Significativamente Oltre

Renzi

La leggenda di Super Mario

di Francesco Grillo (su Il Mattino del 3 Luglio)

Negli ultimi fantastici giorni vissuti tra Varsavia e Brussels, tra gli italiani si deve essere diffusa una strana leggenda: quella di uno, anzi due, forse tre Fratelli Super Mario (Monti, Ballottelli e probabilmente Draghi) che proprio come nel famoso gioco della Nintendo avrebbero salvato, ancora una volta, il Paese che più di qualsiasi altro e’ specializzato a sfornare miracoli dell’ultima ora. Un paese vecchio, depresso, che da tempo perde la parte migliore delle sue generazioni piu’ giovani, da un anno sull’orlo di un vero e proprio fallimento e che da venti non riesce più a crescere. Una specie di bella addormentata che però trova sempre un eroe buono disposto a caricarsela sulle spalle e tirarla fuori dalla acque limacciose che rischiano costantemente di farla affogare.

E’ stato proprio Prandelli, uno dei personaggi più positivo degli Europei, a dire quanto la favola – perfettamente riuscita sei anni fa a Berlino – del trionfo costruito sula disperazione sarebbe stata controproducente:“la vittoria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a tanti” – ha ricordato il nostro Commissario Tecnico – perché “per cambiare c’e’ bisogno di molto tempo” e solo quando “ci saremo riusciti, saremo pronti per rivincere subito dopo un risultato positivo, senza alternare picchi e periodi bui”.

Deve essere per questo motivo, per poter continuare il Progetto che Prandelli ha deciso di rimanere proprio dopo aver perso. E quello che dice l’allenatore italiano vale non solo per il calcio. Anche per l’economia e la società italiana la logica è la stessa: un paese fermo per vent’anni, avrà bisogno dei prossimi venti per fare i conti con un passato ingombrante e trovare una prospettiva di crescita duratura.

La Nazionale “ha, in effetti, provato a cambiare in un Paese vecchio”. E se e’ vero che l’età media dell’Italia era ancora più alta di quella fatta registrare in media dalle altre nazionali, è altrettanto vero che, rispetto al Mondiale del Sud Africa, la squadra è ringiovanita di quasi due anni e che  in termini di numero medio di presenze (ventotto) nella squadra nazionale prima del torneo, i giocatori azzurri erano quelli che erano cambiati di più subito dopo la Polonia e la Francia.

Tuttavia, è altrettanto vero che non basta rinnovare i vertici, i punti più visibili di un movimento o di un Paese per modificare quella società in profondità: e così come a Prandelli non possono bastare le buone intenzioni se le squadre di club non gli consentono di allenare con sufficiente continuita’ gli azzurri, a Mario Monti non può bastare la credibilità internazionale se, contemporaneamente, a casa, la montagna della revisione del rapporto complessivo tra lo Stato e i cittadini è costretta a partorire il topolino di cinque miliardi di Euro che neppure vedra’ mai la luce per l’opposizione pre giudiziale dei sindacati e della Camusso.

Non basta Mario Ballottelli che diventa insieme la bandiera dei giovani e degli immigrati che tanto possono dare ad un Paese che non ha più fame. Non basta se dalle pubbliche amministrazioni italiane continua ad essere escluso per legge (a differenza degli altri Paesi) chi non è cittadino italiano, laddove in alcune aree – ad esempio la stessa polizia di stato – ce ne sarebbe bisogno vitale per poter avere le competenze linguistiche e le conoscenze per affrontare fenomeni nuovi. E non basta che un ventunenne diventi simbolo di un’Italia vincente, se nel frattempo l’approccio puramente contabile alla trasformazione della macchina statale ha prodotto solo un lento e inesorabile invecchiamento che ha, di fatto, pietrificato universita’, ospedali, ministeri, magistrature, organi istituzionali di uno Stato che vive ormai solo per sopravvivere a se stesso. Non basta anche perche’ Mario e’ anche il simbolo involontario di tanti giovani talenti italiani che sono scappati dal nostro Paese e che non vedono le condizioni per poter tornare.

Non basta una vittoria del cuore anche se puo’ costituire la premessa per la riscossa. Non basta un accordo tra capi di governo – quello di Brussels della settimana scorsa e’ peraltro ancora quasi totalmente da riempire di contenuti – e non basta da solo neppure lo scudo anti spread, anche se puo’ essere utile per comprare tempo laddove un governo in difficolta’ dimostrasse alla Commissione Europea di fare veramente autocritica. E non esiste, infine, un bottone magico premendo il quale otteniamo la crescita anche perché la leva degli investimenti pubblici per far ripartire l’economia dovra’ essere usata in maniera molto limitata e selettiva.

Quello che dobbiamo davvero realizzare per ottenere una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva come chiede il documento conclusivo del vertice della settimana scorsa, e’ un enorme trasferimento di risorse tra sprechi e rendite di posizione a generazioni e gruppi sociali che avrebbero i mezzi per creare ricchezza ma che sono stati assurdamente penalizzati per decenni. Dobbiamo avere meno avvocati, meno notai, meno amministratori di patrimoni che essi stessi senza cambiamenti sono destinati a ridursi progressivamente; meno lobbies che ferocemente litigano per conservare la propria fetta di una torta che sta scomparendo. E molti piu’ innovatori veri, disposti a rischiare per il proprio talento e che, prima di tutto, possano essere messi in grado di utilizzare la propria inventiva.

Un cambiamento di mentalita’ ed una riallocazione di priorità così massiccia richiede di più dello sforzo di un governo o di una squadra; qualcosa di diverso dei “sacrifici per uscire dalla crisi” che continuano ad essere centrali nella retorica del presidente del consiglio italiano. Esse richiedono una trasformazione che non può che coinvolgere una parte grande della opinione pubblica ed, in particolar modo, delle “classi” (giovani, donne, immigrati) che dal cambiamento sarebbero beneficiati; riforme che non possono vivere senza il supporto dei cittadini che decidano di spegnera la televisione e scendere in campo per difenderne le ragioni; richiede un’autocritica di milioni di italiani che dallo status quo sono stati beneficiati per molto tempo e che da quei privilegi rischiano essi stessi di essere travolti; e, anche, sacrifici che pero’ non possono essere uguali per tutti perche’, per definizione, se dobbiamo ripartire dovremo farlo con chi da questa crisi otterra’ il riconoscimento – atteso da tanto tempo – del proprio valore.

 

 

Seconda lettera al sindaco di Frosinone

Verso una democrazia partecipativa

La Rete Indipendente “ Nuove Idee nei territori” ritiene urgente ed auspicabile, all’interno della Amministrazione comunale di Frosinone, proporre l’istituzione a costo zero di un tavolo di lavoro per l’organizzazione di un modello di democrazia, quello del governo partecipato, responsabile e condiviso e di un Garante ai “Beni Comuni e alla Partecipazione”.

Si propone contemporaneamente una riflessione che, rispondendo ai principi di trasparenza e integrità, previsti dalla normativa vigente per tutte le pubbliche amministrazioni istituisca referendum abrogativi e propositivi senza quorum soprattutto per le opere di interesse pubblico e dai costi sociali particolarmente rilevanti quale risposta ad un percorso di consultazione nel pubblico dibattito.

Proponiamo altresì l’adozione dello schema operativo di Agenda 21 locale che può diventare un modo di operare strategico a medio e lungo termine essendo modello partecipativo, democratico, antidogmatico e consapevole responsabilizzante tutti i soggetti partecipanti al dibattito sulla cosa pubblica. Inoltre, attenendosi al principio di legalità nella gestione delle amministrazioni, appare determinante che nei contratti pubblici sia abolito il criterio del “massimo ribasso” e venga istituita una commissione comunale, sempre a costo zero, per l’attuazione di un sistema tale da controllare in automatico eventuali infiltrazioni malavitose mediante verifiche incrociate dei dati su appalti, licenze, redditi, anagrafe. Sarà fondamentale, per evitare sprechi, implementate sia la formazione che l’aggiornamento dei dipendenti comunali così da ridurre al minimo le consulenze esterne.

 

Certi di trovare adeguata risposta alla suddetta proposta la Rete si rende disponibile ad una collaborazione, su un concetto chiave di gratuità assoluta, perché il percorso individuato sia fattibile ed in linea con una idea di innovazione dei Governi locali.

Giuseppina Bonaviri

Rete Indipendente “Nuove Idee nei territori”

Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità

di Pierluigi Sorti

Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi,  e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma,  e Matteo Renzi, a Firenze.

Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui,  specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono,  in massimo grado consapevoli.

Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd  e, ancor più,  degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.

Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge  chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con  tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni  di elettori.

E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,

Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.

Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.

Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?

PD – Matteo Renzi: largo a generazioni Google

CANDIDATO ALLA PRESIDENZA DELLA PROVINCIA DI FIRENZE PER IL CENTROSINISTRAdi Matteo Renzi (da Repubblica)

ROMA. Giovani e politica, un ossimoro, una contraddizione in termini?
Oppure un auspicio, un tema da convegno (noioso), un problema da affrontare e mai risolvere. I giovani, si dice ed è anche vero, la politica non la amano, non la capiscono, non la seguono. Ma ci sono anche quelli che la politica la fanno, ventenni, trentenni o poco più.
E la fanno a tempo pieno come Matteo Renzi, nato nel 1975, professione civile dirigente d’azienda, professione politica presidente della Provincia di Firenze, militante della Margherita, «rutelliano», finito anche su Time che in aprile dedicò la copertina e un lungo servizio proprio ai giovani in politica. Renzi fa politica ma non solo, o meglio la fa guardando davanti e non indietro. Tanto che uno dei suoi libri si intitola «Tra De Gasperi e gli U2», titolo che fece sobbalzare Prodi sulla sedia. Che infatti, quando lo incontrò, gli fece: «Ma che casso c’entra De Gasperi con gli U2?». «Io gli risposi che non c’entra appunto un casso, perché oggi per un giovane è molto più formativo, politicamente parlando, un testo di Bono che non un saggio di De Gasperi. Purtroppo molti ragazzi non sanno nemmeno chi fosse l’ex leader della Dc, così come alcuni rispondono che Berlinguer era un ministro francese». Felici e ignoranti, dunque, i giovani di oggi? «Ignoranti sulla storia politica del passato abbastanza, e non è che questo sia una nota di merito. Ma forse bisognerebbe chiedersi se i messaggi di una volta, le ideologie del novecento abbiamo ancora un senso nella realtà. Ecco, io penso di no: penso che la mia generazione e quelle che seguono siano le “generazioni Google”. Che non è solo un motore di ricerca ma un metodo, una rivoluzione della società, della cultura, della didattica. Sarebbe ora che lo fosse anche per la politica».

Lei parla di Google proprio oggi che il suo partito si divide in teodem, teopop, con manifesti politici che affermano la straordinaria attualità dei valori della Dc che scomparve quando lei aveva meno di vent’anni… «Oddio, e pensare che per me la Dc è morta e sepolta, e lo dico con tutto il rispetto per quella storia ma senza nemmeno nascondermi i problemini che quel partito ha avuto e ha creato. Io poi sono figlio di un democristiano, ho cominciato a far politica con i Comitati Prodi e nel Partito popolare di Martinazzoli, il mio soprannome è Zac in omaggio a Benigno ma anche a Zaccheo, personaggio biblico che definisco l’anti-ideologico. Faceva l’esattore delle tasse e rubava pure, poi incontra Cristo e diventa cristiano ma continua a fare il suo lavoro. Solo che smette di rubare». Cos’è,
una metafora dedicata ai democristiani? «No, no, è che io sono stanco di tutti questi riferimenti al passato, chi verso la Dc e chi verso il Socialismo. Trovo queste nuove correnti, teodem, teopop e via dicendo, un po’ ridicole, diciamo ideologiche e nostalgiche. Negli ultimi dieci anni la società italiana è cambiata, tutto è cambiato tranne le facce di quelli che stanno al governo. Dieci anni fa i due ministri più giovani erano Giovanna Melandri e Enrico Letta e oggi sono Enrico Letta e Giovanna Melandri. Solo che sono passati dieci anni e la nuova generazione è rimasta indietro».

Lui no, ha solo 31 anni e un grande avvenire davanti a sé. Ma gli altri? «Molti stentano, perdono tempo a lamentarsi perché i più vecchi non gli lasciano spazio, sembrano un po’ dei replicanti. Invece dovrebbero prendere qualche iniziativa, smettere di piagnucolare e farsi avanti. Io faccio parte di un gruppetto di dieci amici che dopo la sconfitta alle europee del 99 (col Ppi di Marini ridotto a meno del 5%), prendemmo in mano il Partito di Firenze. Avevamo venticinque anni… qualcosa insomma si può fare anche senza aspettare la grazia ricevuta dai nostri zii. Si impara di più a far la politica dell’oggi usando la Rete che non a sbattersi per un posticino qui o lì nel sottobosco della politica».

I vecchi o gli zii di cui parla Renzi, tanto vecchi non sono. Fatta eccezione per i settanta-ottantenni che occupano le cariche istituzionali, gli altri si chiamano D’Alema, Fassino, Veltroni, Rutelli, gente che sta tra i cinquanta e i sessant’anni. Sono loro che non fanno spazio ai giovani? «In un certo senso sì, ma è perché non riescono a fare spazio a se stessi. In altri paesi a quell’età si chiude la carriera, vedi Tony Blair. Da noi invece stiamo ancora aspettando che un cinquantenne faccia il candidato premier». E a meno di sorprese, aspetteremo fino al 2011: lei chi aspetta? «Veltroni o Rutelli».

Senta Renzi, un anno fa le primarie: le sono piaciute? «Senza dubbio, speriamo di rifarle. Magari più vere, io ho votato per Prodi ma non avevo molte alternative. Mi piacerebbe in futuro non dover votare per un leader già predeterminato. Mentre non mi piace affatto tutta questa santificazione delle primarie, qui va a finire che sul calendario scriviamo San Primario il 16 ottobre». Ormai però si parla delle primarie addirittura come metodo per costruire il Partito democratico, i gazebo contro gli apparati: lei con chi sta? «Io sono un pasdaran del Partito democratico, ma tra l’idea di Parisi e quella di D’Alema scelgo D’Alema. I partiti non sono il luogo della società incivile, e tutti questi professori che vengono a spiegarci che bisogna buttarli a mare francamente non li sopporto. Dopo di che, figuriamoci, oggi sono troppo ceto politico, bisogna che cambino. Ma non che scompaiano». Il Presidente della Google generation è comunque soddisfatto che il Partito dei suoi sogni sia partito, «anche se potevamo evitare di farlo partire con un dibattito così palloso».

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