Significativamente Oltre

Roberto speranza

Dal Nazareno: noi Innovatori Europei consegniamo la creazione nel Mezzogiorno dell’ Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee al Partito Democratico e al Governo

convegno romaconvegno 21 giugno

Comunicato Stampa

Il Movimento Innovatori Europei dal Nazareno lancia una iniziativa sulla creazione nel Mezzogiorno di un Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee affidando questo percorso al Partito Democratico e al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in qualità di guida italiana per il Semestre Europeo.

Il 21 giugno, al Nazareno, in una sala affollata si è svolta l’iniziativa di Innovatori Europei dal titolo “Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese“. Personalità provenienti da ogni parte d’Italia hanno discusso per l’arco dell’intera giornata sul ruolo che la Logistica dei Trasporti e le indispensabili Infrastrutture a essa strettamente collegate debbono assolvere allo scopo di rilanciare con forza l’economia del Paese, riconsegnando al Mezzogiorno la sua plurisecolare funzione di collegamento col Mediterraneo che la stessa Unione europea gli attribuisce ancor oggi.

Il Convegno si è articolato in due sessioni complementari. Dopo l’introduzione al convegno dell’ing. Massimo Preziuso, fondatore degli Innovatori Europei, e i messaggi di pieno supporto del Partito Democratico e delle istituzioni, un auditorio di grande qualità ha potuto seguire le ragioni tecnico – economiche e manageriali  in base alle quali l’Italia può e deve trovare il suo spazio nella competizione volta ad assicurarsi una fetta dei flussi mercantili intercontinentali. Ed è così tornato in campo l’aspetto politico del problema: è vero, la Logistica può rappresentare per l’Italia ciò che è stato e continua a essere il petrolio per i Paesi arabi a patto che i partiti italiani collaborino lealmente alla riuscita del progetto di cambiare l’Italia che il Governo sta iniziando ad attuare.  

A fine lavori si è prodotto un documento con annessa proposta, condivisa da tutti i presenti, per la creazione nel Mezzogiorno dell’Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee. La pubblicazione di questo documento resocontato sarà consegnata nei prossimi giorni al Partito Democratico, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e alle istituzioni di Governo con l’invito a disporre che sia inserito nell’agenda del Semestre Europeo a guida italiana. L’Osservatorio già in partenza vede la partecipazione di personalità provenienti dal mondo della accademia, delle organizzazioni sindacali italiane, imprenditoriali. Noi Innovatori Europei, protagonisti da anni del desiderio di cambiamento del Paese, essendoci accreditati nei fatti come luogo di incontro ed innovazione tra mondi come la Tecnica, la Ricerca accademica e la Politica chiediamo al Partito Democratico che in qualità di interprete di un governo forte e rinnovatore apra le sue porte alla società delle Idee per efficientare e risolvere questioni annose con il contributo di tante e tanti.

Innovatori europei: per il Sud una nuova fase da protagonista?

sud

Articolo pubblicato sul sito del Partito Democratico

L’associazione Innovatori europei ha organizzato per il 21 Giugno al Nazareno, presso la sala delle conferenze della sede nazionale PD a Roma un convegno fortemente caratterizzato fin dal titolo: “Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del paese”, con uno sviluppo degli interventi che vuole dimostrare come la ripresa dell’Italia sia pura illusione se non si attribuisce, una volta per tutte, al Sud un nuovo ruolo: non più inerte beneficiario di provvidenze utili a consolidare rapporti clientelari ma parte orgogliosamente e consapevolmente integrata nel territorio nazionale, organica allo sviluppo dell’intero paese.

Certo, non è una tesi completamente nuova, ma è la prima volta – da quanto ci risulta – che il tema è trattato in maniera così approfondita.

La scaletta degli interventi è infatti estremamente ricca, tanto da costringere gli organizzatori a dividere l’evento in due sessioni, una più tecnica e politica al mattino e una al pomeriggio che si propone di mostrare come il mondo si muove così rapidamente da non lasciare scampo a chi non accetta le sfide del nuovo mondo globalizzato.

Ed è proprio qui che si tocca di nuovo con mano lo “spirito del cambiamento” in atto nel paese: come affermano gli Innovatori europei, appena è iniziata a circolare la voce che si stava organizzando al Nazareno un convegno su questo tema, sono arrivate da ogni parte d’Italia tantissime richieste per poter assistere o anche per dare il proprio contributo al successo della manifestazione.

È segno che sta per iniziare una nuova fase? O che forse è già iniziata?

Fonte, Europa Quotidiano

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Programma del convegno: Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese

Perché l’Italia non innova più

di Leonardo Maugeri (su Il Sole 24 Ore)

In questi ultimi mesi mi sto occupando di trovare finanziamenti negli Stati Uniti per alcune start-up molto innovative in settori in cui le loro invenzioni avrebbero un’immediata e dirompente applicabilità – se di successo. La relativa facilità sia del contesto, sia di trovare interlocutori pronti a rischiare il loro denaro, mi ha spinto a un amaro parallelo con quanto avviene in Italia.

Mentre l’America continua a rigenerarsi e a uscire da ogni crisi grazie a moti periodici di innovazione, l’Italia non inventa più da troppi anni. E questa è una causa del suo declino economico.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, il miracolo economico italiano fu sostenuto dalla straordinaria inventiva di un popolo che non aveva grandi capitali: eppure, dalla chimica all’industria dei trasporti, dagli elettrodomestici alla meccanica di precisione, il nostro era un Paese che inventava, brevettava e trasformava in industria il risultato delle sue scoperte. Ricercatori innovativi trovavano capitani d’industria (allora era giusto chiamarli così) culturalmente pronti a sposare l’innovazione, a investirci sopra, a scommettere su nuovi prodotti che avrebbero cambiato il mercato e consentito di generare ricchezza e lavoro. Questo connubio naturale tra ricerca e industria, peraltro, rendeva la prima più concentrata sui bisogni e le aspettative della seconda, evitando così di disperdere risorse su filoni che non avevano prospettive commerciali. Di quel terreno fertile, è rimasto poco o niente. I ricercatori italiani sono di ottimo livello internazionale, nonostante siano pagati malissimo e siano dimenticati da tutti. Anche per questo, il numero dei brevetti italiani si è più che dimezzato rispetto agli anni Sessanta, e i brevetti di oggi spesso rappresentano solo migliorie all’esistente, non innovazioni tali da introdurre discontinuità di mercato. Molte università non hanno nemmeno un ufficio brevetti e – se lo hanno – non hanno alcuna idea di come valorizzare un brevetto. Nella mia esperienza industriale ho avuto esempi deprimenti di questa mancanza, su cui è meglio stendere un velo pietoso. Allo stesso tempo, i capitani d’industria dell’Italia post-bellica hanno lasciato il campo a grigi manager capaci di tarare le loro azioni solo sull’esistente e per un orizzonte temporale non superiore a tre anni, quello che – per il codice civile – esaurisce il loro mandato.
Per tutti loro, la ricerca è fondamentale solo a parole, in termini di comunicazione e immagine. Eppure, senza la capacità di generare nuove attività economiche basate sull’innovazione, le possibilità di crescita di un Paese sono nulle, e l’unica via è quella di competere sul costo del lavoro. Scelta che ci porterebbe verso il terzo mondo. E’ possibile cambiare questo stato di cose? Forse.
Ma occorre agire all’unisono su almeno sette fronti.
Primo: occorre liberare dalle tante vessazioni che li opprimono e dare un ruolo preminente a fondi di investimenti privato, private equity, venture capital etc. disponibili a investire nelle piccole società innovative. Nelle aree più produttive di idee degli Stati Uniti, come la Silicon Valley o Boston, ne esistono a centinaia, spesso migliaia. In Italia, secondo i dati di “Start Up Italia”, esistono solo 1.127 start up innovative, di cui solo 113 finanziate, per un misero totale di poco più di 110 milioni investiti nel 2013. Niente, rispetto agli oltre 10 miliardi di dollari che – nel 2013 – i soli venture capital statunitensi hanno trainato su start-up americane. Nel complesso, esistono (dati Aifi – Associazione Italiana Private Equity e Venture Capital) non più di 13 venture capital (contro i quasi 2.000 degli Stati Uniti o gli 800 della Germania). Ugualmente misero è il numero delle società di private equity. Con questi numeri non si va da nessuna parte. Un’ampia presenza di fondi privati e venture capital, invece, è fondamentale in quanto da noi manca una grande industria le cui articolazioni possano svolgere il ruolo di “pillar companies” – società pilastro, in grado esse stesse di finanziarie e aiutare le start-up nel loro percorso di crescita. Tuttavia, i pochi investitori nell’innovazione sono sottoposti (in quanto raccolgono capitali privati) a un sistema di vigilanza spesso vessatorio, che andrebbe drasticamente ridimensionato.
Secondo: i fondi privati dovrebbero godere di tassazioni agevolate, in particolare sugli investimenti in conto capitale. Per la fase iniziale della loro vita, si potrebbe addirittura pensare a annullare o rendere minimi tutte quegli esborsi (oneri di costituzione e registrazione, etc.) in modo da rendere attraente anche per fondi stranieri l’ingresso nel nostro Paese. Si tenga presente l’investimento in piccole società innovative è a altissimo rischio, in quanto la percentuale di start-up che muoiono prima di arrivare alla commercializzazione di un prodotto supera di gran lunga quella di quante hanno successo. Secondo un recente studio di Harvard, per esempio, solo il 25 percento delle start-up americane ha successo, nel senso che produce innovazioni vere e reddito per chi ci ha investito: ma è proprio quel 25 percento che rappresenta l’onda di continuo rinnovamento dell’economia americana. In un sistema perfetto, nessun problema: il tipico investitore si attende che i profitti realizzati su due delle dieci start-up su cui ha messo soldi eccedano di gran lunga gli investimenti complessivi. Ma in un sistema che deve decollare, come quello italiano, senza forti incentivi (e con le tante vessazioni di cui ho parlato) è difficile pensare che il capitale di rischio si muova agevolmente.
Terzo: bisogna smettere di pensare che tutta la ricerca sia utile, e quindi degna di finanziamento. In assoluto può essere anche vero, ma in pratica – per un Paese che deve ripartire – è un’idea velleitaria e dannosa. Occorre puntare su quei filoni che, in questo decennio, possono avere una grande potenzialità di mercato e in cui le barriere d’ingresso e i vantaggi accumulati dai concorrenti non siano già insormontabili. Queste caratteristiche, per esempio, escludono l’energia nucleare, ma non l’energia solare, le biotecnologie, la remediation ambientale, la chimica verde, il riutilizzo dell’acqua, i nuovi materiali a basso impatto energetico e ambientale, e molto altro ancora.
Quarto: la ricerca deve essere collegata al mercato e confrontarsi con esso. In realtà, questo aspetto è un corollario del precedente. Il ricercatore deve capire di che cosa ha bisogno il mondo che gli sta intorno e cercare di trovare delle risposte. Allo stesso tempo, deve essere in grado di presentare un business plan articolato a potenziali investitori. Pochissimi sono preparati su quest’ultimo aspetto: le università che fanno ricerca dovrebbero introdurre dei corsi specifici sull’argomento.
Quinto: tra università e l’universo di fondi e società che finanziano piccole società innovative deve esistere una sorta di simbiosi. Non a caso, grandi società, venture capital, private equity assediano letteralmente i campus del MIT o di Harvard. Da noi, come ho già osservato, gran parte delle università ha perfino difficoltà a dare valore alla proprietà intellettuale che produce, e non prepara i propri ricercatori a mettersi sul mercato. Tra i parametri di finanziamento della ricerca nelle università italiane, pertanto, dovrebbe entrare un meccanismo che consenta di misurare quel valore. Questo renderebbe più agevole e auspicabile l’erogazione di fondi di ricerca all’università – sia pubblici sia privati – e consentirebbe alle stesse università di creare fondi per finanziare spin-off e start-up da cui trarre royalty con cui finanziare altra ricerca (come fanno le grandi università americane), o per vendere le loro quote nel momento più propizio, anche attraverso periodiche esposizioni aperte agli investitori (vere e proprie mostre) delle ricerche più interessanti in atto, come fanno Harvard e MIT.
Sesto: lo stato dovrebbe limitarsi a finanziare la ricerca di base, una volta individuati i filoni di ricerca che meritano finanziamento. Chi riceve il finanziamento dovrebbe comunque presentare dei piani in cui siano presenti le tappe fondamentali che si vogliono conseguire con la ricerca, i tempi previsti per ciascuna tappa, l’originalità e la potenziale competitività di ciò su cui si lavora. Periodicamente, tutti questi aspetti dovrebbero essere rendicontati per evitare che si continuino a gettare soldi al vento per anni senza alcun controllo. Potrebbe partecipare anche al capitale di rischio dei fondi creati da università o soggetti privati.
Settimo: la proprietà intellettuale va difesa. In Italia lo si fa pochissimo, cosicché la possibilità di “scippi” di idee innovative è sempre in agguato. Il problema investe la scarsa specializzazione di studi legali e di altre organizzazioni professionali specializzate in materia. Visto che il mercato da solo non può dare in brevi tempi una risposta a questo problema, forse sarebbe più utile che lo stato o le regioni creasse questo tipo di organizzazioni sul territorio.

 

Interview to Prof Leonardo Maugeri, italian talent at Harvard

ENIby Massimo Preziuso on R-Innovamenti

Good morning, Professor. First of all, thanks for this opportunity. You are a clear example of an “exported” italian talent. After a brilliant career in the giant ENI, in 2011, yet in your forties, you decided to change and go back to the academy. Today you teach at the prestigious Harvard University, you are also an Advisor of the U.S. government on energy issues, and author of several books, including a best-selling book I read these days (“With all the energy possible”), and much more.

1) Why this so sudden and radical change?

I prefer that time sediments before answering this question.

2) Italy Vs United States: who wins?

There is no competition. For years, I agree with the judgment of Bill Emmott on Italy, and now unfortunately our country has reached a level of no return. Dominated by a pathological corruption and a ruling class completely inadequate, but self-sustaining with the mechanism of co-optation, no credible growth can be prospected. The country dropped out of research and high-level training, the first engines of development of each nation, and with no more than a handful of large industrial groups, it fails to produce technology or innovation, and on a small scale it is incapable of critical mass.

In the United States, with all the problems that do exist, there is a surprising vitality. Research, innovation, continuous transformation, are still factors supporting the country. Here it is still true that a total stranger, without family or possibility behind, can use all the great strength of his ideas or his talent. In addition, the country still manages to attract – especially thanks to its universities and its research centers – the best talent in the world.

3) How do you feel as an Italian talent in the United States, in these so turbulent years, while our country really needs skilled people like you to survive and “live”?

Mine it is certainly not a unique case. Simply put, those who have talent must find other ways away from Italy, because the talent is not within the selection criteria of our country. Acquaintances, memberships, willingness to accept the rules of a sick system are the only factors that count.

4) How to create real bridges of opportunity between Italy and United States? Which is the possible role for “ambassadors” like you?

If the country does not change radically, it is impossible for anyone to build real bridges of opportunity.
One has to wonder: why an American company should have an interest in investing in Italy, compared to all the other opportunities available in the world? What is our added value? Americans love Italy as a holiday place, not as a place of investment.

5) Competition Vs Equality: how to solve this “trade-off” of world views?

In my view, the coexistence of a competitive society and a society of equality is the main factor that made the West stronger than the rest of the world in the 20th century. A society has a need for equality of departure, because only in this way can bring out the best talent. The wealth generated by a society that feeds of competition, on the other hand, generates wealth and growth that – with fair and wise policies of redistribution – can support the most needs of the part of population which can be left behind and offer means for equality of departure. In poor societies this possibility does not exist.

6) Workers and Producers: what a way to make them work together to renew and rebuild this beautiful country?

There is a common interest: to focus the attention of the legislator in facilitating investment, reducing the bureaucracy that now prevents companies to invest and operate, cutting off the corruption that makes the game artificial, lowering over time taxes on companies. At the same time, the legislator should abandon the sterile question of scaling of workers’ rights. Try to ask why a foreign company does not invest in Italy, where it will close after a few years laying off all the workers ..

7) Energy policies: what a sustainable future? Do you believe to the opportunities, proposed by Monti government, that should come with the establishment of a gas hub in the Mediterranean, centred in Basilicata?

I believe that, for some decades to come, fossil fuels will constitute a large part of the energy needs of humanity, because their energy density has yet to find substitutes. At the same time, I think that the first decades of the century shall constitute the “workshop” that will produce the technologies needed to break down the role of fossil fuels in the future. For this scientific research is essential and, given what is happening in countries like the United States, I expect great technological breakthroughs – especially in solar energy – in the coming years.

As for Italy gas hub, It continues to feed many doubts to me for a number of reasons. First of all, I saw that the Antitrust now highlights a risk that I pointed out for years. For a gas hub (and a spot market) there must be an overabundance of infrastructure, functional to allow a high variability of flows of gas under different market conditions: who pays for this infrastructure (pipelines, pumping stations, storage)? Of course, the consumer pays the bill. May be fine, but the consumer is aware of? I doubt it. Furthermore, in a market characterized by a gas bubble (an excess of supply over demand, which I had already forecast years ago) as the European one, the pipelines in excess could go to a minimum capacity, but the consumer should pay the same the cost of their construction. With such advantages? And for who?

8 ) As Innovatori Europei, along with other environmental organizations, we are studying the theme “Sustainable Taranto” and the opportunity for the next Italian government to facilitate a smooth transition in the industrial production of “electric cars.” What do you think about that?

Look, I conceived and initiated the implementation of one of the most ambitious industrial reconversion of Italy, that of the petrochemical plant of Porto Torres in Sardinia, orienting it to green chemistry. When I did it, I first analyzed the economic prospects of a certain type of green chemistry, to be sure not to create another industrial illusion doomed to fail with time. Only once some of the economics came true, my company at that time called Polymers Europe, today Versalis – the Eni company in the chemistry,  started up the project.

That of electric cars is a good idea, but needs first of all a strict economic analysis. I believe in the future of the electric car, and I also think that this future will come from Asia, not the old world. In Italy, the fundamental problem is that there are not enough distribution networks, and build them would cost billions of euro. To foster the electric car market, it would take specific regulations, even at no cost, but very hard, for example, prohibit the movement of conventional cars with a certain age in the inner cities.

I should study more thoroughly the issue. Perhaps, at the stage where we are, it would be more feasible to offer a big producer – best if asian – special conditions to build plants for hybrid cars, which are starting to have a certain market and are really fantastic. Even many Americans are starting to change. For special conditions I mean radical fiscal conditions (for example, zero taxes in the first 5 years). It would always be less than the direct intervention of the state, and then the taxpayer.

9) Innovatori Europei wants to become a “bridge” for project opportunities and political relations between Italy, Europe and the World. Among others, we are twinned with an innovative political reality operating in North America. Is the idea of ​​putting together the Italian communities in the world around an intellectual and political project interesting for your opinion?

Yes, especially to the extent that he could reconnect many Italians of great value that have left Italy because there were no spaces and have then also experienced a great success. They are a heritage for the future Italy. But this is a project that takes time and a patient and focussed building process. There were already too many initiatives improvised and ephemeral in the recent past.

Thank you.

Thanks.

Intervista al Prof. Leonardo Maugeri, talento da esportazione ad Harvard

ENIdi Massimo Preziuso su R-Innovamenti

Buongiorno Professore. Grazie per l’opportunità, innanzitutto. Lei è un chiaro esempio di talento italiano da esportazione. Dopo una carriera folgorante nel colosso ENI, nel 2011, ancora quarantenne, ha deciso di cambiare e tornare all’accademia. Oggi insegna nella prestigiosa Harvard University, è consigliere del governo americano sui temi energetici, è autore di vari libri, tra cui un best-seller che ho letto in questi giorni (“Con tutta l’energia possibile”), e tanto altro.

1) Perché questo cambiamento così  improvviso e radicale?

Preferisco che il tempo si sedimenti prima di rispondere a questa domanda.

2) Italia Vs Stati Uniti: chi vince?

Non c’è competizione. Da anni, condivido il giudizio di Bill Emmott sull’Italia: purtroppo il nostro Paese è giunto a un livello di non ritorno. Sovrastato da una corruzione patologica e da una classe dirigente del tutto inadeguata, che però si autosostiene con il meccanismo della cooptazione, non ha credibili prospettive di crescita. Ha abbandonato la ricerca e la formazione di alto livello, primi motori di sviluppo di ogni paese, non ha più che un manipolo di grandi gruppi industriali, non riesce a produrre tecnologia né innovazione, se non su piccola scala incapace di fare massa critica.

Negli Stati Uniti, con tutti i problemi che pure esistono, c’è una vitalità sorprendente. Ricerca, innovazione, trasformazione continua, sono ancora i fattori portanti del paese. Qui è ancora vero che un totale sconosciuto, senza famiglia né possibilità alle spalle, può diventare tutto grande alla forza delle sue idee o del suo talento. Inoltre, il paese riesce ancora a attrarre – soprattutto grazie alle sue università e ai suoi centri di ricerca – i migliori talenti del mondo.

3) Come si sente un talento italiano negli Stati Uniti, in questi anni così turbolenti, in cui il nostro Paese ha proprio bisogno di personalità come la Sua per tornare a “vivere”?

Non sono certo un caso unico. Semplicemente, chi ha talento deve cercare altre strade lontane dall’Italia, perché il talento non rientra nei criteri di selezione del nostro Paese. Contano solo frequentazioni, appartenenze, disponibilità a accettare le regole di un sistema malato.

4) Come creare veri ponti di opportunità tra Italia a America? Quale appunto il ruolo possibile per “ambasciatori” come Lei?

Se il Paese non cambia radicalmente, è impossibile per chiunque costruire veri ponti di opportunità.
Bisogna chiedersi: perché una società americana dovrebbe avere interesse a investire in Italia, rispetto a tutte le altre opportunità disponibili nel mondo? Qual è il nostro valore aggiunto? Gli americani adorano l’Italia come posto per le vacanze, non come luogo d’investimento.

5) Competizione Vs Uguaglianza: come risolvere una volta per tutte questo ”trade off” di visioni del mondo?

A mio modo di vedere, la convivenza tra società del merito (competitiva) e società dell’uguaglianza e del bisogno è la sintesi che ha reso l’occidente superiore al resto del mondo, nel 20° secolo. La società del merito ha bisogno di uguaglianza di partenza, perché solo così possono emergere i migliori talenti. La ricchezza generata da una società che si alimenta di merito, d’altra parte, genera la ricchezza e la crescita che – con eque e sagge politiche di redistribuzione – possono sostenere la parte più bisognosa della popolazione, quella che può rimanere indietro e offrire i mezzi per l’uguaglianza di partenza. Nelle società povere questa possibilità non esiste.

6) Lavoratori e Produttori: quale il modo per metterli a lavoro insieme per rinnovare e ricostruire il Belpaese?

C’è un interesse comune: concentrare l’attenzione del legislatore nel facilitare gli investimenti, abbattendo la burocrazia che oggi impedisce alle imprese di investire e operare, stroncando la corruzione che rende il gioco economico artificioso, abbassando nel tempo le tasse sulle imprese stesse. Allo stesso tempo, il legislatore dovrebbe abbandonare la sterile questione del ridimensionamento dei diritti dei lavoratori. Provate a chiedere ad un’impresa straniera perché non investe in Italia, dove potrebbe chiudere dopo qualche anno licenziando tutti i lavoratori..

7) Politiche energetiche: quale il futuro sostenibile? Lei ci crede alla opportunità, proposta dal governo Monti, della costituzione di un hub del gas mediterraneo in Italia, con baricentro in Basilicata?

Io credo che, per alcuni decenni ancora, i combustibili fossili costituiranno gran parte del fabbisogno energetico dell’umanità, perché la loro densità di energia non ha ancora trovato sostituti. Al tempo stesso, credo che i primi decenni del secolo costituiranno “l’officina” che produrrà le tecnologie necessarie ad abbattere il ruolo dei combustibili fossili nel futuro. Per questo la ricerca scientifica è fondamentale e, visto quello che sta accadendo in paesi come gli Stati Uniti, mi aspetto grandi breakthrough tecnologici – soprattutto nell’energia solare – nei prossimi anni.

Quanto all’Italia hub del gas, continuo a nutrire molti dubbi per una serie di ragioni. Anzitutto, ho visto che anche l’Antitrust pone in evidenza un rischio che indico da anni. Per avere un hub del gas (e anche un mercato spot) occorre una sovrabbondanza di infrastrutture, funzionali a consentire una forte variabilità di flussi di gas in ragione delle condizioni di mercato: chi paga queste infrastrutture (gasdotti, stazioni di pompaggio, stoccaggio)? Naturalmente, le paga il consumatore in bolletta. Può andar bene, ma il consumatore ne è cosciente? Ne dubito. Inoltre, in un mercato del gas caratterizzato da una bolla (un eccesso di offerta rispetto alla domanda, che avevo già preconizzati anni fa) come quello europeo, i gasdotti in eccesso potrebbero andare al minimo di capacità, ma il consumatore dovrebbe lo stesso pagare i costi della loro costruzione. Con quali vantaggi? E per chi?

8 ) Come Innovatori Europei, insieme ad altre organizzazioni ambientaliste, stiamo studiando il tema “Taranto sostenibile” e l’ opportunità per il prossimo governo italiano di facilitare una transizione industriale nella produzione delle “auto elettriche”. Che ne pensa a riguardo?

Guardi, io ho concepito e avviato la realizzazione di una dei più importanti piani di riconversione industriale d’Italia, quello del sito petrolchimico di Porto Torres in Sardegna, orientandolo alla chimica verde. Quando lo feci, analizzai per prima cosa le prospettive economiche di un certo tipo di chimica verde, per essere certo di non creare un’altra illusione industriale destinata a fallire con il tempo. Solo una volta certo degli economics lanciai la mia società, al tempo Polimeri Europa, oggi Versalis – la società della chimica dell’Eni – nel progetto.

Quella delle auto elettriche è una bella idea, ma ha bisogno anzitutto di una rigida analisi economica. Io credo nel futuro dell’auto elettrica, e credo che questo futuro arriverà dall’Asia, non dal vecchio mondo. Da noi il problema fondamentale è che non esistono sufficienti reti di distribuzione, e costruirle costerebbe miliardi di euro. Per favorire un mercato dell’auto elettrica, ci vorrebbero delle normative specifiche, magari a costo zero, ma molto dure: per esempio, vietare la circolazione delle auto tradizionali con una certa età nei centri delle città.

Dovrei studiare in modo più approfondito la questione. Forse, nella fase in cui siamo, sarebbe più proponibile offrire a un grande produttore – meglio asiatico – condizioni speciali per costruire a Taranto stabilimenti di auto ibride, che cominciano ad avere un certo mercato e sono davvero fantastiche. Perfino tanti americani cominciano a convertirsi. Per condizioni speciali intendo condizioni fiscali radicali (per esempio, zero tasse nei primi 5 anni). Sarebbe sempre meno che un intervento diretto dello stato, e quindi dei contribuenti.

9) Innovatori Europei vuole sempre più diventare un “ponte” di opportunità progettuali e politiche tra Italia, Europa e Mondo. Tra le altre, siamo gemellati con una innovativa realtà politica operante in Nord America. Ritiene interessante l’idea di unire le comunità italiane nel mondo attorno ad un progetto intellettuale e politico come il nostro?

Si, soprattutto nella misura in cui riuscisse a riconnettere tanti italiani di grande valore che hanno abbandonato l’Italia perché non vi trovavano spazi e hanno poi avuto esperienze di grande successo. Sono un patrimonio possibile dell’Italia di domani. Ma è un progetto che richiede tempo e una costruzione mirata e paziente. Ci sono state già troppe iniziative improvvisate e effimere nel passato anche recente.

Grazie.

A Lei.

Nel nome della patrimoniale

patrimonialedi Fabio Agostini

In Italia, la necessita’ di assegnare le parole ad esclusivo uso di una  parte politica, ha lasciato il paese fermo al dualismo di Peppone e Don Camillo dove, se parli di stato sociale (pensioni, istruzione, sanita’), se parli di un sistema impositivo equo, se parli di patrimoniale, allora sei un comunista da cui ben guardarsi; mentre se parli di liberalizzazioni vere e non quelle finte di Monti, se parli di privatizzazioni vere e non finte come quelle di Amato, se dici che tutto il casino sull’art.18 e’ solo un polverone inutile, allora sei necessariamente di destra o peggio ancora fascista.
 
In Italia e’ difficile se non impossibile immaginare che una persona possa condividere le idee dello stato sociale e di un sistema privato o di mercato che dir si voglia;
 
sembra impossibile che uno parli di patrimoniale o sistema impositivo equo ed economia libera. Se nella gran confusione nessuno se ne e’ ancora accorto, socialdemocrazia liberale, il pensiero del tanto acclamato quanto poi velocemente dimenticato Einaudi (Agosto del 2011), e’ proprio la coesistenza di queste idee.
 
Cosi’ come il pifferaio magico che suonando portava a spasso i topi, la politica Italiana di sinistra, meglio se estrema, usa la parola Patrimoniale per attirare voti, i voti di quelli che si riconoscono, piu’ per credo religioso che per altro, nel Peppone di cui sopra. Ed ecco che la parola patrimoniale e’, nei salotti della “sinistra moderata”, come l’Innominato del Manzoni, mentre viene sventolata del duo politico Vendola-Di Pietro.
 
Di questi sinistroidi Italiani io ho le mie riserve: Di Pietro ministro dei trasporti, Vendola braccio destro di Bertinotti, la sinistra in generale, sostenevano il governo Prodi del ’96, governo in cui il ministro degli interni era Napolitano, che non era stato eletto nel collegio uninominale ne’ in nessuno dei collegi proporzionali nei quali era candidato. 
In Italia c’e’ d’aver paura dell’anti-democrazia piu’ che dell’anti-politica. 
In generale poi, la sinistra Italiana, ha politiche economiche che, a mio avviso, sono piu’ di stampo ideologico e poco si addicono ad un modello di socialdemocrazia liberale che coniughi la necessita’ di uno stato sociale con la consapevolezza dell’esistenza di un libero mercato privato in settori non definibili sociali come tali.
 
Anche se non mi riconosco nella sinistra Italiana per via delle politiche economiche, la patrimoniale, dal punto di vista fiscale, e’ un’idea tanto nobile quanto condivisibile e da appoggiare. Tuttavia penso che il concetto di patrimoniale nella testa di queste persone sia concepito come: stante tutte le tasse attuali, colpisco il patrimonio di per se e non la rendita generata dal patrimonio; insomma una sorta di esproprio proporzionale con scorporo per utilizzare termini da legge elettorale Mattarella, tanto cara alla sinistra.
 
La tassazione di sinistra in Italia e’ tanto ideologica quanto dannosa e stupida: basta pensare alla tassa sul deposito titoli che colpisce e punisce piu’ il concetto di deposito titoli che non la rendita generata dalla ricchezza, in quanto e’ un importo fisso per scaglioni di importi. In altre parole piu’ hai e meno paghi.
 
La patrimoniale ha un senso se vista all’interno del sistema fiscale e non come un pezzo a se stante. L’introduzione della patrimoniale richiederebbe una revisitazione profonda del sistema fiscale incluso il sistema redistributivo.
 
In temini sintetici il sistema impositivo e’ fatto di tasse dirette che colpiscono reddito e patrimonio, e tasse indirette come l’IVA, le accise, i bolli, notoriamente inique perche’ incidono sulla parte del reddito destinato al consumo e non sul reddito per se. Argomentazioni a favore della patrimoniale sono il fatto che oggi, in Italia, il sistema fiscale e’ sbilanciato verso l’imposizione indiretta generando un carico fiscale iniquo. La patrimoniale andrebbe utilizzata per semplificare il sistema fiscale e per riequlibrare il gettito tra imposte dirette e indirette al fine di ridurre le seconde e redistribuire equamente il carico fiscale delle prime tra reddito e rendita generata dal patrimonio.
 
La patrimoniale ha un senso logico ed e’ giusta quando erode la rendita e non il valore di cio’ che produce la rendita. Il patrimonio, e quindi la ricchezza che produce rendita, puo’ esse costituito da attivita’ reali (immobili e terreni) o attivita’ finanziarie (titoli). L’IMU, di cui se ne fa un’uso distorto in quanto finanzia le spese dello Stato e non le spese sostenute per l’erogazione di servizi da parte dall’amministrazione dove l’immobile e’ ubicato, colpisce l’immobile in quanto tale, tassandolo simultaneamente sia come ricchezza sia come fruizione di servizi. L’IMU dovrebbe essere una tassa funzionale al federalismo e decentramento dello Stato, una tassa volta a finanziare gli organi governativi territoriali per l’erogazione dei servizi a livello locale e non volta a finanziare la spesa del governo centrale.
 
Una tassa sulla rendita da patrimonio dovrebbe adempiere la funzione di finanziare lo Stato: in tal senso reddito e rendita dovrebbero essere equiparati se non si vuole incorrere nel rischio che lo Stato si trasformi in un Robin Hood all’incontrario dove il povero finanzia il ricco. Le storture del sistema impositivo si riflettono poi sul sistema redistributivo se la rendita viene privilegiata rispetto al reddito.
 
In Italia di esempi ce ne sarebbero a migliaia, uno dei quali potrebbe essere il mio che da studente, negli anni ‘90, il cui reddito familiare era eccessivo per l’assegnazione di un posto camera dell’universita’, vedevo persone che dormivano alla casa dello studente con cellulari, avevano la loro auto, e vestivano con capi di abbigliamento che io neanche potevo sognare di comperarmi. Come diavolo era possibile che con mio padre pensionato, mia madre insegnante e la casa dove abitavamo di proprieta’ sulla quale pagavamo l’ISI – oggi IMU – eravamo considerati piu’ ricchi di quelli che io reputavo paperoni?
 
Era veramente tutto dovuto all’evasione? Certo, se sei un libero professionista e guadagni 100 ma ne dichiari 20 su cui paghi 2 di tasse, sei considerato “povero” perche’ il tuo guadagno e’ solo 20 e quindi ti viene assegnato l’alloggio anche se in realta’ paghi solo il 2% di tasse su quello che in realta’ guadagni: 5 volte tanto quello che dichiari.  Tuttavia, sapendo che la ricchezza deriva dal reddito (anche se evaso), sapendo che la ricchezza e’ molto piu’ difficile nascondere, era chiaro come il sistema fiscale Italiano punisse il reddito ineludibile (pensione e lavoro dipendente) lasciando non solo impunita l’evasione, ma anche la rendita che da essa se ne generava.
 
La patrimoniale dovrebbe essere vista come una tassa che equipari la rendita al reddito: se lavoro e guadagno 30 mila euro l’anno e pagho il 35% di tasse perche’ se ho 3 milioni di euro in BOT o BTP che mi rendono l’1% (30 mila euro) ci devo pagare solo il 12,5%? e non solo, visto il fatto che non costituiscono reddito in base all’erogazione di servizi, magari ho pure l’ospedale gratis, l’alloggio per mio figlio studente, e cosi’ via.
 
Io si, sono per la patrimoniale, ma non intesa in senso punitivo: non devo punire il ricco perche’ e’ tale espropriandolo di quel che ha. La patrimoniale deve fare in modo che la rendita finanziaria e le altre rendite vengano sommate insieme ai redditi sui quali venga poi applicata l’aliquota fiscale e sui quali redditi piu’ rendite vengano poi stabiliti i criteri economici di erogazione dei servizi. Se cosi’ fosse, anche rimanendo impunita l’evasione sul reddito, non appena il reddito evaso si trasforma in ricchezza sarebbe soggetto a tassazione su patrimonio equiparato e reddio e quindi non piu’ ineludibile o soggetto a trattamento privilegiato. Se questa rivisitazione del sistema fiscale venisse posta in atto, si libererebbero risorse prevalentemente volte al consumo per via di una redistribuzione del carico fiscale tra fasce di reddito  e rendita realmente percepita.
 
Tuttavia sono rassegnato al fatto che in Italia una vera socialdemocrazia liberale non esistera’ mai. La nostra politica di destra mai pensera’ ad una patrimoniale che equipari rendita a reddito perche’ e’ da comunisti cattivi, mentre coloro che gridano ad una tassa che colpisca il patrimonio sembrano essere piu’ interessati all’effetto pifferaio piuttosto che alla realizzazione dell’idea, visto che urlano patrimoniale come slogan di rivincita per le elezioni senza neanche dirci cosa intendono per patrimoniale, perche’ in realta’ neanche loro lo sanno.

Gli Innovatori Europei si fidano di Bersani

Innovatori-Europei-def(Per adesioni: infoinnovatorieuropei@gmail.com)

Le regole delle primarie per i parlamentari sono quanto realisticamente si poteva fare, nella situazione data, per mitigare gli effetti disastrosi del “porcellum” sul sistema democratico.

Restano da superare ostacoli alla piena partecipazione di “militanti associativi” alla vita democratica del PD, ma confidiamo che il processo di innovazione culturale avviato con Bersani, possa rivitalizzare le organizzazioni del Partito, in tutti i livelli e le aree culturali che in esso si riconoscono. Le prossime elezioni sono solo una tappa di tale processo.

La fiducia radica nella scelta fatta dal PD per la nomina dei Consiglieri di Amministrazione alla RAI, di valore emblematico: più competenza e meno appartenenza, meno “politica” e più capacità e qualità per amministrare. E’ un fatto che incoraggia le ragioni della fiducia.

Siamo persuasi che questi stessi criteri informeranno le scelte di Bersani per il “listino” e, pertanto, esprimiamo sin d’ora pieno rispetto per le decisioni che saranno assunte.

Innovatori Europei ha già testimoniato il pieno e leale appoggio a questa prospettiva di cambiamento. Nel corso delle ultime primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra, I.E., intorno alle idee di Bersani, ha portato la passione e il contributo del capitale umano che milita dal 2006 nella propria Associazione, costituendo 8 comitati territoriali in Italia e all’estero.

Negli ultimi anni, I.E. ha costantemente coltivato la “domanda” di innovazione politica che generò intorno alla prospettiva di costruire un “partito nuovo”.

Evoluzione dell’Associazione per il Partito Democratico, ne ha raccolto le idealità fondative quando l’ApD -per previsione statutaria- fu sciolta all’atto della formale costituzione del PD.

Gli sviluppi successivi non sono stati quelli auspicati nei documenti fondativi del PD.

Numerosi “militanti associativi”, attratti dalla suggestiva idea di unire i riformatori, non hanno trovato accoglienza nel confuso e conflittuale processo costitutivo del PD.

Molti hanno proseguito la propria “militanza associativa”, in I.E. e in altre forme.

Oggi l’Associazione è presente in 10 regioni di Italia e in varie realtà europee ed internazionali, con nuove “gambe e cervelli” tra gli italiani all’estero, nel mondo dell’arte, della cultura e delle professioni, in vaste aree dell’ambientalismo, in organizzazioni europeiste, nel mondo delle emittenti locali e nella vivida giovanile cattolica.

E’ di questo capitale umano che, orgogliosamente, Innovatori Europei si fa interprete e portavoce.

Con questo spirito I.E. apporterà il proprio contributo per il pieno successo, delle primarie e del Centrosinistra alle elezioni.

Si confida che Bersani e la Direzione del PD sappiano coerentemente riconoscere il valore della “militanza associativa diffusa”. Si tratta di energie in grado di dare qualificati apporti all’innovazione politica e istituzionale che si dovrà attuare nei prossimi mesi nell’intero paese.

Roma, 20 dicembre 2012

I primi firmatari

Massimo Preziuso, ingegnere, Presidente IE

Francesco Augurusa, ingegnere, IE Calabria

Giovanna Barba, avvocato, IE Calabria

Tonio Barba, avvocato, IE Calabria

Giuseppina Bonaviri, psichiatra, IE Lazio

Cesare Bramante, consulente, IE Lazio

Filippo Bruno Franco, manager, IE Piemonte

Aristide Calcagno, ingegnere, IE Sicilia

Osvaldo Cammarota, operatore di sviluppo territoriale, IE Campania

Stefano Casati, economista, IE Lombardia

Mario Coviello, libero professionista, IE Basilicata

Paolo Di Battista, manager, IE Lazio

Mario Di Gioia, sindacalista, IE Liguria

Antonio Donato, consulente Lega Autonomie Campania, IE Campania

Bruno Esposito, ricercatore universitario, IE Campania

Deo Fogliazza, consulente marketing, IE Lombardia

Laura Leonardis, Esperto di Politiche Comunitarie e  Sviluppo Locale. IE Sicilia

Claudio Luongo, consulente aziendale, IE Campania

Gabriele Moccia, assistente parlamento europeo, IE Brussels

Francesco Mortelliti, avvocato, IE Calabria

Nicola Pace, ricercatore universitario, IE Basilicata

Asif Parvez, manager, IE India

Daniele Preziuso, ingegnere, IE Basilicata

Giuseppe Preziuso, insegnante, IE Piemonte

Daniele Rachieli, consulente, IE Calabria

Luigi Restaino,  ingegnere, IE Lazio

Andrea Sabatino, ingegnere, IE Campania

Paolo Salerno, ricercatore universitario, IE Basilicata

Rainero Schembri, direttore Euronews, IE Brics

Francesco Silvalaggio, presidente Cts VV, IE Calabria

Giuseppe Spanto, ingegnere, IE Progetti

Teresa Luisa Scherillo, giornalista, IE Campania

Sergio Vellante, docente universitario, IE Campania

Salvatore Viglia, avvocato, Direttore rivista IE

Lucy Antonini , farmacista, Roma

Bianca Clemente, Napoli

Sito web: www.innovatorieuropei.com

Si riparta dalla cultura

culturadi Giuseppina Bonaviri su L’Unità

Perché finalmente un vero soggetto politico sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere i bisogni di un intero paese includendo una pluralità di attori si riparta da nuove soggettività.

I partiti politici attuali, in un modello di democrazia che non può più esaurirsi nella rappresentanza e nella delega, necessitano del supporto di nuove soggettività.

La buona politica avrebbe bisogno di concentrare intelligenza, passione, energia attorno a questioni di rilievo come la cultura e l’alta formazione restituendo speranza, fiducia nel futuro ed invece si trova prigioniera di autoreferenzialità e di schieramenti indifferenti. La buona politica non può soffrire di solitudine, deve essere fatta di competenza, spirito di servizio, buon senso, giustizia sociale, pragmaticità e dall’idea fondamentale che ciascuno è responsabile della comunità presente, in cui vive ed opera, e della comunità futura che lascerà in eredità.

Vogliamo tornare a crescere ed intendiamo costruire un punto di riferimento per tutti coloro che, preoccupati della spirali in cui l’Italia e l’Europa sembrano destinate ad avvitarsi, siano decisi responsabilmente a dare un contributo e a delineare una nuova visione e una nuova pratica politica disponibile alle innovazioni, che la possano rendere vera protagonista della storia attuale .

La politica è spazio privilegiato per la costruzione del bene comune, ovvero del bene di tutti e di ciascuno, e quindi è solo allargando i confini entro i quali si concretano l’autonomia e le capacità creative della società civile che si ripristina lo Stato di diritto, oggi latente, nel segno della centralità e dell’autonomia della Persona.

 Il capitale più importante è costituito dalle persone e dai loro carismi, dalle loro specificità.

Solo con un ripensamento profondo del rapporto fra Stato e cittadino che si fa processo si può prevedere un gran numero di luoghi e livelli di partecipazione rinnovata quale piattaforma culturale per progettare relazioni.

La cultura può essere considerata come l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici nel loro genere che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze.

Si chiedono risposte coinvolgenti e visionarie che necessitano di un abitato partecipato, di uno spazio pubblico liberato e diffuso per la costruzione di un fronte di convergenza collettiva che veda al centro lavoratori della conoscenza, intellettuali, artisti, scienziati. Questi sono gli Innovatori Europei.

Non ci può essere evoluzione ed alternativa senza nuove soggettività collettive che ripartendo dai saperi promuovano incontri e momenti partecipativi significativi per riconquistare la nuova centralità del nostro paese.

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