Significativamente Oltre

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R-innovamenti secondo Bankitalia

 

 

 

 

 

 

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

 

Torno da una bella mattinata passata al Quirinale, dove il Centro Studi Arel ha organizzato un dibattito incentrato sul tema “Giovani senza futuro?“, titolo di un libro scritto da più mani rappresentative del mondo giovanile, e curato da Dell’Aringa e Treu.

Stranamente la mattinata non mi ha colpito per i pure interessanti interventi della ampia rappresentanza del mondo dei giovani invitati a dibattere con il Presidente Napolitano.

Nemmeno per l’ottimo Presidente – di cui da tempo apprezzo la carica di umanità e capacità di analisi storica e del presente – nonostante la bellissima frase di chiusura della giornata (“Se le porte e le finestre le trovate chiuse, cercate di spalancarle, io non ho altre ricette da suggerirvi”).

Mi ha invece colpito enormemente ascoltare, senza avere la possibilità di criticarlo per nemmeno un istante, il nuovo Governatore della Bankitalia, Ignazio Visco.

Fino ad oggi ne avevo letto solo sui giornali e consociuto per il forte curriculum professionale, ma non avevo mai avuto modo di approfondirne lo spessore politico.

Nemmeno da un altro grande Governatore come Mario Draghi avevo mai ricevuto una sintesi così stimolante di rappresentazione della complessità e della novità che la nostra società vive e si trova a dover rapidamente affrontare.

Mai prima avevo sentito una figura istituzionale denunciare chiaramente l’analfabetismo proprio delle classi dirigenti attuali (i non giovani) rispetto alla complessità attuale (che i giovani molto meglio conoscono), che è riassunta nella Rete Internet (ma non solo), traducendo in maniera semplice concetti complessi come quello di “(in) adattamento funzionale” di un Paese come il nostro (da questo punto di vista ai livelli più bassi tra i Paesi avanzati).

Mai una figura di questo livello proporre ai giovani laureati italiani uno scambio tra maggiori livelli salariali e un’aumentata flessibilità dei contratti, prendendo spunto dai mercati del lavoro più dinamici e competitivi.

Oggi posso dire di aver ascoltato e conosciuto una altissima figura istituzionale calata perfettamente nell’Italia del 2012.

E’ anche grazie a scoperte come queste che ci si sente fieri comunque di vivere in Italia.

R-innovamenti italiani 2013

R-innovamenti italiani 2013 (di Massimo Preziuso su L’Unità)

Si può dire quel che si vuole, ma un primo rinnovamento italiano, domenica e lunedì scorsi, in Italia c’è stato eccome.

A prima vista, i cambiamenti avvenuti possono anche sembrare modesti, ma a guardar bene, l’Italia che esce dal primo turno delle elezioni amministrative è in nuce già una Italia rinnovata.

Vediamo in sintesi perchè:

– Il Movimento Cinque Stelle è ora il principale virus di sana società civile entrato nel sistema immunitario ormai davvero senza forze del sistema partitico italiano, e farà da apripista a numerose iniziative civiche alle elezioni politiche del 2013.

– Le tante liste civiche scese in campo nella battaglia amministrativa, insieme ai partiti tradizionali o da indipendenti, sono in molti casi risultate più forti delle liste con sigla partitica, e questo è un dato altrettanto forte.

– Il PDL e la Lega sono già da annoverare come esperienze politiche passate: dovranno cambiare ragione sociale e sigla presto, travolte ormai da enormi problematiche interne e da questa lunghissima crisi economica nei fatti generata dal loro inattivismo politico e resa oggi così esasperata ed esasperante dalla (in) azione dell’attuale governo tecnico.

– Il PD – unico partito politico in Italia (dopo che l’eventuale alternativa ad esso – il Terzo Polo – è già stata rapidamente archiviata il giorno stesso in cui doveva nascere, per bocca del leader Casini) – è nei fatti ancora incapace di sperimentare un cambiamento sostanziale e rimane a difendere una “posizione dominante”: si comporta infatti come un grande operatore industriale che opera in un mercato protetto, in cui però presto arriverà una naturale ondata di “liberalizzazioni” e di “aperture” che rischia di travolgerlo. Lo si è visto nella scelta dei candidati sindaco in varie città di Italia, dove ha prevalso una assurda continuità (che poi lo ha penalizzato), nonostante il vento di innovazione, che ormai sta sfondando le porte di Italia e di Europa.

In tutto questo quadro politico, ci avviamo ormai verso quell’ #annozero2013 italiano di cui scrivo da tempo, e che proprio oggi la Commissione Europea certifica intravedendo addirittura la necessità di una ulteriore manovra finanziaria per 8 miliardi di euro in un contesto di rapporto deficit/Pil 2012 a -2% e 2013 a -1,1% nel 2013, nonostante il pregresso di sacrifici e di austerità imposta ai cittadini nei mesi scorsi.

E’ proprio per questo travagliato quadro politico ed economico che ci si aspetta grandi cambiamenti nei prossimi 12 mesi che ci porteranno alle elezioni politiche.

La domanda che ci si pone è: ce la farà il Partito Democratico a diventare, dopo 5 anni di avviamento, quel naturale attrattore delle tante energie distribuite nel BelPaese, fuori dalle istituzioni, che comunque porteranno avanti questa rivoluzione all’italiana? Oppure queste tante energie nuove si aggregheranno intorno a Beppe Grillo o a nuovi leader che prenderanno rapidamente la scena, imponendosi come forza di “distruzione creativa” italiana?

E’ ormai attorno a questa domanda – e alla risposta ad essa – che ci giochiamo il futuro del Paese: nell’ #Italiannozero2013 appunto.

 

Elezione Hollande in Francia interessa l’Italia e la UE

di Gianni Pittella (su www.trentamag.com )

 

Il nostro paese deve guardare con grande attenzione al primo turno delle elezioni presidenziali che si terranno domani in Francia. Lo dico non per un interesse politico di parte, ma perche’ la Francia, l’Europa e l’Italia hanno bisogno che il socialista Francois Hollande sia eletto il prossimo 6 maggio Presidente della Repubblica francese.

E’ un sentimento che so essere condiviso anche da molti esponenti italiani di centrodestra e il motivo è chiaro: la Presidenza Sarkozy ha contribuito ad indebolire i valori europei in nome di una visione fragile e confusa dell’Europa. Troppo spesso ha seguito passivamente le indicazioni di Angela Merkel, costringendo l’Europa ad un’austerita’ forzata che deprime l’economia. L’Europa di Sarkozy e’ l’Europa della crisi senza fine, della disoccupazione di massa, dell’impotenza della politica di fronte alle forze finanziarie. Con Francois Hollande e’ possibile voltare pagina e ridare fiato all’Europa della crescita, dell’occupazione e dello sviluppo.

Per sostenere la crescita di lungo periodo e’ fondamentale riprendere lo spirito della lettera che 12 governi, tra cui l’Italia, hanno inviato in febbraio a Barroso e Van Rompuy: bisogna completare il mercato interno per sostenere la crescita di lungo periodo superando le strozzature che oggi esistono nel mercato unico. Il completamento del mercato interno consentira’ non solo una maggiore crescita ma permettera’ anche di superare quelle asimmetrie macroeconomiche che oggi minano la zona euro. Mi riferisco all’esistenza di un dualismo economico tra un blocco germanico economicamente centrale e prospero e una periferia mediterranea, fragile e deindustrializzata.

E’ necessario andare oltre l’austerita’ imposta dal Fiscal Compact, come sostengono i socialisti francesi, il nostro gruppo S&D al Parlamento di Strasburgo e tutti i partiti nazionali aderenti alla grande famiglia del Partito socialista europeo.

Il capo-economista del Fmi, Olivier Blanchard, ha giustamente parlato di una schizofrenia dei mercati finanziari: non si puo’ infatti chiedere allo stesso tempo una maggiore austerita’ assieme a una maggiore crescita, come certi operatori finanziari stanno facendo. Con l’austerita’ fine a se stessa infatti non si crea crescita, ma recessione. I conti pubblici vanno certamente risanati, ma solo nuovi investimenti destinati a sollecitare la crescita dell’economia garantiranno la sostenibilita’ delle nostre finanze pubbliche. Per questo vincolare la nostra capacita’ espansiva introducendo il pareggio di bilancio addirittura nella Costituzione e ratificare il Fiscal Compact senza modifiche e’ un errore. Migliorarlo non e’ solo una scelta giusta ma e’ anche un atto di realismo politico legato ai futuri, probabili, equilibri politici europei. Se davvero Francois Hollande sara’ eletto presidente della Repubblica in Francia, la Francia chiederà un miglioramento di questo patto in modo da ricalibrarlo in senso piu’ favorevole alla crescita. Il Fiscal Compact sara’ quindi ridiscusso e l’Italia deve riposizionarsi su questi temi sin da ora”.

Nel breve periodo, di fronte al disordine dei mercati, dobbiamo ottenere che la Bce giochi appieno il suo ruolo, utilizzando efficacemente gli strumenti di politica monetaria. Deve essere riattivato il Securities Markets Programme per dare ossigeno alle finanze pubbliche dei paesi in difficolta’, continuare ad attuare politiche monetarie non convenzionali, per fornire liquidita’ al sistema bancario e produttivo. I tassi di interesse di riferimento vanno ridotti per sostenere gli investimenti e contrastare la stagnazione economica.

Manifesto: Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili

Lo spread ci opprime. Ma il sole può salvarci

La crisi – ma anche la possibilità di afferrare la coda di una sorprendente fase tecnologica, economica, sociale e dunque tutta politica – è la molla che ci riporta in campo. Siamo una comunità di imprenditori, tecnici, scienziati, studiosi, professionisti e soprattutto di cittadini, che abitano il presente e vogliono esserne parte.

Vogliamo quindi credere che il nuovo governo ritenga utile confrontarsi anche con noi per rafforzare l’impegno a tirare fuori dalla crisi il nostro paese,  a partire da una valorizzazione esplicita delle energie rinnovabili. In questo ambito il Made in Italy può riversarsi nel Made in Europe per ritrovare un primato dentro le difficili sfide della globalizzazione. 

I tre grandi mercati energetici – Nord America, Europa e Asia Pacifico (India, Cina, Oceania) – consumano oggi il 78% del petrolio e dispongono solo del 10% delle riserve. Così per il gas, consumano il 61% e hanno l’85% delle riserve. Per  il carbone le percentuali sono l’88% ed il 35%.  In tutto ciò, mentre le emissioni di CO2 crescono del 1,2% annuo,  nei paesi in via di sviluppo la crescita è del 2,8%. Se la Cina e l’india avessero le emissioni pro capite del Giappone la concentrazione di CO2 nell’atmosfera aumenterebbe del 40%.

Bisogna cambiare,  ma nessuno sembra volerlo realmente.  Anzi, abbiamo assistito a scelte cervellotiche e autolesionistiche: si  è voluto, più che tagliare , rendere precaria e ingestibile l’intera politica degli incentivi  alle fonti energetiche rinnovabili, mettendo l’Italia in contrasto con gli indirizzi europei ed esponendo il paese a nuovi contenziosi e a prevedibili sanzioni.

Entro il 2020, in base al PAN (Piano di Azione Nazionale),  presentato dal Ministero dello sviluppo economico  nella primavera scorsa, dovremo produrre da fonti rinnovabili più di 105 miliardi di kWh/anno in energia elettrica, ma occorre tenere presente che nel 2005 ne abbiamo prodotti per soli 56 miliardi. Si prevede di triplicare la produzione di energia termica (caldo/freddo) e moltiplicare di sette volte la produzione di biocarburanti. Si prevede di contenere i nostri consumi di energia primaria ai livelli attuali, pari a 131 milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio).

Per arrivare a questi obiettivi, il settore richiede di rimuovere gli attuali ostacoli di tipo burocratico/autorizzativo e relativi allo sviluppo della rete elettrica, che impediscono la certezza e la stabilità delle prospettive di investimento nel settore.

Non vogliamo andare all’assalto di ipotetiche diligenze pubbliche. Chiediamo l’inverso: rigore e coerenza. Chiediamo al nuovo governo un Piano di Azione Nazionale coordinato ed efficace sia sotto l’aspetto normativo e fiscale, sia riguardo le azioni delle amministrazioni locali e delle Regioni nonché dell’Europa.

Dare  la giusta importanza alla filiera delle energie rinnovabili significa inoltre agire in contemporanea su molti settori produttivi (edilizia, impiantistica, componenti meccanici ed elettronici, materiali, tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e su molte tipologie di operatori (PMI e grandi imprese industriali, professionisti e tecnici, servizi finanziari, ricerca e sviluppo, cooperazione internazionale). Un programma di sviluppo deciso in questa direzione, ben coordinato e correttamente incentivato, porterebbe ad un coinvolgimento veramente pervasivo di tutti i fattori produttivi sul territorio.

Infine, vogliamo abbassare i costi finali di produzione ed incrementare l’efficienza. Vogliamo ripristinare il buon senso.  Ad esempio: se è vero che oggi la Germania produce dieci volte l’energia fotovoltaica che produciamo noi “Paese del Sole”  va detto che, in presenza di una competizione tra Sistemi Paese “normali”, essa non sarebbe in grado di reggere la competizione con paesi mediterranei come Portogallo, Spagna, Italia, Grecia. E invece oggi, non solo la regge, ma incredibilmente la domina.

La Germania ci mostra come si può pianificare la riconquista di un primato dopo aver, non senza travagli, maturato la drastica decisione di uscita dal nucleare, proprio grazie ad una azione mirata e concertata.

Alla luce degli enormi cambiamenti di scenario avvenuti in questo 2011, quale nuova funzione deve avere dunque la politica pubblica per abbracciare una auspicabile e vicina “terza rivoluzione industriale” centrata sulle rinnovabili? 

Noi suggeriamo alcune semplici, ma innovative ed equilibrate, proposte:

1) Superamento del Decreto Romani – con i suoi tagli lineari agli incentivi – e definizione di un nuovo  modello che porti il sostegno al fotovoltaico alle medie europee. 

2) Nuovo regime per i terreni agricoli,  che diversifichi il regime normativo tra  i terreni incolti e quelli sottratti a colture.

3) Nuovo regime agevolato per le serre agricole, che vanno considerate coperture.

4) Piano regolatore dell’energia nei grandi e medi comuni,  con l’istituzione di un assessorato all’energia che promuova e faciliti l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

5) Costituzione di un fondo per la valorizzazione del patrimonio immobiliare e culturale pubblico attraverso investimenti in efficienza energetica.

6) Istituzione di una conferenza nazionale dei servizi energetici dove far sedere i grandi monopolisti accanto a tutti gli attori del settore.

7) Certezza dei tempi sulle pratiche tecnico-amministrative riguardanti i sistemi fotovoltaici al fine di impedire ostruzionismi dei monopolisti, che assicuri in 30 giorni l’istruzione della pratica e in 60 giorni il tempo di rilascio delle autorizzazioni e degli allacci.

8 ) Destinazione di una percentuale dei fatturati di esercizio degli impianti di produzione di energia da fonte fossile a finanziare un fondo per la ricerca e sviluppo in tecnologie energetiche.

9)  Estendere ed incentivare la trasformazione a metano delle autovetture a trazione diesel e rendere obbligatoria la circolazione nelle grandi città solo per veicoli a trazione elettrica, ibrida GPL o Metano (o altro che verrà..).

10) Intervenire sul Monopolio ENEL che – con le proprie società – crea un conflitto di interesse macroscopico nella sue duplice veste di “controllore” e “controllato”.

11) Rendere tutte le proposte armoniosamente legate all’occupazione giovanile ed alla riqualificazione ed reinserimento di risorse umane in cerca di nuova occupazione, per ragioni di chiara opportunità per il Sistema Paese.

12) Sburocratizzare le procedure autorizzative attraverso un utilizzo maggiore dell’asseverazione.

Italia, 24/11/2011

Innovatori Europei e SOS Rinnovabili

www.innovatorieuropei.com

www.sosrinnovabili.net

 Facebook group: http://www.facebook.com/groups/246254908762267/

E ora subito una “Patrimoniale” per lanciare i “Cantieri di Crescita”

di Innovatori Europei

Oggi gli spread sul decennale BTP – BUND tornano a 540 punti base.

E’ la prova evidente che i mercati sono in attesa frenetica di novità concrete e riforme dall’Italia.

Speriamo allora che questo fortissimo Governo Monti dia una risposta netta al mondo e cominci subito – con un accordo bipartisan – da una PATRIMONIALE da almeno 100 miliardi di euro l’anno per abbassare lo “Stock di Debito” e rilanciare “Cantieri di Crescita”.

Un esempio di Cantiere? La valorizzazione del patrimonio immobiliare attraverso efficientiamento energetico, di cui discutiamo nel “Cantiere per le Rinnovabili”.

Senza una PATRIMONIALE ,rischiamo di perdere un’occasione storica di rilancio e di leadership europea per colpa di chi ci ha portato a livelli altissimi di rischio default, con l’ingresso nel “club dei 500”.

Agiamo subito, valorizzando il Paese, prima di doverlo svendere o dismettere ai mercati.

Lettera aperta a Mario Monti

di Outsider – Partito degli Esclusi

Italia, 10 novembre 2011

Egregio Senatore a vita, Prof. Mario Monti,

siamo un movimento di liberi cittadini, Outsider – Partito degli Esclusi, che ha deciso di rimboccarsi finalmente le maniche per aprire le porte dei Palazzi facendo entrare aria fresca. Siamo stati esclusi e penalizzati dalle cricche e dalle vecchie Caste, che decidono sempre contro i giovani, il futuro e l’innovazione, macrediamo ancora nella Politica. Finora ci siamo tenuti in disparte perché il sistema scaccia chi è più competente e idealista ma adesso è arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Vogliamo far crescere la libertà di ognuno in una società pluralista e multietnica. Ci proponiamo di costruire regole di convivenza che aumentino le opportunità individuali e di vigilare affinché la libertà non sia un diritto teorico ma una effettiva condizione di vita. Adottiamo i valori e il metodo liberaldemocratici e laici, perché, alle prove della storia, si sono dimostrati gli strumenti più efficaci per molteplici obiettivi: dare modo ad ogni donna e ad ogni uomo di esprimere se stessi e interagire con gli altri, potenziare la conoscenza affidando la libertà di ricerca a scienziati responsabili e trasparenti, promuovere il benessere con il cambiamento innovativo, amministrare la giustizia nel segno del diritto e della dignità umana, influenzare il futuro poggiando sulla memoria del passato e sulla sua eredità di cultura e di bellezza. Questa nostra identità politica ci distingue da tutti coloro che, a destra, al centro e a sinistra, non mettono la libertà e il rispetto della persona prima di ogni valore.

La classe politica e dirigente attuale ha fallito in quasi tutto, consegnandoci un Paese mutilato culturalmente ed economicamente. C’è una sola cosa che i suoi rappresentanti possono fare, se davvero hanno a cuore le nostre sorti, ed è quella di farsi da parte. E’ finito il tempo di elencare cosa non va e ascoltare l’ennesima di tante proposte di cambiamento, tutte inconsistenti quanto prive di qualsiasi fondamento. E’ finito il tempo della retorica da cui ci siamo fatti rapire troppo a lungo: berlusconismo e antiberlusconismo sono oggi la stessa cosa; come lo sono destra e sinistra, o tutte quelle sigle che del cambiamento hanno fatto il loro mantra ma che alla prova dei fatti sono solo i cloni rivestiti di chi li ha preceduti; come lo sono quei movimenti elitari, salottieri, intellettuali, il cui unico interesse è sovvertire gli equilibri del potere per rimpiazzarli con mali peggiori.

Noi dobbiamo invece trovare il coraggio di reagire prima che sia troppo tardi, prima che il sogno muoia sotto il peso della frustrazione. La nostra macro-generazione deve decidere se lasciare il proprio futuro nelle mani di chi ci sta trascinando verso il baratro economico e culturale, delle corporazioni che uccidono ogni libera iniziativa, della burocrazia di uno Stato che complica, invece di chiarire, la vita al cittadino, o se riprendere in mano le redini del proprio destino.

Vogliamo che l’Italia ritorni ad essere un sogno, un modello, un punto di riferimento per tutti e non solo per la sua storia o per il suo territorio, anch’esso ormai umiliato dall’incapacità dei suoi amministratori. Vogliamo costruire la Società aperta, che non abbia paura del nuovo, dello straniero, della concorrenza. Noi non siamo contro la politica ma, al contrario, siamo per una politica che non invada la sfera dell’iniziativa privata, non sia orientata solo al potere ma rappresenti ed elabori la moltitudine degli interessi individuali senza compromettere il futuro di qualcuno.

Questa è l’Italia degli outsider e degli esclusi, di quelle generazioni che, nonostante tutto, hanno iniziato o continuano a creare idee e prodotti di successo, a lavorare duro, a cambiare il mondo. Ci siamo ritrovati tra decine di giovani, uomini e donne, italiani all’estero e stranieri in Italia, finora penalizzati ed estromessi dalle grandi scelte strategiche del Paese. Alcuni di noi hanno una tessera di partito e porteranno i nostri valori in quelle organizzazioni per tramutarle dall’interno, altri sono sempre stati fuori dai partiti e ora vogliono aiutare l’Italia a tornare una meta, un desiderio e non una ragione di fuga.

Abbiamo le idee chiare: aprire la società per dare più potere ai cittadini e liberalizzare il mercato per stimolare l’iniziativa individuale. Ma abbiamo soprattutto un metodo – che chi ha la presunzione di rappresentarci (la politica) e di comandarci (la gerontocrazia imperante) non ha. Siamo per il metodo scientifico nella soluzione dei problemi, siamo per la trasparenza e la verificabilità dei dati su cui si basano le decisioni politiche, affinché chi le propone sappia motivarle e se ne prenda le responsabilità. Siamo quelli che vogliono che i cialtroni si facciano da parte, per lasciare spazio a chi sa coniugare esperienza e competenze nell’interesse di tutti.

Sosteniamo l’urgenza di grandi riforme, che modifichino strutturalmente gli assetti industriali e finanziari del Paese. La nostra analisi muove dalla constatazione che – con l’avvento della globalizzazione e della conseguente dimensione “liquida” dell’economia – non ha più senso parlare di paesi sviluppati e di paesi in via di sviluppo: ogni nazione deve considerarsi continuamente in via di sviluppo e quindi bisognosa non solo di libero mercato ma anche di regole e controlli da parte dello Stato. Il sistema produttivo italiano è arretrato e in declino, sopravvive grazie alle rendite: da un lato dobbiamo insistere per l’attuazione di politiche settoriali che incentivino l’innovazione e la produttività delle imprese italiane, favorendone la buona competitività sul mercato globale. E’ inutile continuare a fabbricare t-shirts o bulloni, con i giganti asiatici ormai in gioco, mentre è sensato puntare sulle produzioni a più alto valore aggiunto in comparti quali la chimica, l’elettronica di precisione, l’informatica, i servizi tecnologici avanzati, le cosiddette “industrie verdi” e le fonti energetiche rinnovabili. Da rilanciare inoltre un turismo di alta qualità e di potente richiamo internazionale. Naturalmente, va sostenuto il made in Italy della moda, dell’enogastronomia e dell’artigianato, settori che tuttavia non basterebbero mai, da soli, a farci competere con le economie emergenti. Dall’altro lato, è indispensabile dotare l’Italia di infrastrutture e trasporti che giustifichino lo sviluppo e gli investimenti, con nuove reti materiali e immateriali. Autostrade più grandi, collegamenti ferroviari ad alta velocità, un trasporto aereo nazionale efficiente e sano, porti e aeroporti in grado di trasformare i nostri scali in veri e propri HUB del mercato euro-asiatico. Ma sono necessarie anche reti di trasmissione-dati ad alta e altissima velocità, e la copertura con adsl dei tanti Comuni che in Italia ancora non ne sono raggiunti. Una informatizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione sono condizioni di base per aprire le porte allo sviluppo e un volano per l’informatizzazione dell’intera società civile (imprese e cittadini). Infine, siamo a favore di una massiccia e autentica liberalizzazione di mercati primari per l’economia italiana (energia, comunicazioni, trasporti, servizi pubblici locali). Tutto questo, mentre un debito mostruoso e la crisi finanziaria mettono a repentaglio la tenuta economica dello Stato e il futuro delle nuove generazioni, che dovranno pagare prezzi enormi per le spese folli del passato. Rifiutiamo proposte demagogiche quali la riduzione fine a sé stessa dell’imposizione fiscale. Per quanto riguarda le nuove imprese e in particolare l’imprenditoria giovanile e femminile, sosteniamo con forza la necessità di interventi che non siano di facciata o irrilevanti (come microcrediti di poche migliaia di euro, che andrebbero bene in Paesi poverissimi) bensì radicali e realmente motivanti: per esempio, la predisposizione di un Fondo di Garanzia per i giovani neo-imprenditori e dei relativi accordi con il sistema bancario, affinché le nuove generazioni siano incoraggiate e facilitate nell’ottenimento del credito per la creazione d’impresa. Inoltre, sarebbero decisivi gli esoneri dai minimi contributivi Inps (spesso delle autentiche “strozzature” per le giovani start-up commerciali). In generale, vorremmo il Ministero dell’Economia e della Gioventù, in uno.

Siamo consapevoli che buona parte dei ragionamenti sulla flessibilità/precarietà/dualità del lavoro non si risolvono senza sanare e trasformare il sistema produttivo, che ne costituisce la base. Senza buone imprese, non c’è buon lavoro. Tuttavia, ci sono state anche una serie di mancate scelte a favore o, peggio, di scelte prese contro la categoria dei più giovani e precari. Si può fare qualcosa, in Italia, malgrado le difficoltà economiche di fondo. In primo luogo, non riservando alle sole nuove generazioni lo status di “flessibili”, facendo scelte politiche di condivisione inter-generazionale della elasticità lavorativa. Siamo per il contratto unico di lavoro.

In secondo luogo, ponendo le basi per un sistema di welfare più moderno, “delle opportunità”, che consenta ai giovani di non restare stagisti a vita, di mettere a frutto con nuove formazioni professionali i momenti di stand-by lavorativo, di reggere al contraccolpo rappresentato da una improvvisa perdita del reddito. A questo, aggiungiamo una constatazione preoccupante: più della metà dei giovani precari risulta oggi al servizio della Pubblica Amministrazione, dove invece resistono – come testimoniano innumerevoli e seri studi – importanti sacche di personale improduttivo e inamovibile, di età sicuramente più avanzata. Un ulteriore aspetto di ingiustificata penalizzazione dei giovani lavoratori è la progressiva dequalificazione del lavoro, con stipendi troppo bassi e una strisciante proletarizzazione del ceto medio italiano di domani (generazione 1000 euro).

Infine, i contributi alla famiglia: assegni, deduzioni, detrazioni e servizi (come asili nido) che, sul modello tedesco, diano ossigeno e prospettive ai giovani nella creazione di nuovi nuclei familiari con figli, per tornare ad una crescente natalità, per superare la crisi di progettualità e di futuro delle nostre generazioni. In buona parte, tutti questi punti possono e devono essere affrontati con politiche che distribuiscano in maniera più equa gli sforzi tra i vari strati della “società anagrafica” italiana.

Constatiamo con preoccupazione come una valanga di centinaia e centinaia di miliardi di euro si prepari a travolgere il sistema pensionistico italiano, nei prossimi anni. Questo denaro, che dovrà essere pagato in toto da chi oggi ha meno di 40 anni, rischia di innescare una grave crisi economica e sociale nel Paese. Le nostre generazioni dovranno farsi carico del mantenimento dei più anziani con proporzioni di spesa che porteranno molti milioni di persone, ora giovani, verso livelli di vera e propria povertà. Per questo vogliamo l’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, uguale per uomini e donne.

Per non impedire il ricambio generazionale e tuttavia fare i conti con la più elevata età di abbandono del lavoro, serve poi una profonda riflessione sulle soluzioni da applicare alla “ageing society” (la società che invecchia): soluzioni che consentano di mantenere il contributo produttivo dei più anziani, insieme favorendo l’assunzione di responsabilità e la qualificazione professionale dei più giovani.

Appoggiamo l’idea di una ragionata e generalizzata (ma non ottusa) apertura dei mercati e degli accessi alle professioni, con il passaggio dagli Ordini alle associazioni. In Italia, ai fini di tutelare e “blindare” le condizioni sociali ed economiche di determinate categorie professionali, si è arrivati alla creazione di vere e proprie caste, dannose se si vogliono professionisti più giovani e meglio preparati. Siamo inoltre a favore della superamento del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli.

Introdurre criteri meritocratici sostanziali nelle Università italiane, premiando le ricerche di maggior valore e superando inutili baronati, è uno dei nostri obiettivi principali. La creazione di un Fondo per l’Innovazione ad hoc, come si vuole realizzare su scala globale ad opera della Banca Mondiale e dell’ONU nei confronti della ricerca pubblica/privata, sembra un’idea applicabile anche al microcosmo nazionale italiano. Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche che costituiscono un punto strategico per la presenza italiana nel panorama mondiale.

Crediamo nel progetto di Stati Uniti d’Europa, condividendo la visione di un federalismo verso l’alto che consenta agli Stati membri di mantenere le proprie differenze e peculiarità, oltre che una propria autonomia istituzionale e un’identità culturale forte ma aperta all’integrazione tra popoli di diverse origini. Sosteniamo la necessità di una conformazione europea poliarchica più vicina ai cittadini-elettori, con l’accentuazione dei caratteri democratici nella scelta dei rappresentanti e nell’esercizio dei compiti di governo. Siamo a favore di una UE dotata di personalità unitaria e ben definita nelle materie di politica estera, energetica e commerciale internazionale.

Contestiamo ogni forma di estremismo, sia esso di tipo religioso, culturale, politico. Sostiene inoltre fermamente il valore imprescindibile della laicità degli Stati. Non può quindi che disapprovare fenomeni di violenza politica e di integralismo, ovunque questi si verifichino. Quanto all’immigrazione in Italia, crediamo necessaria un’integrazione che non sacrifichi i diritti umani e le diversità culturali di origine, ma nemmeno rifiuti i principi di osservanza della legalità e di rispetto delle culture ospitanti. Alcune persone, poi, non possono essere considerate “ospiti”: è inaccettabile che molti giovani italiani, seconde generazioni figlie di immigrati, non abbiano la cittadinanza malgrado siano, spesso, persino più italiani di noi per cultura, esperienza e aspirazioni personali.

Non siamo per l’anti-politica. Siamo per un nuovo ruolo forte dei partiti politici, anziché per il loro definitivo superamento. L’attuale configurazione dei partiti italiani – più simili a comitati elettorali dominati da piccole elites – è però inefficiente e non garantisce a queste fondamentali organizzazioni di svolgere la loro essenziale funzione di tramiti rappresentativi tra la cittadinanza e l’amministrazione politica. Il riferimento al “metodo democratico”, inserito nella Costituzione all’articolo 49, ha dimostrato d’essere eccessivamente blando e generico: bisogna fissare le regole di funzionamento interno dei partiti con maggiore precisione, come accade per esempio in Spagna e Germania, a livello costituzionale o almeno legislativo ordinario. Pensiamo per esempio a una regolazione attenta delle primarie e alle tutele delle pari opportunità. Solo in questo modo, con strutture di partito realmente contendibili e in grado di formare, selezionare e dare occasioni di emersione ai soggetti più capaci, si potrà tornare a parlare di “ricambio di classe dirigente”, paroloni altrimenti vuoti e da salotto.

La democraticità dei meccanismi interni di partito consentirebbe inoltre di evitare discriminazioni sulla mera base delle disponibilità economiche o della fama degli attori politici, mettendo anche i più giovani – solitamente meno “attrezzati” – nelle condizioni di competere e di raccogliere consensi, a tutto vantaggio della democrazia. Siamo contro un sistema non meritocratico di pure cooptazioni. Riteniamo necessario che – soprattutto in un periodo in cui la lontananza dei cittadini dalla politica è ai massimi – sia ridata agli elettori la possibilità di scegliere il proprio candidato. Sosteniamo la necessità di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale alla tedesca (con sbarramento al 5%) o maggioritario alla francese (con doppio turno). Entrambe queste soluzioni consentirebbero una più efficace governabilità del Paese, riducendo la presenza e il peso delle forze troppo piccole o estreme.

Quanto detto a proposito dei sistemi di democraticità interna dei partiti, logicamente, ci porta a non volere meccanismi quali le quote-rosa o le quote-giovani: trucchi inutili se in presenza di partiti sani, solidi e rappresentativi. Un’analoga analisi, con le medesime premesse sulla “salute” dei partiti, va fatta circa le preferenze: siamo per la loro reintroduzione, ma richiamiamo l’attenzione sul fatto che spesso l’espressione di preferenze verso singoli nomi, nelle liste e specialmente con circoscrizioni troppo grandi, non va a vantaggio dei candidati con meno mezzi materiali, premiando invece in molti casi gli investimenti economici più ingenti e i legami clientelari. Per questo, servono controlli e una maggiore trasparenza sull’operato dei candidati e degli eletti.

Crediamo nella somma validità dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, ma non pensiamo che questa sia intangibile e irriformabile a tutti i costi, laddove ciò avvenga in modo responsabile e senza stravolgimenti. Questo significa disapprovare le modifiche fatte a colpi di maggioranza, ma anche insistere affinché si creino le condizioni per una revisione della Costituzione il più possibile armonica, partecipata e condivisa: attraverso l’istituzione di un’Assemblea Costituente, che permetta di riscrivere le regole del gioco senza strappi e con animo politico costruttivo. Un’Assemblea alla quale contribuiscano anche i rappresentanti delle categorie finora escluse dal dibattito politico, rinnovando così quello spirito costituente e quel sentimento di impegno civile che furono alla base della nascita repubblicana. Siamo convinti che la Carta, con le dovute prudenze, possa e debba essere integrata anche nella sua prima parte, quella dei princìpi, adeguandola alle nuove esigenze della modernità; quanto agli assetti amministrativi dello Stato, non ci convince un federalismo moltiplicatore di costi, anzi appoggiamo l’idea di eliminare enti e strutture inutili (ad esempio le Province) e di snellire lo Stato burocratico a favore di una più sensata integrazione verso l’alto, trovandoci nel contesto europeo e confrontandoci con le problematiche causate dalla globalizzazione.

Siamo l’Italia di chi vuole innovare; di chi non ha paura del diverso, consapevole che è nella diversità che prende forma l’evoluzione. Oggi siamo noi a sentirci diversi, estranei ad un sistema in cui non ci possiamo più riconoscere, ostile al merito e alla libera iniziativa.Noi Outsider ci stiamo riunendo per provare a cambiare, per riprenderci quello spazio individuale che appartiene solo a noi e alle generazioni che ci seguiranno. Siamo stanchi di farci umiliare assistendo al teatrino quotidiano del nulla, assuefatti dall’arte retorica dei suoi attori ed emissari. Non vogliamo vivere con il rimorso verso i nostri figli e nipoti, verso noi stessi, il rimorso di chi ha solo subito. Forse falliremo, ma sarà comunque un successo averci provato mentre tutto sembrava addormentato, scontato, rassegnato. Un successo per chi ama il nostro Paese, per chi vuole costruire un’Italia aperta, prosperosa, di cittadini liberi.

Ora, Lei è in procinto di diventare il nostro Presidente del Consiglio, alla guida di un Governo di solidarietà nazionale che potrà veramente trasformare a fondo l’Italia. In Lei e nella responsabilità del Parlamento, noi Outsider riponiamo oggi molte speranze. Il momento è drammatico, non ci deluda, deluderebbe il futuro di questo magnifico, creativo, ferito Paese.

Gianpiero Alaimo (Dirigente d’azienda), Fabio Giuseppe Angelini (Avvocato), Paolo Balboni (Avvocato), Marco Bertolotto (Medico), Armando Biondi (Imprenditore), Luca Bolognini (Avvocato), Stefano Brustia (Avvocato), Daniele Catteddu (Dirigente), Sandro Cotellessa (Impiegato), Francesco Dagnino (Avvocato), Marco De Amicis (Funzionario ONG), Annamaria De Michele (Avvocato), Piercamillo Falasca (Economista), Marco Ferraro (Funzionario europeo), Guglielmo Forgeschi (Medico), Valentina Gavioli (Avvocato), Michele Gerace (Giurista), Fred Kuwornu (Regista), Lorenzo Lo Basso (Giornalista), Francesco Lucà (Dottore Commercialista), Simone Maccaferri (Funzionario di banca), Caterina Mannacio Soderini (Impiegata), Sara Marcozzi (Avvocato), Luigi Massa (Avvocato), Simona Nalin (Assistente Parlamentare), Flavio Notari (Economista), Alessandro Olmo (Avvocato), Pietro Paganini (Docente universitario), Gianfranco Passalacqua (Avvocato), Marco Piana (Private equity), Antonio Picasso (Giornalista), Massimo Preziuso (Ingegnere), Roberto Race (Giornalista), Morena Ragone (Giurista), Giuseppe Ragusa (Docente universitario), Stefano Rampinini (Imprenditore), Alessandro Rapisarda (Consulente del Lavoro), Roberto Ruggiero (Impiegato), Lucio Scudiero (Giurista), Fabiana Tenerelli (Imprenditrice), Valerio Togni (Economista), Marco Toia (Odontoiatra), Alessandro Tuffu (Imprenditore), Marco Villa (Venture capitalist) – e gli altri cittadini del www.partitodeglioutsider.it

La nuova Grecia d’Europa siamo noi

 
di Massimo Preziuso e Moris Gasparri (su Lo Spazio della Politica)   
 

Siamo entrati all’inferno.

L’Italia è con oggi a pieno titolo nella lista dei Paesi a “rischio default”. Lo ha anche detto un italiano – capo economista dell’OCSE – Pier Carlo Padoan: “non siamo troppo grandi per fallire”. L’Italia è da oggi in tutti i club che “non contano”.

In particolare è rientrata (lo era a settembre, quando però gli spread dei titoli pubblici erano sotto i 400 punti base) nel Club dei 500, che non è un network di potere ma è riferito a quei 4 Paesi europei – Grecia, Portogallo, Irlanda ed ora Italia – il cui “costo assicurativo” contro il proprio default (in linguaggio tecnico CDS – Credit Default Swap) è superiore al valore 500 (ovvero il mercato chiede 500 euro per assicurare 10,000 euro di titoli pubblici emessi da quel Paese).E’ poi entrata, sempre oggi, in quella brutta fase di crescita dei tassi di interesse sui propri titoli di stato che avviene “storicamente”, secondo molti economisti, quando si supera il valore del 6% (e oggi l’Italia ha tassi che vanno verso il 6,5%) e porta rapidamente al valore “mortale” del 7% (dove iniziano le fasi di “default tecnico” come in Grecia).

Tutto questo nonostante i continui acquisti di titoli pubblici italiani fatti dalla BCE provino, senza successo, ad aiutarci. Diverse banche internazionali dicono che questo “interventismo” da Francoforte valga altri 80-100 punti base di spread e che quindi, dovesse la BCE abbandonarci al nostro destino, il “vero” valore dei nostri spread sarebbe già di oltre 500 punti base e i nostri tassi di interesse avrebbero già superato il 7%.

In tutto ciò, ed è questa la cosa più preoccupante, l’Italia è sotto attacco per problemi di credibilità politica e di leadership. Lo abbiamo visto in molti momenti nell’ultimo anno, sia in politica internazionale (si veda l’assoluta uscita di scena dal capitolo libico, nonostante un massiccio impiego di forze militari), sia in politica europea (si veda l’uscita di scena graduale e continua dalle decisioni di politica economica e finanziaria) ed in ultimo in politica interna (con una maggioranza che prima ha perso il contatto con l’opposizione tutta, poi con tutte le forze sociali, ed ora si è completamente sfaldata al suo interno, a livello inter ed intra partitico).

Sembra proprio che siamo agli sgoccioli di un paradigma politico che è poi anche fortemente culturale. Il nostro futuro verrà scritto (insieme a quello europeo) in questo mese di novembre, e forse proprio nel G20 di Cannes che si apre nelle prossime ore, nel quale il Bel Paese la farà da “protagonista” forse più della malata Grecia.

Come ne uscirà politicamente l’Italia?

La debolezza del nostro sistema politico e la perdita di credibilità di Berlusconi hanno regalato in questi ultimi mesi a Giorgio Napolitano una posizione di forza sconosciuta in precedenza agli altri presidenti della Repubblica. Sarà lui a guidare politicamente questa fase, soprattutto il probabile passaggio ad un governo di emergenza nazionale guidato da figure esterne.

Il “siamo come la Grecia” per l’Italia ha poi un senso non solo finanziario, ma anche politico. Sapremo essere responsabili nel gestire una fase storica così convulsa, e che ci presenterà sicuramente il conto per gli anni a venire? Nel rispondere a questa domanda dobbiamo considerare anche i possibili scenari negativi. Divisioni politiche, misure rimandate e rimesse in discussione, rimbalzo delle responsabilità, crescita di spinte secessioniste, proteste di piazza guidate dai sindacati, movimenti sociali contrari alle misure di austerità decise dal direttorio franco-tedesco e dalla BCE, settori dell’opinione pubblica che chiederanno il ritorno alla lira, credit crunch per le piccole e medie imprese, aumento della disoccupazione.

E’ il modello greco, e ci conviene studiarlo con attenzione nelle sue evoluzioni. Perché da oggi per i mercati finanziari siamo diventati greci anche noi.

Le lezioni su La7 di Romano Prodi: istruzioni per l’uso

Pubblichiamo con piacere questo ottimo articolo di Alessandro che ci spiega perchè il Professore – che è stato nei fatti il motore della nascita di Innovatori Europei nel 2006/7  – ha tanto da dare e da dire nel 2011 ad un’Italia carente di visione politica (e credibilità) internazionale.
 
 

prodi

E’ giunto il momento di aggiornare, brevemente, la parte dello Spazio della Politica dedicata alla “prodologia”, la disciplina che si occupa dello studio di Romano Prodi. Ne abbiamo parlato già a fine 2009, in un articolo in cui notavamo il suo attivismo nei rapporti internazionali e in particolare con la Cina, e a fine 2010 ne “L’eterno ritorno di Romano Prodi”, abbiamo esposto un punto di vista volutamente provocatorio sulla forza della sua leadership rispetto al resto del panorama politico-economico del Paese. Proprio in questi giorni, alla notizia della presenza televisiva di Prodi si è affiancata quella dell’uscita di un nuovo libretto, dal titolo “Futuro cercasi”. La dignità scientifica della prodologia può essere messa in discussione: perché Prodi? Perché ancora lui? Non è vecchio? Perché dobbiamo essere governati da Prodi e non da tanti Massimo Zedda?

A partire da questi presupposti, è interessante chiederci di che cosa parlerà Prodi nelle sue già celebrate lezioni su La7 e, soprattutto, perché è importante occuparcene, mantenendo un’attenzione sui temi, ancor più che sulla sua “campagna” per la presidenza della Repubblica. Ecco quindi un piccolo riassunto apocrifo dei suoi corsi.

1. Il mondo visto dalla Cina. Gli scritti sul Messaggero e  le conferenze degli ultimi anni (in gran parte consultabili qui) testimoniano un fatto: Prodi si è rimesso a studiare. I suoi studi si concentrano proprio su quella idea ambiziosa di “formazione globale” di cui tante volte su Lo Spazio della Politica abbiamo cercato di seguire le tracce. Perciò Prodi cercherà di raccontare ai suoi ascoltatori-studenti i cambiamenti e le contraddizioni del mondo, dalle opportunità e i rischi per l’Africa alla Cina, su cui come sappiamo Prodi ha accumulato un notevole capitale di conoscenza e di relazioni. Prodi cercherà di raccontare la Cina agli italiani attraverso piccole immagini efficaci per i cittadini e per le imprese, come questa di Wenzhou. Spiegherà che non dobbiamo avere paura di una “spartizione cinese dell’Europa”, ma dobbiamo pensare piuttosto a un “rinascimento cinese”, riprendendo la visione del suo collega alla CEIBS David Gosset, direttore dell’Academia Sinica Europea, nell’ultimo volume del rapporto Nomos & Khaos. L’attualità e la sua storia personale imporranno a Prodi una particolare attenzione per l’Europa: sugli squilibri attuali, sulle incertezze dell’ultimo decennio, sulle responsabilità della sua classe dirigente.

2. Il “capitalismo senza volto”. La raccolta di scritti pubblicata dal Mulino nel 1995 nella collana “Tendenze”, e intitolata “Il capitalismo ben temperato”, si apre con lo scritto del 1991 “Esiste un posto per l’Italia tra i due capitalismi?”. In esso Prodi si inserisce sul dibattito in corso sulle varietà dei capitalismi (richiama spesso che i suoi lavori risalgono allo stesso periodo di quelli di M. Albert), affrontando alcuni nodi irrisolti del caso italiano, quello appunto del “capitalismo senza volto”. Tra i saggi vi è anche un programmatico “La società istruita. Perché il futuro italiano si gioca in classe”. I temi affrontati dal Prodi studioso, e i nodi irrisolti del Prodi politico, saranno ripresi in un contesto, con la ripresa di una discussione sulle politiche industriali, che non può non considerare l’apporto dell’economia digitale. E ormai, quanti capitalismi esistono? Come abbiamo scritto in passato, il puzzle si è complicato. Mentre gli economisti si dividono, dobbiamo aggiungere il capitalismo brasiliano, il capitalismo turco e molti altri a una visione troppo ristretta. E Prodi aggiungerà: “Non pensate mica di poter dire ai cinesi che sono “renani”, perché si sentono piuttosto del “delta del fiume delle perle” o di quelle robe lì…”. Mentre si delibera sul modello perfetto o sui modelli meno imperfetti, sarà pur vero che qualcuno dovrà lavorare, competere, dare da mangiare ai propri figli, abbattere o accrescere il debito pubblico, portare rubinetti italiani in Estremo Oriente passando per Suez. Questo modo di ragionare resta prezioso: o ci appassioneremo alla realtà dell’Italia o non ce la caveremo affatto. In questo, Prodi può comunicare a una vasta platea la sua eredità fondamentale, che è stata colta una volta per tutte da Edmondo Berselli con queste parole:

Piuttosto che occuparsi dell’ultima impalpabile variazione della teoria sraffiana del valore, e della produzione di sofismi a mezzo di sofismi, valeva la pena di mettere sotto osservazione l’economia italiana nel suo aspetto fenomenologico. Ed ecco allora voluminose ricerche sull’industria delle calzature, sulla produzione di piastrelle del distretto ceramico di Sassuolo, sull’industrializzazione diffusa delle Marche, in sostanza sull’Italia osservata da vicino, e non fantastica o immaginaria.

3. Il futuro del welfare. Proprio Edmondo Berselli ha messo lo zampino anche nella terza grande questione di cui si occuperà Prodi: il futuro del welfare. Già durante la presentazione del libro postumo del suo amico, “L’economia giusta”, Prodi aveva sottolineato questo punto:

Ogni giorno viene tolto un pezzettino dello Stato sociale… Andiamo avanti in questa situazione di essere costretti ad arretrare nelle conquiste sociali o possiamo fare un salto in avanti tramite un discorso di solidarietà e riorganizzazione della nostra società? (…)

Nonostante la vorticosa crescita che dà un senso tutto opposto alla società cinese e indiana rispetto alla nostra, non di ritirata ma di grande avanzamento, però la differenza tra ricchi e poveri aumenta anche in queste società. (…)

È interessante, perché in tutte le analisi del mondo trovo in questo momento un solo Paese in cui per un periodo medio di un terzo di generazione la distanza è diminuita, ed è il Brasile. Questo in fondo social-liberal-mercat-cristianesimo che ha fatto Lula, in questa meravigliosa sintesi di una vita diversa da tutti gli altri, è uscito sconfitto in tre elezioni e a fare una sintesi di tutto. E a interpretare in modo notevole questi fatti. E riesce – in una situazione di sviluppo – eh eh, a non aumentare queste differenze che sono, come dice Edmondo, caratteristiche di una società puramente mercantile.

Riassunto delle puntate precedenti. Negli anni ’90, Bill Clinton, nella sua strada per i successi nell’abbattimento del debito pubblico degli Stati Uniti, ha affermato di voler chiudere la storia del “welfare come lo conosciamo”. Il punto è stato condiviso da Blair. Come sappiamo, nella spesa pubblica italiana le voci della pubblica amministrazione, della previdenza e della sanità hanno un peso determinante. Ma che cosa può esserci alla fine del welfare come lo conosciamo, concretamente? Se consideriamo la sua fine naturale, possono esserci gli effetti della crisi del debito europeo sulla lotta contro il cancro, che forniscono un’immagine del futuro possibile. Durante il congresso europeo di oncologia a Stoccolma, notevole attenzione è stata dedicata a uno studio sull’aumento dei costi delle cure, e un recente articolo pubblicato su “The Lancet Oncology” ha lanciato l’allarme della crisi del costi, in particolare nei Paesi che invecchiano. In Grecia, la Roche ha sospeso la fornitura di anti-tumorali ad alcuni ospedali greci fortemente indebitati.

Sintetizzando, la domanda “ci sarà una piazza Tahrir italiana in autunno?” (ne abbiamo parlato qui e qui) è ritenuta più interessante della domanda “ci saranno i soldi per i farmaci contro il cancro negli ospedali pubblici italiani in autunno?”. La seconda domanda è più farraginosa e parla di una cosa precisa: è prodiana. Ma parla di un futuro prossimo possibile dell’Europa e dell’Italia, e merita di essere considerata.

Come si vede da queste anticipazioni, con le lezioni di Prodi – magari la sua voce sonnecchiante, col bofonchiare imperturbabile in italo-bolognese, inglese o cinese, andrà intervallata da qualche servizio appassionante, chiedere per informazioni ad Al Jazeera e ai documentari di Niall Ferguson, astenersi CCTV – il nostro dibattito pubblico compirà qualche passo avanti. Gran parte del dibattito pubblico italiano, difatti, si avviluppa sul concetto di “informazione”. In realtà, seppur in un sistema televisivo anomalo, disponiamo di molta informazione. A volte ci manca la formazione. Per questo abbiamo ancora bisogno del vecchio Professore.

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