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ANCORA SULLE RAGIONI DEL PARTITO DEMOCRATICO

di Andrea Scopetti

Sento sinceramente disagio a dover di nuovo scrivere delle ragioni e del perché sia oggi necessario costruire in Italia un grande soggetto riformista che permetta al sistema politico di ammodernarsi e dare significato e sostanza alla lunga transizione che ormai ci accompagna da più di quindici anni.
Avrei voluto confrontarmi sulle forme, sull’organizzazione, sul profilo del nuovo partito ma purtroppo, dopo il seminario di Orvieto, per tante ragioni anche fondate, il processo ha avuto innegabilmente un rallentamento ed oggi, alla vigilia dei congressi di D.S e Margherita, lo scenario si presenta incerto e confuso.
L’Italia, ed in particolare la Politica del nostro paese, si trova ancora una volta nell’incapacità di assimilare e di comprendere l’evoluzioni storica che le si pone dinanzi, emergono di nuovo le grandi contraddizioni che hanno accompagnato, da sempre, ma in particolare negli ultimi anni, il nostro sistema politico.
Sono anni che denunciamo una latente crisi della politica, della partecipazione, della democrazia e nonostante tutto questo siamo un paese capace di ideare le primarie, con la presenza di 4 milioni e mezzo di cittadini (numero ben superiore, per esempio, alle trecento mila persone delle primarie della sinistra francese), toccare nelle elezioni politiche una percentuale di votanti unica in Europa e portare, dopo soli due mesi da queste, più del cinquanta per cento della popolazione ad esprimersi in un referendum; siamo il paese dove si evidenzia una perdurante crisi della classe dirigente, inalterata da
ormai venti anni, e nonostante tutto persiste l’incapacità di trovarne rimedi; siamo il paese che vuole parlare di contenuti e non di contenitori ma che non riesce a non parlare unicamente di contenitori;
siamo il paese che denuncia un problema di democrazia e di cittadinanza ma che accetta e si permette una legge elettorale che esautora i cittadini da ogni potere decisionale e che permette a quattro o cinque persone di decidere chi dovrà sedere in parlamento; siamo un paese dove le istituzioni, ad ogni livello, sono sempre più gestite e sempre meno governate; siamo il paese dove si denuncia la deriva dei partiti verso strumenti elettorali e di lobby e, poi, non si riesce a far crescere la passione se non nel momento della conta delle tessere; mi ricordo di partiti che davano battaglia su linee politiche, su idee di paese, che mettevano in gioco persone che esprimevano una visione di valori, oggi vedo partiti che pesano le proprie idee con il numero
delle tessere e mettono in gioco persone che esprimono i grandi numeri delle tessere; siamo un paese dove predichiamo la laicità della politica in nome dell’apertura delle proprie basi culturali e storiche e, poi, nell’agire politico non riusciamo che ad essere chiusi all’interno dei nostri recinti e pervasi da cieco radicalismo quasi fondamentalista.
Come si diceva pochi giorni fa in un’assemblea “i processi storici o si governano o non si governano o ce se ne accorge o non ce se ne accorge”: io credo che la strada verso il Partito Democratico sia un grande processo storico di cui ancora non tutti hanno ben chiara la portata.
Tutte queste ragioni basterebbero, da sole, a giustificare la necessità di un Partito nuovo che riesca ad affrontare tutte queste contraddizioni, ma il progetto del Partito Democratico ha radici ben più radicate e si pone obiettivi ben più ambiziosi.
La storia del nostro paese ha da sempre vissuto i momenti di difficoltà, di crisi e di transizione cercando soluzioni che passavano attraverso grandi scissioni politiche, sociali, culturali: oggi noi stiamo affrontando questo periodo così delicato provando ad unire più che a dividere.
Oggi siamo chiamati ad unirci perché è la storia del nostro tempo che ce lo chiede, siamo chiamati a rispondere non più soltanto a problemi nazionali ma dobbiamo confrontarci con problemi globali: guerre, fanatismo, terrorismo, fame, nuove malattie, nuove discriminazioni, disparità economiche, ambiente, clima ecc.
Come possiamo rispondere e affrontare questi problemi con i nostri piccoli partiti?
Ricercando certezze nelle grandi identità storiche?
Io credo di no.
L’estrema necessità del nostro tempo è quella di cercare di ricostruire un tessuto sociale che non sta più insieme, che è completamente sfilacciato e una tela si riesce a comporre solo intrecciando i fili che rappresentano, nel nostro caso, identità diverse, fili che se non si uniscono rimangono solo fili, vecchi o nuovi, ma solo singoli fili. Viviamo in una società che si sta contaminando con nuove culture, nuove esperienze, religioni diverse, come rispondiamo a questi nuovi confronti?
Anche il significato di laicità di uno stato va rivisto, dobbiamo far i conti, anche qui, con il nostro tempo, non possiamo non accorgerci che oggi uno dei fattori che riesce a tenere insieme il tessuto sociale di molti paesi, etnie e culture è proprio la religione, c’è bisogno di una politica che riesca a sviluppare il valore del dialogo e del confronto tra religioni, solo così potremmo governare la società del nostro paese che sta cambiando.
Alcuni giorni fa ho partecipato ad un’iniziativa di chi si oppone al cammino verso il Partito Democratico, devo dire che più si andavano a
toccare temi di fondo più mi rendevo conto di quanto sia grande il bagaglio comune che oggi può unire tanti italiani, valori come la pace, libertà, lavoro, sostenibilità ambientale, diritti di cittadinanza, sviluppo compatibile, difesa della ricerca ecc., sono ideali e propositi che uniscono e non dividono.
Se poi anche chi dubita di questo processo ammette che la questione dell’appartenenza del futuro Partito Democratico alle famiglie politiche europee rappresenta solo un problema di facciata e una buona scusa su cui basare la propria contrarietà, si ha la conferma che oggi in Italia è ora di mettere in campo il coraggio e come diceva Salvatore Vassallo ad Orvieto “abbattere muri e costruire ponti”.

LA CARTA REFERENDARIA

Sembra,ormai, che il tema della legge elettorale si dipani all’interno della evoluzione dello scenario politico, a sinistra come a destra.

Lo slancio bipolare creato dal partito unico Pd e, paradossalmente, berlusconiano sembra prediligere il maggioritario secco.

E non c’è da meravigliarsi se la frattura interna alla CdL abbia interessato anche la legge elettorale quale punto fondamentale per la comprensione dell’andamento complessivo del nostro sistema politico. Ovviamente è chiaro che questa legge puo’ indirizzare le alleanze e le unioni in un senso anzicchè in un altro.

Fini si è pronunciato a favore del referendum (in una trasmissione televisiva) promosso da Segni nell’interesse di An a integrarsi con Forza Italia e Berlusconi, per le stesse ragioni, potrebbe optare la stessa scelta.Qui si potrebbe intravedere un motivo di convegenza tra Prodi e Berlusconi.

Rifondazione appare orientata sulle ipotesi tedesce mentre i partiti minori sono contro il maggioritario. Il tema rimane di grande complessità ed attualità anche se passerà del tempo prima del referendum: per i giochi dei veti incrociati che renderanno conflittuale una intesa delle Camere nei prossimi mesi.

Fatto ritenuto assai grave.

CONSIDERAZIONI DI GIUSEPPINA BONAVIRI

Non basta trasformare il formulario per ottenere una nuova classe dirigente dove i possibili competitor siano davvero giovani e donne.

Si continua ad assistere ad un arroccamento culturale tale che, nessuna presunta identità ed implorata innovazione per un sostanziale ricambio, potranno lasciare spazio ad alternative e consolidamenti?

“Allo stato attuale delle cose e dovendo fare delle previsioni” Ceccanti per il 2011 vede “il duello Veltroni-Fini”.

E questo, per affermare il superamento dei vecchi schemi e portare alle prossime elezioni uno schieramento e capi alternativi rappresentativi di Genere e Generazioni ?

Ora piu’ che mai c’è l’esigenza di consolidare le realtà che, come la nostra, devono continuare ad imporsi senza emarginazioni ideologiche.

UN MIO CONTRIBUTO SUL PROBLEMA TRAFFICO AL PROGRAMMA DI ROMANO PRODI

Il contributo sistemico di una regolazione del Traffico cittadino, 10 Luglio 2006

Una regolamentazione sull’uso degli Autoveicoli in città per il miglioramento della vita dei cittadini e dell’ambiente
Contributo di: Massimo Preziuso
Argomento: Ambiente

Sembrerà un azzardo dirlo, ma a mio avviso IL problema centrale della vita nelle città risiede nel TRAFFICO, ed essendo le città MOTORI di SVILUPPO, esso diventa un grande Vincolo per il SISTEMA PAESE.
Da cittadino osservatore, noto da tempo che il TRAFFICO è la RADICE di tanti problemi del vivere nelle grandi città (nervosismo, irritabilità, ritardi e inefficienze vari).
Da tempo penso una cosa: ma perchè allora non limitare , in maniera intelligente, l’uso delle automobili in città?
Non sono un esperto in materie legali, ma credo che sia possibile avviare una normativa per portare i Sindaci delle varie città a muoversi in tal senso.
In tutti i Paesi avanzati si parla di “Car Sharing” e cose simili, in Italia davvero poco.
La cosa che mi interessa dire di più è la seguente:
in questo momento storico, in Italia un uso razionale e condiviso di Autoveicoli può divenire un Ottimo motore di Coesione Socialee di Sviluppo.
La proposta che mi chiedo se sia possibile attuare è la seguente:
perchè non regolare l’uso delle autovetture, “imponendo” il loro utilizzo in città con “ALMENO DUE PERSONE A BORDO”?
Nella città in cui vivo, Roma, è evidente ormai che la macchina è diventata ad uso ESCLUSIVO di SINGOLI, attraverso un circuito “vizioso” di pigrizia / comodità che porta le persone a “chiudersi” nella propria autovettura.
Io sono convinto che, regolando l’uso di autovetture si possa agevolmente realizzare BENESSERE diffuso per le persone, da un punto di vista SOCIALE, AMBIENTALE ed ECONOMICO anche (non scendo in discorsi di Mercati Energetici e altro, ma è chiaro che, a regime, in questo modo, si diventerebbe meno dipendenti dalle Benzine).
Sperando di non aver scritto pure sciocchezze, mi piacerebbe discutere con voi di questo.

Un saluto a tutti,

Massimo Preziuso

SULLA PENA DI MORTE

Il 10 ottobre di quest’anno la Camera dei Deputati decise di cancellare dalla costituzione l’ultimo retaggio della pena di morte ancora presente nel nostro ordinamento. Un provvedimento che si aspettava da 12 anni.

Nel 1994, un mese dopo l’abolizione dai codici militari, l’Italia iniziò un cammno che le ha assicurato, a livello internazionale, il primo posto contro pena di morte e moratoria universale delle esecuzioni capitali.

Nel 1997 il Governo Prodi fece approvare la proposta alla Commissione Diritti Umani dell’Onu con la maggioranza assoluta dei voti.

Un risultato storico che stabilì che la pena di morte è questione relativa ai diritti umani e che la sua abolizione era un rafforzamento della dignità umana ed un progresso dell’uomo.

Nel 1994 i paesi mantenitori erano 97 oggi 45 di meno, migliaia di vite umane risparmiate.
Questo apparve il risultato di una vera campagna politica portata avanti da associazioni, gruppi, singoli per una crescente coscienza politica e civile del nostro paese.”

Ad ottobre, però, si era ad un punto critico in quanto il governo sembrava vincolato ad una contro proposta di compromesso volta a presentare non la risoluzione ma una dichiarazione di intenti.

Ma allora, mi sto domandando, a che punto siamo, oggi, per raggiungere l’abolizione completa nel mondo?

GENERE E GENERAZIONI

Ciao.

Poche righe per dire la mia su quello che, a mio avviso, è successo in questi mesi, sia in questo gruppo, sia nel dibattitto sul PD, e soprattutto in ambito sociale, in Italia e in Europa.

Nel 2006, sopratutto dopo le elezioni vinte dall’ Ulivo, sono nati moltissimi Gruppi e Movimenti nella Società civile, e questo è un primo gran segno ( dagli anni 90, mai c’è stata tanta energia nella società civile).

Riguardo alla nostra esperienza: in 9 mesi siamo riusciti a creare un bel gruppo di discussione, su tematiche che sempre di più stanno prendendo piede nella Società.

Genere e Generazioni è un argomento forte e attualissimo. A tutti i livelli se ne sta parlando: dalla strada, ai tavoli di ristorante, alla televisione, ai seminari, ai Gruppi come il nostro, ai seminari politici, alla Camera, al Senato, nel Governo, a Brussels..sembra che, finalmente, ci sia spazio per fare innovazione politica in questo senso.

A me sembra che ci sia una “rivoluzione intellettuale” (di Cervelli, come dice Giuseppina) in atto: sono convinto che questo sia un momento unico in Italia (soprattuto) e in Europa per cambiare le cose e modernizzare le nostre società, soprattutto con il contributo vivo e vivace di Giovani e Donne.

Speriamo bene.

A presto,

Massimo

E’ TEMPO DI CAMBIARE

Eccomi tornato da un periodo all’estero.

Come tutte le volte in cui visito un Paese diverso dall’Italia, al ritorno mi ritrovo a fare le stesse considerazioni:

– L’Italia è il Paese più bello del mondo (per bellezza, cultura, clima, cibo…)
– L’ Italia è il Paese più “anziano” del mondo (nel senso sociale del termine)
– In Italia, a differenza di tutti i Paesi che ho visitato, i Giovani, per strada e nei luoghi di lavoro, non si vedono fisicamente
– In Italia il sistema universitario (che è poi , secondo me, IL motore dello sviluppo “oggi”) è lento, anti-meritocratico, chiuso

Allora, mi viene da dire, come sempre: perchè non ci vogliamo rendere conto del fatto che il problema che il nostro paese vive da decenni è di tipo generazionale?

Perchè non si dà la “possibilità” ai Giovani (tutti) di scommettere e vincere sul proprio destino?

Un abbraccio.

Massimo

INQUINAMENTO E COSTI MOBILITA’

Ciao ragazzi, ho scritto questo nel blog di Antonio Di PIetro pensando hai costi legati all’uso dell’auto privata e scaricati sui grandi numeri dei costi della circolazione, difficilmente imputabili e quantificabili.
Caro Antonio, ti pongo un elementare quesito:

inquina, consuma le strade, provoca/è oggetto di incidenti e così via di più una macchina euro 0 che in un anno fa 10 mila chilometri oppure una macchina euro 4 che nello stesso anno ne fa 100 mila?
credo che bisogna comprendere che l’italia non può avere un parco auto in circolazione e circolanti nello stesso numero della popolazione maggiorenne, ma allo stesso tempo chi fa 100, oppure 10 volte i chilometri di uno che ne fa meno di 10 mila in un anno deve pagare un pò di più (non dico in
proporzione);
perchè non conta chi ha la macchina se se la tiene nel proprio box, ma chi e quanto ci sta girando nelle strade pubbliche, sottraendo spazi di libertà e circolazione agli altri.
Condividi?
Spero di si ma mi va bene anche una tua cortese smentita, sarebbe una buona notizia.
Un caro saluto,
Luca Lauro

D’ALEMA: ECCO IL MIO P.D.

Credo che sia una grande idea, perché semplifica la politica italiana che ha bisogno di grandi partiti che unifichino e non di tanti partiti che litigano. Ma anche perché il partito democratico corrisponde ad una visione più moderna della sinistra che unifica diverse anime, diverse correnti riformiste, diverse culture in uno stesso progetto politico”. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio Massimo D’Alema in un’intervista al Tg La7. “Tra quelli che sono favorevoli al nuovo partito c’è naturalmente un dibattito su come costruirlo. Sostenere che il partito si chiami partito dell’Ulivo – osserva D’Alema – non è una tesi assurda.

Il partito democratico non può ridursi ad una sommatoria di Ds e Margherita. Per questo credo che i congressi dei partiti debbano aprire una fase costituente, non riducendosi semplicemente ad una decisione burocratica di fusione”. Parlando poi della democrazia interna alle forze politiche il vicepremier si dichiara d’accordo con Sergio Cofferati sull’idea che non si possano traghettare le vecchie oligarchie nel nuovo partito. Ma aggiunge D’Alema questo non lo decidiamo né io né lui: “i gruppi dirigenti dei partiti sono eletti dagli iscritti. È una buona regola democratica. Certo auspico che gli questi scelgano anche dirigenti nuovi. Dipenderà solo da loro. Invece le personalità che vengono candidate alle cariche pubbliche vanno scelti con le primarie. E io sono favorevole alla formula delle primarie aperte”.

DONNE, FEMMINISMO E..

di Giuseppina Bonaviri

Ci vien da chiedere se il femminismo è cosa di altri tempi.
Su questo argomento c’è molta disinformazione e, forse, confusione, approssimazione, fraintendimento storico.
Già alla fine dell’800 le donne operaie iniziano la lotta per l’affermazione dei loro diritti e nascono le prime organizzazioni femminili che rivendicano l’istruzione obbligatoria e la legislazione sociale senza discriminazione di sesso.

Anna Maria Mozzoni, Anna Kuliscioff, Adelaide Coari, Sibilla Aleramo, Luisa Anzoletti fanno la storia del femminismo attraverso le due guerre mondiali per arrivare agli anni ’50, ’60 e ’70.

Per le donne, in quel momento, era compliato il percorso sociale, fuori dalla famiglia. Non c’erano i collettivi e i combiamenti erano solo individuali: l’alterità della donna rispetto al maschio!

Si arriva, col passare negli anni, al pensiero della differenza di genere e alla nascita dei gruppi autogestiti che rivendicheranno, nella teoria dell’eguaglianza, il tentativo ideologico di “asservire la donna al maschio a piu alti livelli”.

Si elabora la differenza tra “emancipazione e liberazione”: si puo’ essere paritarie di diritti sociali ma anche consapevoli della propria differenza.
Essere consapevoli della propria differenza per essere portatrici di valori al femminile.

Siano arrivati oggi, in Italia, ad un sistema che dimentico di tante passione, lotte e conquiste ha perso smalto e dinamismo critico divenuto crosta corporativa burocratizzata. Appare chiaro l’appiattimento ideologico e programmatico, le falsità di auspicate trasformazioni, la confusione
dialogica.

Non rimane, allora, che rilanciare alla dimensione umana il mandato sociale ed etico di una programmazione politica innovativa, tutta in divenire!

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