Significativamente Oltre

Primarie

Rinnovamenti da domani con Bersani

 di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Questa campagna elettorale per le primarie è volata in  un attimo. Francamente, non ha raccontato  molto, parlo a titolo personale, di più di quello che già sapevo. E credo lo stesso effetto abbia fatto a molti simpatizzanti ed elettori del centrosinistra  italiano.

Eravamo già a conoscenza del differente peso e  solidità dei diversi candidati.

Cinque candidati che, messi insieme, rappresentano uno  spettro enorme di istanze, tutte interessanti, molte volte complementari, ma in  qualche caso troppo lontane dalla tradizione del centrosinistra.

Se infatti Vendola, Puppato e Tabacci hanno, nei fatti,  proposte politiche vicine a quelle del segretario Bersani, quelle di Renzi  dicono cose molto distanti da quell’idea di centrosinistra che in tanti in  Italia abbiamo, e che finalmente possiamo ritrovare, con il voto di domani.  Un’idea che io sento di tradurre in tre concetti: solidarietà, re-distribuzione  per la crescita, meritocrazia nell’uguaglianza.

L’Italia ha vissuto quasi vent’anni di stordimento  grave. Ora ha l’occasione di rialzarsi, anche se il cammino di risveglio a  questo punto sarà lungo.

Per farlo, non credo nella vulgata della “rottamazione”,  ancora di più se chi la propone è poi circondato di persone, metodi e  riferimenti culturali troppo lontani da noi e nemmeno innovativi.

Non vedo, personalmente, un’alternativa ad una proposta  politica di tipo progressista ed europeista, che voglia rinnovare con azioni  pazienti la classe dirigente del Paese, senza distruggerla, ma accompagnandola  naturalmente all’uscita.

E’ questa, in sintesi, l’idea che trasmette la leadership di  Pierluigi Bersani nel Partito Democratico. Ed è per questo che l’ho considerata  da sempre la proposta migliore possibile.

Non vi sono scorciatoie per cambiare un Paese così  malridotto, ma nel contempo portatore di un enorme potenziale da decenni  inespresso.

L’unica strada possibile è quella che conduce a  rinnovamenti della società civile, attuati attraverso scelte politiche nette (il  progressismo in Europa) guidate da una solidità che solo il Partito Democratico  a guida Bersani oggi dimostra in Italia.

Siamo ad un giorno dal voto alle primarie. Mi aspetto  una vittoria netta del segretario del PD, per le ragioni sopra  espresse.

Gli italiani, che a volte sembrano essere attratti  sadicamente dal “nuovismo”, domani voteranno in massa per una solida politica di  rinnovamento, che merita sostegno.

Ed, in ogni caso, viva le Primarie, nei fatti, unico  vero strumento di mobilitazione politica democratica e di massa oggi esistente  in Italia e nel mondo

Le Primarie – un buon segno per la democrazia. Intervista ad On. Rosato (PD) nel circuito Radio-Tv REASAT

LE PRIMARIE

(un buon segno per la democrazia)

scarica l’intervista e mettila subito in onda

www.reasat.it/content/iniziative/rosatipd.mp3  

Il buon vento politico lo si avverte dall’importanza che, stampa e  radiotelevisione pubblica e privata, uniche cartine al tornasole del grado di libertà esistente in un Paese democratico, stanno dando alle Primarie in atto nel Partito Democratico e nel centrosinistra. Ciò altro non è che esemplare esercizio per un nuovo corso di rinnovamento delle rappresentanze nei due rami del Parlamento e nelle formazione del Governo.

Il problema del rinnovo della classe dirigente del Paese però rimane impantanato tra le maglie della polemica “rottamazione si” “rottamazione no”. Non credo che un rinnovo effettivo e, radicale, possa essere assunto con tali magiche formule.

La REA, raccogliendo gli intenti politici del movimento Innovatori Europei per una Europa Unita su basi innovatrici e politiche, credo che aiuti a dipanare la confusione che si è venuta a creare per via di tale dialettica “rottamatrice” che non fa bene né a coloro che la predicano né, in generale, alla causa di un “reale rinnovamento” del Paese e alla costruzione di una Europa dei popoli e non delle lobby politiche ed economiche-finanziarie.

Infatti per tale duro e complesso cammino non credo possano essere sufficienti gli entusiasmi dei giovani senza l’apporto determinante di coloro che la politica l’hanno saputa onestamente e responsabilmente fare e la sanno governare nei programmi e nei fatti concreti.

Pertanto nelle Primarie del Partito Democratico e del centro sinistra si affermino le nuove proposte, ma se non sono unite all’esperienza  di Bersani il rischio dello stallo è altissimo.

Alla prossima tornata, nelle Primarie del Centro Destra,  mi auguro si segua lo stesso stile e si dia nuovo impulso alla vita democratica del Paese.

Se condividi il pensiero scrivi CONDIVIDO  e invia a antonio.diomede@tiscali.it

San Cesareo, 23 novembre 2012

                                                                      Antonio Diomede

                           Presidente REA – Radiotelevisioni Europee Associate

I paradossi della guerra sul budget UE

di Francesco Grillo (Il Mattino, 22 Sabato 2012)

Quello che si è consumato tra ieri e l’altro ieri a Bruxelles sul budget per i prossimi sette anni dell’Unione Europea, deve essere stato uno dei vertici più difficili per Mario Monti: da Presidente del Consiglio si trova a dover minacciare il veto per difendere interessi e, soprattutto, ad assumere un approccio al negoziato che, da ex commissario europeo ai mercati e da docente della Bocconi, sarebbe il primo a criticare. E sono i paradossi di dover navigare nelle due crisi – quella europea e quella italiana – che (nonostante i progressi degli ultimi mesi) continuano ad alimentarsi tra di loro creando una miscela esplosiva sempre pronta ad esplodere.

Da capo del governo italiano Mario Monti non può non essere preoccupato per l’erosione della capacità del nostro Paese di contare in Europa. È un deterioramento che è cominciato, ovviamente, molto tempo fa e che continua. Mentre l’Italia nel 2000 presentava nel suo rapporto con l’Unione un bilancio positivo tra i contributi pagati al bilancio comunitario e le somme che lo stesso bilancio allocava al nostro Paese (laddove la Germania pagava per l’esistenza dell’Unione quanto tutti gli altri contributori netti messi assieme), lo scorso anno, secondo i dati della Commissione Europea, siamo riusciti ad essere lo Stato al quale l’Unione Europea è costata di più – se al contributo pagato sottraiamo i finanziamenti allocati al nostro Paese: in proporzione al PIL l’adesione dell’Italia all’Unione è costata nel 2011 lo 0,31% del PIL contro lo 0,24% della Francia, e, comunque, qualche frazione di punto in più rispetto alla Germania che dà le carte e alla Gran Bretagna che ha da sempre il ruolo di chi è costantemente sul punto di far saltare il tavolo e di dover essere convinto a restare.

Le ragioni della perdita di capacità negoziale dell’Italia sono essenzialmente due.

Da una parte la distribuzione del bilancio che è tuttora allocato per il 77% alla politica agricola comune e alle politiche di coesione e i meccanismi attraverso i quali le risorse destinate a questi due programmi vengono distribuiti: in agricoltura l’Italia è penalizzata da un sistema che premia l’estensione dei terreni più che la produzione e, dunque, finisce con il premiare Paesi territorialmente più grandi come la Francia e la Spagna; dall’altra per i fondi strutturali la penalizzazione è arrivata con l’allargamento verso Est e lo spostamento di risorse Paesi più poveri (con la Polonia che è nel 2011 il maggiore beneficiario di finanziamenti comunitari).

Dall’altra, però, l’Italia risulta ancora più indebolita – sul piano finanziario e della credibilità – dalla capacità di usare queste risorse: proprio sui fondi strutturali, laddove ci giochiamo buona parte delle nostre possibilità, i dati della Direzione Generale per le Politiche di Coesione della Commissione Europea, dicono che con una percentuale di spesa inferiore al 30% dopo cinque dei sette anni del periodo di programmazione che sta per finire, siamo al penultimo posto in Europa; per non parlare delle frodi che tanto tengono impegnata la Guardia di Finanza sui finanziamenti agli agricoltori.

In questa situazione, il presidente del consiglio Monti si trova a difendere ciò che a volte appare indifendibile e che, probabilmente, trova egli stesso imbarazzante.

Ed, in effetti, la proposta presentata in un primo momento dal Presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, conteneva alcune innovazioni che lo stesso Monti ha più volte incoraggiato: una riduzione assai significativa del peso delle politiche agricole; un aumento consistente della spesa per la competitività, una riallocazione importante dei fondi strutturali dalla spesa per infrastrutture a quella per la ricerca: il risultato però risultava essere per l’Italia – aggrappata, di fatto, alla sola paradossale speranza che le quattro Regioni del Sud continuino a risultare in “ritardo di sviluppo” – indigesto con una diminuzione del venti per cento di finanziamenti comunitari allocati al nostro Paese ed un ulteriore crescita del contributo netto che forniamo all’Unione.

Ed è per l’opposizione dell’Italia, – unita in questo a quella della Francia che ha inventato alcuni decenni fa che la priorità dell’Europa fosse la difesa dei suoi agricoltori, oltre che a quella dei Paesi che maggiormente beneficiano di fondi strutturali – che l’asticella si sta nuovamente muovendo verso un bilancio più simile a quelli del passato.

Potrebbe essere un riduzione dei danni per l’Italia. Ma una sconfitta per chi – in altre sedi – si augura un cambiamento sostanziale del ruolo dell’Europa rispetto alla crisi devastante che stiamo vivendo.

Del resto è una contraddizione che da una parte si invochi un’Unione addirittura fiscale e dall’altra si litighi sull’entità di un bilancio comunitario che pesa, comunque, l’uno per cento del PIL europeo e quaranta volte meno della somma della spesa pubblica degli Stati nazionali. Che si favoleggi di Stati Uniti d’Europa, e, poi, si accetti, sin dall’inizio, un budget fatto per ricavi e spese per Paese che, di fatto, prescinde da valutazioni sull’efficienza con la quale le risorse sono utilizzate dai singoli membri dell’Unione. Che si continui ad invocare crescita basata sulla conoscenza mentre, in queste ore, si stanno sottraendo – come avverte il rettore dell’Università per gli Stranieri di Perugia, Stefania Giannini – risorse destinate a finanziare un aumento nel numero di studenti europei che studiano all’estero, per difendere gli agricoltori francesi dalla competizione dei Paesi del Nord Africa e la possibilità – assolutamente virtuale – della Regione Campania di spendere soldi che probabilmente continuerà a non riuscire a spendere.

Ci sarebbe bisogno di una strategia. Che renda tutte le amministrazioni europee (inclusa la Commissione) responsabili dei risultati ottenuti con risorse che sono, comunque, scarse. Che stabilisca meccanismi attraverso i quali le risorse si trasferiscano – in maniera automatica e trasparente – tra amministrazioni che mostrano diverse capacità. Un budget più flessibile, meccanismi che incoraggino la crescita attraverso il confronto di chi gestisce spesa pubblica, potrebbe diventare la migliore legittimazione possibile per una integrazione che non cali dall’alto.

Ma per riuscirci occorrerebbe superare la logica del breve periodo e degli interessi nazionali. E diventare leader di un progetto che dia – aldilà della retorica e degli appelli smentiti dalle scelte concrete – sostanza all’idea di un’Europa più forte. Dovrebbe essere la priorità di chi provi a governare l’Italia per più di un anno e che capisca che la nostra crisi è solo la manifestazione più estrema della crisi di un intero continente. Utilizzando l’argomento che siamo in fondo noi, quelli ai quali l’Europa costa di più. Quelli che più hanno interesse ad una forte, profonda innovazione.

Il naturale sbocco istituzionale di Innovatori Europei con Bersani

di Salvatore Viglia (su Politicamentecorretto)

Sono stati anni di lavoro silente ma proficuo.

Innovatori Europei, costantemente impegnato nell’innovazione a tutto tondo dell’intero sistema politico italiano, ha rappresentato, per l’area PD, un grande serbatoio di portatori d’energie e talenti fin dal 2006.

La prova dei fatti, l’assente mira “carrieristica” unita alla professionalità ed onestà intellettuale dei suoi componenti, ha posto di fatto l’intero movimento alla attenzione della dirigenza Bersani.

Non solo e per ultimo la costituzione di numerosi comitati territoriali – di cui due anche all’estero – per le primarie pro Bersani leader, ma per storia ed apporto politico frutto delle menti più libere e qualificate che circolano nel paese.

Innovatori Europei si trova dunque a dover fare un salto di qualità. Gli è stato riconosciuto di essere meritevole di incidere e farsi interprete di una esigenza innovativa per linguaggio e per articolazione progettuale degli intenti che vedranno il paese al cospetto della fase politica dei prossimi difficili anni a venire.

Il processo di riconoscimento ufficiale da parte del PD di una dignità istituzionale di IE è maturato, almeno la sua prima fase, naturalmente senza accelerazioni né forzature.

Era quanto di più auspicabile potesse avvenire in un contesto meritocratico e partecipativo che ha mostrato e mostra chiaramente la sua propedeuticità alla presenza impegnativa da protagonisti.

Con Bersani che vincerà le primarie domenica al primo turno, si aprirà un capitolo decisamente nuovo nel quale IE vedrà riconoscersi altri meriti data la predisposizione favorevole del partito e considerato gli entusiasmi che al proprio interno animano l’intero movimento.

Investimenti esteri, quel gap da colmare

                                                                                                                                                                                                                                                                               di Francesco Grillo (Il Mattino, 20 Novembre 2012)

Sono proprio i viaggi in Medio Oriente, insieme a quelli fatti qualche mese fa in Cina, a chiarire in maniera netta la strategia che il Presidente del Consiglio Mario Monti sta perseguendo: puntare quasi tutto sul proprio prestigio personale; ricostruire l’immagine del Paese con riforme parziali ma che rispondono nei titoli alle richieste delle istituzioni internazionali; investire le proprie capacità negoziali trattando direttamente con i pochissimi detentori di capitali per attrarre la liquidità di cui abbiamo assoluto bisogno. Tuttavia, per un’azione di marketing del Sistema Italia non può bastare Monti e non può essere sufficiente un anno: deve essere stata per questa ragione, per dimostrare quanto sia indispensabile una strategia molto più ampia e a lungo termine, che il presidente del consiglio ha provocatoriamente ricordato alla politica italiana quale potrebbe essere l’effetto dell’incertezza sulla continuazione del percorso appena cominciato.

Un’economia che vuole stare in piedi in un contesto globalizzato deve essere evidentemente capace di attrarre investimenti dall’estero. L’afflusso di capitali porta con sé non solo posti di lavoro, tecnologie, competenze. Ma anche aspettative, domande da soddisfare da parte di clienti esigenti. E competizione di cui le imprese nazionali hanno assoluto bisogno per percepire l’innovazione come necessità assoluta e avere concorrenti da imitare.

Certo attrarre investitori esteri non significa svendere le imprese dalle quali possono maggiormente dipendere la sicurezza nazionale e l’accesso a risorse materiali o a conoscenze indispensabili. E, tuttavia, il consenso degli economisti e il buon senso dicono che quanto più una società è aperta, tanto più essa è forte, abituata a convivere con i rischi che la globalizzazione comporta.

Non è un caso, allora, che l’Italia sia negli ultimi anni quasi scomparsa, soprattutto nei settori più dinamici, dalla mappa delle possibili localizzazioni che le multinazionali considerano quando devono decidere dove insediarsi. Secondo i dati dell’OECD lo stock di investimenti esteri presenti nel nostro Paese è di circa 400 miliardi di dollari: una cifra pari poco più di un terzo dei valori fatti registrare in un Paese come la Francia dove pure si continuano a fare politiche industriali e a difendere campioni nazionali; ma anche decisamente inferiore al volume di investimenti esteri attratti in Spagna che, nonostante una crisi delle finanze pubbliche non meno grave di quella italiana, conta su un’economia strutturalmente più integrata nei circuiti internazionali. Se poi passiamo dal numero sugli stock a quello sui flussi di nuovi insediamenti, il dato diventa ancora peggiore perché ormai la Turchia e l’Irlanda ci hanno stabilmente superato e la Polonia sta per farlo.

C’è poi una differenza – sottile ma sostanziale – tra le diagnosi sulle cause della malattia che facciamo noi stessi da quella che si fa dall’esterno. È molto probabile che gli imprenditori italiani risponderebbero quasi all’unisono che le due ragioni principali della scarsa attrazione sono: l’elevatissima pressione fiscale che ci rende fuori mercato rispetto a concorrenti che, spesso, usano proprio l’arma dell’esenzione per convincere, anzi, molte nostre imprese – soprattutto quelle medie e piccole – a andar via dall’Italia; e il costo del lavoro e, preciserebbe uno come l’amministratore delegato di una grande impresa come la FIAT, la sua rigidità.

Tuttavia, se analizziamo i dati delle organizzazioni internazionali che più autorevolmente misurano il problema, la ragione più profonda dell’uscita progressiva dell’Italia dall’economia globale è l’incertezza. Non tanto quella politica su chi governa il Paese e il suo pur enorme debito pubblico; ma quella assai più diffusa che rende opachi i rapporti tra Stato e imprese, tra Stato e cittadini; e instabili i rapporti tra i cittadini, le imprese stesse. Se è vero che complessivamente per le Nazioni Unite, in Italia è molto più difficile che negli altri Paesi europei “fare impresa”, i parametri di maggiore sofferenza sono in assoluto: la debolezza del sistema giudiziario – e, dunque, la possibilità di far rispettare i contratti – dove l’Italia si colloca al centosessantesimo posto su centoottanta nazioni; e la complessità del sistema fiscale – siamo al centotrentunesimo posto per il numero di giorni impiegati da un imprenditore per stabilire quante tasse pagare che è problema collegato ma distinto da quello altrettanto grave del livello assoluto dell’imposizione fiscale. Efficacia della giustizia e semplicità del fisco: sono, in fin dei conti, tra i misuratori più importanti della qualità di quello che qualcuno chiamerebbe “patto sociale” e che però qualsiasi imprenditore ritiene indispensabile per poter calcolare rischi e possibili ritorni di un qualsiasi investimento.

Conta, poi, tantissimo, la conoscenza, la ricerca ed il sistema educativo: mentre gli Europei continuavano a lamentarsi di concorrenza sleale, centinaia di milioni di asiatici hanno abbandonato la povertà e sono diventati classe media, passando da condizioni di analfabetismo di massa a tassi di scolarizzazione superiori a quelli di un Paese come l’Italia. Ed è questo che rende un Paese, una Regione in grado non solo di attrarre investimenti dall’estero ma di selezionare quelli di maggiore qualità e di estrarne conoscenza per radicarla sul proprio territorio.

Sono investitori un po’ particolari quelli che Monti sta provando a convincere. Certo hanno a disposizione ricchezze favolose e (quasi) completamente libere: basterebbe anche solo il fondo sovrano di Abu Dhabi per comprare – due volte – tutte le società italiane quotate in Borsa. E, tuttavia, stiamo parlando appunto di fondi sovrani, di soggetti che, almeno, sulla carta sono portatori di una sensibilità diversa da quella di imprenditori che decidessero di venire nel nostro Paese per investirvi il proprio lavoro. Di sicuro possono risolvere problemi di breve periodo come quello di Fincantieri ed essere utili anche nel lungo: tuttavia, come Monti sa benissimo, un fondo sovrano – lo stesso ragionamento si applica alla Cina – riflette, in quanto tale, anche strategie politiche dalle quali non possiamo dipendere.

Più in generale, però, se vogliamo che l’Italia rientri in circuiti che non sono solo finanziari, ma di flussi di tecnologie e competenze, il lavoro che Monti ha cominciato deve continuare e diventare più ampio e profondo. Con la consapevolezza che, paradossalmente, più di una lunga guerra di posizione sull’articolo diciotto, potrebbe valere un ridisegno dell’attività dei tribunali che accorci i tempi della giustizia, un ripensamento del fisco che renda il rapporto con lo Stato più certo, uno spostamento di risorse dalle pensioni all’università: cambiamenti che richiedono tempi molto più lunghi e un investimento politico molto maggiore di quello che era alla portata di un governo tecnico.

 

La carta usurata delle liste civiche

di Fondazione Etica

La rincorsa a creare liste civiche per le prossime politiche e regionali è diventata stucchevole. Chi vuole candidarsi lo fa innanzitutto prendendo le distanze dai partiti, come se questo bastasse a migliorare la politica italiana. C’è, anzi, uno sorta di compiacimento nel sottolineare che l’obiettivo non sarà, giammai, dare vita a un partito. Salvo poi scoprire che, dopo i manifesti roboanti e le convention affollate, anche i puri delle liste qualche accordo con i partiti dovranno pur farlo, magari senza ammetterlo. I partiti hanno le strutture, i partiti hanno l’esperienza, e neppure la migliore delle liste civiche – neppure la più ricca – può improvvisarsi all’altezza della gara elettorale, fatta anche di regole e procedure, talora noiose ma pur sempre democratiche.
Certo, i partiti hanno fatto di tutto per meritare lo screditamento generale, ma smettiamo di credere che tutto ciò che ne è fuori sia migliore per definizione.
L’esperienza, del resto, l’abbiamo già fatta: con Forza Italia, da un lato, e con la costituente del Partito Democratico, dall’altro. In entrambi i casi la cosiddetta società civile è stata usata, coinvolta solo per far massa e poi dimenticata sino alla scadenza elettorale successiva.
L’assonanza con quanto accade oggi è evidente, ad esempio, nella prova muscolare in corso tra i vari movimenti che viene giocata a suon di convention affollate, in una gara maldestra a chi riesce a esibire più pubblico. In parallelo, un’altra gara, ancora più misera: quella a chi riesce a collezionare più figurine, tra quelle più ambite, per il proprio album. Ecco allora sfilare sul palco un parterre scontato, che va dalla scrittore al manager, dall’artista all’imprenditore. Un film già visto. Già visti anche gli effetti.
Se questa è la strada che dovrebbe salvare il sistema politico italiano, si capisce perché in tanti, cattolici ed ex-moderati in primis, preferiscano votare per un comico.

Primarie, già che ci siamo Beppe Grillo, pur, sia chiaro, non voler rottamare nulla

di Salvatore Viglia

La nomenclatura e gli stalloni fuoriclasse ostinati a imperversare nell’area PD non servono neanche a decifrare momenti politici che storicamente potrebbero segnare delle svolte epocali. Pur, sia chiaro, non voler (ancora) rottamare nulla. Buon per Beppe Grillo vedersi respingere la propria candidatura alle primarie del PD perché ritenuto appestato e sovversivo nella migliore delle ipotesi, nella peggiore perché lo statuto non lo avrebbe consentito (sic!) perché non iscritto, non militante. Quel rifiuto, come tutti gli altri rifiuti compreso le epurazioni televisive fanno di lui la sua stessa forza dirompente. Eppure quell’afflato, quell’impulso di Grillo significava una cosa in maniera inequivocabile, che l’area nella quale si sentiva di stazionare era quella del PD. Tutto ciò premesso, come dicono nei tribunali, dichiariamo il nostro sgomento anche per l’incapacità di questi “genitori” sciagurati e negligenti che circolano in pantofole per casa. Pur, sia chiaro, non voler (ancora) rottamare nulla. Lasciamo stare. Lasciò stare Grillo che stigmatizzò giustamente con un velo pietosissimo l’atteggiamento irresponsabile e negletto dei niet incassati e si precipitò dove oggi si trova a pieno titolo. La mancanza di democrazia che gli viene contestata è una idiozia pseudo-ideologica, un infantilismo pre-politico inconsistente. Si sa che in una fase di start up tanto importante e dirompente come quella del M5S con un paese marcio come questo, l’unica cosa da evitare accuratamente era proprio questa democrazia con la quale ci si riempie solo la bocca. Purtroppo per i detrattori il tempo sta forgiando il ferro caldo del M5S come il martello fa sul metallo incandescente ed i minuetti stucchevoli di chi si parla sul petto agevolano il processo che è divenuto inarrestabile. Staremo a vedere come continueranno nell’analisi i nostri “adulti insostituibili” quando a quel processo democratico, una volta in Parlamento, Grillo darà il via libera. Allora avremmo dovuto, era necessario, coscienzioso, indispensabile, sostituire i colpevoli in tempo prima che continuassero a far danno.

Comitato Innovatori Europei Lucani per Bersani

 
Oggi si è costituito il Comitato Innovatori Europei Lucani per Bersani.

Solo la buona politica, intorno a Bersani, può dare credibilità e futuro al nostro Paese in Europa.

Il tema sul quale vogliamo contribuire è:

La Basilicata come modello di rinnovamento culturale, socio-economico e politico dell’area euro- mediterranea. Valorizzazione e rilancio in ottica europea del territorio partendo dal coinvolgimento delle istituzioni locali e da una strategia basata sullo sviluppo sostenibile”.

  • Il Sud dell’Italia vive una crisi nella crisi ed ha bisogno di nuovi stimoli ed idee per uscire da questa situazione cosí complessa. Il nostro Paese, alla fine di questa crisi, non sará più come lo conoscevamo. Questo è il migliore momento per dare un segnale forte e per investire sul futuro di tutto il Meridione, in particolare della Basilicata, terra ricca di risorse che puó fare un salto qualitativo e quantitativo molto importante sia a livello economico che sociale. Questo è il primo e fondamentale aspetto sul quale lavorare: perchè i luoghi (e le persone) che sapranno rinnovarsi ed investire correttamente oggi usciranno da questa crisi molto piú forti.

  • La politica italiana è in uno stato confusionale ed è molto distaccata dalla società. Il nostro compito è quello di promuovere un progetto politico innovativo, coerente, trasparente, che faccia delle persone il motore d’azione. In questo senso le Amministrazioni locali, provinciali e regionali dovranno modificare il loro modus operandi in modo da aprire un dialogo con i cittadini affinchè si possa crescere insieme sotto ogni punto di vista.

  • Le Istituzioni Europee dovranno essere parti integranti di questi progetti. Le differenti identitá dovranno essere un motivo di unione e di forza non di disgregazione, in quanto le differenze culturali ci arricchiscono e ci rendono capaci di capire, rispettare e sostenere meglio i problemi.

  • La crisi climatica è tale da non poter pensare di sviluppare una nuova linea economica che non sia basata sullo sviluppo sostenibile e nel rispetto dell’ambiente. Le nuove tecnologie, le energie rinnovabili, le infrastrutture sostenibili devono essere al centro dei progetti di rilancio economico dei territori.

Su questi temi il Comitato IE Lucani per Bersani discuterá e si confronterá per poter trovare risposte e progetti sul COSA e COME farlo, presentando le proprie idee alla classe politica affinché essa ci renda partecipi di questo cambiamento in maniera democratica ed attiva.

Il Comitato è aperto a tutti coloro che vogliono agire per una profonda innovazione della politica.

I coordinatori del Comitato:

Paolo Salerno, Nicola Pace, Massimo Preziuso

Potenza, 9 novembre 2012

Candidiamo Giuseppina Bonaviri al Consiglio Regionale del Lazio

COMUNICATO STAMPA

La Rete Indipendente “ Nuove idee per i territori”, i “Comitati cittadini spontanei” La Fenice per l’Italia che sono presenti nel 50% dei Comuni ciociari e in altri Comuni delle altre 4 provincie del Lazio, gli “Innovatori Europei”, “ Gli Intellettuali del Lazio”, propongono la candidatura per le prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Prof.ssa Giuseppina Bonaviri ritenendola donna di elevata cultura e da sempre al servizio della comunità e delle collettività per la soluzione dei problemi , per la trasparenza, la legalità, l’ambiente, la sanità, il bene comune ma quello che più conta di essere una intellettuale libera, indipendente senza scheletri nell’armadio.

In un momento storico particolare in cui gli elettori traditi sentono il bisogno di un vero ricambio con persone pulite, di valore e chiedono facce diverse dai soliti noti che hanno solo pensato a lucrare con i soldi pubblici e a far danni, in un momento in cui le donne chiedono di poter essere ben rappresentate la Prof.ssa Bonaviri risulta la candidatura più funzionale per portare avanti le istante del popolo ciociaro in ambito regionale.

Questo Appello aperto viene rivolto ai cittadini, alle associazioni, alle organizzazioni sindacali, ai politici perché riflettano in considerazione di quegli elettori che chiedono personalità innovative su cui indirizzare le loro attenzioni nell’espressione del voto e perchè non contrastino questa candidatura alternativa solida che nasce dal basso.

Nuove Idee nei territori ( Mariano Zomparelli)

Comitati cittadini spontanei ( Bruno Frioni)

Innovatori Europei ( Massimo Preziuso)

Gli Intellettuali regione Lazio ( Fulvio Bongiorno)

 

11 novembre 2012

 

La militanza nei partiti, qui casca l’asino di Peppino Grillo, ma anche quello di Bersani

Di Salvatore Viglia

 Ma come? Il male assoluto, l’errore degli errori, il bolscevico orientamento fideistico introdotto nei partiti ha contaminato proprio Grillo il re, no anzi, l’imperatore del cambiamento? La militanza è stata  ed è l’impedimento principe al progressismo programmatico di tutto il secolo. Stazionare nei partiti è un atto di fede? Ma vogliamo continuare ancora a scherzare? E poi, caro Grillo, ma ci viene di dire caro Bersani, caro Casini, cari voi, con tutto l’affetto e la condivisione di questo mondo, tu fai cascare proprio l’asino più importante. Per fede non siamo più disposti neanche a credere in Dio immaginiamo negli uomini. La preclusione alla meritocrazia, la saracinesca blindata all’accesso ai migliori è proprio la militanza. A ben vedere, la disarmante posizione di quanti ancora si scorticano la lingua nel proclamare le “quote rosa”, oppure meglio ancora “ le pari opportunità, si sono formati con i dictat imposti dalla militanza. Questi concetti prescindono dai più elementari e consigliabili criteri di cooptazione dei migliori. Ma che pizza significa introdurre nelle istituzioni per legge una percentuale di donne? E se non ne troviamo di adatte per capacità e competenza per un determinato incarico istituzionale? Che facciamo, le prendiamo lo stesso così sembreremo meno misogini? Predicare i principi di meritocrazia significa porre in essere un sistema obiettivo di scelta senza riserve mentali né partitiche né tantomeno di genere. Significa mettere in condizione i responsabili di trovarsi naturalmente a scegliere un parlamento composto di sole donne, per esempio, perché bacino migliore. Il principio meritocratico per eccellenza prescinde, come è stato sempre ovvio, dalla militanza nei partiti, anzi quest’ultima  è motivo di preclusione gravissimo. Che brutto termine: militanza! L’accostamento in “tuta mimetica e zainetto tattico” a questo tipo di ”affezione” ai partiti sintetizza una mancanza di partecipazione attiva di base, un codice intriso di “signorsì”, di annullamenti delle personalità a tutto tondo. Che proprio il nostro buon Peppino proponga in via serrata una militanza totale ai suoi adepti, non ce lo saremmo mai aspettato. Anche lui introduce il concetto fideistico e bolscevico dell’appartenenza: uno per tutti,  tutti per uno ed il Giuda al cappio.

 

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