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Sì al terzo condono edilizio in Campania, ma con la Programmazione
di Giuseppe Mazzella – IE Campania
Sono assolutamente convinto che il prossimo Governo della Repubblica che – secondo le previsioni – sarà una colazione di centro-sinistra o di sinistra-centro approverà per la Campania il terzo condono edilizio, quello del 2003,che la Regione Campania guidata dal centro-sinistra presieduto da Antonio Bassolino non volle estendere alle aree di interesse paesaggistico vincolate ai sensi della legge 1049 del 1939 come le isole di Ischia, Capri e Procida e la costiera Sorrentino-Amalfitana tutte aree ad economia turistica esclusiva e matura. E’ un provvedimento che in questa ultima legislatura proprio il centro-sinistra ha ostacolato con ogni mezzo parlamentare e con ogni mezzo parlamentare il centro-destra ha tentato di far approvare stante la situazione grave, soprattutto nel comparto del lavoro, in Campania. Vanno ricordate con obiettività di cronaca le iniziative per l’ estensione del condono alla Campania del senatore Sarro del PDL così come le dure risposte dell’on. De Seta del PD.
Poiché il nuovo Governo dovrà affrontare una drammatica situazione economica e sociale del Paese con una situazione tragica dell’ occupazionale soprattutto giovanile e soprattutto nel Mezzogiorno sono dell’ avviso che queste emergenze costituiranno la motivazione fondamentale per estendere il terzo condono e per fermare gli abbattimenti. Infatti proseguire sulla strada degli abbattimenti in un’ area dove la disoccupazione cresce ogni giorno di più e l’ economia turistica entra in crisi significherebbe ancora di più aggravare una situazione sociale che definire tragica costituisce un eufemismo.
In un importante convegno che si tenne a Lacco Ameno l’ 8 ottobre 2011 per iniziativa dell’ Unione Nazionale dei Tecnici degli Enti Locali ( UNITEL) sul tema: “ Problemi irrisolti del condono edilizio dopo la legge n. 47/85” il prof. Lucio Iannotta, ordinario di diritto amministrativo presso la Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli, che tenne una relazione magistrale, affermò che in Italia “ i condoni edilizi arrivano ogni 9 anni” e che la misura da “ straordinaria” è diventata di fatto “ ordinaria”.
Iannotta osservò che “ le leggi di condono hanno dato cattivi risultati ed hanno determinato un enorme contenzioso in sede giudiziaria tanto che forse andava meglio il precedente sistema della licenza edilizia che non ha prodotto gli orrori di oggi e che concedeva l’ autorizzazione a costruire caso per caso con attenzione al particolare piuttosto che al generale”. L’ affermazione fu fatta dopo un minuzioso esame di tutti i tentativi per avviare la Pianificazione Territoriale in Italia fin dal 1942 con il Testo Unico sull’ Urbanistica che restò inapplicato per venticinque anni e riscoperto solo nel 1967 dal Ministro dei Lavori Pubblici, Giacono Mancini, socialista, al quale si deve la famosa Legge-Ponte.
Dopo quarantaquattro anni dalla Legge-Ponte almeno qui nell’ isola d’ Ischia siamo al punto di partenza perché abbiamo un blocco totale dell’ edilizia, un vincolismo assoluto decretato dal Piano Urbanistico-Territoriale del Ministro Antonio Paolucci del 1995 tanto che nell’ ultimo blitz antiabusivismo dei Carabinieri del 19 gennaio 2013 è stato ritenuta abusiva perfino la “ realizzazione di una scala in ferro per un valore di 3mila euro” nel Comune di Barano.
E’ evidente che un’economia com’è quella dell’ isola d’ Ischia dove vi sono almeno 40mila posti-letto ed almeno 10mila lavoratori stagionali del turismo e dell’ indotto non può essere ingessata senza andare verso una crisi irreversibile e drammatica. Bisogna pur permettere qualcosa, avviare un recupero edilizio,insomma sbloccare una espansione.
Credo che le esigenze dell’ economia prevarranno e nonostante tutto bisognerà ricorrere alla misura del condono. Paradossalmente parlano di applicare un condono in questa campagna elettorale per le politiche i movimenti più estremi: il Movimento delle 5 stelle di Grillo e un esponente non di secondo piano della lista Rivoluzione Civile di Ingroia l’on. Nello Di Nardo che è capolista in Basilicata e che ha dichiarato a “ La Repubblica” del 30 gennaio 2013 di “ battersi per il condono edilizio” senza alcuna preoccupazione di trovarsi sulle stesse posizioni del centro-destra.
Credo quindi che sarà inevitabile per il nuovo Governo utilizzare un terzo condono edilizio ma credo anche che il nuovo Governo dovrà cominciare a rendere possibile e praticabile una seria Pianificazione Territoriale che è tale solo quando sceglie e non immobilizza il territorio.
Come si giustificherà il centro-sinistra? Questo in politica non è mai stato un problema.
Diceva Bernard Grasset che “ poiché in politica è più importante giustificarsi che fare, le parole hanno più importanza delle cose”.
Sempre meno laureati
Elezioni: sarà un risultato imprevedibile e, in ogni caso, non traducibile in concretezza, per il governo che sarà?
di Arnaldo De Porti
I sondaggi che cambiano da un momento all’altro mi stanno provocando la nausea; e ciò non soltanto per le percentuali altalenanti a destra o sinistra, ma perché tutti, ripeto tutti, chi più chi meno, sembrano gettarsi reciprocamente fango in faccia, se vuoi anche con un certo faire-play, ma senza andare al nocciolo della questione. Insomma, ogni pretesto è buono per mettere in cattiva luce l’avversario, costi quel costi, anche se si dovesse trattare di calpestare il cadavere di uno stretto familiare.
Le tv sono prese d’assalto da tutti e tutti dicono la loro in maniera da recepire, in certi interventi, il senso ed il significato della questua.
Di questo passo, e siamo a circa quattro settimane dal voto, io penso che fra qualche giorno tutti saranno senza voce, senza forze fisiche, al punto da dover mettersi a letto: basta guardare in faccia i Bersani, i Berlusconi, i Monti, i Casini e gli ultimi arrivati, tipo Ingroia e Grillo, e si nota che di giorno in giorno essi perdono la loro verve dialettica tanto da non incuriosire chi dovrebbe ascoltarli. Sarà un bene ? Sarà un male ? Chi lo sa ?
Non vorrei, ma questa è semplicemente una battuta, che a qualche giorno dal voto, tutti fossero a letto con diagnosi “esaurimento nervoso” e che venissero subito a galla coloro che sin qui si sono risparmiati, come quella fascia di indecisi (che se non vado errato lambiscono il 40 %), i quali, insieme con Grillo e fors’anche Ingroia, potrebbero sconvolgere tutto.
E non è detto che, nel predetto 40 %, si ragioni a questo modo.
Chi vivrà, vedrà…
Bersani – Monti. Innovatori Europei li sta a guardare
di Salvatore Viglia
Il meglio possibile è ciò che sta oltre.
Oltre le rassegnazioni, oltre le presunzioni, oltre le palle di vetro bugiarde che promettono magie.
Il connubio Monti-Bersani non sarebbe mai auspicabile per postulato e storie, per tragitti e reputazioni per quanto i due rappresentano per tesi e programmi.
Ma oggi, si sa, abbiamo la scusa della crisi forse neanche tanto scusa ma realtà, con la quale fare i conti ed allora il meno peggio ce lo facciamo diventare buono ed accettabile.
Gli Innovatori Europei hanno incassato una disattenzione gravissima dalle ultime programmazioni elettorali.
Una spavalda quanto colpevole indifferenza dei leaders politici blasonati nell’approfondimento della scelta degli uomini e della opportunità innovativa che avrebbe portato pezzi della società civile VERA nel suo seno.
Invece, a bocce ferme, prendiamo atto che dicono che sia cambiato tutto per non aver cambiato neanche una virgola.
Il piatto cucinato, bello e pronto è l’insalata Monti-Bersani dove il secondo vive uno stato di prostrazione psicofisica nel riguardi del professore, assai imbarazzante.
Manca la postazione.
Ciò significa che piuttosto che stare dentro occorreva essere posizionati fuori ad ogni costo.
A costo di fare e rifare le elezioni due e più volte. Non è possibile immaginare, per chi vive una speranza progressista, una sola speranza progressista, stop a soluzioni di continuità irresponsabili.
Innovatori Europei è e sarà “significativamente oltre” appollaiato in una postazione panoramica dalla quale le sue componenti migliori trarranno conclusioni e redigeranno progetti politici.
Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi
di Massimo Preziuso su L’Unità
Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.
Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.
Dopo i primi giorni di “calma piatta”, nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.
Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.
Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.
A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.
Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.
Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.
E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.
Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.
E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.
Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.
Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.
Monti, Bersani e i veri nemici del cambiamento
di Francesco Grillo su Il Mattino e Il Messaggero
Ha ragione il Financial Times quando correggendo la stroncatura nella quale era incappato il giorno prima il nostro Presidente del Consiglio, ha identificato nelle qualità personali di Bersani e nella credibilità internazionale di Monti l’unica, concreta speranza per un “nuovo inizio”. E, tuttavia, anche nell’ipotesi – tutt’altro che scontata – che tra trenta giorni un’alleanza tra Centro e Centro Sinistra risulti necessaria e sufficiente per governare, permarrebbero due straordinarie complicazioni per poter davvero far ripartire l’Italia: la prima è determinata dalla distanza tra i due leader che, in questi giorni, si sta allargando fino a raggiungere i caratteri di una diversità ideologica che può rappresentare un punto di non ritorno; la seconda è che se anche i due riuscissero a mettersi d’accordo, si troverebbero successivamente a fare i conti con vincoli che sono molto più diffusi di quelli rappresentati da qualche ala estrema, come sembra credere il Professor Monti.
Sono pesantissimi, in effetti, gli attacchi che Monti ha, in questi ultimi giorni, sferrato contro le posizioni che Bersani dovrebbe “silenziare”. Ed è solo ovvio che sia stato lo stesso Bersani a incaricarsi di ribadire alleanze ratificate attraverso un processo comunque democratico. E forse ha ragione Vendola quando, nonostante qualche precedente apertura, rileva che ormai lo scontro sia di profonda differenza nelle stesse categorie semantiche che si utilizzano per osservare la realtà e costruire un’idea di futuro.
Gli effetti finali sono chiari: il Centro si allontana dal Centro Sinistra e, probabilmente, dallo scontro guadagnano voti gli altri che stanno probabilmente rientrando in gioco.
Ma c’è un elemento ulteriore che lascia perplesso della logica del “taglio delle posizioni” che Monti (e lo stesso Financial Times) continua ad invocare: i blocchi sociali che si oppongono alle “riforme radicali” di cui l’Italia ha urgente bisogno non vengono solo dalla CGIL o dalla sinistra radicale.
Lo dimostra la vicenda – assolutamente centrale per il suo valore non solo effettivo ma anche simbolico – della riforma del mercato del lavoro che anche nella sua forma finale, molto smussata nei suoi aspetti più innovativi, è stata contrastata praticamente da tutti. Ma lo dimostrano anche le due questioni che, pur essendo assai poco discusse, sono forse le più importanti per arrivare ad una revisione della spesa pubblica più intelligente di quella provata da precedenti Governi e, in definitiva, ridurre le tasse e tornare a crescere: le pensioni ed, in particolar modo, la possibilità di toccare il totem dei “diritti acquisiti” che pesano come un macigno sulla quantità e qualità della spesa dello Stato; la riforma del pubblico impiego e, nello specifico, la capacità di mettere in discussione l’inamovibilità dei dipendenti pubblici che costringe le pubbliche amministrazioni ad usare la sola leva del blocco delle assunzioni per poter dimagrire e, dunque, ad una spirale di sempre maggiore obsolescenza e ulteriori richieste di tagli.
Sulle pensioni ha ragione Bersani quando dice che sono solo le pensioni “vecchie” (e gli interessi sul debito pubblico) ad essere disallineate rispetto agli altri Paesi. Non tutti, però, hanno un’idea dell’ampiezza del disallineamento. L’Italia spende in pensioni, secondo l’INPS, quattro punti e mezzo di PIL (17,1%) più della Germania (12,8) e se ci riallineassimo ai livelli di spesa del Paese con il welfare più sviluppato del mondo (del resto in Germania ci sono molti meno anziani che vivono sotto la soglia di povertà rispetto all’Italia) potremmo risparmiare circa 80 miliardi di euro: da destinare al taglio delle tasse o, magari, all’educazione, visto che se sommiamo scuola, università e ricerca arriviamo a risorse pari a poco più di un quinto di quelle che eroghiamo ai pensionati. Spostare risorse dal passato al futuro è ovviamente una misura per la crescita. E, tuttavia, quello delle pensioni è il primo esempio di quanto siano più vaste delle ali estreme le resistenze al buon senso. Alla costruzione di un sistema iniquo hanno collaborato tutti, datori di lavoro e sindacati e del resto, basta vedere i numeri della rappresentanza per rendersi conto che negli ultimi trent’anni è diminuita la presenza delle confederazioni nelle fabbriche ed è aumentata di molto tra i pensionati.
Il pubblico impiego è l’altro nodo decisivo per far ripartire l’economia italiana ed è evidente quanto le resistenze siano trasversali. È vero quanto afferma, ad esempio, Bersani quando dice che la revisione della spesa ha portato a non avere più la benzina nelle macchine della Polizia. Ma è altrettanto vero che il confronto internazionale dice che nel Regno Unito – a parità di popolazione e crimini – ci sono la metà dei poliziotti che ci sono in Italia (e molta più tecnologia). Che da anni è evidente – soprattutto ai poliziotti e ai carabinieri – che non ha senso avere due organizzazioni che fanno le stesse cose negli stessi territori e che, però, una riorganizzazione senza poter, almeno, spostare le persone sarebbe l’ennesima montagna destinata a partorire un topolino. Che il 90% della spesa delle pubbliche amministrazioni è spesa in personale al quale mai si potrà applicare la mobilità del settore privato e che in questa condizione, anche la riduzione delle province – se anche mai andasse in porto – rischierebbe di avere effetti del tutto marginali. Così come pure è vero che se mai riusciremo a metterci nella condizione di poter rimuovere un dirigente incapace o di premiarne uno meritevole, rischieranno di essere vani persino gli sforzi di Fabrizio Barca di non sprecare le uniche risorse pubbliche che questo Paese ha a disposizione per lo sviluppo.
Eppure, di nuovo, una questione così importante è dimostrazione che gli ostacoli alle riforme radicali possono prescindere dalle ali estreme e dagli idealisti: capita, infatti, che la resistenza può venire persino dallo stesso Governo Monti, dal suo ministro della Funzione Pubblica che si affrettò qualche mese fa a chiarire che la travagliata riforma dell’articolo diciotto mai avrebbe, comunque, toccato quel totem che costringe le stesse pubbliche amministrazioni all’inefficienza.
Resistenze diffuse, dunque. L’antidoto, l’unico possibile, è rinunciare a parlare di luoghi estremi dove si anniderebbe la conservazione e ammettere, come Monti dimostra di sapere quando invoca una ristrutturazione dell’offerta politica, che le resistenze al cambiamento esistono ovunque. Bisognerebbe parlare fino in fondo il linguaggio della verità. Ammettere che il costo di avere troppi pensionati o troppi poliziotti lo pagano anche i poliziotti senza benzina, gli studenti senza più assegni di ricerca, le piccole imprese con troppe tasse e i percettori di pensioni più basse – che pure sono tra gli elettori che Monti e Bersani rappresentano. Parlare il linguaggio della verità: facendolo fino in fondo, in maniera chiara, è possibile persino convincere i privilegiati che un sistema non più sostenibile si troverà presto – se continuiamo così – senza nessuno rimasto a pagare i loro privilegi.
Monti: sarà onesto, sarà falso, sarà credibile?
Tre righe per esprimere una mia impressione su Mario Monti, maturata osservandolo da alcune angolazioni.
Agli inizi, quand’era al governo, non lo nego, mi ha offerto una buona impressione al punto da credergli quasi in toto, capendo che, da parte sua, per non inimicarsi con coloro che l’hanno sostenuto e lo dovevano sostenere, deve aver fatto di necessità virtù, evitando di urtare la suscettibilità per non venir privato appunto del predetto sostegno, peraltro facilitato dal fatto che ciò faceva comodo a tutti, compreso al Pdl, pena lo sfacelo politico;
Verso la metà del suo governo, la mia fiducia è venuta un po’ meno in quanto egli ha privilegiato le fasce forti a danno dei meno abbienti, con la terribile conseguenze che le fasce deboli e meno protette, ora sono state e sono attualmente costrette a soffrire, se non a morire di fame, con il pericolo imminente di una rivoluzione civile, non quella di Ingroia che, a mio avviso, malgrado le buone intenzioni, sta combinando guai, come e più di Grillo;
Alla fine, costretto a dimettersi in quanto il Pdl gli ha tolto il sostegno, egli ha mostrato una faccia molto diversa: egli ferisce a morte gli avversari con l’arte di una diplomazia che, malcelata, evidenzia aspetti dittatoriali, più di Berlusconi, come si è visto ieri sera a Ballarò: egli infatti non va d’accordo con nessuno e si auto-etichetta come “il migliore”.
Domanda legittima che mi pongo: “Ci si trova di fronte ad una persona a due facce, ad un attore perfetto, oppure ad un diplomatico che obbedisce freddamente alla seguente esigenza machiavellica secondo cui il fine giustifica i mezzi ? : “
Se così fosse, mi permetterei di aver dei dubbi sull’onestà intellettuale.
La Lista Sapienza
(Verso l’assemblea nazionale degli Innovatori Europei, 16 Febbraio a Roma: un invito alla lettura per la classe dirigente e politica, per le elezioni di febbraio)
di Massimo Sapienza
Invece di votare chi scrive agende mediocri non potremmo appoggiare elettoralmente chi ha l’umiltà di leggere grandi pensatori? Provo a fare un mio personale elenco, la lista Sapienza, ossia i miei consigli di lettura per la nostra classe dirigente e politica.
Alcune regole di ingaggio: ho scelto solo libri pubblicati nell’ultimo trentennio, ho scelto solo testi per non addetti ai lavori, ho abbandonato qualunque criterio di organicità e sistematicità, libertà al potere
Ho fatto uno sforzo di selezione “eroico”. La lista è aperta ai vostri suggerimenti. Sarebbe bello arrivare ad avere una grande diffusione e una profonda condivisione. Non mi spingo a sognare che i nuovi parlamentari leggeranno i libri contenuti nel seguito, ma se anche qualche amico dovesse trovare spunti interessanti non potrei che dirmi soddisfatto.
In ogni caso, io sono padre di un piccolo leoncino di tre anni. Se un giorno mio figlio Léon dovesse chiedersi che idee aveva sua padre sulla società potrà leggere la lista e scegliere liberamente se vuole includere nella sua formazione di giovane uomo qualcuno dei libri che io ho amato.
Di seguito la lista Sapienza, 20 saggi e un documentario, suddivisa in 5 macro-argomenti:
Sulla conversione ecologica e sui cambiamenti climatici
- “”La terza rivoluzione industriale” di Rifkin perché l’età del carbonio volge al termine e siamo nel secolo delle rinnovabili. Tutto il sistema produttivo ne sarà profondamente modificato e dobbiamo saper governare il cambiamento;
- “Piano B” di Thurow perché la pressione demografica e il suo impatto sulle risorse idriche e sulle terre coltivabili, il riscaldamento globale e tanti altri problemi capitali richiedono un serio ed organico piano di mobilitazione e rappresentano, fra l’altro, una importantissima opportunità di crescita. Gratis in rete (http://www.indipendenzaenergetica.it/index.php?option=com_content&view=category&id=51&Itemid=64);
- “Home” di Arthus-Bertrand. Un film gratuito disponibile on-line con immagini meravigliose del nostro pianeta e messaggi importantissimi. 89 minuti che cambiano la vita;
- “Tempo Rubato”, di Robert perché l’attuale sistema dei trasporti è un pezzo importante del vecchio modo di intendere la vita. Cambiare il modo in cui spostiamo uomini e merci ci consentirà di fare un altro salto verso un mondo sostenibile. Gratis in rete (http://www.quarantina.it/vecchiosito/pdf/articoli/robert,%20tempo%20rubato%20(321%20kb).pdf);
- “Collasso” di Diamond perché è importante riflettere su quanto le civiltà siano frutto di un delicato equilibrio. Leggere la storia delle società del passato che non sono riuscite a mantenersi in equilibrio dovrebbe darci la spinta per rilanciare la nostra società e fare le scelte “giuste”;
- “Il mondo senza di noi” di Weisman. Per tutti quello che si credono insostituibili. Perche’ il pianeta Terra ha una enorme capacita’ di autoregolarsi. Perche’ l’azione dell’uomo e’ martellante, incredibilmente pervasiva ma in gran parte destinata a scomparire. Un libro per chiedersi “che cosa restera’ di noi”;
Sullo sviluppo e la crescita in generale
- “Information rules” di Shapiro e Varian perché, anche se Internet è ormai ovunque nella nostra vita, raramente la consapevolezza del valore dell’informazione e delle reti va oltre qualche slogan. Poiché il presente e il futuro passano per quella strada, non rimane che imparare (http://www.inforules.com/);
- La cultura è una industria, forse la più importante a tendere. Per farlo capire a chi la considera solo un lusso, “Creative Destruction” di Cowen, un libertario eclettico che spiega come la globalizzazione modifichi la produzione culturale;
- Landes di “La ricchezza e la povertà delle nazioni” perché un grande storico è quello che ci vuole per mostrare le cause del divario crescente fra ricchi e poveri. Da leggere e studiare per capire quanto siano importanti “società aperta”, “lavoro” e “progresso tecnologico”;
- “La singolarità è vicina” di Kurzweil perché se si assume che il progresso tecnologico acceleri costantemente il 2030 sarà davvero un altro mondo. Sembra fantascienza, ma guardare lontano consente di andare dove si vuole davvero invece che inseguire e farsi trascinare;
- “I tre imperi” di Khanna in rappresentanza della geopolitica, una disciplina difficile e mutevole. Venne accolto come “la bibbia del settore” e dopo 4 anni si cominciano a vedere i segni del tempo. Se si vuole conoscere il mondo non resta che studiare sempre e tanto;
Sul diritto e sui diritti
- Un libro di filosofia morale: “Created from animals” di Rachels. Pensare ai diritti degli animali è un modo fresco e potente per ripensare e rivendicare i diritti civili di tutti, uomini, animali e piante;
- “Legge, legislazione e libertà” di Hayek perché senza legge non c’è stato e vita sociale. Il dibattito sulla legalità però non riguarda solo la magistratura ma anche cosa sono e come si fanno le leggi. Su questi temi le società occidentali hanno dimenticato quasi tutto. La crisi di legalità inizia quando non si hanno più delle “vere leggi”;
- “Ancora dalla parte delle bambine” di Lipperini perché le differenze di genere pesano ancora a 40 anni dal saggio originario della Giannini Bellotti. I nuovi media pesano nell’educazione e nel formare i pre-concetti su “maschile” e “femminile” che poi condizionano la nostra vita. Anche per chi non crede, come me, che uomini e donne siano un tutt’uno indistinto meglio non dimenticare quanto veniamo “addestrati” ad essere diversi
Sulla società
- “Bowling alone” di Putnam perché la cittadinanza è vera ricchezza ma è maledettamente complessa. Non di solo capitale fisico vive il sistema ma abbiamo bisogno di tanto capitale sociale;
- “Superclass” di Rothkopf perché il rapporto fra Stati Nazione ed élite sta cambiando a favore delle seconde per via della globalizzazione. Oggi 6.000 persone “dominano” il pianeta. Un libro serio per chi non è cospirazionista ma vuole capire le dinamiche del potere e immaginare come modificarle;
- “Altissima povertà” di Agamben, un mio omaggio personale al sogno rivoluzionario che da quasi 2 millenni cerca di creare uomini nuovi dalla “vita perfetta”, abbracciando una regola. Un messaggio sempre attuale perché si possono e si devono guardare le cose con occhi diversi. Concetti quali “proprietà” e “povertà” hanno uno spazio di possibilità molto più ampio di quello al quale ci ha abituato la consuetudine moderna;
- “Price of Inequality” di Stiglitz perché la distribuzione del reddito sta mutando in maniera molto significativa e questo fenomeno va conosciuto, compreso e valutato in tutti i suoi risvolti. E’ un argomento sul quale non dovrebbe essere ammessa né ignoranza, né preconcetto;
Sulla crisi e la finanza
- “Irrational exuberance” di Shiller, uno dei massimi esperti di finanza, perché la volatilità ci fa capire che l’avidità deve essere limitata, altrimenti la finanza, che è uno strumento di sviluppo, diventa “cattiva” (http://www.irrationalexuberance.com/);
- “This time is different” di Reinhart e Rogoff ancora sulle crisi finanziarie e sulla fragilità dei meccanismi di fiducia. Il tema è difficile ed è d’attualità mi perdonerete se dedico due saggi a questo argomento;
Facce nuove in politica non ce ne sono
Cambia tutto affinchè non cambi nulla
di Francesco Grillo (pubblicato su Il Mattino e Il Messaggero)
Osservando la campagna elettorale delle elezioni che dovevano essere le più importanti della storia della Repubblica, tornano in mente le parole che il principe di Salina riserva al cavaliere sabaudo che gli chiede dove trovare in Sicilia la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia. Dopo cinque anni di crisi e cambiamenti inauditi, ancora una volta, nel momento decisivo prevale l’eterno ritorno della politica italiana al suo passato. Ed è un’intera società ad apparire come paralizzata da sé stessa.
Ciò che sorprende di più è quanto poco si affrontino in queste settimane le domande dalle cui risposte dipendono, letteralmente, la sopravvivenza di una comunità nazionale ed il suo futuro: come possiamo risvegliare un’economia che appare sprofondata in un letargo che dura da vent’anni? Con quale criterio cominceremo un’operazione di progressiva, continua revisione del ruolo dello Stato? Come possiamo riportare alla legalità i rapporti tra cittadini e la competizione tra le imprese in una società che appare spesso lacerata dalla sfiducia?Quale può essere il ruolo dell’Italia in uno scenario europeo e globale che influenza così tanto le quotidianità di tutti?
Il confronto del 2013 avrebbe dovuto segnare l’ascesa di nuovi protagonisti; la rete ed il “territorio” dovevano sostituire la televisione come luoghi dove si sarebbe giocata la partita; infine, la contrapposizione tra Centro Destra e Centro Sinistra sarebbe stata superata, come aveva annunciato Monti, da una nuova sintesi in grado di esporre le contraddizioni interne ai partiti e favorire una ristrutturazione radicale dell’offerta politica.
Succede, invece, che il dibattito si è trasformato in un inseguimento senza fine negli studi televisivi tra tre o quattro leader, i quali da settimane ripetono sempre gli stessi concetti per arrivare all’ultimo dei propri elettori target; che le contrapposizioni non sono mai state così forti; che i programmi appaiono ridotti ad un referendum sulla tassa (l’IMU) pagata più di recente, quando sarebbe, invece, il momento di capire cosa non ha funzionato negli ultimi vent’anni, per poter invertire un declino lungo che si sta trasformando in tracollo; che contenuti essenziali sono completamente spariti.
Assenza di risposte, dunque, che parte da un vuoto di domande di cui – nonostante lo tsunami mediatico – è responsabile anche buona parte del sistema dell’informazione.
Sulla crescita, innanzitutto, che non è solo un problema di economia ma, più in generale, di interruzione del coma – come dice Bill Emmott – nel quale siamo tutti intrappolati da due decenni. I dati sull’evoluzione dei redditi e delle quote sulle esportazioni dicono che vent’anni fa eravamo il Paese peggio attrezzato del mondo per affrontare la globalizzazione e che abbiamo continuato ad esserlo negli anni successivi, nonostante tante riforme rimaste imprigionate in una legge. E allora la prima domanda da fare a chi si candida è: come si può superare questa maledizione che ci accompagna dal 1994, quando passammo in pochissimo tempo dall’essere una delle economie più dinamiche a fermarci quasi totalmente? Se la ricetta fosse – come insiste Fassina – un ritorno agli investimenti pubblici, dove intendiamo reperire le risorse? Come ci dovremmo attrezzare entro la fine dell’anno prossimo, per utilizzare nella migliore maniera possibile le uniche risorse che saranno sicuramente disponibili e che verranno, in buona parte, allocate alle Regioni del Sud?
Se invece la risposta alla domanda sulla crescita fosse – come insiste Brunetta – quella della riduzione delle tasse, come si immagina di voler rispettare i vincoli di bilancio e la necessità di ridurre il debito che ci zavorra? Chi proponesse – come ha fatto Berlusconi – la riduzione della spesa pubblica del 10% (ottanta miliardi di euro) in cinque anni, cosa esattamente vuole tagliare, come pensa di farlo senza mettere in discussione l’impossibilità di licenziare i dipendenti pubblici per “motivi economici”? C’è un modo per costruire un’offerta politica alternativa alle proposte di Destra e Sinistra cogliendo – al Centro- il nesso che esiste (e che molti ignorano) tra una più efficace lotta all’evasione fiscale e una maggiore tutela dei contribuenti rispetto all’invasività del fisco?
Ma ancora più a monte, in che maniera ci aspettiamo che muti il ruolo dello Stato nei prossimi anni? Visto che le attribuzioni di poteri che una Costituzione fa è – per definizione – rigida, come faccio a cambiarle in maniera periodica per tener conto di quanto invece la realtà sia diversificata tra Regioni diverse e di quanto essa si modifichi continuamente per effetto di innovazioni tecnologiche che rendono ridicole e insopportabili certe burocrazie? Quale può essere il ruolo dello Stato nell’incoraggiare quelle mutazioni sociali e industriali – ad esempio, della geografia di città che devono affrontare sfide urgentissime sul piano del traffico, dei rifiuti, dell’energia – che faranno il futuro?
E ancora sul piano della Giustizia, e, dunque, dei rapporti tra cittadini e tra imprese: c’è un margine per superare la contrapposizione tra chi vuole conservare le cose come stanno e chi fa finta di volerle stravolgere per arrivare – esattamente come teorizza il Gattopardo – al nulla? In che misura in una società moderna le decisioni delle maggioranze possono incidere sulle scelte personali e, ad esempio, sulla forma delle famiglie?
Ancora più grave è, poi, il buco nero nel quale risulta sparita la questione del ruolo dell’Italia sul piano europeo e globale che così tanto ci condiziona. Sull’Europa, lo scontro è tra chi vorrebbe difendere lo status quo e chi, al contrario, individua nell’Europa attuale la madre di tutti i problemi. Quale la strategia per cambiare un progetto che ha, appunto, bisogno di essere radicalmente ripensato per sopravvivere? Cosa si intende proporre ai vertici europei, che subito dopo le elezioni italiane fisseranno dimensione e composizione del budget dell’Unione per i prossimi sette anni? Quale la nostra visione per quella parte di mondo che – dalla Turchia al Marocco – ci circonda ed è attraversata da rivoluzioni vere?
Avremmo bisogno di modelli di leadership diversi da quelli che abbiamo, in grado di coinvolgere le persone spiegando perché il privilegio finisce con il far male a tutti. Un cambiamento fatto dall’alto è, del resto, finto tanto quanto quelli che avevano creduto di vedere gli occhi del padre di Tancredi. Tuttavia, è altrettanto vero che la storia della fine del Regno delle due Sicilie insegna anche che un sistema di potere è già morto quando subisce trasformazioni alle quali non riesce ad adattarsi e reagisce illudendosi di poter rimanere aggrappato al passato.