Significativamente Oltre

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Alla nostra energia ci pensi Iddio!

di Andrea Bonzanni su Lo Spazio della Politica

Sono passati solo tre mesi dal referendum abrogativo sul nucleare ma sembrano secoli. Gli studi televisivi e le pagine dei giornali di quei giorni, croce e delizia di noi geeks dell’energia, non ci sono più. I discorsi sopra i massimi sistemi (energetici) si fanno al massimo in qualche convegno. Vox populi vox dei, è vero. E il popolo il suo verdetto l’ha dato. Ma i temi sollevati in quei giorni, al netto delle tirate di Celentano e soci, non possono essere seppelliti da una croce su una scheda elettorale e dall’abrogazione di un paio di commi di un decreto-legge.

Bocciata dalla volontà popolare la discutibile opzione nucleare, continuare con il business as usual non è tra le possibilità da annoverare. Vi sono impegni vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 che l’Italia, in quanto membro dell’Unione Europea, ha sottoscritto e deve rispettare. Vero è che a noi questi obiettivi non sono mai piaciuti: la voce grossa di Stefania Prestigiacomo al Consiglio europeo dei ministri dell’ambiente nel 2008 è stata una delle ultime battaglie italiane in seno alle istituzioni europee. I Polacchi, orgogliosi delle loro miniere di carbone, ci sono anche venuti dietro, ma gli altri hanno preso una strada diversa e con buona pace dobbiamo adeguarci.

Gli obiettivi per il 2020 saranno raggiunti più per cause contingenti che per meriti della nostra politica energetica. La caduta e stagnazione del PIL, cui la domanda di energia è fortemente correlata, ci dovrebbe permettere di ridurre le emissioni di CO2 del 20%. La quota del 20% di fabbisogno energetico coperta da energie rinnovabili sarà composta per oltre la metà da centrali idroelettriche, vale a dire da investimenti in larga parte realizzati dalla buona vecchia ENEL pubblica, più o meno nel neolitico.

Ce la siamo cavati, verrebbe da dire. Ma non basta. L’Unione Europea, cui certo non mancano ambizione e visione di lungo periodo, ha rilanciato e proposto una riduzione delle emissioni di CO2 tra l’80% e il 95% nel 2050. Un gruppo di 15 esperti sta preparando una Roadmap con scenari e opzioni su come raggiungere l’obiettivo. La pubblicazione del documento è prevista per la fine di novembre, poi inizierà il lungo e intricato iter legislativo europeo.

La battaglia delle idee e degli interessi è già cominciata. Nucleare, rinnovabili, gas naturale e carbone, soli o « puliti » da tecnologie di cattura e sequestro del carbonio sono ai blocchi di partenza, con i loro pregi e difetti, simpatizzanti e nemici, paesi, industrie e partiti di riferimento.Anche a livello nazionale le posizioni sono ben definite: la Germania industriale spinge forte sull’innovazione tecnologica sperando che il resto d’Europa compri tecnologia tedesca. La Gran Bretagna dei commercianti e dei finanzieri punta sulle interconnessioni e mira ad esportare l’eolico del Mare del Nord verso il continente. La Francia con il nucleare è grossomodo a posto così. La Polonia fa blocco e ambisce a ergersi alla testa di un gruppetto di scettici centro-orientali per strappare qualche concessione, magari sul budget 2014-2020 in corso di discussione.

L’Italia è assente ingiustificato. La totale latitanza di un paese fondatore, quarta economia dell’UE, da un dibattito di tale rilevanza rispecchia la debolezza e l’isolamento di cui ahimè soffriamo nell’Europa di oggi. Ma se nel 2050 l’attuale governo, i suoi ministri e (quasi) tutti i parlamentari non ci saranno più, ci sarà ancora un paese che godrà o piangerà delle politiche adottate in questi mesi. Nel settore energetico si parla di foresight e lock-in : le decisioni prese oggi avranno un impatto sui prossimi 20, 30 e 40 anni.

Sarebbe facile prendersela solo con il governo che non governa, che pure ha le sue gravi colpe. Ma su questi temi, una mancanza di progettualità è dovuta anche alla scarsa qualità del dibattito pubblico, che si limita a slogan ad effetto e posizioni a priori senza risolvere certi nodi chiave.

Siamo disposti a sussidiare fonti rinnovabili, accettandone l’impatto sul bilancio pubblico o sui prezzi in bolletta? OK, ma i cittadini contribuenti e consumatori devono esserne informati, evitiamo pasticci alla Quarto Conto Energia.

Crediamo che alcune di queste tecnologie siano particolarmente promettenti e valga la pena scommetterci, magari sfruttando qualche vantaggio comparato del Bel Paese?Attenti ai buchi nell’acqua però, e non pensiamo di poter puntare sul manifatturiero, come purtroppo sta avvenendo. Nella nostra economia aperta, queste attività ad alta intensità di lavoro vanno dove il lavoro costa meno, lascio indovinare a voi dove.

Deleghiamo in toto la transizione all’industria elettrica, lasciando ai colossi del settore la responsabilità di prendere decisioni strategiche chiave? Non è uno scandalo, ma non ci si può aspettare beneficienza. È comunque necessario un quadro legislativo serio che fornisca alle imprese chiari incentivi per ridurre le emissioni.

Certo, la crisi, l’euro, la finanziaria, i tagli, la crescita ci tengono occupati e in uno dei più bui periodi di crisi economica e politica nella storia del nostro Paese parlare di reti elettriche e emissioni di CO2 può sembrare futile e un po’ snob. Ma,per dirla con Kissinger, che di strategia due cose ne sapeva, non possiamo trascurare l’importante per occuparci soltanto dell’urgente. Ritorniamo a parlare di questi temi. È importante, e nemmeno troppo poco urgente!

Berlusconi è un lusso che non ci possiamo più permettere

 

Di Massimo Preziuso (pubblicato su Lo Spazio della Politica)

Partiamo da un fatto molto negativo. L’Italia è entrata rapidamente e a pieno titolo nel gruppo dei cosiddetti PIIGS – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, nonostante il Governo e le istituzioni internazionali ci avessero detto in varie occasioni che tale enorme rischio fosse scongiurato, fondamentalmente grazie alle politiche di contenimento del deficit del ministro Tremonti.

Questo perché, dopo tre anni di crisi, l’Italia ha contemporaneamente perso l’occasione storica di ristrutturare il proprio sistema economico e dare slancio ad una economia che nella crisi ha perso un 6% di PIL e si trova oggi ai livelli di ricchezza degli anni’90, con livelli di produttività industriale bassissimi e livelli di consumi in serio affanno, in un Paese che oggi è nei fatti più povero.

Per anni in Italia si parlava della Spagna come un Paese “economicamente inferiore”, a tratti trainato da bolle di crescita speculativa. Ed in effetti, in teoria l’Italia aveva ed ha una struttura economica e finanziaria più robusta di quella spagnola. Eppure, in pochi mesi, queste due economie si trovano mano nella mano nel buio della crisi. E in tutto questo, mentre il premier Zapatero pochi giorni fa si è dimesso per provare ad attenuare le tensioni del mercato spagnolo, ieri il nostro premier Berlusconi ha continuato a sostenere (come più volte durante questi ultimi anni) che il Paese è stabile e forte, che il sistema bancario è a riparo da rischio, che esiste una congiura dei mercati e della politica contro il Sistema Italia e il suo governo. E oggi, mentre i mercati vivevano una giornata pesantissima, ha addirittura invitato chi avesse soldi a comprare le azioni delle sue aziende.

Detto questo, la situazione che viviamo è delicatissima ed è racchiusa bene in alcuni fatti di Borsa.

Dopo il discorso “rassicurante” di ieri del Premier alle Camere, oggi i titoli azionari di tre gruppi fondamentali per l’economia italiana come Fiat, Unicredit e Intesa San Paolo lasciano sul campo intorno al 10%.

L’indice azionario FTSE MIB, dopo essere andato in tilt verso la chiusura per un “problema tecnico”, ha lasciato sul campo circa il 5%.

Negli ultimi sei mesi, un gigante dell’impiantistica come Maire Engineering ha perso il 70% della propria capitalizzazione, mentre nei soli ultimi due il colosso di stato della difesa, Finmeccanica, ne ha perso il 50%.

Il valore totale della Borsa italiana è oggi di circa 442 miliardi di Euro ovvero poco più del valore delle sole Apple e Google messe insieme (che valgono circa 400 miliardi di Euro).

In parallelo a questo, continua la corsa dei rendimenti dei BTP (i titoli pubblici italiani) che oggi raggiungono un differenziale massimo (dall’introduzione dell’euro) indicando quanto difficile e oneroso sia diventato collocarli sul mercato.

Tutto questo fa venire in mente una cosa importante, ovvero che non solo le singole aziende ma il Paese tutto è scalabile.

E quando un intero Paese è scalabile si rischia di perdere indipendenza e sovranità, dopo aver perso credibilità internazionale.

Ed alla fine dei conti, questa brutta situazione ha fondamentalmente a che fare con una questione molto semplice: la assoluta perdita di credibilità del nostro Paese a livello internazionale, che è fortemente data da chi lo governa.

Ma in tutto questo il nostro Premier ha chiaramente detto che il suo Governo va avanti fino al 2013, perché così gli italiani hanno deciso.

Mi chiedo: ce lo possiamo permettere? O è il caso che tutti insieme – politica, parti sociali e società civile – si uniscano per proporre rapidamente una soluzione nuova e sostenibile, che eviti un possibile disastro economico e sociale in Italia?

Oggi il centro-sinistra è di fatto Partito di maggioranza

di Arnaldo De Porti

Ormai da alcune settimane quasi tutti i sondaggi danno le opposizioni  a questo governo in discreto vantaggio rispetto al centro-destra che, se non fosse stato per lo sporco affare del “scilipotismo and co.”, molto probabilmente avrebbe dovuto certificare la sua incapacità a governare presentando le dimissioni al Capo dello Stato già in data 14 dicembre 2010.

Questo non è avvenuto, come tutti sappiamo, però tutti  siamo consapevoli che esso si regge su numeri accalappiati con le leggi del mercato, mentre l’elettorato, impotente, la sta  pensando  in maniera diversa. Come dire: i numeri perché il governo stia in piedi ci sono, anche se risicati, mentre politicamente esso  è già stato fortemente  screditato  dall’elettorato.

 Paolo Flores d’Arcais, noto giornalista e direttore di Micromega, oggi conferma la necessità di votare qualsiasi cosa  pur di far cadere questo governo, sloggiando il Narcisocrate da Palazzo Chigi (sue testuali parole).  Lo stesso giornalista aggiunge che se tutte le opposizioni, avendone i numeri, non lo faranno, esse saranno complici di un regime criminale che sta attuando la devastazione civile. 

Parole forti, ma condivisibili alla luce della esperienza politica  che non cessa nella sola devastazione civile e morale, ma che – giocoforza, – come ho già detto in articoli precedenti – dovrà imporre a breve una manovra finanziaria da “lacrime e sangue” a cui, nel breve termine, ne dovrebbe seguire altra dello stesso ammontare (circa 40 miliardi di Euro ?)

 Senza fare il  “Pierino”, vorrei aggiungermi a Flores d’Arcais  dicendogli che non si può non essere d’accordo con lui. Ma questo accordo non dovrebbe essere subordinato solo a detti numeri (che teoricamente dovrebbero esserci ed anche avanzare), ma al fatto che in questo percorso di liberazione da Berlusconi  non si debba di nuovo incappare in soggetti irresponsabili (al pari dei responsabili di Scilipoti and co. quanto a decenza intellettuale, anche se si sono auto denominati responsabili), come è successo purtroppo attraverso i Mastella ed i Bertinotti che, a suo tempo, fecero cadere il governo. E ciò non già per motivazioni razionalmente politiche, ma per capricci legati a personalismi irresponsabili !

Le conseguenze che loro stanno pagando ora sono poca cosa rispetto a ciò che avrei comminato loro molto pesantemente,  anche perché ciò accadeva proprio in un momento in cui l’Italia strava per diminuire il debito pubblico ed addirittura azzerando l’inflazione.

Gli Italiani dovrebbero ricordare questi vigliacchi avvenimenti o privilegeranno ancora questo governo che sta portando il debito pubblico alle stelle senza alcuna possibilità di ripianarlo, che sta devastando il clima sociale fino alla conflittualità civile, e fra poco alla fame  ?

Sabato 9 Aprile in piazza in tutta Italia contro il Precariato

Mentre la benzina vola verso i 1,6 Euro a litro, il Parlamento lavora giorno e notte attorno ai problemi giudiziari del Premier, la crisi libica e del mediterraneo diventano un mero problema di gestione “alla meglio” di flussi migratori, non esiste  alcuna azione di politica economica ed industriale in corso e, nel contempo, gran parte delle ultime due generazioni di italiani vivono in assenza assoluta di certezze…

…domani, 9 Aprile, è proprio il caso che scendiamo in piazza in tutta Italia contro il Precariato.

Massimo Preziuso

Le 3 crisi

Le 3 crisi

di Massimo Preziuso (pubblicato su Tr3nta.com)

Le 3 crisi – nucleare, mediterranea e tedesca – ed un’unica opportunità per il nostro Paese: la creazione di un asse italo – tedesco.

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali e, nel 2011, questi cambiamenti si sovrappongono rendendo ancora più difficile, per ragioni di complessità e di tempo, pensare a soluzioni. Ma è pur vero che proprio in periodi di grande complessità come questo possono trovarsi grandi e nuove opportunità. In questo caso per il nostro Paese. 

Dico subito dove io ne vedo una: nella creazione di un asse italo – tedesco che, partendo da una proposta comune per una gestione “più diplomatica possibile” della situazione in Libia, possa poi diventare un asse di collaborazione in tutto il Mediterraneo, per gestirne uno sviluppo equilibrato e duraturo, avendo come baricentro delle iniziative il settore chiave dell’energia. E tre sono le crisi che mi fanno pensare a questo: quella del nucleare, quella del  editerraneo e quella, appena cominciata, tedesca.

Nucleare
: con la pesantissima complicatissima crisi creatasi in Giappone dove, passate due settimane da un devastante terremoto, la situazione è altamente seria a causa di danni in una delle centrali nucleari, l’opinione pubblica mondiale si è svegliata, comprendendo ancora meglio che la soluzione nucleare non è la scelta migliore di sostenibilità energetica, e che va quindi profondamente ripensata.

Mediterraneo: con le crisi egiziana, tunisina e libica – e la possibilità non così improbabile che tali situazioni si estendano a breve in altri paesi dell’area mediterranea – si è aperto un enorme ed inaspettato capitolo di politica estera, ed in particolare per l’Unione Europea, sia per motivi di dovuta solidarietà rispetto a paesi che ci sono molto vicini, sia per opportunità e ragionamenti di geopolitica e di interessi commerciali – in particolar modo legati all’approvigionamento energetico.

Germania: legata alle prime due crisi – nucleare e mediterranea – se ne vede una terza, appena cominciata, del colosso tedesco. Proprio oggi il cancelliere Merkel con la sua CDU perdono pesantemente alle regionali in un territorio opulento e fondamentale, il Baden-Wuerttemberg, dove il nuovo governatore sarà espresso – e non è un caso – dal Partito dei verdi. Tutto questo nonostante la Merkel avesse provato ad andare incontro – con una manovra chiaramente  opportunista – alle aumentate esigenze ambientaliste del dopo Giappone, praticamente annullando i programmi tedeschi nel nucleare, e alla volontà della sua gente di tenersi fuori dalla guerra in Libia. Dopo oggi, il governo entra in chiara crisi- Tutto questo mentre, in queste settimane, si è formato un asse anglo – francese nel mediterraneo, che rischia di rosicchiare larghe fette di influenza all’attuale locomotore europeo. Ed un Paese che fino a oggi ha avuto un ruolo di leadership assoluta nelle politiche europee a questo vorrà e dovrà sicuramente reagire.

Ebbene, queste tre crisi – Nucleare, Mediterraneo, Germania – rappresentano una inaspettata opportunità per un Paese, l’Italia, in piena crisi di identità e di potere – in Europa e nel mondo – ed a forte rischio di un accentuato declino – proprio a causa della crisi mediterranea. Infatti, dopo essere stato assente dalla scena internazionale per troppo tempo, nelle prossime ore il nostro Paese potrebbe portare avanti – ed oggi il Ministro Frattini ha annunciato  una proposta comune – un’iniziativa di recupero di forza sulla scena internazionale, appunto strutturando una azione politica (che poi diventi economica ed industriale) comune con la locomotiva tedesca, proprio a partire dalla gestione della crisi libica e mediterranea. E’ chiaro che la Germania ha oggi bisogno di un partner europeo con cui provare a rientrare nella gestione della crisi nell’area mediterranea, ed indirettamente confermare la propria leadership, e che questo può farlo solo con un alleato come l’Italia. Di contro è evidente che l’Italia – alleandosi con il colosso tedesco – potrebbe inaspettatamente trovarsi in ruolo di centralità politica, soprattutto nella auspicabile fase di sviluppo dell’area, successiva al periodo di crisi, che molto probabilmente sarà fortemente legato al tema energetico ed infrastrutturale e potrebbe fortemente basarsi sul paradigma della “green economy”. Ed Italia e Germania, con le loro aziende e capitali, sono già protagonisti nel settore (si veda, tra i tanti altri, il mega – progetto “Desertec”). Aldilà di questi fattori “opportunistici”, sembra altresì evidente che un asse italo – tedesco rappresenti la soluzione migliore per dialogare, in maniera diplomatica e commerciale, con il mondo libico, ma più in generale mediterraneo – per motivi culturali e per ragioni economiche – industriali.E visto che le due potenze europee condividono l’idea che la gestione di una crisi così grande e complicata non possa che incentrarsi sul tema della diplomazia, vi è da auspicare che Italia e Germania si rendano conto di questa opportunità unica, per loro stesse e per il mondo mediterraneo, ed agiscano subito, prima che la crisi da quelle parti si trasformi in un qualcosa di ingestibile ed incontrollato.

E adesso l’Italia agli ingegneri!

 di Massimo Preziuso (pubblicato su Lo Spazio della Politica)

Da giovane ingegnere mi è tornata alla mente una cosa che penso da tempo. Ovvero che, da quando in questo Paese il ruolo degli ingegneri è diventato sempre più marginale nelle imprese pubbliche e private, ma più in generale nella società, il Paese è pian piano diventato incapace di programmare ed attuare progetti ed investimenti di medio – lungo periodo. In questo senso, il caso della repentina e brusca approvazione da parte del governo del Decreto Rinnovabili è di scuola.

Qui si è visto all’opera l’approccio di una classe dirigente culturalmente indifferente alla programmazione, che non capisce che lo sviluppo di un Paese è semplicemente frutto del completamento di un insieme variegato di progetti e programmi possibilmente basati su tecnologie innovative, e che la realizzazione di questi richiede fondamentalmente il poter operare in scenari regolamentari il più possibile certi. Con la approvazione di un Decreto che vuole sostanzialmente annientare l’unica industria in crescita, in maniera anti ciclica, nel nostro paese – quella delle rinnovabili – risulta così ancora di più evidente l’assenza di un approccio manageriale – sistemico (proprio della cultura ingegneristica) allo sviluppo del Paese. Ed è per questo che l’Italia dei talenti imprenditoriali degli ingegneri Olivetti e Mattei è ormai un luogo lontano.

L’assenza dell’ingegnere dalla scena pubblica e privata comincia dalle Università. Basti guardare l’andamento delle iscrizioni negli ultimi venti anni: i giovani – assecondando i messaggi di una società che diceva loro che quel che conta davvero sono le cosiddette “soft skills” e non quelle “hard” – hanno pian piano abbandonato gli studi ingegneristici e si sono diretti verso le facoltà umanistiche (o al massimo ad Economia e Commercio).

Continua nel mondo delle imprese, oggi governate principalmente da professionisti con profili giuridici – economici, che portano con sé nella gestione societaria una logica manageriale di tipo amministrativo e burocratico, proprio oggi che una società complessa, sempre più basata su paradigmi tecnologici di breve durata e rapidissima intensità di crescita, dovrebbe svilupparsi attorno alle competenze tecniche e alla “cultura di progetto”, che un ingegnere più di tutti detiene, per formazione e forma-mentis.

Infine è presente nella politica. Mentre in Cina il potere politico è gestito da ingegneri (tra gli altri, Premier e Vice Premier lo sono) – e forse anche grazie a ciò quell’enorme e complesso Paese è riuscito a pianificare con un programma pluridecennale la crescita di quella che a breve diventerà la prima potenza economica del pianeta – in Italia esso è principalmente gestito da personalità di formazione giuridico – umanistica (il Premier è laureato in legge, il nostro Ministro dell’economia è un commercialista, il Ministro dello Sviluppo Economico ha la licenza liceale).

E’ per tutto questo che auspico a noi tutti che “l’Italia torni agli ingegneri e presto”, pena la fine di questo Paese.

Nota: L’articolo è chiaramente provocatorio, ma vuole mettere in risalto un fatto concreto: l’assenza dalla scena di quelle professionalità di formazione scientifica – che l’ingegnere rappresenta – che potrebbero invece far decollare il Sistema Italia.

8 suggerimenti alla classe dirigente italiana

giovani

di Massimo Preziuso, pubblicato sulla rivista generazionale Tr3nta

Tracciato un quadro generale della situazione giovanile in italia, Massimo Preziuso prova a elencare otto punti su cui la classe dirigente italiana dovrebbe investire a partire già dal prossimo anno.

Siamo alla fine di un altro anno (e di un decennio) difficile per la nostra cara Italia.
Il Paese lentamente continua nella sua fase declinante, e questo lo si vede nell’economia ma soprattutto nei fatti sociali.
Le iniziative del movimento studentesco e gli scontri a Roma di qualche giorno fa – malamente gestiti dalla classe dirigente italiana (professionisti, intellettuali, politici) come un qualcosa di strano, fastidioso e fuori luogo – sono una semplice cartina dello stato dell’arte del Paese.
Siamo giunti ad un momento cruciale.
Le nuove generazioni (gli studenti medi e universitari) unite alle ormai quasi – nuove (i trentenni e quarantenni dalla vita precaria) stanno finalmente dando segnali evidenti alla restante parte del Paese di una situazione che non va più bene nemmeno a loro, che la stanno vivendo da un decennio almeno da protagonisti negativi e passivi.
Va detto che, in questo contesto, vi sono anche altri segnali positivi provenienti dai giovani.
Aumenta ad esempio la spinta verso l’associazionismo e la imprenditorialità.
Mai come in questi anni si vedono ragazzi anche giovanissimi che tornano ad impegnarsi nel volontariato o nella politica, cosa che non accadeva solo dieci anni fa. E questo è un fatto che va colto e sostenuto.
Basta poi girare per LinkedIn e leggere i profili professionali dei trentenni di oggi per capire che rivoluzione silenziosa è in atto: da un lato si torna a scendere in piazza nell’età della formazione, dall’altro si rivede il modo di essere lavoratori nell’epoca della precarietà, ma anche delle variegate opportunità, e si ricercano nuove forme di soddisfazione personale al di fuori dei grandi involucri aziendali.
Tutto questo è semplicemente cambiamento, generato da un momento difficilissimo ancora mascherato dai media e dalla politica.
Ed è su questi germogli di “pacifica rivoluzione generazionale” che bisogna assolutamente e rapidamente fare leva per lasciarci alle spalle un decennio di crisi.
E devono farvi leva soprattutto le classi dirigenti che, risultate incapaci di svolgere il proprio ruolo – “dirigere” la società e la sua parte più energica, i giovani, verso il cambiamento – dovranno almeno ora riuscire ad assecondarne il moto spontaneo.

Ed allora cosa si può consigliare loro?

Scrivo qui una mia semplice “wish-list” in ordine casuale, sperando non risulti per questo banale.

Si può e si deve:

1) Immergersi nei luoghi in cui oggi si discute e si fa nuova cultura ed innovazione: il Web ed i social network;

2) Liberare sempre più l’accesso alla Rete, a cominciare da una seria diffusione libera del collegamento internet in luoghi pubblici, con il Wi-Fi;

3) Aiutare a sviluppare a pieno le iniziative associative di vario tipo che nascono nel Web, soprattutto nel passaggio al “mondo reale”, senza il quale Internet non esplica pienamente il suo enorme potenziale di driver culturale e di innovazione;

4) Sostenere la nascita e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali giovanili mettendo insieme risorse pubbliche e private;

5) Aiutare i giovani ad effettuare esperienze di formazione e lavoro nei paesi dell’Unione Europea, per formarli alla nuova cornice cultuale di riferimento;

6) Sostenere uno sforzo congiunto delle università italiane per avvicinare i giovani al mondo delle professioni fin dai periodi di studio superiore e universitario;

7) Favorire l’accesso dei giovani in politica, a partire dal livello locale, anche attraverso le così tanto vituperate “quote arancio”. Sono certo che la loro migliore conoscenza del mondo presente sia fondamentale nelle istituzioni più della (eventuale) minore esperienza;

8 ) Last but not least, tornare ad insegnare a scuola – rendendola centrale nella formazione del discente – la ormai lontana ma ancora più necessaria, in una società sempre più complessa, “educazione civica”;

Buon lavoro e buon 2011!

ITALIA 2050 – Il libro dell’innovatore europeo Aldo Perotti

214352_copertina_frontcover_icondi Aldo Perotti

“ITALIA 2050  – Qualcuno faccia in modo che questo non accada”, opera che nasce per gioco, sulle pagine di un blog, come raccolta di profezie in libertà,  è terminato. Il mio saggio semiserio sul nostro futuro visto tra quarant’anni è in stampa ed acquistabile su Ilmiolibro.it
E’ una raccolta di boutade, di voli pindarici, ma vuole – nel paradosso –  spingere alla riflessione.
Sarà il periodo, l’approssimarsi del 150° anniversario dell’unità d’Italia, ma il pensiero, l’idea, che tutto possa cambiare ed essere rimesso in discussione tornando in qualche modo indietro nel tempo, mi è sembrato trovasse continue conferme nella cronaca e nella politica.
L’idea è stata dunque quella di raccontare,  fingendomi a scrivere nel 2050, l’Italia che verrà,  sotto forma di breve riassunto della storia italica della prima metà del XXI secolo,  partendo  dalla ormai prossima riforma federale  e proseguendo  poi nel racconto di fatti ed episodi destinati a stravolgere la nostra penisola se  – in una serie di sfortunati eventi  – la storia dovesse volgere al peggio.
E’ stata dura coordinare delle idee in libertà costruendo un minimo di senso logico ma alla fine sono riuscito a mettere su qualcosa di abbastanza convincente.
Nessuno di quelli che lo hanno letto (i miei correttori, suggeritori, che ringrazio vivissimamente) mi è sembrato troppo dispiaciuto o distrutto dallo sforzo.
Nessuno troppo entusiasta ma nemmeno scocciato. Ho ricevuto anche qualche apprezzamento spero non dettato dal buon cuore.
Il testo è arricchito e supportato  da alcuni disegni, immagini e citazioni. Le carte sono state particolarmente apprezzate e c’è nel testo qualche trovata simpatica come sempre avviene quando uno volutamente esagera.

Per gli Innovatori Europei è consultabile una versione digitale del libro. Per chi fosse interessato, infoinnovatorieuropei@gmail.com

Una frase da cui partire e discutere: “They need executors, they don’t need thinkers”

TIME.com

 

Una frase semplice ma completa ce la dice un giovane italiano nell’articolo del TIME di oggi (che vi allego, http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,2024136,00.html), che parla dell’esodo ormai irreversbile di talenti e meno talenti verso l’estero.

La frase è questa: “They need executors, they don’t need thinkers”

Nella loro semplicità, queste poche parole dicono tutto. Parlano di un sistema, da sempre familistico e di prossimità, che si proietta nel mondo del lavoro e delle relazioni. Raccontano di una cittadinanza piena di paure verso tutto ciò che è diverso dalla propria idea di normalità (in questo caso il talento del giovane, ma si potrebbe parlare dell’estro e della ritrovata sicurezza della donna, della voglia di fare dello straniero). Tutte quelle cose che ci bloccano da anni e ci stanno portando ad una irreversibile decadenza.

Ed è secondo me proprio su questa “paura”, che forse è stata amplificata dal sistema di potere mediatico degli ultimi anni, ma che è di certo qualcosa che ci portiamo dietro per cultura da generazioni, che bisogna discutere per provare poi a dare suggerimenti ad una classe dirigente, che sembra sempre piu’ smarrita ed impotente rispetto a questo lento ma continuo “morire” del Bel Paese.

Ed allora mi viene da farvi una domanda: come si sblocca la “paura del diverso” in questo Paese? Come ci si può abituare ad “aprire le porte e le opportunità” a chi oggi ci fa paura (giovani, donne, stranieri..)?

Sperando di non aver detto cose troppo ovvie, ne vogliamo discutere almeno tra noi?

Ciao,

Massimo Preziuso

infoinnovatorieuropei@gmail.com

La morte dei cervelli – 2

cervello

di Massimo Preziuso

Fa paura notare come in una Europa in cui il tasso di disoccupazione, in alcuni casi, è raddoppiato in un solo anno, non ci siano rivoluzioni (sociali ed economiche) in corso, né si riescano ad immaginare. C’è invece una Europa che si chiude invece di lottare. Una Europa rassegnata, che ha paura di tornare ad essere innovativa ed all’avanguardia, come la storia ci ha detto. Mentre i paesi emergenti ci aggrediscono con un cocktail di ricerca, innovazione e voglia di futuro, l’Europa si arrocca. Mentre lì lo sviluppo è guidato dai giovani e dalle donne, nel nostro Paese, l’Italia, si continua a tacciare di “stupidità” coloro i quali continuano a dire che è dai giovani e dalle donne che bisogna partire.

L’Italia del 2010 fa davvero paura. E’una Italia di assuefazione alla crisi e alla decadenza. Ed il brutto è che questa verità non la si dice, a tutti i livelli. Non solo nelle TV, ormai divenute “silenziatori dello stato sociale”, ma soprattutto tra le tante associazioni e movimenti – che solo qualche anno fa ruggivano di entusiasmo, nei dibattiti da strada, tra giovani e meno giovani.

Ed è questo il dato “crudo” da cui partire, se si vuole provare a svegliare un Paese ormai immobilizzato. Partire dall’analizzare il perché i nostri cervelli si sono quasi spenti in questi ultimi anni. Facile sarebbe descrivere i motori di questo avvitamento con alcune parole – crisi, berlusconismo,  gerontocrazia, familismo, assenza di meritocrazia – ma ciò non basterebbe.

Bisognerebbe invece analizzare se e come gli italiani abbiano ereditato o sviluppato “comportamenti” che non gli permettono di fare “rivoluzioni” e di opporsi a periodi brutti come questi, vivendoli invece passivamente. E una volta fatta questa analisi, cercare di capire come sia possibile alzare quel tasso di innovazione – rivoluzione che oggi è pericolosamente basso e quando c’è difficilmente ha modo di venire a galla.

Contemporaneamente occorrerebbe capire come, se possibile, riattivare i cervelli, ridare energie, stimolare idee, in un Paese che altrimenti fatalmente muore.

Perché, mentre il Paese si avvia linearmente a vivere a “livelli energetici inferiori”, ci si permette di vedere i nostri cervelli morire?

Non la stiamo rischiando davvero grossa, questa volta?

Non bisognerebbe portare questo macro tema all’attenzione della politica, e di noi stessi, che sembriamo davvero indifferenti a ciò?

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