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Il discorso di Zingaretti, candidato sindaco della Capitale

di Pierluigi Sorti

Addì 16 luglio 2012 , in  quel di Trastevere, nella piazza di S. Cosimato, Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, ha lanciato il suo guanto di sfida per la conquista della poltrona di Sindaco di Roma Capitale.

Lo ha fatto con efficacia, dipanando il film di quello che sarà il suo vademecum di candidato a una carica che, almeno nella storia recente, è stata assai avara di gratificazione per chi  ha voluto interpretarla come propedeutica a progressi successivi nella politica nazionale.

Zingaretti,  consapevole o meno di questa circostanza, si è astenuto dall’enumerare attraenti traguardi,  rivolgendosi ai cittadini romani non per sedurli con promesse ma per chiedere il loro contributo , impegnandosi, non senza solennità,  ad ascoltarli  per affrontare unitariamente lo stato deprimente in cui ormai Roma è costretta a specchiarsi.

I cittadini hanno colto tale proposito come la via  obbligata per uscire dalla loro rassegnazione e ritrovare la strada maestra delle tradizioni più autentiche della loro città.

Il silenzio della sua allocuzione sui  tanti problemi che assillano Roma, di imponenza tale da tracimare facilmente in senso di impotenza, può facilmente essere perdonato, se non del tutto giustificato, data l’ ufficialità della dichiarazione della sua candidatura.

Dicasi questo in relazione ai pendenti problemi della nettezza urbana, alla crisi permanente della mobilità, ai piani urbanistici e alla colossale e tuttora incerta voragine debitoria del bilancio capitolino, peraltro di  non facile leggibilità anche dal punto di vista di un rapporto della Corte dei Conti di quasi tre anni or sono.

Ma il suo appello sulla necessità preliminare di ascoltare la gente, della irrinunciabilità della trasparenza politica, del metodo della verifica dei risultati, in sintesi della politica come servizio e non come privilegio,   non poteva non suscitare nella mente degli ascoltatori, la comparazione e le analogie con gli aforismi che hanno marcato tanti fenomeni, antichi e recenti, di movimentismo spontaneo.

Sono ben impressi nella più avvertita coscienza collettiva,la memoria recente dei girotondi, del popolo viola e, nella fase attuale, la evidente progressione, anche elettorale, del fenomeno del movimento di Grillo, depurabile o meno delle sue insidiose venature demagogiche.

Con la differenza, tuttavia, a favore di Zingaretti, di un solido presupposto che può conferire, a priori, maggiore credibilità alle sue parole : quello di poter vantare, ai suoi fianchi, la risorsa di un partito (ancora) organizzato che, con  le asserzioni menzionate, presenta, almeno teoricamente, innegabili attinenze.

La riuscita di Nicola ha un duplice e obbligato percorso da effettuare: la fermezza personale del mantenimento dei suoi propositi e , quale inderogabile e più problematica condizione, un diverso e più emancipato rapporto con il suo partito, nella convinzione che a nessuno può appartenere l’ esclusiva di una politica riformista.

Per le idee e gli uomini che sceglierà a coadiuvarlo, voglia e possa, Zingaretti, superare ogni reticenza sulle contraddizioni del Pd, inducendolo, in sede non solo romana, a modificare le troppe linee di condotta che, nei pochi anni della sua esistenza, hanno deluso, ampiamente e non poche volte, la pubblica opinione : come dimostrano gli oltre tre milioni e mezzo di elettori persi in un quadriennio.

Le sciarade di Alemanno e Zingaretti

 di Pierluigi Sorti

Anche reputando ormai poco verosimile l’ ipotesi di uno scioglimento anticipato del parlamento, appena trascorso il periodo estivo, il mondo politico italiano entrerà progressivamente nel clima elettorale.

Ma a Roma questo clima si arroventerà assai più velocemente perché, in concomitanza con le assise  politiche nazionali, anche il Campidoglio, sede simbolica e fattuale della città metropolitana di Roma Capitale, ospiterà la nuova assemblea e il Sindaco eletti dai romani per gestire il quinquennio “2013 -2018”.

Nella previsione corrente i due concorrenti che si contenderanno alla fine tale incarico hanno entrambi il volto già noto, sul piano nazionale, di Gianni Alemanno, sindaco in carica ,  e di Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma,  che,  in questo torrido scorcio preferiale , giocano le loro prime credenziali.

Alemanno, poche sere or sono, invitato televisivamente a definire il suo maggiore successo coma sindaco della capitale, non ha esitato a identificarlo, nella delimitazione delle conseguenze del fallimentare bilancio ricevuto in eredità dall’ amministrazione Veltroni.

Zingaretti, dal canto suo, fa presumere di voler caratterizzare la sua immagine di candidato sindaco, con una proposta urbanistica nuova consistente nella rigorosa denegazione del consumo di territorio, specie dell’ agro romano,  per nuove iniziative edilizie, attività alle quali il rivale Alemanno appare invece particolarmente proteso.

Il paradosso che ne consegue vede entrambi i candidati alle prese con un incrocio di curiose contraddizioni cui altri eventuali candidati minori, concorrenti alla carica, o l’ acribia dei giornalisti, potranno agevolmente sottolineare.

Potrebbe essere richiesto ad Alemanno il motivo di tanto ritardo nella denuncia del deficit della città, in considerazione specifica della sua duplice funzione di sindaco e di commissario al bilancio ai cui relativi doveri, almeno apparentemente, ha omesso di ottemperare, dall’ inizio del suo mandato, per renderne pubbliche le coordinate essenziali e illustrarne i ritenuti possibili rimedi .

A Zingaretti, specularmente, potrebbe essere chiesto di spiegare il silenzio con cui, pressoché con tutto il Pd, di cui da tempo è stato dirigente romano e nazionale, ha condiviso ( ed esaltato ) la faraonica impostazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 2008, ultima fatica del sindaco Veltroni.

Quel piano regolatore, precisamente, che assurse a ideale colonna portante del celebre “modello Roma”     ( ora dimenticato ) ,  che prevedeva un volume fabbricativo di oltre 60 milioni di metri cubi, con i connessi “diritti compensativi” e “accordi di programma”  , a maggior gloria e intraprendenza degli immobiliaristi dell’ urbe.

Forse, per queste contraddizioni, Roma ha meritato davvero di essere gratificata del nuovo titolo di Capitale della Nazione.

Quella paralisi di fine impero

di Francesco Grillo

Ma cos’altro bisogna tentare per scalfire questo muro opprimente dello spread? Rispetto a questa domanda i ministri dell’Economia dell’Eurogruppo riuniti ieri a Brussels apparivano ancora più impotenti dopo che persino il tanto celebrato vertice che si è tenuto dieci giorni fa e che era parso a tutti segnare una discontinuità rispetto al passato, si è dimostrato incapace di invertire l’inarrestabile aggravarsi della crisi: i progressi che dopo l’incontro erano stati realizzati in termini di risparmi potenziali nel costo di finanziamento del debito pubblico di Italia e Spagna sono stati in solo dieci giorni completamente spazzati via.

Cosa manca  allora dopo ventisette vertici dall’inizio della crisi più grave che l’Unione Europea abbia mai affrontato? Cosa continua a mancare in una rincorsa affannosa che vede i governi europei costretti nella scomoda posizione di un medico al quale rimane solo la possibilità di comprare tempo in attesa che a qualcuno venga un’idea?

Molti commentatori continuano ad invocare passi decisi verso l’unione fiscale. Tuttavia, essa non può che esigere anche un’unione politica che pur essendo teoricamente la soluzione, appare oggi improponibile per la stessa mancanza di condizioni politiche che l’inconcludenza dei vertici fa emergere. Voler fare, in questo momento, il salto verso gli Stati Uniti d’Europa tra Paesi che neppure si riescono a mettere d’accordo sull’utilizzazione di 500 miliardi di Euro da attribuire al fondo creato per assicurare la stabilizzazione finanziaria (ESM), sarebbe un po’ come per una coppia decidere di fare un figlio quando si è in crisi: le difficoltà verrebbero accantonate momentaneamente per la necessità di rispondere alla nuova sfida solo a costo di esporsi a guai ancora più devastanti nel giro di pochi mesi.

All’Unione politica mancano, del tutto, opinioni pubbliche europee, meccanismi istituzionali e modelli di partecipazione che costringano le nuove istituzioni a rispondere nei confronti dei contribuenti europei dell’utilizzazione di risorse pubbliche: più grave ancora è il fatto che sia mancato un qualsiasi serio investimento nella direzione della costruzione di un demos europe senza il quale l’Unione politica rischia paradossalmente di sancire una nuova drastica lacerazione tra classi dirigenti e cittadini.

Molto più utile è, come segnala il think tank Breugel, lavorare più pragmaticamente su quella che è la contraddizione più forte che si legge in tutti gli atti dell’Unione: la distanza tra gli annunci con i quali si cerca di placare i mercati, e l’implementazione che lasciano regolarmente gli operatori economici, finanziari e persino i cittadini nella più totale incertezza.

Anche per ciò che concerne, l’ultimo vertice la realizzazione concreta delle due più importanti decisioni prese – la possibilità che l’ESM intervenga direttamente nell’abbassare il costo del debito pubblico dei Paesi in maggiore difficoltà e nella ricapitalizzazione delle banche – è condizionata da almeno cinque aspetti si sa troppo poco per indicare che una strada precisa è stata intrapresa: quale è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatta l’operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tali indicatori l’assistenza finanziaria verrebbe fornita ed in che misura ai vertici – governi per gli Stati e management per le banche – sarà concessa  l’autonomia per raggiungere tali obiettivi e quando scatterebbe al contrario l’alternativa di sostituire di fatto chi ha assunto le decisioni che hanno creato il problema? Fino a quando l’intervento di supporto deve e soprattutto può continuare e, considerando che le risorse attualmente a disposizione del meccanismo di stabilizzazione sono una frazione molto piccola dei debiti sovrani e bancari da garantire, attraverso quali meccanismi è possibile immaginare un suo rifinanziamento? Quali criteri di informazione sui rischi – nel caso delle banche – e omogenizzaione delle contabilità pubbliche  – in quello dei governi – devono essere rispettati da tutti gli aderenti al patto in maniera tale che il soggetto deputato a stabilizzare possa identificare le crisi prima che esse si materializzino? Ed infine chi governa l ‘intero processo nelle due diverse aree di consolidamento degli Stati e delle istituzioni finanziarie e su quali basi giuridiche verrebbero perseguiti eventuali inadempimenti considerando che i soggetti regolati sono sovrani o comunque soggetti a leggi nazionali?
Stati e Banche rappresentano, ovviamente, questioni diverse sia per motivi tecnici che politici e, tuttavia, le due crisi gemelle avvicinano i due problemi e impongono un approccio in una certa misura simile.

La soluzione, a mio avviso, deve essere in entrambi i casi quanto più lineare è possibile: uno o due organismi – certamente uno dei quali deve essere la Banca Centrale Europea – devono essere dotati della capacità autonoma di intervento e della possibilità di finanziarsi o attraverso aumento della quantità di moneta oppure attraverso obbligazioni garantite dai Paesi dell’Eurozona collettivamente. I  livelli di rischio ai quali corrisponda l’attivazione di pre definite tipologie di intervento devono essere stabiliti in anticipo in maniera tale da rendere più credibile l’impianto di stabilizzazione e ridurre le possibilità di doverlo effettivamente scattare. La capacità di risposta deve essere potenzialmente illimitata in maniera da scoraggiare gli speculatori e le soglie oltre le quali intervenire devono essere fissati a livelli sufficientemente bassi per limitare i rischi.

Un vertice come quello consumato nelle ore della semifinale tra Italia e Germania avrà impatto: le possibilità però che esso diventi l’ennesima occasione per salvare chi  meriterebbe di uscire dalla partita con l’effetto di aumentare la propensione all’azzardo morale, sono però assolutamente uguali a quelle che costituisca un buon equilibrio tra necessità di non uccidere il malato ed esigenza assoluta di una modifica dei comportamenti che ne hanno determinato la malattia.

Tutto dipenderà dai dettagli nei quali spesso il diavolo si nasconde. Questi dettagli mai più devono essere rimandati da un vertice ad un altro , passando da livelli politici ad altri più tecnici. Non necessariamente tutti gli aspetti potranno essere stabiliti una volta e per tutte e correzioni del meccanismo sulla base dei risultati dovrà essere previsto. Ma perlomeno una strategia chiara  deve essere chiaramente condivisa in maniera da far capire a tutti in che direzione – nei prossimi anni e non nei prossimi giorni – ci si vuole muovere per salvare un progetto – quello europeo – che merita visione e pragmatismo.

 

Lentezza incomprensibile della società civile

di Pierluigi Sorti

Assistiamo in questo torrido segmento di luglio alla rappresentazione mediatica di un gran fervore dell’ azione di governo, impegnato nell’ opera di “ spending review “ ( analisi critica della spesa pubblica n.d.r. ) .
Esso si accompagna allo speculare conclamato dissenso dei sindacati, all’ intenso lavorio sottotraccia delle direzioni dei partiti nella ( finta o autentica ) elaborazione di una nuova legge elettorale, a una opposizione parlamentare di minoranza, dura ma non rassegnata della sua scarsa incisività, infine alla silente ma compiaciuta attesa del movimento grillino.
Delude invece il mancato riscontro di nettezza di analisi e di proposte da parte di tutte quelle associazioni che, quale surrogato dei partiti e quali espressioni della società civile, sono sorte, nominalmente, per una più spregiudicata elaborazione di nuove ipotesi di offerta politica o per un più realistico approfondimento dei tanti temi che investono il quadro politico italiano ed europeo.
In questa fascia di iniziativa politica, oggettivamente impotente a bucare visibilità mediatica, e nota soltanto nell’ ambito di cittadini particolarmente sensibili al crescente aggravarsi della situazione politica, esistevano i presupposti di una capacità di reazione più costruttivo e comunque alternativo alla visione ormai difficilmente contrastabile del M5s ( movimento 5 stelle , quello di Grillo ) e al suo monolitismo demolitore.
Due sembrano infatti gli elementi ostativi a ogni concorrenza con il M5S per assumere un ruolo di ipotesi elettoralmente accettabile : entrambe forse riconducibili a paradigmi extra politici, forse di carattere psicanalitico .
L’ evidente indisponibilità , da parte delle numerosissime associazioni in campo, riscontrabile nelle principali realtà cittadine, in primis a Roma , di connettersi, per gelosia e diffidenza, fra di loro per realizzare una sufficiente massa d’ urto e la difficoltà di condividere iniziative in non piena formale armonia con i presupposti d’ origine e con la politica attuale, delle variegatissime provenienze individuali.
La cartina di tornasole più significativa è rappresentata da Alba, la più recente fra tutte le associazioni, che per inconscia vocazione, dopo una partenza non priva di clamore, non riesce a darsi capacità di crescita se non ricorrendo a obiettivi che vadano oltre formulazioni organizzative interne di funzionamento, identificabili con la lentissima predisposizione di uno Statuto.

Forse l’ imprinting dei diversi percorsi di apprendistato ideologico e politico entra a far parte del substrato di quei complessi che la psicanalisi individua come ostativi al libero sviluppo della personalità individuale.

R-innovamenti politici dalle associazioni

di Massimo Preziuso su L’Unità

La situazione politica è alquanto strana, come al solito, in Italia.

Basta leggere il botta e risposta di pochi minuti fa su Twitter tra la senatrice Finocchiaro (che dice “vogliamo che gli elettori scelgano gli eletti, ma non vogliamo le preferenze”) e il leader Casini (che risponde “ma senza preferenze, con l’uninominale, i cittadini non scelgono nulla”) – laddove la riforma elettorale è l’unico eventuale goal che gli italiani possono fare con questo Governo tecnico, fatto solo di austerità, tagli e nuove tasse – per capire che siamo messi male davvero.

E’ chiaro che i Partiti tutti sono immobilizzati nelle solite logiche di dibattito interno sulla direzione da prendere.

E in questo immobilismo stanno tralasciando completamente le esigenze di noi cittadini, nel nome dello “spread” (è sempre di pochi minuti fa la reazione fuori dai canoni del premier Monti alla critica, da me condivisa a pieno, del presidente confindustriale Squinzi sull’operato del primo, che dice “in questo modo, facciamo crescere lo spread”) e dei mercati finanziari.

Tra le necessità, le principali sono due: il lavoro e la riforma elettorale appunto.

Sul tema lavoro, mentre migliaia di lavoratori ogni settimana vengono “dismessi” da aziende che molte volte approfittano della crisi per dichiararsi “fallite” e chiedere l’intervento dello Stato, il governo e la politica non si rendono conto della necessità di interventi globali, possibilmente di natura europea, come i “sussidi alla disoccupazione” accompagnati ai “contratti di solidarietà” (di cui abbiamo discusso sin dal 2009 in Innovatori Europei), prima che il calo dei consumi e della produzione ci porti a breve in una spirale irreversibile di recessione economica e crisi sociale.

Sulla riforma elettorale, mentre il governo tecnico va avanti come un treno (solamente) nell’abbassare standard di vita raggiunti in Italia in almeno 50 anni, iniziando pure a mandare sul mercato i primi (ma non ultimi) importanti pezzi di patrimonio pubblico, con i partiti politici (in questo caso) ”distratti” dalla gestione di proprie complessità interne, i cittadini rischiano di dover votare di nuovo molti di quei politici che dovrebbero tornare a vita privata, non avendo raggiunto nemmeno minimamente i propri obiettivi di public servants.

Come ci siamo detti già nei mesi scorsi è proprio tempo di r-innovamenti politici, nei partiti e nelle associazioni.

Ma è soprattutto da queste ultime che deve arrivare nuova linfa verso le istituzioni e la società tutta.

E’ arrivato il momento che vari pezzi dell’associazionismo di settore – che in molti casi condividono radici, percorsi e finalità – la smettono di viaggiare in solitario e si uniscano per fare goal condivisi, per il bene del futuro prossimo del Bel Paese.

Non è più possibile stare a guardare la politica e le istituzioni auto riformarsi.

E’ un dovere per tutti partecipare, con i propri limitati mezzi e le proprie capacità, alle prossime elezioni politiche.

Con o senza (molto più probabile) il permesso dei partiti politici.

Questo il mio augurio per il nostro Paese.

La leggenda di Super Mario

di Francesco Grillo (su Il Mattino del 3 Luglio)

Negli ultimi fantastici giorni vissuti tra Varsavia e Brussels, tra gli italiani si deve essere diffusa una strana leggenda: quella di uno, anzi due, forse tre Fratelli Super Mario (Monti, Ballottelli e probabilmente Draghi) che proprio come nel famoso gioco della Nintendo avrebbero salvato, ancora una volta, il Paese che più di qualsiasi altro e’ specializzato a sfornare miracoli dell’ultima ora. Un paese vecchio, depresso, che da tempo perde la parte migliore delle sue generazioni piu’ giovani, da un anno sull’orlo di un vero e proprio fallimento e che da venti non riesce più a crescere. Una specie di bella addormentata che però trova sempre un eroe buono disposto a caricarsela sulle spalle e tirarla fuori dalla acque limacciose che rischiano costantemente di farla affogare.

E’ stato proprio Prandelli, uno dei personaggi più positivo degli Europei, a dire quanto la favola – perfettamente riuscita sei anni fa a Berlino – del trionfo costruito sula disperazione sarebbe stata controproducente:“la vittoria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a tanti” – ha ricordato il nostro Commissario Tecnico – perché “per cambiare c’e’ bisogno di molto tempo” e solo quando “ci saremo riusciti, saremo pronti per rivincere subito dopo un risultato positivo, senza alternare picchi e periodi bui”.

Deve essere per questo motivo, per poter continuare il Progetto che Prandelli ha deciso di rimanere proprio dopo aver perso. E quello che dice l’allenatore italiano vale non solo per il calcio. Anche per l’economia e la società italiana la logica è la stessa: un paese fermo per vent’anni, avrà bisogno dei prossimi venti per fare i conti con un passato ingombrante e trovare una prospettiva di crescita duratura.

La Nazionale “ha, in effetti, provato a cambiare in un Paese vecchio”. E se e’ vero che l’età media dell’Italia era ancora più alta di quella fatta registrare in media dalle altre nazionali, è altrettanto vero che, rispetto al Mondiale del Sud Africa, la squadra è ringiovanita di quasi due anni e che  in termini di numero medio di presenze (ventotto) nella squadra nazionale prima del torneo, i giocatori azzurri erano quelli che erano cambiati di più subito dopo la Polonia e la Francia.

Tuttavia, è altrettanto vero che non basta rinnovare i vertici, i punti più visibili di un movimento o di un Paese per modificare quella società in profondità: e così come a Prandelli non possono bastare le buone intenzioni se le squadre di club non gli consentono di allenare con sufficiente continuita’ gli azzurri, a Mario Monti non può bastare la credibilità internazionale se, contemporaneamente, a casa, la montagna della revisione del rapporto complessivo tra lo Stato e i cittadini è costretta a partorire il topolino di cinque miliardi di Euro che neppure vedra’ mai la luce per l’opposizione pre giudiziale dei sindacati e della Camusso.

Non basta Mario Ballottelli che diventa insieme la bandiera dei giovani e degli immigrati che tanto possono dare ad un Paese che non ha più fame. Non basta se dalle pubbliche amministrazioni italiane continua ad essere escluso per legge (a differenza degli altri Paesi) chi non è cittadino italiano, laddove in alcune aree – ad esempio la stessa polizia di stato – ce ne sarebbe bisogno vitale per poter avere le competenze linguistiche e le conoscenze per affrontare fenomeni nuovi. E non basta che un ventunenne diventi simbolo di un’Italia vincente, se nel frattempo l’approccio puramente contabile alla trasformazione della macchina statale ha prodotto solo un lento e inesorabile invecchiamento che ha, di fatto, pietrificato universita’, ospedali, ministeri, magistrature, organi istituzionali di uno Stato che vive ormai solo per sopravvivere a se stesso. Non basta anche perche’ Mario e’ anche il simbolo involontario di tanti giovani talenti italiani che sono scappati dal nostro Paese e che non vedono le condizioni per poter tornare.

Non basta una vittoria del cuore anche se puo’ costituire la premessa per la riscossa. Non basta un accordo tra capi di governo – quello di Brussels della settimana scorsa e’ peraltro ancora quasi totalmente da riempire di contenuti – e non basta da solo neppure lo scudo anti spread, anche se puo’ essere utile per comprare tempo laddove un governo in difficolta’ dimostrasse alla Commissione Europea di fare veramente autocritica. E non esiste, infine, un bottone magico premendo il quale otteniamo la crescita anche perché la leva degli investimenti pubblici per far ripartire l’economia dovra’ essere usata in maniera molto limitata e selettiva.

Quello che dobbiamo davvero realizzare per ottenere una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva come chiede il documento conclusivo del vertice della settimana scorsa, e’ un enorme trasferimento di risorse tra sprechi e rendite di posizione a generazioni e gruppi sociali che avrebbero i mezzi per creare ricchezza ma che sono stati assurdamente penalizzati per decenni. Dobbiamo avere meno avvocati, meno notai, meno amministratori di patrimoni che essi stessi senza cambiamenti sono destinati a ridursi progressivamente; meno lobbies che ferocemente litigano per conservare la propria fetta di una torta che sta scomparendo. E molti piu’ innovatori veri, disposti a rischiare per il proprio talento e che, prima di tutto, possano essere messi in grado di utilizzare la propria inventiva.

Un cambiamento di mentalita’ ed una riallocazione di priorità così massiccia richiede di più dello sforzo di un governo o di una squadra; qualcosa di diverso dei “sacrifici per uscire dalla crisi” che continuano ad essere centrali nella retorica del presidente del consiglio italiano. Esse richiedono una trasformazione che non può che coinvolgere una parte grande della opinione pubblica ed, in particolar modo, delle “classi” (giovani, donne, immigrati) che dal cambiamento sarebbero beneficiati; riforme che non possono vivere senza il supporto dei cittadini che decidano di spegnera la televisione e scendere in campo per difenderne le ragioni; richiede un’autocritica di milioni di italiani che dallo status quo sono stati beneficiati per molto tempo e che da quei privilegi rischiano essi stessi di essere travolti; e, anche, sacrifici che pero’ non possono essere uguali per tutti perche’, per definizione, se dobbiamo ripartire dovremo farlo con chi da questa crisi otterra’ il riconoscimento – atteso da tanto tempo – del proprio valore.

 

 

Seconda lettera al sindaco di Frosinone

Verso una democrazia partecipativa

La Rete Indipendente “ Nuove Idee nei territori” ritiene urgente ed auspicabile, all’interno della Amministrazione comunale di Frosinone, proporre l’istituzione a costo zero di un tavolo di lavoro per l’organizzazione di un modello di democrazia, quello del governo partecipato, responsabile e condiviso e di un Garante ai “Beni Comuni e alla Partecipazione”.

Si propone contemporaneamente una riflessione che, rispondendo ai principi di trasparenza e integrità, previsti dalla normativa vigente per tutte le pubbliche amministrazioni istituisca referendum abrogativi e propositivi senza quorum soprattutto per le opere di interesse pubblico e dai costi sociali particolarmente rilevanti quale risposta ad un percorso di consultazione nel pubblico dibattito.

Proponiamo altresì l’adozione dello schema operativo di Agenda 21 locale che può diventare un modo di operare strategico a medio e lungo termine essendo modello partecipativo, democratico, antidogmatico e consapevole responsabilizzante tutti i soggetti partecipanti al dibattito sulla cosa pubblica. Inoltre, attenendosi al principio di legalità nella gestione delle amministrazioni, appare determinante che nei contratti pubblici sia abolito il criterio del “massimo ribasso” e venga istituita una commissione comunale, sempre a costo zero, per l’attuazione di un sistema tale da controllare in automatico eventuali infiltrazioni malavitose mediante verifiche incrociate dei dati su appalti, licenze, redditi, anagrafe. Sarà fondamentale, per evitare sprechi, implementate sia la formazione che l’aggiornamento dei dipendenti comunali così da ridurre al minimo le consulenze esterne.

 

Certi di trovare adeguata risposta alla suddetta proposta la Rete si rende disponibile ad una collaborazione, su un concetto chiave di gratuità assoluta, perché il percorso individuato sia fattibile ed in linea con una idea di innovazione dei Governi locali.

Giuseppina Bonaviri

Rete Indipendente “Nuove Idee nei territori”

Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità

di Pierluigi Sorti

Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi,  e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma,  e Matteo Renzi, a Firenze.

Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui,  specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono,  in massimo grado consapevoli.

Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd  e, ancor più,  degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.

Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge  chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con  tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni  di elettori.

E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,

Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.

Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.

Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?

R-innovamenti BRICS: intervista a Sandro Gozi

R-innovamenti BRICS: intervista a Sandro Gozi

 di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Intervista a Sandro Gozi, responsabile politiche europee del Partito Democratico e del comitato parlamentare Italia – India

Ciao Sandro.

All’interno del progetto Innovatori Europei BRICS, abbiamo voluto intervistarti perchè sei la persona più adatta con cui parlare di politiche innovative per lo sviluppo delle relazioni del nostro Paese con questi luoghi dotati di straordinaria rapidità di cambiamento e opportunità.

1)      Partiamo dalla fine: Non credi che il nostro Paese debba rovesciare il (falso) problema della delocalizzazione delle nostre fabbriche e lo spostamento di investimenti verso i paese emergenti e soprattutto BRICS, aiutando – soprattutto i giovani – a comprendere le enormi opportunità che risiedono in tali luoghi? Non è il momento di una ondata di “emigrazione” di cervelli italiani in Paesi come l’India, che possano poi diventare i nostri ponti per la creazione di relazioni di ogni tipo (come avviene in Germania o Inghilterra tramite le istituzioni universitarie)?

Quello della delocalizzazione delle nostre imprese all’estero è solo in parte un falso problema. Se infatti si considera che il nostro paese continua a perdere posizioni nella classifica degli “attrattori” di investimenti diretti esteri, la delocalizzazione delle imprese italiane all’estero si traduce in un perdita di capitali, di occupazione e di prelievo fiscale, in molti casi. In secondo luogo se è vero che i BRICS sono ormai paesi non più emergenti ma “emersi” pur tuttavia non sono l’eldorado. Grandi possibilità, certo, ma anche grandi difficoltà sia per i lacci e laccioli della burocrazia (India), sia per le difficoltà della crisi economica (Cina) e delle sue conseguenza, il ritorno del protezionismo in particolare. Non dimentichiamo che se è vero che siamo ancora in una fase di piena globalizzazione, nondimeno il fenomeno della deglobalizzazione, cioè il ritorno delle imprese nei paesi di origine, si sta facendo consistente.

Sulla questione dell’emigrazione guidata, non sono d’accordo. Per una serie di ragioni. Innanzitutto la parola “emigrazione” sa di fame e povertà. In secondo luogo mi ricorda due fasi della storia italiana – quella post unitaria e quella del dopoguerra – quando per risolvere l’instabilità del sud e la disoccupazione si favorì l’emigrazione. Per assurdo, è chiaro che facendo emigrare tutti i disoccupati, si risolverebbe il problema in un lampo, ma questa scorciatoia non può essere l’obiettivo di una politica seria e responsabili per il bene del Paese. Questo non significa certo chiudere i confini del paese, ma fare in modo che la decisione dei giovani di andare all’estero, o nei BRICS, nasca da una libera scelta più che da una stringente necessità. Per questo sarei favorevole a sprovincializzare il Paese, ad avviare campagna di informazione su questo grande fenomeno che è l’emersione dalle nuove potenze e ad aprire canali che possono facilitare coloro che hanno deciso di cogliere le nuove opportunità presenti in questi mercati. Ma non mi spingerei oltre.

2)      Andando all’India, quali i settori di maggiore cooperazione? Secondo noi si dovrebbe cominciare dallo sfruttare sull’ enorme apertura del loro settore retail e puntare poi su Cultura, Moda, Tecnologie, Energia, Ingegneria e Meccanica – Manifattura, dove l’Italia detiene un enorme vantaggio competitivo. Che ne pensi?

I paesi europei, nel complesso, hanno rappresentato il 19%  delle importazioni indiane; fra questi il 3,6% proveniva dalla Germania e il 2,1% dal Belgio; Francia e  Italia detenevano una quota pari a 1,5% e 1,3%, rispettivamente (Anno fiscale 2009-2010). Nello stesso arco temporale le esportazioni indiane verso l’italiana rappresentano il 1,9% delle esportazioni complessive del paese (Olanda, 3,6; Regno Unito, 3,5; Germania 3%; Francia, 2,1)

“Sulla base dei dati Istat, nel primo semestre del 2010 le importazioni dall’India sono ammontate a 1,8 miliardi di euro, salendo del 19,4% rispetto al medesimo periodo del 2009, a fronte di una crescita del 18% registrata da quelle complessive; cfr. Tavola 5; la quota di mercato delle merci indiane nel nostro paese è pertanto salita leggermente all’1,03 per cento a quelle cinesi era invece riconducibile il 6,8%. Le importazioni dall’India si compongono in primo luogo di prodotti dell’industria tessile e dell’abbigliamento, con un’incidenza del 29%, seguiti dai mezzi di trasporto 13% e dai prodotti di base e metallo e quelli chimici rispettivamente 10,7% e 10,3%. Sempre sotto il profilo merceologico, i mezzi di trasporto sono fra i prodotti per cui si registra il più sensibile aumento nell’incidenza complessiva sulle nostre importazioni dall’India” (Fonte Ice MAE)

“La maggiore dinamicità delle economie emergenti si è riflessa nell’evoluzione ancora sostenuta delle esportazioni italiane verso questi paesi. Quelle verso l’India, pari a 1,51 miliardi di euro, hanno segnato un aumento del 23,3%, quasi doppio di quello registrato dalle nostre esportazioni complessive 12,6%, e in linea con la dinamica segnata nei confronti della Cina 23%. Fra i prodotti italiani più esportati in India, figurano in primo luogo i macchinari e gli apparecchi elettrici e meccanici con una quota del 43,1%, seguiti dai prodotti di base in metallo 12,1%, le sostanze e i prodotti chimici 9,3% e i mezzi di trasporto 6,7%” (Fonte Ice Mae).

C’è però una riflessione da fare sul caso indiano. La struttura dell’economia indiana è infatti assolutamente sui generis: se infatti un parte del paese è ormai proiettata nella fase post-industriale (servizi e prodotti ad alta intensità di capitali e di conoscenza), un’altra parte del paese (senza una precisa demarcazione territoriale) è ancora in una fare pre-industriale. L’India oggi per risolvere una parte dei problemi che l’affliggono ha pertanto bisogno di una fase industriale, fatta di attività labour-intensive. Io credo che qui, in un’ottica di cooperazione mutualmente vantaggiosa per l’Italia e per l’India, le nostre imprese possono giocare un ruolo significativo.

3)      Quali i primi passi compiuti e quali i passi da compiere in Italia per creare concrete collaborazioni con l’India?

Credo sia unanimemente riconosciuto che il viaggio di Romano Prodi abbia rappresentato un punto di svolta nelle relazioni tra i due paesi. Sulla scia di quell’esperienza si è inserito il rilancio dell’Associazione Italia-India che ha organizzato varie iniziative a riguardo.

4)      Facilitare i Visti di professionals e studenti BRICS aiutandoli all’inserimento professionale ex – ante e all’inserimento sociale in itinere in Italia. Una idea realizzabile?

5)      Non è limitante l’approccio usato dall’inziativa targata Partito Democratico denominata “Controesodo” che facilita il rientro degli Italiani residenti all’estero attraverso una Tax facility? Non dovrebbe semmai essere applicata al contrario, per i talenti BRICS che vengono in Italia?

Rispondo a queste due domande congiuntamente. A proposito di un percorso preferenziale per i visti professionals e per gli studenti, lo ritengo non solo un’ottima idea, ma anche un fronte sul quale l’Associazione sta già lavorando. L’approdo di nuove intelligenze e di nuovi talenti non può che far bene alla cultura e all’economica dell’Italia, il che poi significa anche creare quell’intreccio di legami umani che sono la vera forza nelle relazioni bilaterali tra i paesi. Per questo sono assolutamente favorevole all’ipotesi di una Tax facility per i talenti dei BRICS. Tuttavia credo che non basti, insieme alle misure di facilitazione fiscale, servono anche delle politiche “umane”: politiche di accoglienza, politiche abitative, iniziative che favoriscano l’inserimento scolastico, per i figli di coloro che hanno deciso di venire a lavorare in Italia ed infine affrontare la questione della cittadinanza per le seconde generazioni. A tale proposito mi sia permesso citare Max Frish, l’intellettuale elvetico, che riflettendo sugli errori della politica migratoria svizzera così si espresse “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. La scelta di lasciare il proprio paese è, per il migrante, una scelta di vita, che tocca ogni aspetto della propria esistenza. E’ per questo che se si vogliono attuare delle politiche migratorie che favoriscano l’approdo in Italia di alcuni gruppi o categorie, bisogna pensare ad interventi che coprano la globalità dell’esperienza umana, per non commettere ancora una volta l’errore di voler “parcellizzare” l’immigrato, “prendendo” solo ciò che ci pare più utile e dimenticando che dietro ogni talento, dietro ogni professionista, c’è un uomo che ha in testa un proprio progetto di vita, per sé, per la sua famiglia e per i suoi figli.

Grazie per la disponibilità.

Massimo Preziuso

www.innovatorieuropei.com

 

Gli Stati Generali del Mezzogiorno (nel mediterraneo) di Italia Camp

di Massimo Preziuso (su L’Unità)
Gli amici di Italia Camp mi han appena invitato a un evento dal titolo: “Stati Generali del Mezzogiorno d’Europa” a cui prenderanno parte (almeno son stati invitati tutti) i Governatori del Sud, nella cornice della Catanzaro del Sottosegretario Catricalà.
Secondo la logica del Bar Camp, l’iniziativa sarà principalmente finalizzata alla presentazione di idee di impresa provenienti dal Mezzogiorno, che verranno poste all’attenzione delle grandi imprese e istituzioni.
Ma io mi auguro che in quell’occasione si parlerà anche di Mezzogiorno nel Mediterraneo, come ho chiesto nel mio piccolo anche io 10 giorni fa qui sull’Unità (in “Rinnovamenti meridionali nel Mediterraneo“).
Sono comunque fiero di questa iniziativa per di più organizzata dall’Università in cui ho studiato per il dottorato, e a cui sane critiche continuo a rivolgere per altri motivi.
E allora sinceri complimenti ad Italia Camp, al Direttore Celli e al Sottosegretario Antonio Catricalà, per questo potenziale goal di iniziativa (politica), a cui spero di riuscire a partecipare.
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