Significativamente Oltre

Monti

Per una carta di intenti a Frosinone

La Consulta provinciale, organismo di rappresentanza della Rete Indipendente “ Nuove idee nei territori” sta effettuando incontri nella realtà locale ciociara con lo spirito di attivare democraticamente la costruzione di un nuovo soggetto che garantisca il più ampio ascolto e confronto. Partiamo dall’ottimizzazione della filiera delle risorse sociali e delle idee presenti sul territorio locale per superare la dimensione della singola entità partitica paradigma, oggi, di sentimenti di indignazione e astensionismo da parte del popolo tradito da una cattiva politica impastata di abusi, malaffare e sopraffazione. La Rete nasce un anno fa e il suo progetto è in progress: “una testa un voto” base del principio di responsabilità individuale e contemporaneamente di un processo di partecipazione diffusa e collettiva dei cittadini ai processi decisionali locali, nazionali e transnazionali la caratterizza. La Rete Indipendente segue un percorso, imprescindibile ed alternativo, di democrazia partecipativa e di riconquista della cultura politica all’interno dei Comuni e dei quartieri, nei rioni e nelle piazze, per ridare voce al cittadino, alle donne, ai giovani, alle rappresentanze  del lavoro e delle imprese artigianali e agricole, dei corpi intermedi, dell’associazionismo, del civismo puro nella vita delle amministrazioni e degli enti utili.

La Carta di Intenti è un primo documento di riferimenti, di principi e di valori, volutamente non programmatico. Democrazia – lavoro – beni comuni –uguaglianza sociale-diritti-partecipazione diffusa sono le tappe fondamentali nel processo di costruzione partecipato di questo nuovo soggetto. L’impegno a promuovere incontri, creare momenti partecipativi e occasioni di confronto fondate sul radicamento attivo nei territori per una mobilitazione diffusa e connessa, per la creazione di una mappa di bisogni che non imponga esclusività di appartenenze segmenta il percorso politico avviato.

Il tema della rappresentanza politica è parte fondante del programma della Rete. In questa dimensione è auspicabile la nascita di liste attive di cittadinanza politica a partire dai Comuni della Provincia ciociara e come avvenuto per le amministrative 2012 di Frosinone in affiancamento alla candidatura a Sindaco Indipendente della Prof.ssa Giuseppina Bonaviri riferimento politico di questo progetto di governance innovativa.

Una ricetta per uscire dalla crisi

di Francesco Grillo su Il Mattino

La tempesta perfetta che avrebbe dovuto seppellire definitivamente l’Euro è per il momento scongiurata. Persino, spread e mercati finanziari si sono presi una vacanza rispetto a mesi di turbolenze. Tuttavia, proprio mentre le nuvole più minacciose si sono in questi giorni allontanate, altre si stanno formando proprio in Germania: praticamente tutta la politica tedesca  – dall’opposizione socialdemocratica alla CDU che guida la coalizione al governo – viene unita dalla preoccupazione per il costo eccessivo che il salvataggio dei Paesi più indebitati avrebbe sulle finanze tedesche e dalla diffidenza nei confronti di Mario Draghi, accusato di aver messo nella pancia della Banca Centrale Europea troppi titoli di Stato tossici.

La coperta dell’EURO continua ad essere corta: se la tiri per coprire una periferia in difficoltà, rischi di creare problemi ulteriori al centro. La sensazione è che se non inventiamo qualcosa per cambiare completamente le regole del gioco, ricominceremo subito dopo le vacanze a ballare tutti insieme sull’orlo del precipizio.

L’Estate sarebbe potuta servire proprio a questo: approfittare della pausa per far riunire in qualche eremo tutti i maggiori protagonisti politici della crisi e chiunque abbia idee sufficientemente ragionevoli ed ambiziose, per costruire un piano – non solo sull’EURO ma sull’Unione – che abbia una prospettiva di lungo periodo, ma che sia capace di indicare anche azioni in grado di ottenere risultati immediati. Ci vorrebbe visione e pragmatismo ed invece da troppo tempo viviamo di decisioni prese in emergenza i cui tempi sono costantemente troppo lunghi per convincere i mercati e troppo brevi per coinvolgere le opinioni pubbliche.

Le componenti del piano dovrebbero essere due.

Nel brevissimo periodo, bisognerà definire – in maniera molto chiara e definitiva – un patto complessivo che riesca a combinare l’esigenza di comprare tempo agli Stati in difficoltà senza imporgli ricette predefinite o punizioni che rischiano di aggravarne la malattia con la necessità di minimizzare il costo che il salvataggio ha sugli altri Stati.

Ciò significa stabilire diversi dettagli fondamentali che – tra un vertice ed un altro – devono essere sfuggiti ai capi di governo europei troppo impegnati a stabilire di chi fosse la colpa della situazione nella quale ci troviamo: Chi governa – deve essere uno solo e deve già averne oggi le competenze – il meccanismo di stabilizzazione? A quali condizioni si può accedere al supporto e che tipo di richieste possono essere fatte allo Stato salvato? Che tipo di aiuti si possono concedere, con quali risorse e fino a che limite? Va previsto un meccanismo di uscita o “espulsione” dall’Euro – a mio avviso, assolutamente sì altrimenti la nostra religiosa attitudine nei confronti della inviolabilità della moneta unica continuerà ad arricchire gli speculatori – se gli accordi non sono rispettati?

Tra i “dettagli” c’è anche quello di realizzare quanto più velocemente è possibile una omogeneizzazione dei criteri con i quali gli Stati contabilizzano il proprio debito ed i propri deficit, nascondendo spesso ingenti passività: succede non solo in Grecia, ma anche in Italia con i debiti commerciali della PA . Se non lo facciamo subito continueremo a lavorare su carte truccate.

Da lanciare subito, però, c’è anche una seconda azione di più lungo periodo che non è finanziaria ma completamente politica.

Invocare, oggi, che dall’alto qualcuno deliberi la nascita degli Stati Uniti d’Europa, laddove abbiamo perso dieci anni a scrivere un trattato di Lisbona che – secondo Giuliano Amato che ne fu uno dei alcuni dei principali ispiratori – è così complicato proprio per renderne impossibile la lettura da parte dei cittadini europei, significa davvero mettersi  nella stessa pericolosissima situazione di una coppia in crisi che decide di fare un figlio per provare a risolvere il problema.

E, tuttavia, da subito se è vero che prima o poi ad una maggiore integrazione dobbiamo arrivare per rendere davvero “irreversibile” l’Euro, dovremmo cominciare a lavorare su progetti che rendano più europee opinioni pubbliche che, al contrario, si stanno sempre più ritirando nei propri enclave locali.

Per rendere più forte l’Euro e l’Europa, vale forse di più una proposta come quella di usare i soldi della politica agricola comune per rendere obbligatorio un semestre di studio all’estero per tutti gli studenti europei di scuola superiore e dell’Università, che l’istituzione di un unico rappresentante di una impossibile politica estera europea.

Visione per cominciare a pensare dove vogliamo essere tra dieci anni. E pragmatismo per riuscire però a dare risposte concrete in tempi brevi. Sono i due fattori che fanno, del resto, la leadership. Quella merce rarissima che ha consentito all’Europa di nascere dopo una guerra disastrosa e di cui l’Europa ha adesso un bisogno assoluto per poter sopravvivere rinnovando profondamente i propri caratteri.

R-innovamenti montiani a Ferragosto?

 di Massimo Preziuso su L’Unità

Mentre gli italiani hanno provato a godersi il 15 di Agosto più duro dal dopoguerra – alcuni sotto gli ombrelloni, molti tra le mura domestiche – tante cose accadono in questo caldo mese in Italia.

Sembrava che tutto dovesse implodere, attorno alle parole di Mario Draghi dopo il Board della BCE, invece qualche barlume di speranza inizia ad apparire alla nostra vista.

Un dato su tutti: i famosi e ormai noiosi “spread” viaggiano lentamente ma in discesa con il differenziale tra BTP e Bund decennali verso la soglia dei 400 (oggi a 420) punti base. Sembra dunque che la BCE stia intervenendo in nostro sostegno e che i nostri titoli di stato siano giudicati ora meno a rischio di qualche settimana fa.

Secondo molti analisti, con spread tra i 300 e 400 punti base il debito pubblico italiano (che ancora continua a crescere vero i 2000 miliardi di euro!) ritorna a vivere sonni leggermente più tranquilli (a quei valori ad esempio l’Italia potrebbe dire un secco no all’adesione “controllata” al cosiddetto scudo anti-spread) per qualche mese.

Probabile che a quella soglia ci arriveremo entro il mese di Agosto e allora al Governo Monti sarà offerta l’ultima chance per completare questa esperienza di Governo tecnico con un giudizio complessivo positivo.

L’occasione consisterà nella possibilità di affrontare (senza scuse) lo spinoso e finora (ad esso) sconosciuto tema della crescita economica (ovvero di come si possa fermare quello che sembra un inesorabile declino dell’economia italiana, tra de-industrializzazioni e perdita di competitività nei settori tradizionali, assenza di investimenti privati e finanziamenti bancari, licenziamenti di massa nel pubblico e nel privato, assoluta inesistenza di politiche per la ricerca e l’innovazione, drammi ambientali nella grande industria).

Proprio oggi – sarà un caso forse – Monti ha parlato della volontà di alleggerire le aliquote IRPEF entro ottobre. Sarà vero? Speriamo. Lo potrà fare con le risorse liberate da un minore pagamento di interessi? Lo vedremo.

E’ chiaro comunque che al punto in cui siamo arrivati – ”messa in sicurezza” la finanza pubblica attraverso tassazione sui ceti medio-bassi, avviato un percorso (si spera selettivo) di tagli alla spesa pubblica che rischia di dare una ulteriore spinta recessiva,  fatte alcune riforme sul tema del lavoro e delle pensioni che rischiano di aumentare ulteriormente la precarietà e la disoccupazione – solo con il riavvio dei consumi (attraverso de-tassazione e crescita economica) si può frenare questa tremenda emorragia (si parla ormai di una tendenza naturale verso un PIL 2012 al -3%, che va anche oltre le previsioni di inizio anno dei cosiddetti “pessimisti”).

Sembra anche chiaro che il tema delle dis-missioni (svendite) di patrimonio (immobiliare e mobiliare) pubblico, così come impostato dal Ministro Grilli, oggi non abbia alcun senso: si tratterebbe di alleggerire ulteriormente l’ossatura economica-patrimoniale-industriale del Paese.

Hanno senso semmai iniziative che facciano “leva” sul patrimonio pubblico per alleggerire lo stock di debito pubblico e liberare così risorse da destinare a “cantieri per la crescita”.

Si parla da più parti della costituzioni di fondi immobiliari pubblici quotati che possano poi emettere debito “di qualità” da utilizzare come sopra. Quella sarebbe una buona strada. Ancora migliore se a tali fondi (finanziari) si associasse una attività reale (economica) che potesse agire da volano per il rilancio dei consumi sui territori.

Come Innovatori Europei, nei primi mesi del Governo Monti, insieme al gruppo SOS Rinnovabili  – con la partecipazione di molti cittadini – scrivemmo un “Manifesto per le Rinnovabili“, che proponeva anche la nascita di tali fondi immobiliari (potenzialmente replicabili a livello regionale) che “efficentassero – valorizzassero immobili pubblici” attraverso la leva della “ristrutturazione energetica” (efficientamento energetico, produzione energetica da fonti rinnovabili) ma anche ”edilizia” per una loro successiva quotazione ed emissione di obbligazioni “pregiate”.

Questo per fare un esempio, ma già solo la riduzione delle aliquote IRPEF e la nascita di questi “fondi immobiliari – energetici” darebbe il segno del cambio di passo del governo dei Professori e porterebbe seri e tangibili segnali di ripresa nel breve periodo. E’ proprio di azioni come queste che il Paese aveva bisogno l’anno scorso per evitare questa recessione a “doppia V” e di cui oggi ha ancora bisogno per evitare una lunga “depressione economica”.

La riduzione del debito pubblico

di Pierluigi Sorti

E’ diventato una specie di sport nazionale degli ultimi giorni, quello di cimentarsi su ipotesi di possibili modalità di rientro del nostro debito nazionale .

Un debito che, nell’ ultimo  aggiornamenti, ha superato il livello di 1970 miliardi di euro e , correlato al Pil nazionale, lambisce il coefficiente del 125 %.

Una cifra imponente che consolida negativamente il nostro paese  nella primissima fascia della graduatoria dei paesi  in assoluto più indebitati del mondo e,  in rapporto al Pil nazionale, preceduto dal solo Giappone e dalla Grecia.

Un quadro complessivo che, finalmente, nonostante a tutti ben noto da più di un ventennio, sembra aver risvegliato la sensibilità ufficiale,  immersa soprattutto nella diatriba sulla controversa possibilità del ricorso ai vari meccanismi di protezione concepiti, ma non ancora operanti, nell’ ambito della zona euro.

Il che significa dover affrontare il toro per le corna, con l’ abbandonare cioè ogni considerazione essenzialmente finalizzata a fronteggiare l’ indebitamento secondo il percorso tradizionale dell’ assunzione di nuovi debiti per fronteggiare quelli vecchi, nel facile quadro, ora con l’ euro non più praticabile, di una politica finanziaria basata sul costante ricorso all’ inflazione.

Con l’ auspicio che l’ assunzione del presupposto della diminuzione del debito non comporti alcuna distrazione dalla riduzione della spesa pubblica, o “spending review”,  è inevitabile l’ annotazione di un elemento aggiuntivo e di un paradosso .

L’ elemento aggiuntivo coinvolge la politica della spesa, la cui contabilità non è di competenza della Stato Centrale, ma attinente a tutti gli Enti pubblici, regioni,  province,  comuni  e  altri minori centri pubblici  di spesa , l’ ammontare dei cui indebitamenti sono di difficile aggiornamento contabile : a cominciare dal comune di Roma, capitale d’ Italia .

Il paradosso  sta invece nella constatazione che non pochi  protagonisti mediatici di queste ipotesi di intervento sul debito pubblico, hanno avuto incarichi politici importanti in periodi in cui il nostro debito pubblico ha registrato i suoi aumenti più tumultuosi .

E’ scritto nelle stelle italiche il sempiterno prevalere  dei comportamenti  gattopardeschi ?

Nasce la consulta provinciale di “Nuove idee nei territori” a Frosinone

La Consulta provinciale, organismo di rappresentanza della Rete Indipendente “ Nuove idee nei territori” sta effettuando incontri nella realtà locale ciociara con lo spirito di attivare democraticamente la costruzione di un nuovo soggetto che garantisca il più ampio ascolto e confronto.

Partiamo dall’ottimizzazione della filiera delle risorse sociali e delle idee presenti sul territorio locale per superare la dimensione della singola entità partitica paradigma, oggi, di sentimenti di indignazione e astensionismo da parte del popolo tradito da una cattiva politica impastata di abusi, malaffare e sopraffazione.

La Rete nasce un anno fa e il suo progetto è in progress: “una testa un voto” base del principio di responsabilità individuale e contemporaneamente di un processo di partecipazione diffusa e collettiva dei cittadini ai processi decisionali locali, nazionali e transnazionali la caratterizza.

La Rete Indipendente segue un percorso, imprescindibile ed alternativo, di democrazia partecipativa e di riconquista della cultura politica all’interno dei Comuni e dei quartieri, nei rioni e nelle piazze, per ridare voce al cittadino, alle donne, ai giovani, alle rappresentanze  del lavoro e delle imprese artigianali e agricole, dei corpi intermedi, dell’associazionismo, del civismo puro nella vita delle amministrazioni e degli enti utili.

La Carta di Intenti è un primo documento di riferimenti, di principi e di valori, volutamente non programmatico. Democrazia – lavoro – beni comuni –uguaglianza sociale-diritti-partecipazione diffusa sono le tappe fondamentali nel processo di costruzione partecipato di questo nuovo soggetto. L’impegno a promuovere incontri, creare momenti partecipativi e occasioni di confronto fondate sul radicamento attivo nei territori per una mobilitazione diffusa e connessa, per la creazione di una mappa di bisogni che non imponga esclusività di appartenenze segmenta il percorso politico avviato.

Il tema della rappresentanza politica è parte fondante del programma della Rete. In questa dimensione è auspicabile la nascita di liste attive di cittadinanza politica a partire dai Comuni della Provincia ciociara e come avvenuto per le amministrative 2012 di Frosinone in affiancamento alla candidatura a Sindaco Indipendente della Prof.ssa Giuseppina Bonaviri riferimento politico di questo progetto di governance innovativa.

Alla fine del tunnel?

  di Francesco Grillo (su Il Mattino)

Le parole sono, come macigni. Soprattutto quelle pronunciate dai leader politici europei e dai dirigenti delle più importanti istituzioni internazionali, in un momento di volatilità alta come quello che i Paesi dell’Euro vivono sui mercati internazionali. Ed è comprensibile che il nostro Presidente del Consiglio cerchi di sfruttare l’abbrivio creato dalle affermazioni rassicuranti di Mario Draghi, invocando un ulteriore sforzo da parte di tutti perché “siamo quasi fuori dal tunnel”.

Quelle di Monti sono ovviamente parole sensate: servono per preparare un bilancio positivo per un governo tecnico rispetto al quale è saggio ritenere che un qualsiasi prossimo governo politico dovrà cercare una continuità; e servono per allontanare di qualche ulteriore centimetro un punto di non ritorno oltre il quale perderemmo il controllo della crisi. Esiste, però, nelle parole di Monti anche un rischio: quello di  ritenere che il peggio sia passato, che forse ancora una volta il sistema ha retto e che possiamo andare in vacanza con la convinzione che presto potremo tornare alle antiche abitudini.

Del resto, pochissime ore dopo le parole di Draghi, il governo ha già dovuto subire un assalto che ha parecchio depotenziato la revisione della spesa e, in parte, compromesso il piccolo ma significativo risultato di aver ridotto il numero delle province.

Se passasse questa convinzione di ritorno alla normalità, lasceremmo intatte le ragioni della crisi ed essa sarebbe destinata a ripresentarsi ancora più grande ed irreversibile tra qualche settimana.

In effetti, anche se capiamo le ragioni di Monti, siamo lontanissimi dalla fine del tunnel. O perlomeno ne siamo assai distanti se decidiamo, una volta e per tutte, che il problema da risolvere non è solo o tanto quello di uno spread che comunque rimane vicino ai 500 punti, ma di rimuovere gli ostacoli che impediscono  alla società italiana di poter essere più produttiva e più giusta.

La realtà dell’Italia è, in fin dei conti, piuttosto semplice da raccontare. Non ha semplicemente futuro, giusto per fare uno degli esempi più eclatanti, un Paese che spende in pensioni duecentotrentasette miliardi di euro all’anno che sono una cifra quattro volte superiore a quella (cinquantatre miliardi) che viene impiegata per la scuola e per l’università di ogni ordine e grado.

E il livello di ingiustizia sociale cresce ulteriormente se si considera che nonostante una spesa così elevata, nessun altro Paese europeo ha quasi il quindici per cento di anziani sotto la soglia di povertà. Molti dei quali, in questi giorni torridi, sono lasciati languire a casa da soli con quattrocento euro di pensione al mese. E non ha prospettiva una società che si permette il lusso di fare a meno di due milioni e mezzo di giovani – un quarto dei dieci milioni di italiani in età compresa tra i quindici e i trenta anni – che sono fuori sia dal mondo del lavoro che da quello della formazione. Non è neppure immaginabile che stia per uscire dal tunnel un Paese che non riesce a trattenere più della metà dei laureati con centodieci e lode e che attrae nelle proprie università dagli altri paesi europei un numero di studenti tre volte inferiore a quello della Spagna.

Sono problemi strutturali quelli che fanno dell’Italia e, in misura inferiore, dell’Europa nel suo complesso, una società che contemporaneamente riesce ad ottenere il minimo di efficienza e il massimo di ingiustizia. Un sistema che ha costruito una sorta di piramide rovesciata che, spesso, premia gli incapaci e mortifica il talento. E non piacerebbe sia a chi lo volesse osservare dal punto di vista di una autentica destra liberale sia da quello di una sinistra davvero sensibile alle diseguaglianze. Un Paese che non solo non cresce ma che rischia anche di non riuscire a stare più insieme. Nonostante gli appelli energici di un Presidente della Repubblica che è stato in questi anni l’unico punto di riferimento.

Non siamo alla fine del tunnel e l’opera appena intrapresa dal Governo Monti ha bisogno di molto più tempo, coraggio, energia politica per scalfire “diritti acquisiti” e corporazioni che continuano a litigare per difendere la propria fetta di una torta che sta per sparire.

Il tunnel dal quale dobbiamo uscire è quello della foresta pietrificata, di un’economia e di una società che può cominciare a crescere – non solo in termini di ricchezza prodotta, ma di idee, qualità della vita – solo se mette pesantemente in discussione equilibri di potere che hanno esaurito da tempo qualsiasi ragione d’essere.

In questo senso ha ancora ragione la Merkel ma anche Draghi: la crescita di cui abbiamo bisogno deve essere vera e per essere duratura può solo venire da riforme che spostino risorse pubbliche e private verso utilizzi più produttivi. Questa deve essere, assolutamente, la contropartita di un qualsiasi intervento finanziario che altrimenti rischia di annacquare quelle responsabilità con le quali Stati e opinioni pubbliche devono fare i conti.

Vita dura per gli artisti in Italia

di Mario Di Gioia

Molti diritti ai lavoratori del settore vengono ancora negati, ad esempio il diritto ad avere una legge adeguata di tutela del lavoro nel comparto, che personalmente ritengo più importante dell’economia del nostro paese. Vanno create le condizioni per garantire una rappresentanza Parlamentare adeguata che si occupi in modo continuativo delsettore e che prenda in considerazione investimenti sempre più consistenti per uscire in breve dal tunnel della crisi che, per l’Italia, passa necessariamente attraverso l’incremento del turismo utilizzando la cultura, lo spettacolo,l’arte, la musica e gli artisti italiani. Una necessaria riflessione che rinviamo, rinnovando il nostro appello a tuttele Istituzioni, anzitutto alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato che, hanno l’obbligo di approvare la proposta di legge di lavoro nello spettacolo alla quale abbiamo più volte assicurato il nostro contributo di proposte e di sostegno politico.

Dall’ANSA l’articolo che segue

La cultura ”frutta” al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, e da’ lavoro a unmilione e 400 mila persone, il 5,6% del totale degli occupati in Italia, piu’del settore primario o del comparto della meccanica. E’ quanto emerge dal Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia,”L’Italia che verra”’ elaborato da Symbola e Unioncamere, presentato venerdìscorso a Treia (Macerata), durante la prima giornata del seminario estivo dellafondazione. Se si allarga lo sguardo dalle imprese che producono cultura insenso stretto – industrie culturali e creative, patrimonio storico-artistico earchitettonico, performing art e arti visive – a tutta la ‘filiera dellacultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura, il valore aggiunto prodottoschizza al 15% totale dell’economia nazionale e impiega ben 4 milioni e mezzodi persone, il 18,1% degli occupati totali. Sacrificata spesso sull’altaredella riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra non solo di poter’sfamare’ il Paese, ma di ‘far mangiare’ gia’ oggi quasi un quinto deglioccupati italiani. I risultati dello studio, il primo a quantificare il pesodella cultura nell’economia nazionale – spiegano Symbola e Unioncamere -”smentiscono chi la descrive come un settore non strategico e rivolto alpassato, e la inquadrano invece come fattore trainante e di rilancio per moltaparte dell’economia italiana, una delle leve per ridare ossigeno ad un Paesemesso a dura prova dalla perdurante crisi”. Nel quadriennio 2007-2011, la crescita nominale del valore aggiunto delleimprese del settore culturale e’ stata dello 0,9% annuo, più del doppiorispetto all’economia italiana nel suo complesso (+0,4% annuo). Un dato che siriflette anche sulla caparbia tenuta occupazionale del comparto: nello stessoperiodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello 0,8% annuo, a frontedella flessione dello 0,4% annuo subita a livello complessivo. E ancora, ilsaldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2011 ha registrato unattivo per 20,3 miliardi di euro che ha permesso alla cultura di contribuirealla ripresa, seppur contenuta, del Pil tra il 2010 e la prima parte del 2011. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava -24,6 miliardi.L’export di cultura vale oltre 38 miliardi di euro e rappresenta il 10% deltotale complessivo nazionale. L’import e’ pari a 17,8 miliardi di euro ecostituisce il 4,4% del totale. Interessante anche la capacità attrattiva dellacultura sul turismo: la componente attivata dalle industrie culturali e’quantificabile nel 33,6% del totale della spesa turistica sul territorionazionale, 23,3 miliardi di euro. Il rapporto Unioncamere e Fondazione Symbola e’ stato realizzato con lasupervisione del prof. Pierluigi Sacco e con il coinvolgimento di oltre 20esperti per individuare le esperienze piu’ avanzate e le tendenze emergenti diogni settore. Secondo Ermete Realacci, presidente di Symbola, ”l’Italia devefare l’Italia. Bisogna fronteggiare la crisi, senza lasciare indietro nessuno,ma risanando l’economia. La cultura e’ l’infrastruttura immaterialefondamentale di questa sfida”. Per il presidente di Unioncamere FerruccioDardanello, si sta affermando ”un nuovo modello di sviluppo in cui e’crescente l’interesse verso la valenza strategica della cultura e dellacreativita’ quali fattori decisivi per una nuova politica dell’innovazione,della qualita’, del benessere e della sostenibilita”’.

R-innovamenti Bersaniani necessari, adesso!

di Massimo Preziuso su L’Unità

Come volevasi dimostrare già a novembre 2011, ci avviciniamo alla Grecia anche noi, inaspettatamente (allora) anche “grazie” a questo governo, che ha dato il colpo finale a un Paese già in ginocchio, paralizzandolo completamente nella sua “vita reale”.

Alcuni dati di queste ore, su tutti:

– obbligo di ferie forzate – per tutto il mese di Agosto – richiesto ai dipendenti di moltissime aziende italiane,

– debito pubblico cresciuto al livello record (nonostante 10 mesi di pura azione anti-debito),

– totale blocco delle assunzioni, a tutti i livelli, in Italia (mentre aumentano massicci i piani di licenziamenti nelle primarie aziende e banche) con un paio di generazioni già oggi fuori da qualunque futuro lavorativo.

Si abbia ora tutti (media per primi) il coraggio di dire prima di tutto questo, smettendola di difendere la mitologia di un “Super Monti” soprattutto dopo che oggi, dopo una due giorni infernale nei mercati per l’Italia, se ne esce con un imbarazzante: “situazione difficile, puntare su economia reale”.

I partiti politici, fino ad ora, lo hanno solo velatamente e a tratti criticato, per poi correggere subito dopo il tiro, per paura di essere attaccati da media e cittadini (si, anche noi!).

Ora la Politica deve fare un passo avanti, o non lo farà mai più.

Per primo il Partito Democratico, che deve accelerare sui tempi decisionali e (provare, rischiando, a) prendere la guida del Paese, da adesso, aldilà di quando si andrà a votare.

Bersani indichi subito e senza timori la data delle primarie e convochi (dopo) i “partners” con cui vuole  condividere un percorso politico e programmatico.

Aprirà così una nuova stagione, grazie a quelle enormi energie potenziali presenti nel Paese, che si metterebbero in gioco con lui, e che oggi invece rischiano di andare in “corto circuito” per sempre.

Non c’è più tempo da perdere, pena ritrovarci con un Monti Bis in una Italia irriconoscibile e in “stato di guerra”, già a cominciare da Ottobre – Dicembre prossimi.

Questo perchè è ormai chiaro a tutti che il Paese è attaccato per due motivi, prima ancora che per il Debito Pubblico (che c’è sempre stato e sempre ci sarà, seppure in maniera un po’ più ridotta): la assenza di un futuro politico delineato (nella continua tentazione, forse ormai distrutta da fatti così netti, verso una “grande coalizione Montiana”) e la inattitudine dell’attuale Governo ad affrontare il tema della crescita, in un periodo di conclamata recessione.

Non è possibile stare a guardare il Paese affondare. E per il Partito Democratico è davvero ora di smetterla con la “strategia” e le “grandi questioni” e di cominciare a proporre semplicimente la propria visione per il futuro di un’Italia – lasciata allo sbaraglio dal Governo dello spread – che ha bisogno da subito di almeno un minimo di normalità.

Forza, Bersani, ora tocca a Te!

Il discorso di Zingaretti, candidato sindaco della Capitale

di Pierluigi Sorti

Addì 16 luglio 2012 , in  quel di Trastevere, nella piazza di S. Cosimato, Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, ha lanciato il suo guanto di sfida per la conquista della poltrona di Sindaco di Roma Capitale.

Lo ha fatto con efficacia, dipanando il film di quello che sarà il suo vademecum di candidato a una carica che, almeno nella storia recente, è stata assai avara di gratificazione per chi  ha voluto interpretarla come propedeutica a progressi successivi nella politica nazionale.

Zingaretti,  consapevole o meno di questa circostanza, si è astenuto dall’enumerare attraenti traguardi,  rivolgendosi ai cittadini romani non per sedurli con promesse ma per chiedere il loro contributo , impegnandosi, non senza solennità,  ad ascoltarli  per affrontare unitariamente lo stato deprimente in cui ormai Roma è costretta a specchiarsi.

I cittadini hanno colto tale proposito come la via  obbligata per uscire dalla loro rassegnazione e ritrovare la strada maestra delle tradizioni più autentiche della loro città.

Il silenzio della sua allocuzione sui  tanti problemi che assillano Roma, di imponenza tale da tracimare facilmente in senso di impotenza, può facilmente essere perdonato, se non del tutto giustificato, data l’ ufficialità della dichiarazione della sua candidatura.

Dicasi questo in relazione ai pendenti problemi della nettezza urbana, alla crisi permanente della mobilità, ai piani urbanistici e alla colossale e tuttora incerta voragine debitoria del bilancio capitolino, peraltro di  non facile leggibilità anche dal punto di vista di un rapporto della Corte dei Conti di quasi tre anni or sono.

Ma il suo appello sulla necessità preliminare di ascoltare la gente, della irrinunciabilità della trasparenza politica, del metodo della verifica dei risultati, in sintesi della politica come servizio e non come privilegio,   non poteva non suscitare nella mente degli ascoltatori, la comparazione e le analogie con gli aforismi che hanno marcato tanti fenomeni, antichi e recenti, di movimentismo spontaneo.

Sono ben impressi nella più avvertita coscienza collettiva,la memoria recente dei girotondi, del popolo viola e, nella fase attuale, la evidente progressione, anche elettorale, del fenomeno del movimento di Grillo, depurabile o meno delle sue insidiose venature demagogiche.

Con la differenza, tuttavia, a favore di Zingaretti, di un solido presupposto che può conferire, a priori, maggiore credibilità alle sue parole : quello di poter vantare, ai suoi fianchi, la risorsa di un partito (ancora) organizzato che, con  le asserzioni menzionate, presenta, almeno teoricamente, innegabili attinenze.

La riuscita di Nicola ha un duplice e obbligato percorso da effettuare: la fermezza personale del mantenimento dei suoi propositi e , quale inderogabile e più problematica condizione, un diverso e più emancipato rapporto con il suo partito, nella convinzione che a nessuno può appartenere l’ esclusiva di una politica riformista.

Per le idee e gli uomini che sceglierà a coadiuvarlo, voglia e possa, Zingaretti, superare ogni reticenza sulle contraddizioni del Pd, inducendolo, in sede non solo romana, a modificare le troppe linee di condotta che, nei pochi anni della sua esistenza, hanno deluso, ampiamente e non poche volte, la pubblica opinione : come dimostrano gli oltre tre milioni e mezzo di elettori persi in un quadriennio.

Le sciarade di Alemanno e Zingaretti

 di Pierluigi Sorti

Anche reputando ormai poco verosimile l’ ipotesi di uno scioglimento anticipato del parlamento, appena trascorso il periodo estivo, il mondo politico italiano entrerà progressivamente nel clima elettorale.

Ma a Roma questo clima si arroventerà assai più velocemente perché, in concomitanza con le assise  politiche nazionali, anche il Campidoglio, sede simbolica e fattuale della città metropolitana di Roma Capitale, ospiterà la nuova assemblea e il Sindaco eletti dai romani per gestire il quinquennio “2013 -2018”.

Nella previsione corrente i due concorrenti che si contenderanno alla fine tale incarico hanno entrambi il volto già noto, sul piano nazionale, di Gianni Alemanno, sindaco in carica ,  e di Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma,  che,  in questo torrido scorcio preferiale , giocano le loro prime credenziali.

Alemanno, poche sere or sono, invitato televisivamente a definire il suo maggiore successo coma sindaco della capitale, non ha esitato a identificarlo, nella delimitazione delle conseguenze del fallimentare bilancio ricevuto in eredità dall’ amministrazione Veltroni.

Zingaretti, dal canto suo, fa presumere di voler caratterizzare la sua immagine di candidato sindaco, con una proposta urbanistica nuova consistente nella rigorosa denegazione del consumo di territorio, specie dell’ agro romano,  per nuove iniziative edilizie, attività alle quali il rivale Alemanno appare invece particolarmente proteso.

Il paradosso che ne consegue vede entrambi i candidati alle prese con un incrocio di curiose contraddizioni cui altri eventuali candidati minori, concorrenti alla carica, o l’ acribia dei giornalisti, potranno agevolmente sottolineare.

Potrebbe essere richiesto ad Alemanno il motivo di tanto ritardo nella denuncia del deficit della città, in considerazione specifica della sua duplice funzione di sindaco e di commissario al bilancio ai cui relativi doveri, almeno apparentemente, ha omesso di ottemperare, dall’ inizio del suo mandato, per renderne pubbliche le coordinate essenziali e illustrarne i ritenuti possibili rimedi .

A Zingaretti, specularmente, potrebbe essere chiesto di spiegare il silenzio con cui, pressoché con tutto il Pd, di cui da tempo è stato dirigente romano e nazionale, ha condiviso ( ed esaltato ) la faraonica impostazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 2008, ultima fatica del sindaco Veltroni.

Quel piano regolatore, precisamente, che assurse a ideale colonna portante del celebre “modello Roma”     ( ora dimenticato ) ,  che prevedeva un volume fabbricativo di oltre 60 milioni di metri cubi, con i connessi “diritti compensativi” e “accordi di programma”  , a maggior gloria e intraprendenza degli immobiliaristi dell’ urbe.

Forse, per queste contraddizioni, Roma ha meritato davvero di essere gratificata del nuovo titolo di Capitale della Nazione.

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