Renzi
La riduzione del debito pubblico
E’ diventato una specie di sport nazionale degli ultimi giorni, quello di cimentarsi su ipotesi di possibili modalità di rientro del nostro debito nazionale .
Un debito che, nell’ ultimo aggiornamenti, ha superato il livello di 1970 miliardi di euro e , correlato al Pil nazionale, lambisce il coefficiente del 125 %.
Una cifra imponente che consolida negativamente il nostro paese nella primissima fascia della graduatoria dei paesi in assoluto più indebitati del mondo e, in rapporto al Pil nazionale, preceduto dal solo Giappone e dalla Grecia.
Un quadro complessivo che, finalmente, nonostante a tutti ben noto da più di un ventennio, sembra aver risvegliato la sensibilità ufficiale, immersa soprattutto nella diatriba sulla controversa possibilità del ricorso ai vari meccanismi di protezione concepiti, ma non ancora operanti, nell’ ambito della zona euro.
Il che significa dover affrontare il toro per le corna, con l’ abbandonare cioè ogni considerazione essenzialmente finalizzata a fronteggiare l’ indebitamento secondo il percorso tradizionale dell’ assunzione di nuovi debiti per fronteggiare quelli vecchi, nel facile quadro, ora con l’ euro non più praticabile, di una politica finanziaria basata sul costante ricorso all’ inflazione.
Con l’ auspicio che l’ assunzione del presupposto della diminuzione del debito non comporti alcuna distrazione dalla riduzione della spesa pubblica, o “spending review”, è inevitabile l’ annotazione di un elemento aggiuntivo e di un paradosso .
L’ elemento aggiuntivo coinvolge la politica della spesa, la cui contabilità non è di competenza della Stato Centrale, ma attinente a tutti gli Enti pubblici, regioni, province, comuni e altri minori centri pubblici di spesa , l’ ammontare dei cui indebitamenti sono di difficile aggiornamento contabile : a cominciare dal comune di Roma, capitale d’ Italia .
Il paradosso sta invece nella constatazione che non pochi protagonisti mediatici di queste ipotesi di intervento sul debito pubblico, hanno avuto incarichi politici importanti in periodi in cui il nostro debito pubblico ha registrato i suoi aumenti più tumultuosi .
E’ scritto nelle stelle italiche il sempiterno prevalere dei comportamenti gattopardeschi ?
Nasce la consulta provinciale di “Nuove idee nei territori” a Frosinone
La Consulta provinciale, organismo di rappresentanza della Rete Indipendente “ Nuove idee nei territori” sta effettuando incontri nella realtà locale ciociara con lo spirito di attivare democraticamente la costruzione di un nuovo soggetto che garantisca il più ampio ascolto e confronto.
Partiamo dall’ottimizzazione della filiera delle risorse sociali e delle idee presenti sul territorio locale per superare la dimensione della singola entità partitica paradigma, oggi, di sentimenti di indignazione e astensionismo da parte del popolo tradito da una cattiva politica impastata di abusi, malaffare e sopraffazione.
La Rete nasce un anno fa e il suo progetto è in progress: “una testa un voto” base del principio di responsabilità individuale e contemporaneamente di un processo di partecipazione diffusa e collettiva dei cittadini ai processi decisionali locali, nazionali e transnazionali la caratterizza.
La Rete Indipendente segue un percorso, imprescindibile ed alternativo, di democrazia partecipativa e di riconquista della cultura politica all’interno dei Comuni e dei quartieri, nei rioni e nelle piazze, per ridare voce al cittadino, alle donne, ai giovani, alle rappresentanze del lavoro e delle imprese artigianali e agricole, dei corpi intermedi, dell’associazionismo, del civismo puro nella vita delle amministrazioni e degli enti utili.
La Carta di Intenti è un primo documento di riferimenti, di principi e di valori, volutamente non programmatico. Democrazia – lavoro – beni comuni –uguaglianza sociale-diritti-partecipazione diffusa sono le tappe fondamentali nel processo di costruzione partecipato di questo nuovo soggetto. L’impegno a promuovere incontri, creare momenti partecipativi e occasioni di confronto fondate sul radicamento attivo nei territori per una mobilitazione diffusa e connessa, per la creazione di una mappa di bisogni che non imponga esclusività di appartenenze segmenta il percorso politico avviato.
Il tema della rappresentanza politica è parte fondante del programma della Rete. In questa dimensione è auspicabile la nascita di liste attive di cittadinanza politica a partire dai Comuni della Provincia ciociara e come avvenuto per le amministrative 2012 di Frosinone in affiancamento alla candidatura a Sindaco Indipendente della Prof.ssa Giuseppina Bonaviri riferimento politico di questo progetto di governance innovativa.
Alla fine del tunnel?
di Francesco Grillo (su Il Mattino)
Le parole sono, come macigni. Soprattutto quelle pronunciate dai leader politici europei e dai dirigenti delle più importanti istituzioni internazionali, in un momento di volatilità alta come quello che i Paesi dell’Euro vivono sui mercati internazionali. Ed è comprensibile che il nostro Presidente del Consiglio cerchi di sfruttare l’abbrivio creato dalle affermazioni rassicuranti di Mario Draghi, invocando un ulteriore sforzo da parte di tutti perché “siamo quasi fuori dal tunnel”.
Quelle di Monti sono ovviamente parole sensate: servono per preparare un bilancio positivo per un governo tecnico rispetto al quale è saggio ritenere che un qualsiasi prossimo governo politico dovrà cercare una continuità; e servono per allontanare di qualche ulteriore centimetro un punto di non ritorno oltre il quale perderemmo il controllo della crisi. Esiste, però, nelle parole di Monti anche un rischio: quello di ritenere che il peggio sia passato, che forse ancora una volta il sistema ha retto e che possiamo andare in vacanza con la convinzione che presto potremo tornare alle antiche abitudini.
Del resto, pochissime ore dopo le parole di Draghi, il governo ha già dovuto subire un assalto che ha parecchio depotenziato la revisione della spesa e, in parte, compromesso il piccolo ma significativo risultato di aver ridotto il numero delle province.
Se passasse questa convinzione di ritorno alla normalità, lasceremmo intatte le ragioni della crisi ed essa sarebbe destinata a ripresentarsi ancora più grande ed irreversibile tra qualche settimana.
In effetti, anche se capiamo le ragioni di Monti, siamo lontanissimi dalla fine del tunnel. O perlomeno ne siamo assai distanti se decidiamo, una volta e per tutte, che il problema da risolvere non è solo o tanto quello di uno spread che comunque rimane vicino ai 500 punti, ma di rimuovere gli ostacoli che impediscono alla società italiana di poter essere più produttiva e più giusta.
La realtà dell’Italia è, in fin dei conti, piuttosto semplice da raccontare. Non ha semplicemente futuro, giusto per fare uno degli esempi più eclatanti, un Paese che spende in pensioni duecentotrentasette miliardi di euro all’anno che sono una cifra quattro volte superiore a quella (cinquantatre miliardi) che viene impiegata per la scuola e per l’università di ogni ordine e grado.
E il livello di ingiustizia sociale cresce ulteriormente se si considera che nonostante una spesa così elevata, nessun altro Paese europeo ha quasi il quindici per cento di anziani sotto la soglia di povertà. Molti dei quali, in questi giorni torridi, sono lasciati languire a casa da soli con quattrocento euro di pensione al mese. E non ha prospettiva una società che si permette il lusso di fare a meno di due milioni e mezzo di giovani – un quarto dei dieci milioni di italiani in età compresa tra i quindici e i trenta anni – che sono fuori sia dal mondo del lavoro che da quello della formazione. Non è neppure immaginabile che stia per uscire dal tunnel un Paese che non riesce a trattenere più della metà dei laureati con centodieci e lode e che attrae nelle proprie università dagli altri paesi europei un numero di studenti tre volte inferiore a quello della Spagna.
Sono problemi strutturali quelli che fanno dell’Italia e, in misura inferiore, dell’Europa nel suo complesso, una società che contemporaneamente riesce ad ottenere il minimo di efficienza e il massimo di ingiustizia. Un sistema che ha costruito una sorta di piramide rovesciata che, spesso, premia gli incapaci e mortifica il talento. E non piacerebbe sia a chi lo volesse osservare dal punto di vista di una autentica destra liberale sia da quello di una sinistra davvero sensibile alle diseguaglianze. Un Paese che non solo non cresce ma che rischia anche di non riuscire a stare più insieme. Nonostante gli appelli energici di un Presidente della Repubblica che è stato in questi anni l’unico punto di riferimento.
Non siamo alla fine del tunnel e l’opera appena intrapresa dal Governo Monti ha bisogno di molto più tempo, coraggio, energia politica per scalfire “diritti acquisiti” e corporazioni che continuano a litigare per difendere la propria fetta di una torta che sta per sparire.
Il tunnel dal quale dobbiamo uscire è quello della foresta pietrificata, di un’economia e di una società che può cominciare a crescere – non solo in termini di ricchezza prodotta, ma di idee, qualità della vita – solo se mette pesantemente in discussione equilibri di potere che hanno esaurito da tempo qualsiasi ragione d’essere.
In questo senso ha ancora ragione la Merkel ma anche Draghi: la crescita di cui abbiamo bisogno deve essere vera e per essere duratura può solo venire da riforme che spostino risorse pubbliche e private verso utilizzi più produttivi. Questa deve essere, assolutamente, la contropartita di un qualsiasi intervento finanziario che altrimenti rischia di annacquare quelle responsabilità con le quali Stati e opinioni pubbliche devono fare i conti.
Vita dura per gli artisti in Italia
Molti diritti ai lavoratori del settore vengono ancora negati, ad esempio il diritto ad avere una legge adeguata di tutela del lavoro nel comparto, che personalmente ritengo più importante dell’economia del nostro paese. Vanno create le condizioni per garantire una rappresentanza Parlamentare adeguata che si occupi in modo continuativo delsettore e che prenda in considerazione investimenti sempre più consistenti per uscire in breve dal tunnel della crisi che, per l’Italia, passa necessariamente attraverso l’incremento del turismo utilizzando la cultura, lo spettacolo,l’arte, la musica e gli artisti italiani. Una necessaria riflessione che rinviamo, rinnovando il nostro appello a tuttele Istituzioni, anzitutto alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato che, hanno l’obbligo di approvare la proposta di legge di lavoro nello spettacolo alla quale abbiamo più volte assicurato il nostro contributo di proposte e di sostegno politico.
Dall’ANSA l’articolo che segue
La cultura ”frutta” al Paese il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, e da’ lavoro a unmilione e 400 mila persone, il 5,6% del totale degli occupati in Italia, piu’del settore primario o del comparto della meccanica. E’ quanto emerge dal Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia,”L’Italia che verra”’ elaborato da Symbola e Unioncamere, presentato venerdìscorso a Treia (Macerata), durante la prima giornata del seminario estivo dellafondazione. Se si allarga lo sguardo dalle imprese che producono cultura insenso stretto – industrie culturali e creative, patrimonio storico-artistico earchitettonico, performing art e arti visive – a tutta la ‘filiera dellacultura’, ossia ai settori attivati dalla cultura, il valore aggiunto prodottoschizza al 15% totale dell’economia nazionale e impiega ben 4 milioni e mezzodi persone, il 18,1% degli occupati totali. Sacrificata spesso sull’altaredella riduzione del debito pubblico, la cultura dimostra non solo di poter’sfamare’ il Paese, ma di ‘far mangiare’ gia’ oggi quasi un quinto deglioccupati italiani. I risultati dello studio, il primo a quantificare il pesodella cultura nell’economia nazionale – spiegano Symbola e Unioncamere -”smentiscono chi la descrive come un settore non strategico e rivolto alpassato, e la inquadrano invece come fattore trainante e di rilancio per moltaparte dell’economia italiana, una delle leve per ridare ossigeno ad un Paesemesso a dura prova dalla perdurante crisi”. Nel quadriennio 2007-2011, la crescita nominale del valore aggiunto delleimprese del settore culturale e’ stata dello 0,9% annuo, più del doppiorispetto all’economia italiana nel suo complesso (+0,4% annuo). Un dato che siriflette anche sulla caparbia tenuta occupazionale del comparto: nello stessoperiodo gli occupati nel settore sono cresciuti dello 0,8% annuo, a frontedella flessione dello 0,4% annuo subita a livello complessivo. E ancora, ilsaldo della bilancia commerciale del sistema produttivo culturale nel 2011 ha registrato unattivo per 20,3 miliardi di euro che ha permesso alla cultura di contribuirealla ripresa, seppur contenuta, del Pil tra il 2010 e la prima parte del 2011. A livello di economia complessiva, invece, la bilancia indicava -24,6 miliardi.L’export di cultura vale oltre 38 miliardi di euro e rappresenta il 10% deltotale complessivo nazionale. L’import e’ pari a 17,8 miliardi di euro ecostituisce il 4,4% del totale. Interessante anche la capacità attrattiva dellacultura sul turismo: la componente attivata dalle industrie culturali e’quantificabile nel 33,6% del totale della spesa turistica sul territorionazionale, 23,3 miliardi di euro. Il rapporto Unioncamere e Fondazione Symbola e’ stato realizzato con lasupervisione del prof. Pierluigi Sacco e con il coinvolgimento di oltre 20esperti per individuare le esperienze piu’ avanzate e le tendenze emergenti diogni settore. Secondo Ermete Realacci, presidente di Symbola, ”l’Italia devefare l’Italia. Bisogna fronteggiare la crisi, senza lasciare indietro nessuno,ma risanando l’economia. La cultura e’ l’infrastruttura immaterialefondamentale di questa sfida”. Per il presidente di Unioncamere FerruccioDardanello, si sta affermando ”un nuovo modello di sviluppo in cui e’crescente l’interesse verso la valenza strategica della cultura e dellacreativita’ quali fattori decisivi per una nuova politica dell’innovazione,della qualita’, del benessere e della sostenibilita”’.
R-innovamenti Bersaniani necessari, adesso!
di Massimo Preziuso su L’Unità
Come volevasi dimostrare già a novembre 2011, ci avviciniamo alla Grecia anche noi, inaspettatamente (allora) anche “grazie” a questo governo, che ha dato il colpo finale a un Paese già in ginocchio, paralizzandolo completamente nella sua “vita reale”.
Alcuni dati di queste ore, su tutti:
– obbligo di ferie forzate – per tutto il mese di Agosto – richiesto ai dipendenti di moltissime aziende italiane,
– debito pubblico cresciuto al livello record (nonostante 10 mesi di pura azione anti-debito),
– totale blocco delle assunzioni, a tutti i livelli, in Italia (mentre aumentano massicci i piani di licenziamenti nelle primarie aziende e banche) con un paio di generazioni già oggi fuori da qualunque futuro lavorativo.
Si abbia ora tutti (media per primi) il coraggio di dire prima di tutto questo, smettendola di difendere la mitologia di un “Super Monti” soprattutto dopo che oggi, dopo una due giorni infernale nei mercati per l’Italia, se ne esce con un imbarazzante: “situazione difficile, puntare su economia reale”.
I partiti politici, fino ad ora, lo hanno solo velatamente e a tratti criticato, per poi correggere subito dopo il tiro, per paura di essere attaccati da media e cittadini (si, anche noi!).
Ora la Politica deve fare un passo avanti, o non lo farà mai più.
Per primo il Partito Democratico, che deve accelerare sui tempi decisionali e (provare, rischiando, a) prendere la guida del Paese, da adesso, aldilà di quando si andrà a votare.
Bersani indichi subito e senza timori la data delle primarie e convochi (dopo) i “partners” con cui vuole condividere un percorso politico e programmatico.
Aprirà così una nuova stagione, grazie a quelle enormi energie potenziali presenti nel Paese, che si metterebbero in gioco con lui, e che oggi invece rischiano di andare in “corto circuito” per sempre.
Non c’è più tempo da perdere, pena ritrovarci con un Monti Bis in una Italia irriconoscibile e in “stato di guerra”, già a cominciare da Ottobre – Dicembre prossimi.
Questo perchè è ormai chiaro a tutti che il Paese è attaccato per due motivi, prima ancora che per il Debito Pubblico (che c’è sempre stato e sempre ci sarà, seppure in maniera un po’ più ridotta): la assenza di un futuro politico delineato (nella continua tentazione, forse ormai distrutta da fatti così netti, verso una “grande coalizione Montiana”) e la inattitudine dell’attuale Governo ad affrontare il tema della crescita, in un periodo di conclamata recessione.
Non è possibile stare a guardare il Paese affondare. E per il Partito Democratico è davvero ora di smetterla con la “strategia” e le “grandi questioni” e di cominciare a proporre semplicimente la propria visione per il futuro di un’Italia – lasciata allo sbaraglio dal Governo dello spread – che ha bisogno da subito di almeno un minimo di normalità.
Forza, Bersani, ora tocca a Te!
Il discorso di Zingaretti, candidato sindaco della Capitale
Addì 16 luglio 2012 , in quel di Trastevere, nella piazza di S. Cosimato, Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, ha lanciato il suo guanto di sfida per la conquista della poltrona di Sindaco di Roma Capitale.
Lo ha fatto con efficacia, dipanando il film di quello che sarà il suo vademecum di candidato a una carica che, almeno nella storia recente, è stata assai avara di gratificazione per chi ha voluto interpretarla come propedeutica a progressi successivi nella politica nazionale.
Zingaretti, consapevole o meno di questa circostanza, si è astenuto dall’enumerare attraenti traguardi, rivolgendosi ai cittadini romani non per sedurli con promesse ma per chiedere il loro contributo , impegnandosi, non senza solennità, ad ascoltarli per affrontare unitariamente lo stato deprimente in cui ormai Roma è costretta a specchiarsi.
I cittadini hanno colto tale proposito come la via obbligata per uscire dalla loro rassegnazione e ritrovare la strada maestra delle tradizioni più autentiche della loro città.
Il silenzio della sua allocuzione sui tanti problemi che assillano Roma, di imponenza tale da tracimare facilmente in senso di impotenza, può facilmente essere perdonato, se non del tutto giustificato, data l’ ufficialità della dichiarazione della sua candidatura.
Dicasi questo in relazione ai pendenti problemi della nettezza urbana, alla crisi permanente della mobilità, ai piani urbanistici e alla colossale e tuttora incerta voragine debitoria del bilancio capitolino, peraltro di non facile leggibilità anche dal punto di vista di un rapporto della Corte dei Conti di quasi tre anni or sono.
Ma il suo appello sulla necessità preliminare di ascoltare la gente, della irrinunciabilità della trasparenza politica, del metodo della verifica dei risultati, in sintesi della politica come servizio e non come privilegio, non poteva non suscitare nella mente degli ascoltatori, la comparazione e le analogie con gli aforismi che hanno marcato tanti fenomeni, antichi e recenti, di movimentismo spontaneo.
Sono ben impressi nella più avvertita coscienza collettiva,la memoria recente dei girotondi, del popolo viola e, nella fase attuale, la evidente progressione, anche elettorale, del fenomeno del movimento di Grillo, depurabile o meno delle sue insidiose venature demagogiche.
Con la differenza, tuttavia, a favore di Zingaretti, di un solido presupposto che può conferire, a priori, maggiore credibilità alle sue parole : quello di poter vantare, ai suoi fianchi, la risorsa di un partito (ancora) organizzato che, con le asserzioni menzionate, presenta, almeno teoricamente, innegabili attinenze.
La riuscita di Nicola ha un duplice e obbligato percorso da effettuare: la fermezza personale del mantenimento dei suoi propositi e , quale inderogabile e più problematica condizione, un diverso e più emancipato rapporto con il suo partito, nella convinzione che a nessuno può appartenere l’ esclusiva di una politica riformista.
Per le idee e gli uomini che sceglierà a coadiuvarlo, voglia e possa, Zingaretti, superare ogni reticenza sulle contraddizioni del Pd, inducendolo, in sede non solo romana, a modificare le troppe linee di condotta che, nei pochi anni della sua esistenza, hanno deluso, ampiamente e non poche volte, la pubblica opinione : come dimostrano gli oltre tre milioni e mezzo di elettori persi in un quadriennio.
Le sciarade di Alemanno e Zingaretti
Anche reputando ormai poco verosimile l’ ipotesi di uno scioglimento anticipato del parlamento, appena trascorso il periodo estivo, il mondo politico italiano entrerà progressivamente nel clima elettorale.
Ma a Roma questo clima si arroventerà assai più velocemente perché, in concomitanza con le assise politiche nazionali, anche il Campidoglio, sede simbolica e fattuale della città metropolitana di Roma Capitale, ospiterà la nuova assemblea e il Sindaco eletti dai romani per gestire il quinquennio “2013 -2018”.
Nella previsione corrente i due concorrenti che si contenderanno alla fine tale incarico hanno entrambi il volto già noto, sul piano nazionale, di Gianni Alemanno, sindaco in carica , e di Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, che, in questo torrido scorcio preferiale , giocano le loro prime credenziali.
Alemanno, poche sere or sono, invitato televisivamente a definire il suo maggiore successo coma sindaco della capitale, non ha esitato a identificarlo, nella delimitazione delle conseguenze del fallimentare bilancio ricevuto in eredità dall’ amministrazione Veltroni.
Zingaretti, dal canto suo, fa presumere di voler caratterizzare la sua immagine di candidato sindaco, con una proposta urbanistica nuova consistente nella rigorosa denegazione del consumo di territorio, specie dell’ agro romano, per nuove iniziative edilizie, attività alle quali il rivale Alemanno appare invece particolarmente proteso.
Il paradosso che ne consegue vede entrambi i candidati alle prese con un incrocio di curiose contraddizioni cui altri eventuali candidati minori, concorrenti alla carica, o l’ acribia dei giornalisti, potranno agevolmente sottolineare.
Potrebbe essere richiesto ad Alemanno il motivo di tanto ritardo nella denuncia del deficit della città, in considerazione specifica della sua duplice funzione di sindaco e di commissario al bilancio ai cui relativi doveri, almeno apparentemente, ha omesso di ottemperare, dall’ inizio del suo mandato, per renderne pubbliche le coordinate essenziali e illustrarne i ritenuti possibili rimedi .
A Zingaretti, specularmente, potrebbe essere chiesto di spiegare il silenzio con cui, pressoché con tutto il Pd, di cui da tempo è stato dirigente romano e nazionale, ha condiviso ( ed esaltato ) la faraonica impostazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 2008, ultima fatica del sindaco Veltroni.
Quel piano regolatore, precisamente, che assurse a ideale colonna portante del celebre “modello Roma” ( ora dimenticato ) , che prevedeva un volume fabbricativo di oltre 60 milioni di metri cubi, con i connessi “diritti compensativi” e “accordi di programma” , a maggior gloria e intraprendenza degli immobiliaristi dell’ urbe.
Forse, per queste contraddizioni, Roma ha meritato davvero di essere gratificata del nuovo titolo di Capitale della Nazione.
Quella paralisi di fine impero
Ma cos’altro bisogna tentare per scalfire questo muro opprimente dello spread? Rispetto a questa domanda i ministri dell’Economia dell’Eurogruppo riuniti ieri a Brussels apparivano ancora più impotenti dopo che persino il tanto celebrato vertice che si è tenuto dieci giorni fa e che era parso a tutti segnare una discontinuità rispetto al passato, si è dimostrato incapace di invertire l’inarrestabile aggravarsi della crisi: i progressi che dopo l’incontro erano stati realizzati in termini di risparmi potenziali nel costo di finanziamento del debito pubblico di Italia e Spagna sono stati in solo dieci giorni completamente spazzati via.
Cosa manca allora dopo ventisette vertici dall’inizio della crisi più grave che l’Unione Europea abbia mai affrontato? Cosa continua a mancare in una rincorsa affannosa che vede i governi europei costretti nella scomoda posizione di un medico al quale rimane solo la possibilità di comprare tempo in attesa che a qualcuno venga un’idea?
Molti commentatori continuano ad invocare passi decisi verso l’unione fiscale. Tuttavia, essa non può che esigere anche un’unione politica che pur essendo teoricamente la soluzione, appare oggi improponibile per la stessa mancanza di condizioni politiche che l’inconcludenza dei vertici fa emergere. Voler fare, in questo momento, il salto verso gli Stati Uniti d’Europa tra Paesi che neppure si riescono a mettere d’accordo sull’utilizzazione di 500 miliardi di Euro da attribuire al fondo creato per assicurare la stabilizzazione finanziaria (ESM), sarebbe un po’ come per una coppia decidere di fare un figlio quando si è in crisi: le difficoltà verrebbero accantonate momentaneamente per la necessità di rispondere alla nuova sfida solo a costo di esporsi a guai ancora più devastanti nel giro di pochi mesi.
All’Unione politica mancano, del tutto, opinioni pubbliche europee, meccanismi istituzionali e modelli di partecipazione che costringano le nuove istituzioni a rispondere nei confronti dei contribuenti europei dell’utilizzazione di risorse pubbliche: più grave ancora è il fatto che sia mancato un qualsiasi serio investimento nella direzione della costruzione di un demos europe senza il quale l’Unione politica rischia paradossalmente di sancire una nuova drastica lacerazione tra classi dirigenti e cittadini.
Molto più utile è, come segnala il think tank Breugel, lavorare più pragmaticamente su quella che è la contraddizione più forte che si legge in tutti gli atti dell’Unione: la distanza tra gli annunci con i quali si cerca di placare i mercati, e l’implementazione che lasciano regolarmente gli operatori economici, finanziari e persino i cittadini nella più totale incertezza.
Anche per ciò che concerne, l’ultimo vertice la realizzazione concreta delle due più importanti decisioni prese – la possibilità che l’ESM intervenga direttamente nell’abbassare il costo del debito pubblico dei Paesi in maggiore difficoltà e nella ricapitalizzazione delle banche – è condizionata da almeno cinque aspetti si sa troppo poco per indicare che una strada precisa è stata intrapresa: quale è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatta l’operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tali indicatori l’assistenza finanziaria verrebbe fornita ed in che misura ai vertici – governi per gli Stati e management per le banche – sarà concessa l’autonomia per raggiungere tali obiettivi e quando scatterebbe al contrario l’alternativa di sostituire di fatto chi ha assunto le decisioni che hanno creato il problema? Fino a quando l’intervento di supporto deve e soprattutto può continuare e, considerando che le risorse attualmente a disposizione del meccanismo di stabilizzazione sono una frazione molto piccola dei debiti sovrani e bancari da garantire, attraverso quali meccanismi è possibile immaginare un suo rifinanziamento? Quali criteri di informazione sui rischi – nel caso delle banche – e omogenizzaione delle contabilità pubbliche – in quello dei governi – devono essere rispettati da tutti gli aderenti al patto in maniera tale che il soggetto deputato a stabilizzare possa identificare le crisi prima che esse si materializzino? Ed infine chi governa l ‘intero processo nelle due diverse aree di consolidamento degli Stati e delle istituzioni finanziarie e su quali basi giuridiche verrebbero perseguiti eventuali inadempimenti considerando che i soggetti regolati sono sovrani o comunque soggetti a leggi nazionali?
Stati e Banche rappresentano, ovviamente, questioni diverse sia per motivi tecnici che politici e, tuttavia, le due crisi gemelle avvicinano i due problemi e impongono un approccio in una certa misura simile.
La soluzione, a mio avviso, deve essere in entrambi i casi quanto più lineare è possibile: uno o due organismi – certamente uno dei quali deve essere la Banca Centrale Europea – devono essere dotati della capacità autonoma di intervento e della possibilità di finanziarsi o attraverso aumento della quantità di moneta oppure attraverso obbligazioni garantite dai Paesi dell’Eurozona collettivamente. I livelli di rischio ai quali corrisponda l’attivazione di pre definite tipologie di intervento devono essere stabiliti in anticipo in maniera tale da rendere più credibile l’impianto di stabilizzazione e ridurre le possibilità di doverlo effettivamente scattare. La capacità di risposta deve essere potenzialmente illimitata in maniera da scoraggiare gli speculatori e le soglie oltre le quali intervenire devono essere fissati a livelli sufficientemente bassi per limitare i rischi.
Un vertice come quello consumato nelle ore della semifinale tra Italia e Germania avrà impatto: le possibilità però che esso diventi l’ennesima occasione per salvare chi meriterebbe di uscire dalla partita con l’effetto di aumentare la propensione all’azzardo morale, sono però assolutamente uguali a quelle che costituisca un buon equilibrio tra necessità di non uccidere il malato ed esigenza assoluta di una modifica dei comportamenti che ne hanno determinato la malattia.
Tutto dipenderà dai dettagli nei quali spesso il diavolo si nasconde. Questi dettagli mai più devono essere rimandati da un vertice ad un altro , passando da livelli politici ad altri più tecnici. Non necessariamente tutti gli aspetti potranno essere stabiliti una volta e per tutte e correzioni del meccanismo sulla base dei risultati dovrà essere previsto. Ma perlomeno una strategia chiara deve essere chiaramente condivisa in maniera da far capire a tutti in che direzione – nei prossimi anni e non nei prossimi giorni – ci si vuole muovere per salvare un progetto – quello europeo – che merita visione e pragmatismo.
Lentezza incomprensibile della società civile
Assistiamo in questo torrido segmento di luglio alla rappresentazione mediatica di un gran fervore dell’ azione di governo, impegnato nell’ opera di “ spending review “ ( analisi critica della spesa pubblica n.d.r. ) .
Esso si accompagna allo speculare conclamato dissenso dei sindacati, all’ intenso lavorio sottotraccia delle direzioni dei partiti nella ( finta o autentica ) elaborazione di una nuova legge elettorale, a una opposizione parlamentare di minoranza, dura ma non rassegnata della sua scarsa incisività, infine alla silente ma compiaciuta attesa del movimento grillino.
Delude invece il mancato riscontro di nettezza di analisi e di proposte da parte di tutte quelle associazioni che, quale surrogato dei partiti e quali espressioni della società civile, sono sorte, nominalmente, per una più spregiudicata elaborazione di nuove ipotesi di offerta politica o per un più realistico approfondimento dei tanti temi che investono il quadro politico italiano ed europeo.
In questa fascia di iniziativa politica, oggettivamente impotente a bucare visibilità mediatica, e nota soltanto nell’ ambito di cittadini particolarmente sensibili al crescente aggravarsi della situazione politica, esistevano i presupposti di una capacità di reazione più costruttivo e comunque alternativo alla visione ormai difficilmente contrastabile del M5s ( movimento 5 stelle , quello di Grillo ) e al suo monolitismo demolitore.
Due sembrano infatti gli elementi ostativi a ogni concorrenza con il M5S per assumere un ruolo di ipotesi elettoralmente accettabile : entrambe forse riconducibili a paradigmi extra politici, forse di carattere psicanalitico .
L’ evidente indisponibilità , da parte delle numerosissime associazioni in campo, riscontrabile nelle principali realtà cittadine, in primis a Roma , di connettersi, per gelosia e diffidenza, fra di loro per realizzare una sufficiente massa d’ urto e la difficoltà di condividere iniziative in non piena formale armonia con i presupposti d’ origine e con la politica attuale, delle variegatissime provenienze individuali.
La cartina di tornasole più significativa è rappresentata da Alba, la più recente fra tutte le associazioni, che per inconscia vocazione, dopo una partenza non priva di clamore, non riesce a darsi capacità di crescita se non ricorrendo a obiettivi che vadano oltre formulazioni organizzative interne di funzionamento, identificabili con la lentissima predisposizione di uno Statuto.
Forse l’ imprinting dei diversi percorsi di apprendistato ideologico e politico entra a far parte del substrato di quei complessi che la psicanalisi individua come ostativi al libero sviluppo della personalità individuale.
R-innovamenti politici dalle associazioni
di Massimo Preziuso su L’Unità
La situazione politica è alquanto strana, come al solito, in Italia.
Basta leggere il botta e risposta di pochi minuti fa su Twitter tra la senatrice Finocchiaro (che dice “vogliamo che gli elettori scelgano gli eletti, ma non vogliamo le preferenze”) e il leader Casini (che risponde “ma senza preferenze, con l’uninominale, i cittadini non scelgono nulla”) – laddove la riforma elettorale è l’unico eventuale goal che gli italiani possono fare con questo Governo tecnico, fatto solo di austerità, tagli e nuove tasse – per capire che siamo messi male davvero.
E’ chiaro che i Partiti tutti sono immobilizzati nelle solite logiche di dibattito interno sulla direzione da prendere.
E in questo immobilismo stanno tralasciando completamente le esigenze di noi cittadini, nel nome dello “spread” (è sempre di pochi minuti fa la reazione fuori dai canoni del premier Monti alla critica, da me condivisa a pieno, del presidente confindustriale Squinzi sull’operato del primo, che dice “in questo modo, facciamo crescere lo spread”) e dei mercati finanziari.
Tra le necessità, le principali sono due: il lavoro e la riforma elettorale appunto.
Sul tema lavoro, mentre migliaia di lavoratori ogni settimana vengono “dismessi” da aziende che molte volte approfittano della crisi per dichiararsi “fallite” e chiedere l’intervento dello Stato, il governo e la politica non si rendono conto della necessità di interventi globali, possibilmente di natura europea, come i “sussidi alla disoccupazione” accompagnati ai “contratti di solidarietà” (di cui abbiamo discusso sin dal 2009 in Innovatori Europei), prima che il calo dei consumi e della produzione ci porti a breve in una spirale irreversibile di recessione economica e crisi sociale.
Sulla riforma elettorale, mentre il governo tecnico va avanti come un treno (solamente) nell’abbassare standard di vita raggiunti in Italia in almeno 50 anni, iniziando pure a mandare sul mercato i primi (ma non ultimi) importanti pezzi di patrimonio pubblico, con i partiti politici (in questo caso) ”distratti” dalla gestione di proprie complessità interne, i cittadini rischiano di dover votare di nuovo molti di quei politici che dovrebbero tornare a vita privata, non avendo raggiunto nemmeno minimamente i propri obiettivi di public servants.
Come ci siamo detti già nei mesi scorsi è proprio tempo di r-innovamenti politici, nei partiti e nelle associazioni.
Ma è soprattutto da queste ultime che deve arrivare nuova linfa verso le istituzioni e la società tutta.
E’ arrivato il momento che vari pezzi dell’associazionismo di settore – che in molti casi condividono radici, percorsi e finalità – la smettono di viaggiare in solitario e si uniscano per fare goal condivisi, per il bene del futuro prossimo del Bel Paese.
Non è più possibile stare a guardare la politica e le istituzioni auto riformarsi.
E’ un dovere per tutti partecipare, con i propri limitati mezzi e le proprie capacità, alle prossime elezioni politiche.
Con o senza (molto più probabile) il permesso dei partiti politici.
Questo il mio augurio per il nostro Paese.