Significativamente Oltre

Renzi

Un Tris di Progetti per il rilancio della Campania

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Un Tris di Progetti per il rilancio della Campania

Con Mario Raffa Consigliere Regionale per Vincenzo De Luca Presidente 

Domenica – oltre che in Puglia, Umbria, Marche, Toscana, Liguria e Veneto – si vota nella più importante regione del Mezzogiorno, la Campania. Tutti noi dobbiamo contribuire a restituirle quella centralità che negli ultimi decenni non ha avuto ma che ora è indispensabile per il Paese tutto. Perché è solo da Sud che può partire una vera accelerazione per lo sviluppo e la crescita italiana. E se l’Europa vuole cambiare e rinforzarsi deve guardare proprio al Mezzogiorno d’Italia e da lì al Mediterraneo. Con Vincenzo De Luca Presidente si potrà infine rilanciare la città di Napoli quale naturale capitale del Mezzogiorno.

Per farlo occorrerà concentrarsi su un tre aree principali: Cultura, Economia e Turismo, Ricerca e innovazione. Con tre grandi progetti, già in parte presenti nel programma di De Luca.

Per la Cultura si parta dall’idea patrocinata tra gli altri da Massimo Bray per trasformare Palazzo Fuga nel piu’ grande museo di Europa. Poi si rilanci il Porto di Napoli quale volano dell’economia campana nel mondo e per l’attrazione di un turismo di qualità che essa merita. Infine si punti sulla ricchezza potenziale di Bagnoli, con la realizzazione di un distretto multi – tecnologico e industriale costruito attorno ad un nuovo Politecnico, che metta a sistema la potenza unica di ricerca del sistema campano, per farne una Stanford dell’Euro Mediterraneo a Bagnoli.

Siamo sicuri che Vincenzo De Luca si impegnerà con il supporto di tante intelligenze diffuse, coordinate dal Prof. Mario Raffa, candidato innovatore nella lista civica “De Luca Presidente”, a realizzare questo percorso di innovazione strategica.

A noi tutti, allora, l’augurio di un quinquennio di successi per la Campania, per il Mezzogiorno e per l’Europa nel Mediterraneo.

Gli Innovatori Europei

Le elezioni regionali e il bisogno urgente di un PD che riavvicini cittadini e politica

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di Massimo Preziuso

Siamo ormai a pochi giorni dalle elezioni regionali.

Un appuntamento elettorale importante (si vota in grandi regioni come la Campania, il Veneto e la Puglia, tra le altre) a cui però il Paese arriva senza emozioni particolari. E non perché i candidati (governatori e consiglieri) non siano figure interessanti. Ma perché se c’è una cosa evidente in questo 2015, questa è il basso livello di energia cinetica (non quella potenziale) che si riscontra nella società, attorno alla politica e alle istituzioni, sia a Roma che nei territori. E pure a Brussels, in verità.

E questo non per colpa di qualcuno in particolare, ma proprio della nuova fase storica che viviamo. In lenta uscita da quasi un decennio di crisi severa, la cittadinanza si ritrova infatti nuda a leccarsi le profonde ferite subite in silenzio e percepisce una cristallizzazione delle distanze raggiunte, tra centri e periferie, in una lenta probabile “jobless recovery” in divenire. Per comprenderlo bastano gli ultimi dati del Mezzogiorno, in cui da un lato alcuni osservatori commentano come positiva la “decelerazione della discesa del PIL” in realtà che hanno perso fino a un quinto di ricchezza totale, mentre Istat parla di effetti di “isteresi” e ci dice che il tasso di occupazione è sceso al 42%. O quelli nazionali che vedono una crescita del PIL 2015 intorno allo 0.5% accompagnata da una disoccupazione stabile se non leggermente in salita, in un Paese con ormai più di un milione di genitori disoccupati.

Non c’è più tempo per aspettare, perché la sensazione è che la popolazione abbia già scontato questo cambiamento di fase e per questo ridimensionato il ruolo della politica e delle istituzioni a forme di “governance” e non più di “government” del Paese. E se questo fosse vero, nei prossimi mesi e anni si apriranno problemi seri, ancora più di quelli sinora visti. Perché un Paese in cui le istituzioni sono già state declassate per ruolo e importanza, è un luogo diverso da quello in cui abbiamo vissuto nei decenni passati. Esso diviene uno spazio di relazioni mute tra cittadini e classe dirigente, pubblica e privata. In cui il singolo prova a giocarsi la partita da sé, sapendo di non poter trovare supporto vero altrove se non nella propria cerchia più o meno estesa di relazioni.

E questo in un momento storico in cui le nuove piazze costruite rapidamente e senza un disegno condiviso nel decennio scorso, i “social network”, stan venendo fuori con tutti i loro limiti intrinseci: luoghi di accesso e scambio di informazioni, difficilmente traducibili in progettualità e valore aggiunto condiviso da parti ampie di società e cittadinanza. Dando un po’ a tutti la certezza di essere entrati in una epoca nuova. Quella in cui, appunto, mentre sembra di essere tutti più connessi e quindi più ricchi, nei fatti si è più isolati e poveri, di risorse e di idee. E questo soprattutto nella relazione con le istituzioni, la cui prossimità elettronica è tanto grande quanto lo è la loro lontananza effettiva.

Ed è allora con una domanda che la politica, in Italia principalmente il Partito Democratico, deve fare i conti: come si torna a convincere un cittadino disilluso e povero che le istituzioni sono ancora un valore aggiunto effettivo per il governo del cambiamento, che finora sembra essersi imposto senza particolari mediazioni, se non quella scarsa e intangibile della rete?

Dopo queste elezioni che probabilmente e sperabilmente lo vedranno vincente un po’ in tutta Italia, all’interno di un suo percorso di auto – riforma, il grande partito di governo dovrà affrontare seriamente il tema portandolo al centro del dibattito nazionale ma anche europeo. O il rischio è che a medio termine il suo ruolo sarà rivisto a ribasso. Con ulteriori effetti a cascata sul ruolo della politica nella società liquida e accelerata. Perché ad oggi il Partito Democratico rimane la sola speranza di questo Paese.

Il vento nuovo sugli investimenti (EFSI)

di Gianni Pittella su Il Sole 24 Ore

Il piano Juncker prende corpo e con esso le speranze che dall’Europa arrivi finalmente un forte impegno su crescita e investimenti capace di invertire la tendenza dopo anni di cieca austerità. La decisione del governo italiano di iniettare 8 miliardi di euro a sostegno del Fondo Europeo di investimenti strategici (Efsi), unita agli impegni annunciati da altri importanti governi europei – Francia, Germania in primis – segna una svolta per il Piano Juncker.

Non era scontato. Non è stato facile arrivare dove siamo oggi. Il braccio di ferro tra Commissione, governi nazionali e Parlamento europeo ha raggiunto livelli di tensione visti di rado dalle parti di Bruxelles. L’obiettivo era chiaro e il gruppo dei Socialisti e Democratici ha da subito indicato nel lancio di un consistente piano di investimenti la condizione decisiva per il sostegno alla Commissione Juncker. La nostra memoria è spesso corta. Ma dovremmo sforzarci di ricordare da dove siamo partiti. Fino a qualche mese fa, con Barroso, si parlava solo di stabilità. La crescita era scomparsa dal vocabolario europeo e con essa ogni ipotesi di interpretazione ‘intelligente’ della flessibilità. Ora il vento è cambiato a Bruxelles, grazie anche al lavoro negoziale portato avanti dal nostro gruppo e della presidenza italiana. Una vittoria per tutta l’Europa contro i sacerdoti della dottrina dell’austerità intransigente. Siamo di fronte ad una congiuntura eccezionale. Da una parte il piano Juncker con un rinnovato approccio alla flessibilità. Dall’altra, una Banca centrale europea che, grazie al Quantitative easing e alla lungimiranza di Mario Draghi, si è ormai trasformata in un solido fattore di crescita e stabilità dei mercati. I governi sono chiamati a fare la loro parte a livello di riforme. A noi come Socialisti e Parlamento europeo spetterà rafforzare e puntellare le basi del piano Juncker. Il Parlamento europeo sta ora esaminando la proposta legislativa della Commissione. Nell’incontro avuto con il presidente Juncker nel corso dell’ultima sessione del Parlamento a Strasburgo, il gruppo Socialista e Democratico ha ribadito l’impegno ad approvare il fondo prima di luglio. Un impegno però che passa dalla necessità di rafforzare i fondamenti del piano per renderlo uno strumento tangibile al servizio della crescita. Di fronte ai rischi di deflazione e stagnazione, con i movimenti euroscettici, xenofobi e populisti ovunque in crescita in Europa e di fronte ad una crisi sociale e economica lacerante, nessuno può permettersi il lusso di mancare questa occasione.

L’Efsi per andare veramente ad incidere deve potersi concentrare sulla qualità dei progetti di investimento e sul loro impatto sull’economia reale. In altre parole, la valutazione dei progetti non dovrà riguardare unicamente il progetto in sé ma dovrà prendere in considerazione la sua abilità a innescare ulteriori investimenti dal settore privato. La sfida, insomma, sarà puntare certamente alla crescita ma con un occhio speciale alla qualità degli investimenti, anche per ridurre la forbice tra le zone più e meno ricche del continente e d’Italia. Si dovrà quindi considerare come prioritari quei progetti che non riescono a finanziarsi direttamente sul mercato proprio alla luce del profilo di rischio più elevato. Ci si dovrà inoltre concentrare su settori decisivi per la crescita europea quali le infrastrutture, la banda larga e l’efficienza energetica. Fondamentale per consolidare il fondo sarà il ruolo – da rafforzare – delle piattaforme di investimento e delle banche nazionali di sviluppo. Realtà come la Cassa Depositi e Prestiti in Italia o la Caisse Depots et Consignations in Francia, per citarne solo alcune, devono diventare le protagoniste della nuova stagione d’investimenti inaugurata dal piano Juncker. Serve un legame tra questi attori e il nuovo fondo perché essi hanno capitale e le expertise necessarie che potranno servire le ambizioni dell’Efsi. È chiaro che gli Stati membri debbono essere incentivati a contribuire finanziariamente alle piattaforme di investimento e alle banche di sviluppo inserite nel sistema Efsi. E per fare questo i contributi degli Stati membri alle piattaforme e alle banche promozionali dovranno essere scomputati dal patto di stabilità e crescita, non considerati quindi come debito o deficit.

La creazione del Fondo europeo di investimenti strategici può diventare il laboratorio su cui sviluppare una nuova sinergia tra capitali pubblici e privati. Se vogliamo investire sul futuro dell’Europa c’è bisogno dello sforzo di tutti. La partita è iniziata. E non ci saranno tempi supplementari.

 

Rai, la sinistra, un progetto per non farci maledire

di Michele Mezza

Tanto tuonò che piovve. Finalmente. L’approvazione ,rassegnata, di un esangue consiglio di amministrazione, del  tremulo piano Gubitosi, insieme ai tramestii attorno alle torri di RAI Way, finalmente pongono il sistema radiotelevisivo, e il suo comparto pubblico, al centro della scena economica, e fuori dal rottamato teatrino delle proprietà politiche.

Il sistema audiovisivo di un paese è parte essenziale dei suoi asset di sovranità e di scambio internazionale. Rispetto a questo orizzonte il capo redattore esteri di uno dei Tg che rischia di sciogliersi al sole della semplificazione non esiste. Come non esiste quella consunta e inquinata bandiera del pluralismo che non ha mai assicurato la libertà in RAI.

Ora, come per tutte le grandi infrastrutture, il primo  nodo da sciogliere è capire cosa vuole fare il governo. Qual è la strategia di Renzi per gli apparati pubblici di sovranità?

Questo è il vero buco nero su cui mi concentrerei invece della pallida questione dell’informazione di rete, che a malapena può interessare qualche caporedattore trombato che andrà a fare il vice aiuto capo struttura.

Allora cosa pensa Renzi del sistema radiotelevisivo pubblico? Forse lo stesso  di quello che pensa per le banche Popolari o per le grandi aziende nazionali come ENEL,ENI, E Finmeccanica: carne da cannone, ossia risorse per far lavorare il mercato, meglio se estero, ottimale se angloamericano.

Da quanto è stato fatto fino ad ora, capisco che i principali interlocutori finanziari del governo, come il circuito delle banche d’affari londinesi, premono per una radicale semplificazione del mercato infrastrutturale italiano, leggi una massiccia alienazioni di asset.

La Rai è parte di questa semplificazione. Come sempre quando qualcuno parla di cultura e qualità, si nasconde lo spettro del ridimensionamento e della marginalizzazione. Ed infatti per la Rai si parla a quattro palmenti di cultura e qualità.

Il secondo punto riguarda la mission che dovrebbe svolgere l’apparato pubblico dell’informazione, come si configurerebbe dal piano Gubitosi. Incredibilmente in questi mesi nessuno si è peritato di chiedere al DG come concepisca la nuova mission della nuova RAI NEWS: quale presidio del mercato, quale primato da conquistare, quale strategia globale, quale politica tecnologica? Insomma perché tutto questo casino, solo per risparmiare 100 milioni? Senza una chiara mission non è possibile capire la natura e l’esito del piano. E spero che il piano che verrà presentato dall’USIGRAI su questo punto sia chiarissimo. Tanto più che  nel nuovo contesto digitale mission significa anche contenuto: quali soluzioni tecnologiche? Quali alleati? Quali algoritmi? Quali sistemi utente? Quali linguaggi? Quali community? Insomma come ci tuffiamo nella rete? Questo punto non ha mai appassionato il ragionier Gubitosi ne i suoi capo cantieri ( a proposito che fine hanno fatto quelle rutilanti promesse di think tank annunciate alla Dear due anni fa con tanto di effetti speciali? Quanto costò quel giochetto?) ed infatti è buio pesto. Anche su questo spero che il piano alternativo RAI Più sia  esaustivo.

Terzo punto: dopo strategia del governo e mission aziendale, il nodo centrale è il progetto professionale. Dico subito che rispetto al pantano attuale meglio qualsiasi cosa, persino il Piano Gubitosi, che è esattamente lo spirito per cui l’esangue Consiglio di Amministrazione ha dato il via libera. Meglio qualsiasi movimento rispetto all’arroccamento. Ma perché non osare l’impossibile e cercare di dare anche un senso al movimento. Certo ci sono sempre i 100 milioni da risparmiare (vorrei vederli comunque quei conti sulle mediazioni finali per tacitare ogni califfato che sarà insidiato dalla semplificazione), ma magari riuscire ad agganciare l’attualità non sarebbe male. Infatti il Piano Gubitosi è pressappoco  la velina del Piano Celli 1999.Non a caso le mani che si sono prodigate sono quasi le stesse, in alcuni casi esattamente le stesse. Stiamo parlando di un tentativo, poi abortito, come è noto, di riorganizzazione dell’intera impalcatura aziendale di oltre 15 anni fa. Paleontologia industriale. La filosofia, allora come oggi, era tutta, e allora era giustificata dai tempi, analogica, e condizionata dalla distribuzione, ossia i canali. Il Piano Gubitosi mantiene una logica analoga, tutta legata all’out put, e l’input, ossia le modalità di acquisizione e trattamento delle informazioni, il vero valore aggiunto di un motore di news, è affidato all’immaginario che scatena l’espressione 2 new room. Ritorno alla mission: la riorganizzazione, nel 2015, di una filiera produttiva dell’informazione deve scontare due scelte di cui non vedo nemmeno l’ombra della più flebile consapevolezza. Il primo  elemento riguarda la potenza di ricerca, il secondo la filosofia di relazione. Per Potenza di ricerca  schematicamente intendo  il modello di SEO (Search Engine organization) ossia quale sistema digitale, quale tipologia di algoritmo, adottare per dare autonomia e potenza alla redazione della news room? Andiamo al mercato e, come è stato fatto fino ad ora, deleghiamo a Google o AVID, la definizione dei valori semantici della nostra ricerca nell’abbondanza di informazioni? Questa è la premessa della liquidazione sul mercato di un servizio pubblico.se non è presidio all’autonomia e sovranità delle selezioni semantiche e delle tipologie degli algoritmi di ricerca di una comunità un servizio pubblico è solo un costo, come credo pensi il governo. Allora su questo mi concentrerei, articolando la distinzione fra ricerca nazionale, e soprattutto territoriale, dove non possiamo non avere un primato, e ricerca globale dove praticare forme associative e alleanze. Autonome e non subalterne. Il secondo buco nero del piano è la filosofia relazionale. Come costruiamo le news room del servizio pubblico di una paese che vanta, inconsapevolmente, un primato nelle pratiche social della rete? Tutto con una geometria verticale, riproducendo una logica da broadcasting o invece elaboriamo una strategia originale di allestimento di community in rete dove cementare pratiche professionale e relazioni sociali con i territori , i saperi e gli utenti? Lavoriamo su Facebook o su spazi diversi per incontrare i flussi di informazioni sociali? Costruiamo architetture cloud nel territorio, legati a data base tematici (università, distretti produttivi, associazionismo, finanza,sport) e le integriamo con i server redazionali e attorno a queste pratiche costruiamo software automatici di storage ed editing o invece continuiamo a giocare all’artigianato giornalistico?

Da queste scelte ne discende il peso che il servizio pubblico potrà avere nella negoziazione globale del sistema Italia sul mercato tecnologico, e di conseguenza la rilevanza e l’autonomia che la RAI potrà conquistarsi. In caso contrario i 100 milioni al mese verranno spesi in incentivi per esodi che riducano ruolo e immagine della Rai. E Gubitosi dovrà riflettere sul fatidico detto di un grande intellettuale della comunicazione italiana Franco Fortini che spiegava agli innovatori  che bisogna osare senza mai dare ragioni ai nostri figli per maledirci.

Meriti e limiti del piano Junker

di Francesco Grillo

Ci sono due buone notizie potenziali per l’Italia nel piano straordinario di investimenti che il Presidente della Commissione Europea Junker ha annunciato ieri. E due, altrettanto potenzialmente, negative.

Quella positiva è che si accetta, per la prima volta, che gli investimenti pubblici – quelli che avvengono sotto forma di contributi degli Stati al Fondo strategico che Junker renderà operativo a Giugno – possono avvenire senza pesare sulle regole del patto di stabilità. Ma anche che ci si pone l’obiettivo, finalmente ambizioso, di colmare con l’iniziativa della Commissione (che dovrebbe riuscire a mobilitare 315 miliardi di Euro) quasi per intero il buco di investimenti che ci separa dai livelli pre-crisi (370 miliardi nella stima della Commissione).

Ciò che lascia perplessi chi continua ad aspettare terapie d’urto, è che di “soldi freschi” ce ne sono pochi, come Junker ammette: la Commissione e la Banca Europea degli Investimenti vi dirottano 21 miliardi ed il resto dovrebbe venire da un effetto leva che è stimato poter essere pari a quindici. Ma, soprattutto, la notizia che dovrebbe preoccupare il presidente del Consiglio italiano Renzi è che lo strappo all’austerità arriva in cambio di un rafforzamento del ruolo di quei tecnici contro i quali il Presidente del consiglio ha condotto una battaglia personale. Non c’è nessuna garanzia che i soldi versati dagli Stati al Fondo rifluiscano ai Paesi in funzione dei versamenti effettuati; a decidere sarà un gruppo di tecnici (proprio loro) e i progetti saranno esclusivamente valutati sulla base del ritorno sociale che garantiscono e della capacità di mobilitare ulteriori investimenti da parte dei privati.

Il cambiamento di verso – non a 360 gradi, ma di certo significativo – al quale il Presidente della Commissione Europea affida la possibilità di caratterizzare il proprio mandato, è nelle parole che Junker ha scelto. Scelta resa ancora più delicata dalla necessità di dare una risposta sul piano della politica, all’appello con il quale Papa, sul piano dell’etica, aveva scosso il Parlamento europeo il giorno prima.

“Non abbiamo una macchina per stampare soldi”, dice Junker, e, del resto, “la possibilità di spegnere lo spettro della deflazione buttando da un elicottero banconote” – come farebbe un monetarista di Chicago – non esiste. Con i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale Europea, già c’è una montagna di liquidità di cui banche e imprese non sanno cosa fare. Inoltre, il capo della Commissione ribadisce che “non permetteremo di accumulare ulteriori debiti che spetterà alle generazioni future pagare”, perché – a differenza di ciò che succedeva negli Stati Uniti dove fu chiamato Keynes a risolvere il problema della depressione – il debito pubblico in rapporto al PIL è già al 90% e la spesa pubblica è vicina alla metà. Né tantomeno, si può immaginare di risolvere il problema “scavando buche per poi riempirle”, perché la stessa fine dell’Abenomics – per anni indicata come modello dagli avversari dell’austerità – in Giappone dimostra, come non sia risolutiva, una politica meramente espansionistica.

Non possiamo, dunque, permetterci un Piano Marshall e, tuttavia, il Piano Junker vuole comunque lanciare – facendo di necessità virtù – un’offensiva degli investimenti per sfuggire all’idea di aver perso un intero decennio nella stagnazione.  Con l’intelligenza indispensabile per intervenire sulle innovazioni – banda larga, infrastrutture di trasporto, scuola, ricerca, tecnologie – che maggiormente possono attivare processi di sviluppo. I soldi andranno dove c’è qualità progettuale e capacità istituzionali e, però, la conseguenza non è indolore e Junker sembra mettere le mani avanti: se “la crescita indotta dal Piano sarà più forte in Francia che in Italia” – l’esempio scelto sembra anche un avvertimento – l’Italia potrà, comunque, beneficiarne – dice consolatorio Junker – attraverso un aumento delle esportazioni.

Più investimenti, dunque. Ma anche un forte premio a chi ha le capacità istituzionali per farlo. Ed è qui che la vittoria di Renzi rischia di trasformarsi in un’ennesima vittoria a metà. Perché se è vero che la burocrazia europea è parte del problema, ciò vale ancora di più per quella italiana.

Siamo al ventiseiesimo posto su ventotto Paesi per capacità di spesa, ad esempio, degli investimenti finanziati con fondi strutturali che le regioni e le amministrazioni centrali avrebbero potuto impiegare per infrastrutture come quelle sulle quali il Fondo di Junker concentrerà tre quarti delle sue munizioni. Il problema, peraltro, non è solo al Sud – la Puglia ha fatto meglio del Lazio nella passata programmazione – e non solo delle Regioni – il Ministero della ricerca è una delle amministrazioni alla quale in passato sono state tagliate maggiormente le risorse per evitare guai peggiori. Peraltro, non solo perdiamo per strada – come spesso si sente dire – tanti dei soldi che ci spettano. La novità è che presto la Commissione Europea potrebbe, persino, chiederci la restituzione di alcuni miliardi di euro per finanziamenti spesi per progetti che non sono stati completati o che non funzionano: ciò potrebbe, ad esempio, portare in bancarotta centinaia di amministrazioni comunali in Campania.

Non molto migliori sono le prospettive sulle infrastrutture telematiche: il Fondo di Junker potrebbe fornire un’iniezione di liquidità assai significativa al progetto ambizioso appena annunciato dal Governo, di voler portare la percentuale di popolazione italiana coperta da banda ultra larga dallo zero all’85%, da qui al 2020. Tuttavia, la strategia dell’Agenzia digitale di crescita dei servizi – soprattutto, pubblici – che dovrebbero incontrarsi sulla nuova autostrada informatica, non appare ancora in grado di “vedere” le tecnologie come fattore di trasformazione radicale dell’organizzazione di comparti come la sanità, la giustizia, la scuola. In questo contesto, l’autostrada potrebbe rimanere inutilizzata e destinata a logorarsi.

Migliore è, tuttavia, la prestazione dell’Italia quando alla “gara europea per la crescita”, partecipano direttamente le singole università e le imprese senza l’intermediazione delle amministrazioni pubbliche. Sui cosiddetti “programmi quadro” l’Italia è al quarto posto: potremmo fare meglio, ma questo è un dato che deve far pensare che, seppur impoverito, il settore privato e quello della ricerca è più intraprendente di ministeri e regioni.

Ottima la notizia di una grande sfida progettuale lanciata all’Europa. Per vincerla, però, è fondamentale fare un salto di qualità in Italia. E decidere di rottamare – sul serio – quei burocrati che sono più responsabili della Germania della crisi di investimenti e fiducia che ci fa soffrire più dell’Europa.

Che le risorse si spostino – anche in Italia – dalle amministrazioni incompetenti a quelle più capaci. In maniera trasparente così che gli elettori sappiano chi punire e chi premiare. E dal pubblico al privato, se necessario. Con una frazione dei miliardi di euro di fondi strutturali che avranno, a disposizione nei prossimi sette anni le amministrazioni italiane, potremmo anche noi cercare un effetto leva: istituire fondi chiusi che investano nelle “specializzazioni intelligenti” e nelle aree territoriali che il governo avrà identificato, lasciando a operatori finanziari internazionali che ci mettano soldi e competenze il compito di selezionare specifici progetti di innovazione.

Il sottosegretario Del Rio sembra aver colto la necessità che aldilà delle cifre in gioco, c’è da fare un cambio di passo. Un investimento in intelligenza. Da qualunque parte arrivi. Responsabilizzando tutti sui risultati di una partita che non possiamo assolutamente perdere.

 

 

 

 

Un popolo rosso di rabbia reazionaria

di Michele Mezza

Una talpa inedita riprende a scavare sotto i nostri piedi. sembra proprio che s’avanzi uno strano soldato. E non è  un amico.

Le cronaca ci rimandano annunci di ribellismo sociali nelle banlieu delle grandi metropoli.

Povertà ed esasperazioni anti elites mettono in movimento un popolo dell’intolleranza. le gaffes di Marino a Roma, i mutismi a Milano della sinistra culturale, l’assenza a Napoli, Bari e Palermo di  una presenza territoriale di un progetto di trasformazione, fa rifluire  protesta sociale e rivolta esistenziale  in una La lega di Salvini si candida a contenitore di questa nuova Italia Italia senza pietà, e soprattutto senza speranza. Non era mai accaduto che la destra trovasse un popolo diffuso e metropolitano. Già le lancette dei sondaggi segnalano gli effetti: si logora lo scintillante , successo solitario di Renzi, si gonfia la vela della destra lepenista.

Certo fiammate populista non sono mancate, dall’Uomo Qualunque del dopo guerra, al Bossismo della fine anni 80, fino al berlusconismo sorridente. Ma sempre la spina dorsale era la media borghesia provinciale.

Oggi la protesta gonfia la pancia popolare e permette ad una possibile destra conservatrice di radicarsi nei quartieri metropolitani, così come si è radicata nelle curve degli stadi. ma con una torsione ancora più preoccupante. Dove andrà la protesta operaia bianca, senza ambizione politica e con la frustrazione di trovarsi sola in un territorio senza r5tappresentanza? dove andrà il popolo di questa CGIL senza partito? dove si rifugerà alla fine la rude razza pagana dei metalmeccanici di Landini se non trovasse un approdo a sinistra?

La convergenza annunciata dalla Camusso del primo sindacato italiano con la Lega per il referendum sulla riforma previdenziale Fornero indica una direzione: con un fronte popolare difensivista. Per la prima volta si configura in Italia quella base sociale tipica della destra popolare americana, composta da borghesia rapace, produttori frustrati, e operai minacciati. E’ la destra bianca degli anni 60 e 70, quella degli operai di Chicago che picchiavano gli studenti anti Vietnam, quella della difesa dell’industria americana contro l’ondata gialla, quella del muto della casa da pagare a tutti i costi.

Prove generali di questo nuovo mosaico sociale già ce ne sono state: Gli operai brianzoli o veneti, da tempo senza rivoluzioni da inseguire, sono inevitabilmente schiacciati sotto l’alleanza con il proprio padrone per cercare una via di emancipazione almeno nel successo della propria azienda.

Ma ora si va oltre: Europa, stato fiscale, immigrazione sono i tre nemici che spostano a destra il popolo senza rivoluzione. Dopo 30 anni a lamentarci di  un ceto rivoluzionario che non ha mai trovato un popolo per  dare forma alle proprie ambizioni, ora ci troviamo muti di fronte ad un popolo che senza rivoluzioni scivola a destra.

Il Renzismo non sembra sufficientemente tondo per dare una alternativa. Nasce come linguaggio neo borghese e non sa ora parlare a ceti esterni alla competizione. La vecchia sinistra è anch’essa senza voce. Il suo popolo era disciplinato e auto munito di identità rivoluzionaria. La sinistra doveva solo amministrarlo e usarlo come spauracchio, per spostare equilibri e concertazioni.

Siamo ad un vero bivio. paradossalmente dopo aver guardato fuori dalla finestra per cercare di leggere l’orizzonte e ‘ alle nostra spalle che è cresciuto un mostro che non domiamo. Come sempre le trasformazioni non possono rimanere a mezz’aria, pena rovesciarsi nel proprio contrario. Già Machiavelli ci ricordava ne  Il Principe  che ” Non c’è niente di più difficile da prendere in mano, ne di più pericoloso da guidare, e di più incerto successo che avviare un nuovo ordine delle cose. Perché l’innovazione ha nemici in tutti quelli che hanno operato bene nelle vecchie condizioni e soltanto tiepidi sostenitori in coloro che potranno essere avvantaggiati  dal nuovo”.

I limiti e i meriti di Renzi

di Massimo Veltri (pubblicato ieri su Il Quotidiano della Calabria)

E’ sempre stata una prerogativa di chi un tempo faceva politica, contestualizzare i fatti, inserirli in un prima e in un possibile dopo, alla luce della situazione complessiva e degli attori in campo. Chi, appunto, un tempo faceva politica negli grandi partiti di massa, in un’Italia che vedeva il binomio… Dc-Pci fronteggiarsi, accordarsi, poi di nuovo guerreggiare, in una situazione politica ch’era quella dei blocchi contrapposti poi via via sbiadita dopo il crollo del muro, le scuole di partito, il Vaticano, la Terza via, la Russia, i Comitati Centrali, il Centralismo democratico… Ma non è questo il punto, qui. Il punto che voglio mettere in evidenza qui è che mai o quasi (malgrado ipocrisie, mezze verità e infingimenti) si faceva ricorso a categorie come antipatia personale, mai si tacciava esplicitamente l’interlocutore di ignoranza o di superficialità. Invece, evidentemente i tempi son cambiati anche in tal senso, e per tutti, sempre più si fa ricorso a tali categorie, a queste attribuzioni negative, per commentare, o meglio: condannare, l’operato di Matteo Renzi nella veste di premier e/o di segretario del Partito Democratico. Partito democratico, appunto: né Dc né Pci: si può ragionare, ancora, con gli stessi schemi con cui ci si atteggiava venticinque anni fa, fra nostalgie malriposte e incapacità di situarsi nelle dinamiche di oggi? Quando dopo averle dette tutte, ma proprio tutte, contro o a difesa  di certe posizioni – che siano la bontà del sistema bicamerale contro l’abolizione del Senato; i tentativi di riscrivere una legge elettorale un pò meno indecente del vigente Porcellum e corollario annesso di preferenze sì e preferenze no; il solipsismo del leader; la modifica del mercato del lavoro, l’accordo con Verdini e c., il liberismo esasperato eccetera – quando tutto s’è detto e si è ripetuto, dicevo, ecco che scattano parallelamente le contumelie. E la cosa deve far riflettere, per evitare un ulteriore grado di imbarbarimento di cui proprio non ci sarebbe bisogno, in una situazione di per sé molto complicata.

Esiste, almeno sulla carta, un Pd, e un sistema di forze politiche, dal M5Stelle a FI, Ncd, Lega e tanti altri ancora, in cui la responsabilità di governo è assegnata, oggettivamente, al leader del Partito Democratico. L’ascesa di Renzi è stata descritta in tutti i modi: non val la pena soffermarcisi qui. Varrebbe la pena farlo piuttosto sulla nascita e sulle convulsioni del Pd, ma pure questo è stato fatto se pure in termini non conclusivi. Si dice, e ci sono elementi di verità, che questo Pd conserva al suo interno tante sensibilità, volendo intendere contraddizioni; diverse culture in termini di intendere i pesi e i contrappesi nel sistema  istituzionale; contrastanti modi di riferirsi a blocchi sociali; differenti approcci verso la modernità; welfare e garanzie fra loro confliggenti; intendere il mondo del lavoro. Se si guarda bene ci sono ancora altre divaricazioni, dentro il Pd, questo Pd, e non si tratta di semplici ‘elementi di verità’, ma appaiono piuttosto oggettive e quotidiane constatazioni. Constatazioni che giorno dopo giorno fanno fibrillare sempre più il quadro politico-istituzionale. Su un punto, però, è possibile cercare di trovare un’intesa, ed è quello che riguarda la inesorabile perdita di sovranità degli stati europei a fronte delle politiche (economico-finanziarie) della UE, di questa UE. E’ da tempo che si riscontra questo duplice dato: UE come unione economico-finanziaria e null’altro (diretta rigidamente dalla Germania); eterodirezione della politica da parte degli obiettivi di convergenza decisi in sede esterna ai paesi che dovrebbero invece esercitare la loro propria sovranità. C’è un problema, quindi, anzi ce ne sono tre: come indurre Bruxelles (e Berlino) ad intendere le cose in chiave più politica e in termini di sviluppo – che non può conseguirsi con azioni di mero contenimento della spesa, di tagli e investimenti sempre più esigui -; parallelamente, come mostrare in sede UE un volto realistico, accreditandolo nei fatti, di responsabilità, autorevolezza, serietà; come ridefinire il compito, le attribuzioni, le articolazioni, dello stato, dello stato di oggi e di domani alle prese con un mondo del lavoro spostato sempre più verso la precarietà, un sud del continente che non può essere lasciato in balìa di se stesso, un universo di tecnologia e di nuovi saperi che saprebbero dare risposte a tanti problemi che ci affliggono se fossero, come si dice, messi a sistema. Questo è il fronte che da più parti caratterizza la nostra esistenza, oggi, se non si vogliono aggiungere anche i temi della sicurezza e della sostenibilità ambientale.
Esistono proposte, letture, di tali fenomeni, oggi, che siano in grado di confrontarsi con tali complessità tanto sul terreno nazionale che su quello europeo? A me non pare, tanto che sembra d’essere tornati alle così dette politiche dei due tempi: prima aggiustiamo un pò le cose, poi ripartiamo. Con un aggravante, però, che l’aggiustamento non procede spedito, tutt’altro, incontrando ostacoli, divergenze di posizioni, attriti fortissimi, in specie, o forse addirittura soltanto, nel partito di maggioranza relativa. Mentre, invece, occorrerebbe rilanciare sì nel campo dell’accreditamento agli occhi UE – dopo decenni d’inerzie, scialacquamenti e scorribande vari – ma contemporaneamente sferrare un’offensiva  a tutto campo contro la crisi di questo modello occidentale che chiami a raccolta per un nuovo ‘ordine europeo’. Che veda gli stati membri al centro, la guerra contro la povertà, politiche per il lavoro realistiche, investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, un welfare equilibrato e non meramente assistenzialista, la rete fra l’imprenditoria privata, lo stato, la comunità scientifica, il mondo delle professioni liberali.
Renzi ha mille e un difetto, mettiamoci pure, e non è di poco conto, questo suo stucchevole insistere: ‘Il sud deve farcela da solo’ (non ce la può fare, da solo. Nessun ambito politico-territoriale in ritardo alza la testa autonomamente se non è accompagnato da misure premiali e dissausive, se non è messo nelle condizioni di operare virtuosamente, liberandosi dei tanti orpelli e dei tanti motivi di ritardo che lo affliggono, gran parte, è vero, frutto di responsabilità proprie), ma una serie di elementi di oggettività li interpreta, all’interno d’un blocco anchilosato su un’Italia ferma a venti-trent’anni fa che non c’è più, malgrado qualcuno e più d’uno faccia finta di non essersene accorto. Certo, se alza il tiro, Renzi, se accompagna al suo dire un disegno ambizioso di ridefinizione del quadro generale con piglio e credibilità autentici, forse gli si perdonerebbero, o quasi, anche le tante guasconate, le improvvisazioni, le dimenticanze, le grossolanità. Fatto è che solo a dir no non si va da nessuna parte, a guardare l’oggi con gli occhi di ieri non ci si cava niente.

The Green value of Milan Expo 2015

by Massimo Preziuso (in State of Green Economy Report 2015 – Dubai Carbon)

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Expo Milano 2015 is the first universal green economy fair. A single event will give italian and international firms focused on green investments the opportunity to be exposed to new ideas and alliances while showing their best practices to a global community, during and after the event.

Mobilizing the attention of a massive audience this Expo aims to be a global best practice, in terms of its sustainable design and green procurement to be followed in the next “Great Events”.

Milan Expo 2015 is also a unique place for setting up a new era of sustainable and green growth policy that starts in Europe and directs to the UAE (through the Dubai Expo 2020) and the USA (through the Transatlantic Trade and Investment Partnership) reshaping the entire global economy.

At Rio +20, in June 2012, Heads of State and Government renewed their commitment to ensuring the promotion of an economically, socially and environmentally sustainable future for our planet and for present and future generations.

Among other actions, they recognized the importance of promoting cleaner production and products and boosting green growth.

Expo Milano 2015 is a non-commercial Universal Exposition with some very unique and innovative features. Not only is it an exhibition but also a process, one of active participation among a large number of players around the theme of Feeding the Planet, Energy for Life. It is sustainable, technological, thematic and focused on its visitors. Open from May 1 to October 31, 2015, the Expo will host over 130 participants. Running for 184 days, this giant exhibition site, covering one million square meters, is expected to welcome over 20 million visitors” (Official website)

Expo Milano 2015 is so a golden opportunity for Italy and Europe to show how this can be done, by implementing workable sustainable solutions throughout the lifecycle of the event.

To this aim, Expo Milano 2015 wants to set the standard in:

–        Sustainable design, construction, dismantling and reuse

Today, the building sector accounts for 30 to 40 percent of the world’s energy consumption and about 30 percent of current world CO2 emissions. The Sustainable Solutions for the design, construction, dismantling and reuse guidelines provide suggestions and references on how to improve the performance of temporary buildings and exhibition spaces.

–        Green Procurement*

Expo Milano has introduced not mandatory Green Procurement Guidelines to provide suggestions and recommendations on how to easily include appropriate criteria to reduce environmental footprint of products and services in their life-cycle. Green Procurement is also a major driver for innovation, providing industry with real incentives for developing green products and services and stimulating the markets towards more sustainable solutions.

Expo Milano 2015 has also a tremendous potential impact onto a political and economic perspective as a unique opportunity for Europe to take (for the second time, after having led the global agenda for Climate Policy with its “20-20-20”) the leadership of a new era of Sustainable Growth and Green Investments.

For Italy it is also the opportunity to restart as a country and community after a decade of economic and cultural crisis that has partially destroyed a tradition of wellness and high standard of living. The Expo can give the country a fresh and modern image of a visionary and environmental friendly place that aims to return as a guide for the old continent and the world towards a new era of green growth, with its unique creativity that brought tons of inventions and innovative products and technologies for the past centuries.

According to a recent study on the leading export industries in various countries, “engineering products” sector results the first contributor to Italian export. This says that Italy is still a top global exporter of high value – engineering services and products to the developed and developing countries, helping world economies and societies growth and modernization. A fact in clear contrast with an (Italian) internal economy that is living a long and severe decline.

Milan Expo could give a strong boost to a sustainable production and consumption path that is already emerging as data from GreenItaly 2013 report on italian green investments shows.

The sample is made by 328 thousand firms (one out of five) that, from 2008 on, invested on Green Economy.

Data says that, despite of a crisis that still persists, Italian green industry is growing and that the exportations are increasing especially thanks to innovation.

The main consequence of green investments are increase in exportations, innovation in the productive system and turnover increase. In order to be competitive Italian firms must persist on their tradition in terms of product, but also integrate it with sustainability and quality in terms of production. Green Economy is the key for Italian industry’s recover.

To summarize:

–         Expo Milano 2015 could strongly influence the european and global political agenda by putting Environment and Sustainability at the centre of a new “green era”.

The main goal could be with the EU – USA Transatlantic Trade and Investment Partnership that could be strongly innovated and enhanced with new “sustainable” conditions.

–        In the same time, Expo Milano 2015 has the strong responsibility to give a successful example, in terms of organization and vision, to its successor Expo Dubai 2020 that will be crucial for a radical change of UAE economies and societies.

Milan and Dubai have to work together since now for the leadership of a new era of global “green” growth.

 

ATTACHMENT

*Expo 2015 SpA Green Procurement

Starting from 2009, 60 tenders have been awarded for the supply of goods and/or services and consulting, for a total of €19,578,776.21. In 12 of these, regarding amounts that cover 60.8% of the total economic value, candidates were also assessed on the basis of a series of “green” requirements that bidding companies had to satisfy, such as the commitment to reduce the environmental impacts connected to providing the subject service or supplies.

Table 1 – The green tenders carried out

YEAR SUBJECT OF TENDER GREEN CRITERIA

2010

Express courier service   for the delivery of letters and packages Use of vehicles with low   environmental impact
Letter head Printing on recycled and   certified paper

2011

Specialized support for   development and implementation of the climate-changing gases inventory of   Expo 2015 Commitment to reduce CO2   emissions
Services for   coordination, design, organization, implementation of events and/or services   and related suppliers, directly managed by the company Expo 2015 or by third   parties – LOT 1 and LOT 2 –  Commitment to reduce the   environmental impacts connected to organization of the Event;-  Possession of an Environmental   Management System with UNI EN ISO 14001:2004 or EMAS III certification;-    Adoption of measures aimed at reducing CO2 emissions during   the service
Activities involving the   graphical design, photolithograph, CD Rom production, printing, binding,   packaging and delivery of the Participants’ Guide –  Sustainable   processes and materials-  Adoption of an Environmental   Management System with UNI EN ISO 14001:2004 or EMAS III certification;-    Commitment to reduce the ecological footprint of activities and   products

2012

Implementation of an   Environmental and Safety Audit Program in the work sites of Expo Milano 2015  Commitment to reduce the environmental   footprint (CO2)
Food services for workers   during operations at the site base –    Commitment to reduce the environmental impacts directly linked to   management and organization of the service;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
Global Site   Communications Activities for Expo 2015 Reduction of   environmental impacts linked to management and organization of the site   communications activities

2013

Management of lodgings,   cleaning, armed and unarmed security, maintenance and overall coordination of   operations at the site base –    Commitment to reduce the environmental impacts directly linked to   management and organization of the services;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
Coordination, planning,   organization and execution of the event “Expo Days 2013” –  Commitment to reduce the   environmental impacts connected to organization of the service;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification;-    Adoption of measures aimed at reducing CO2 emissions during   the service
Executive design and   production of 20 statues –  Selection of sustainable   production materials and relative packaging for transport;-  Commitment to reduce the   environmental impacts linked to set-up, storage, handling and disposal;-    Possession of an Environmental Management System with UNI EN ISO   14001:2004 or EMAS III certification
TOTAL VALUE OF GREEN TENDERS

€   11,912,627.34

Source: Expo2015

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