenza che aumentino le opportunità individuali e di vigilare affinché la libertà non sia un diritto teorico ma una effettiva condizione di vita. Adottiamo i valori e il metodo liberaldemocratici e laici, perché, alle prove della storia, si sono dimostrati gli strumenti più efficaci per molteplici obiettivi: dare modo ad ogni donna e ad ogni uomo di esprimere se stessi e interagire con gli altri, potenziare la conoscenza affidando la libertà di ricerca a scienziati responsabili e trasparenti, promuovere il benessere con il cambiamento innovativo, amministrare la giustizia nel segno del diritto e della dignità umana, influenzare il futuro poggiando sulla memoria del passato e sulla sua eredità di cultura e di bellezza. Questa nostra identità politica ci distingue da tutti coloro che, a destra, al centro e a sinistra, non mettono la libertà e il rispetto della persona prima di ogni valore.

La classe politica e dirigente attuale ha fallito in quasi tutto, consegnandoci un Paese mutilato culturalmente ed economicamente. C’è una sola cosa che i suoi rappresentanti possono fare, se davvero hanno a cuore le nostre sorti, ed è quella di farsi da parte. E’ finito il tempo di elencare cosa non va e ascoltare l’ennesima di tante proposte di cambiamento, tutte inconsistenti quanto prive di qualsiasi fondamento. E’ finito il tempo della retorica da cui ci siamo fatti rapire troppo a lungo: berlusconismo e antiberlusconismo sono oggi la stessa cosa; come lo sono destra e sinistra, o tutte quelle sigle che del cambiamento hanno fatto il loro mantra ma che alla prova dei fatti sono solo i cloni rivestiti di chi li ha preceduti; come lo sono quei movimenti elitari, salottieri, intellettuali, il cui unico interesse è sovvertire gli equilibri del potere per rimpiazzarli con mali peggiori.

Noi dobbiamo invece trovare il coraggio di reagire prima che sia troppo tardi, prima che il sogno muoia sotto il peso della frustrazione. La nostra macro-generazione deve decidere se lasciare il proprio futuro nelle mani di chi ci sta trascinando verso il baratro economico e culturale, delle corporazioni che uccidono ogni libera iniziativa, della burocrazia di uno Stato che complica, invece di chiarire, la vita al cittadino, o se riprendere in mano le redini del proprio destino.

Vogliamo che l’Italia ritorni ad essere un sogno, un modello, un punto di riferimento per tutti e non solo per la sua storia o per il suo territorio, anch’esso ormai umiliato dall’incapacità dei suoi amministratori. Vogliamo costruire la Società aperta, che non abbia paura del nuovo, dello straniero, della concorrenza. Noi non siamo contro la politica ma, al contrario, siamo per una politica che non invada la sfera dell’iniziativa privata, non sia orientata solo al potere ma rappresenti ed elabori la moltitudine degli interessi individuali senza compromettere il futuro di qualcuno.

Questa è l’Italia degli outsider e degli esclusi, di quelle generazioni che, nonostante tutto, hanno iniziato o continuano a creare idee e prodotti di successo, a lavorare duro, a cambiare il mondo. Ci siamo ritrovati tra decine di giovani, uomini e donne, italiani all’estero e stranieri in Italia, finora penalizzati ed estromessi dalle grandi scelte strategiche del Paese. Alcuni di noi hanno una tessera di partito e porteranno i nostri valori in quelle organizzazioni per tramutarle dall’interno, altri sono sempre stati fuori dai partiti e ora vogliono aiutare l’Italia a tornare una meta, un desiderio e non una ragione di fuga.

Abbiamo le idee chiare: aprire la società per dare più potere ai cittadini e liberalizzare il mercato per stimolare l’iniziativa individuale. Ma abbiamo soprattutto un metodo – che chi ha la presunzione di rappresentarci (la politica) e di comandarci (la gerontocrazia imperante) non ha. Siamo per il metodo scientifico nella soluzione dei problemi, siamo per la trasparenza e la verificabilità dei dati su cui si basano le decisioni politiche, affinché chi le propone sappia motivarle e se ne prenda le responsabilità. Siamo quelli che vogliono che i cialtroni si facciano da parte, per lasciare spazio a chi sa coniugare esperienza e competenze nell’interesse di tutti.

Sosteniamo l’urgenza di grandi riforme, che modifichino strutturalmente gli assetti industriali e finanziari del Paese. La nostra analisi muove dalla constatazione che – con l’avvento della globalizzazione e della conseguente dimensione “liquida” dell’economia – non ha più senso parlare di paesi sviluppati e di paesi in via di sviluppo: ogni nazione deve considerarsi continuamente in via di sviluppo e quindi bisognosa non solo di libero mercato ma anche di regole e controlli da parte dello Stato. Il sistema produttivo italiano è arretrato e in declino, sopravvive grazie alle rendite: da un lato dobbiamo insistere per l’attuazione di politiche settoriali che incentivino l’innovazione e la produttività delle imprese italiane, favorendone la buona competitività sul mercato globale. E’ inutile continuare a fabbricare t-shirts o bulloni, con i giganti asiatici ormai in gioco, mentre è sensato puntare sulle produzioni a più alto valore aggiunto in comparti quali la chimica, l’elettronica di precisione, l’informatica, i servizi tecnologici avanzati, le cosiddette “industrie verdi” e le fonti energetiche rinnovabili. Da rilanciare inoltre un turismo di alta qualità e di potente richiamo internazionale. Naturalmente, va sostenuto il made in Italy della moda, dell’enogastronomia e dell’artigianato, settori che tuttavia non basterebbero mai, da soli, a farci competere con le economie emergenti. Dall’altro lato, è indispensabile dotare l’Italia di infrastrutture e trasporti che giustifichino lo sviluppo e gli investimenti, con nuove reti materiali e immateriali. Autostrade più grandi, collegamenti ferroviari ad alta velocità, un trasporto aereo nazionale efficiente e sano, porti e aeroporti in grado di trasformare i nostri scali in veri e propri HUB del mercato euro-asiatico. Ma sono necessarie anche reti di trasmissione-dati ad alta e altissima velocità, e la copertura con adsl dei tanti Comuni che in Italia ancora non ne sono raggiunti. Una informatizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione sono condizioni di base per aprire le porte allo sviluppo e un volano per l’informatizzazione dell’intera società civile (imprese e cittadini). Infine, siamo a favore di una massiccia e autentica liberalizzazione di mercati primari per l’economia italiana (energia, comunicazioni, trasporti, servizi pubblici locali). Tutto questo, mentre un debito mostruoso e la crisi finanziaria mettono a repentaglio la tenuta economica dello Stato e il futuro delle nuove generazioni, che dovranno pagare prezzi enormi per le spese folli del passato. Rifiutiamo proposte demagogiche quali la riduzione fine a sé stessa dell’imposizione fiscale. Per quanto riguarda le nuove imprese e in particolare l’imprenditoria giovanile e femminile, sosteniamo con forza la necessità di interventi che non siano di facciata o irrilevanti (come microcrediti di poche migliaia di euro, che andrebbero bene in Paesi poverissimi) bensì radicali e realmente motivanti: per esempio, la predisposizione di un Fondo di Garanzia per i giovani neo-imprenditori e dei relativi accordi con il sistema bancario, affinché le nuove generazioni siano incoraggiate e facilitate nell’ottenimento del credito per la creazione d’impresa. Inoltre, sarebbero decisivi gli esoneri dai minimi contributivi Inps (spesso delle autentiche “strozzature” per le giovani start-up commerciali). In generale, vorremmo il Ministero dell’Economia e della Gioventù, in uno.

Siamo consapevoli che buona parte dei ragionamenti sulla flessibilità/precarietà/dualità del lavoro non si risolvono senza sanare e trasformare il sistema produttivo, che ne costituisce la base. Senza buone imprese, non c’è buon lavoro. Tuttavia, ci sono state anche una serie di mancate scelte a favore o, peggio, di scelte prese contro la categoria dei più giovani e precari. Si può fare qualcosa, in Italia, malgrado le difficoltà economiche di fondo. In primo luogo, non riservando alle sole nuove generazioni lo status di “flessibili”, facendo scelte politiche di condivisione inter-generazionale della elasticità lavorativa. Siamo per il contratto unico di lavoro.

In secondo luogo, ponendo le basi per un sistema di welfare più moderno, “delle opportunità”, che consenta ai giovani di non restare stagisti a vita, di mettere a frutto con nuove formazioni professionali i momenti di stand-by lavorativo, di reggere al contraccolpo rappresentato da una improvvisa perdita del reddito. A questo, aggiungiamo una constatazione preoccupante: più della metà dei giovani precari risulta oggi al servizio della Pubblica Amministrazione, dove invece resistono – come testimoniano innumerevoli e seri studi – importanti sacche di personale improduttivo e inamovibile, di età sicuramente più avanzata. Un ulteriore aspetto di ingiustificata penalizzazione dei giovani lavoratori è la progressiva dequalificazione del lavoro, con stipendi troppo bassi e una strisciante proletarizzazione del ceto medio italiano di domani (generazione 1000 euro).

Infine, i contributi alla famiglia: assegni, deduzioni, detrazioni e servizi (come asili nido) che, sul modello tedesco, diano ossigeno e prospettive ai giovani nella creazione di nuovi nuclei familiari con figli, per tornare ad una crescente natalità, per superare la crisi di progettualità e di futuro delle nostre generazioni. In buona parte, tutti questi punti possono e devono essere affrontati con politiche che distribuiscano in maniera più equa gli sforzi tra i vari strati della “società anagrafica” italiana.

Constatiamo con preoccupazione come una valanga di centinaia e centinaia di miliardi di euro si prepari a travolgere il sistema pensionistico italiano, nei prossimi anni. Questo denaro, che dovrà essere pagato in toto da chi oggi ha meno di 40 anni, rischia di innescare una grave crisi economica e sociale nel Paese. Le nostre generazioni dovranno farsi carico del mantenimento dei più anziani con proporzioni di spesa che porteranno molti milioni di persone, ora giovani, verso livelli di vera e propria povertà. Per questo vogliamo l’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, uguale per uomini e donne.

Per non impedire il ricambio generazionale e tuttavia fare i conti con la più elevata età di abbandono del lavoro, serve poi una profonda riflessione sulle soluzioni da applicare alla “ageing society” (la società che invecchia): soluzioni che consentano di mantenere il contributo produttivo dei più anziani, insieme favorendo l’assunzione di responsabilità e la qualificazione professionale dei più giovani.

Appoggiamo l’idea di una ragionata e generalizzata (ma non ottusa) apertura dei mercati e degli accessi alle professioni, con il passaggio dagli Ordini alle associazioni. In Italia, ai fini di tutelare e “blindare” le condizioni sociali ed economiche di determinate categorie professionali, si è arrivati alla creazione di vere e proprie caste, dannose se si vogliono professionisti più giovani e meglio preparati. Siamo inoltre a favore della superamento del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli.

Introdurre criteri meritocratici sostanziali nelle Università italiane, premiando le ricerche di maggior valore e superando inutili baronati, è uno dei nostri obiettivi principali. La creazione di un Fondo per l’Innovazione ad hoc, come si vuole realizzare su scala globale ad opera della Banca Mondiale e dell’ONU nei confronti della ricerca pubblica/privata, sembra un’idea applicabile anche al microcosmo nazionale italiano. Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche che costituiscono un punto strategico per la presenza italiana nel panorama mondiale.

Crediamo nel progetto di Stati Uniti d’Europa, condividendo la visione di un federalismo verso l’alto che consenta agli Stati membri di mantenere le proprie differenze e peculiarità, oltre che una propria autonomia istituzionale e un’identità culturale forte ma aperta all’integrazione tra popoli di diverse origini. Sosteniamo la necessità di una conformazione europea poliarchica più vicina ai cittadini-elettori, con l’accentuazione dei caratteri democratici nella scelta dei rappresentanti e nell’esercizio dei compiti di governo. Siamo a favore di una UE dotata di personalità unitaria e ben definita nelle materie di politica estera, energetica e commerciale internazionale.

Contestiamo ogni forma di estremismo, sia esso di tipo religioso, culturale, politico. Sostiene inoltre fermamente il valore imprescindibile della laicità degli Stati. Non può quindi che disapprovare fenomeni di violenza politica e di integralismo, ovunque questi si verifichino. Quanto all’immigrazione in Italia, crediamo necessaria un’integrazione che non sacrifichi i diritti umani e le diversità culturali di origine, ma nemmeno rifiuti i principi di osservanza della legalità e di rispetto delle culture ospitanti. Alcune persone, poi, non possono essere considerate “ospiti”: è inaccettabile che molti giovani italiani, seconde generazioni figlie di immigrati, non abbiano la cittadinanza malgrado siano, spesso, persino più italiani di noi per cultura, esperienza e aspirazioni personali.

Non siamo per l’anti-politica. Siamo per un nuovo ruolo forte dei partiti politici, anziché per il loro definitivo superamento. L’attuale configurazione dei partiti italiani – più simili a comitati elettorali dominati da piccole elites – è però inefficiente e non garantisce a queste fondamentali organizzazioni di svolgere la loro essenziale funzione di tramiti rappresentativi tra la cittadinanza e l’amministrazione politica. Il riferimento al “metodo democratico”, inserito nella Costituzione all’articolo 49, ha dimostrato d’essere eccessivamente blando e generico: bisogna fissare le regole di funzionamento interno dei partiti con maggiore precisione, come accade per esempio in Spagna e Germania, a livello costituzionale o almeno legislativo ordinario. Pensiamo per esempio a una regolazione attenta delle primarie e alle tutele delle pari opportunità. Solo in questo modo, con strutture di partito realmente contendibili e in grado di formare, selezionare e dare occasioni di emersione ai soggetti più capaci, si potrà tornare a parlare di “ricambio di classe dirigente”, paroloni altrimenti vuoti e da salotto.

La democraticità dei meccanismi interni di partito consentirebbe inoltre di evitare discriminazioni sulla mera base delle disponibilità economiche o della fama degli attori politici, mettendo anche i più giovani – solitamente meno “attrezzati” – nelle condizioni di competere e di raccogliere consensi, a tutto vantaggio della democrazia. Siamo contro un sistema non meritocratico di pure cooptazioni. Riteniamo necessario che – soprattutto in un periodo in cui la lontananza dei cittadini dalla politica è ai massimi – sia ridata agli elettori la possibilità di scegliere il proprio candidato. Sosteniamo la necessità di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale alla tedesca (con sbarramento al 5%) o maggioritario alla francese (con doppio turno). Entrambe queste soluzioni consentirebbero una più efficace governabilità del Paese, riducendo la presenza e il peso delle forze troppo piccole o estreme.

Quanto detto a proposito dei sistemi di democraticità interna dei partiti, logicamente, ci porta a non volere meccanismi quali le quote-rosa o le quote-giovani: trucchi inutili se in presenza di partiti sani, solidi e rappresentativi. Un’analoga analisi, con le medesime premesse sulla “salute” dei partiti, va fatta circa le preferenze: siamo per la loro reintroduzione, ma richiamiamo l’attenzione sul fatto che spesso l’espressione di preferenze verso singoli nomi, nelle liste e specialmente con circoscrizioni troppo grandi, non va a vantaggio dei candidati con meno mezzi materiali, premiando invece in molti casi gli investimenti economici più ingenti e i legami clientelari. Per questo, servono controlli e una maggiore trasparenza sull’operato dei candidati e degli eletti.

Crediamo nella somma validità dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, ma non pensiamo che questa sia intangibile e irriformabile a tutti i costi, laddove ciò avvenga in modo responsabile e senza stravolgimenti. Questo significa disapprovare le modifiche fatte a colpi di maggioranza, ma anche insistere affinché si creino le condizioni per una revisione della Costituzione il più possibile armonica, partecipata e condivisa: attraverso l’istituzione di un’Assemblea Costituente, che permetta di riscrivere le regole del gioco senza strappi e con animo politico costruttivo. Un’Assemblea alla quale contribuiscano anche i rappresentanti delle categorie finora escluse dal dibattito politico, rinnovando così quello spirito costituente e quel sentimento di impegno civile che furono alla base della nascita repubblicana. Siamo convinti che la Carta, con le dovute prudenze, possa e debba essere integrata anche nella sua prima parte, quella dei princìpi, adeguandola alle nuove esigenze della modernità; quanto agli assetti amministrativi dello Stato, non ci convince un federalismo moltiplicatore di costi, anzi appoggiamo l’idea di eliminare enti e strutture inutili (ad esempio le Province) e di snellire lo Stato burocratico a favore di una più sensata integrazione verso l’alto, trovandoci nel contesto europeo e confrontandoci con le problematiche causate dalla globalizzazione.

Siamo l’Italia di chi vuole innovare; di chi non ha paura del diverso, consapevole che è nella diversità che prende forma l’evoluzione. Oggi siamo noi a sentirci diversi, estranei ad un sistema in cui non ci possiamo più riconoscere, ostile al merito e alla libera iniziativa.Noi Outsider ci stiamo riunendo per provare a cambiare, per riprenderci quello spazio individuale che appartiene solo a noi e alle generazioni che ci seguiranno. Siamo stanchi di farci umiliare assistendo al teatrino quotidiano del nulla, assuefatti dall’arte retorica dei suoi attori ed emissari. Non vogliamo vivere con il rimorso verso i nostri figli e nipoti, verso noi stessi, il rimorso di chi ha solo subito. Forse falliremo, ma sarà comunque un successo averci provato mentre tutto sembrava addormentato, scontato, rassegnato. Un successo per chi ama il nostro Paese, per chi vuole costruire un’Italia aperta, prosperosa, di cittadini liberi.

Ora, Lei è in procinto di diventare il nostro Presidente del Consiglio, alla guida di un Governo di solidarietà nazionale che potrà veramente trasformare a fondo l’Italia. In Lei e nella responsabilità del Parlamento, noi Outsider riponiamo oggi molte speranze. Il momento è drammatico, non ci deluda, deluderebbe il futuro di questo magnifico, creativo, ferito Paese.

Gianpiero Alaimo (Dirigente d’azienda), Fabio Giuseppe Angelini (Avvocato), Paolo Balboni (Avvocato), Marco Bertolotto (Medico), Armando Biondi (Imprenditore), Luca Bolognini (Avvocato), Stefano Brustia (Avvocato), Daniele Catteddu (Dirigente), Sandro Cotellessa (Impiegato), Francesco Dagnino (Avvocato), Marco De Amicis (Funzionario ONG), Annamaria De Michele (Avvocato), Piercamillo Falasca (Economista), Marco Ferraro (Funzionario europeo), Guglielmo Forgeschi (Medico), Valentina Gavioli (Avvocato), Michele Gerace (Giurista), Fred Kuwornu (Regista), Lorenzo Lo Basso (Giornalista), Francesco Lucà (Dottore Commercialista), Simone Maccaferri (Funzionario di banca), Caterina Mannacio Soderini (Impiegata), Sara Marcozzi (Avvocato), Luigi Massa (Avvocato), Simona Nalin (Assistente Parlamentare), Flavio Notari (Economista), Alessandro Olmo (Avvocato), Pietro Paganini (Docente universitario), Gianfranco Passalacqua (Avvocato), Marco Piana (Private equity), Antonio Picasso (Giornalista), Massimo Preziuso (Ingegnere), Roberto Race (Giornalista), Morena Ragone (Giurista), Giuseppe Ragusa (Docente universitario), Stefano Rampinini (Imprenditore), Alessandro Rapisarda (Consulente del Lavoro), Roberto Ruggiero (Impiegato), Lucio Scudiero (Giurista), Fabiana Tenerelli (Imprenditrice), Valerio Togni (Economista), Marco Toia (Odontoiatra), Alessandro Tuffu (Imprenditore), Marco Villa (Venture capitalist) – e gli altri cittadini del www.partitodeglioutsider.it

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