Significativamente Oltre

migliavacca

Investimenti esteri, quel gap da colmare

                                                                                                                                                                                                                                                                               di Francesco Grillo (Il Mattino, 20 Novembre 2012)

Sono proprio i viaggi in Medio Oriente, insieme a quelli fatti qualche mese fa in Cina, a chiarire in maniera netta la strategia che il Presidente del Consiglio Mario Monti sta perseguendo: puntare quasi tutto sul proprio prestigio personale; ricostruire l’immagine del Paese con riforme parziali ma che rispondono nei titoli alle richieste delle istituzioni internazionali; investire le proprie capacità negoziali trattando direttamente con i pochissimi detentori di capitali per attrarre la liquidità di cui abbiamo assoluto bisogno. Tuttavia, per un’azione di marketing del Sistema Italia non può bastare Monti e non può essere sufficiente un anno: deve essere stata per questa ragione, per dimostrare quanto sia indispensabile una strategia molto più ampia e a lungo termine, che il presidente del consiglio ha provocatoriamente ricordato alla politica italiana quale potrebbe essere l’effetto dell’incertezza sulla continuazione del percorso appena cominciato.

Un’economia che vuole stare in piedi in un contesto globalizzato deve essere evidentemente capace di attrarre investimenti dall’estero. L’afflusso di capitali porta con sé non solo posti di lavoro, tecnologie, competenze. Ma anche aspettative, domande da soddisfare da parte di clienti esigenti. E competizione di cui le imprese nazionali hanno assoluto bisogno per percepire l’innovazione come necessità assoluta e avere concorrenti da imitare.

Certo attrarre investitori esteri non significa svendere le imprese dalle quali possono maggiormente dipendere la sicurezza nazionale e l’accesso a risorse materiali o a conoscenze indispensabili. E, tuttavia, il consenso degli economisti e il buon senso dicono che quanto più una società è aperta, tanto più essa è forte, abituata a convivere con i rischi che la globalizzazione comporta.

Non è un caso, allora, che l’Italia sia negli ultimi anni quasi scomparsa, soprattutto nei settori più dinamici, dalla mappa delle possibili localizzazioni che le multinazionali considerano quando devono decidere dove insediarsi. Secondo i dati dell’OECD lo stock di investimenti esteri presenti nel nostro Paese è di circa 400 miliardi di dollari: una cifra pari poco più di un terzo dei valori fatti registrare in un Paese come la Francia dove pure si continuano a fare politiche industriali e a difendere campioni nazionali; ma anche decisamente inferiore al volume di investimenti esteri attratti in Spagna che, nonostante una crisi delle finanze pubbliche non meno grave di quella italiana, conta su un’economia strutturalmente più integrata nei circuiti internazionali. Se poi passiamo dal numero sugli stock a quello sui flussi di nuovi insediamenti, il dato diventa ancora peggiore perché ormai la Turchia e l’Irlanda ci hanno stabilmente superato e la Polonia sta per farlo.

C’è poi una differenza – sottile ma sostanziale – tra le diagnosi sulle cause della malattia che facciamo noi stessi da quella che si fa dall’esterno. È molto probabile che gli imprenditori italiani risponderebbero quasi all’unisono che le due ragioni principali della scarsa attrazione sono: l’elevatissima pressione fiscale che ci rende fuori mercato rispetto a concorrenti che, spesso, usano proprio l’arma dell’esenzione per convincere, anzi, molte nostre imprese – soprattutto quelle medie e piccole – a andar via dall’Italia; e il costo del lavoro e, preciserebbe uno come l’amministratore delegato di una grande impresa come la FIAT, la sua rigidità.

Tuttavia, se analizziamo i dati delle organizzazioni internazionali che più autorevolmente misurano il problema, la ragione più profonda dell’uscita progressiva dell’Italia dall’economia globale è l’incertezza. Non tanto quella politica su chi governa il Paese e il suo pur enorme debito pubblico; ma quella assai più diffusa che rende opachi i rapporti tra Stato e imprese, tra Stato e cittadini; e instabili i rapporti tra i cittadini, le imprese stesse. Se è vero che complessivamente per le Nazioni Unite, in Italia è molto più difficile che negli altri Paesi europei “fare impresa”, i parametri di maggiore sofferenza sono in assoluto: la debolezza del sistema giudiziario – e, dunque, la possibilità di far rispettare i contratti – dove l’Italia si colloca al centosessantesimo posto su centoottanta nazioni; e la complessità del sistema fiscale – siamo al centotrentunesimo posto per il numero di giorni impiegati da un imprenditore per stabilire quante tasse pagare che è problema collegato ma distinto da quello altrettanto grave del livello assoluto dell’imposizione fiscale. Efficacia della giustizia e semplicità del fisco: sono, in fin dei conti, tra i misuratori più importanti della qualità di quello che qualcuno chiamerebbe “patto sociale” e che però qualsiasi imprenditore ritiene indispensabile per poter calcolare rischi e possibili ritorni di un qualsiasi investimento.

Conta, poi, tantissimo, la conoscenza, la ricerca ed il sistema educativo: mentre gli Europei continuavano a lamentarsi di concorrenza sleale, centinaia di milioni di asiatici hanno abbandonato la povertà e sono diventati classe media, passando da condizioni di analfabetismo di massa a tassi di scolarizzazione superiori a quelli di un Paese come l’Italia. Ed è questo che rende un Paese, una Regione in grado non solo di attrarre investimenti dall’estero ma di selezionare quelli di maggiore qualità e di estrarne conoscenza per radicarla sul proprio territorio.

Sono investitori un po’ particolari quelli che Monti sta provando a convincere. Certo hanno a disposizione ricchezze favolose e (quasi) completamente libere: basterebbe anche solo il fondo sovrano di Abu Dhabi per comprare – due volte – tutte le società italiane quotate in Borsa. E, tuttavia, stiamo parlando appunto di fondi sovrani, di soggetti che, almeno, sulla carta sono portatori di una sensibilità diversa da quella di imprenditori che decidessero di venire nel nostro Paese per investirvi il proprio lavoro. Di sicuro possono risolvere problemi di breve periodo come quello di Fincantieri ed essere utili anche nel lungo: tuttavia, come Monti sa benissimo, un fondo sovrano – lo stesso ragionamento si applica alla Cina – riflette, in quanto tale, anche strategie politiche dalle quali non possiamo dipendere.

Più in generale, però, se vogliamo che l’Italia rientri in circuiti che non sono solo finanziari, ma di flussi di tecnologie e competenze, il lavoro che Monti ha cominciato deve continuare e diventare più ampio e profondo. Con la consapevolezza che, paradossalmente, più di una lunga guerra di posizione sull’articolo diciotto, potrebbe valere un ridisegno dell’attività dei tribunali che accorci i tempi della giustizia, un ripensamento del fisco che renda il rapporto con lo Stato più certo, uno spostamento di risorse dalle pensioni all’università: cambiamenti che richiedono tempi molto più lunghi e un investimento politico molto maggiore di quello che era alla portata di un governo tecnico.

 

La carta usurata delle liste civiche

di Fondazione Etica

La rincorsa a creare liste civiche per le prossime politiche e regionali è diventata stucchevole. Chi vuole candidarsi lo fa innanzitutto prendendo le distanze dai partiti, come se questo bastasse a migliorare la politica italiana. C’è, anzi, uno sorta di compiacimento nel sottolineare che l’obiettivo non sarà, giammai, dare vita a un partito. Salvo poi scoprire che, dopo i manifesti roboanti e le convention affollate, anche i puri delle liste qualche accordo con i partiti dovranno pur farlo, magari senza ammetterlo. I partiti hanno le strutture, i partiti hanno l’esperienza, e neppure la migliore delle liste civiche – neppure la più ricca – può improvvisarsi all’altezza della gara elettorale, fatta anche di regole e procedure, talora noiose ma pur sempre democratiche.
Certo, i partiti hanno fatto di tutto per meritare lo screditamento generale, ma smettiamo di credere che tutto ciò che ne è fuori sia migliore per definizione.
L’esperienza, del resto, l’abbiamo già fatta: con Forza Italia, da un lato, e con la costituente del Partito Democratico, dall’altro. In entrambi i casi la cosiddetta società civile è stata usata, coinvolta solo per far massa e poi dimenticata sino alla scadenza elettorale successiva.
L’assonanza con quanto accade oggi è evidente, ad esempio, nella prova muscolare in corso tra i vari movimenti che viene giocata a suon di convention affollate, in una gara maldestra a chi riesce a esibire più pubblico. In parallelo, un’altra gara, ancora più misera: quella a chi riesce a collezionare più figurine, tra quelle più ambite, per il proprio album. Ecco allora sfilare sul palco un parterre scontato, che va dalla scrittore al manager, dall’artista all’imprenditore. Un film già visto. Già visti anche gli effetti.
Se questa è la strada che dovrebbe salvare il sistema politico italiano, si capisce perché in tanti, cattolici ed ex-moderati in primis, preferiscano votare per un comico.

Primarie, già che ci siamo Beppe Grillo, pur, sia chiaro, non voler rottamare nulla

di Salvatore Viglia

La nomenclatura e gli stalloni fuoriclasse ostinati a imperversare nell’area PD non servono neanche a decifrare momenti politici che storicamente potrebbero segnare delle svolte epocali. Pur, sia chiaro, non voler (ancora) rottamare nulla. Buon per Beppe Grillo vedersi respingere la propria candidatura alle primarie del PD perché ritenuto appestato e sovversivo nella migliore delle ipotesi, nella peggiore perché lo statuto non lo avrebbe consentito (sic!) perché non iscritto, non militante. Quel rifiuto, come tutti gli altri rifiuti compreso le epurazioni televisive fanno di lui la sua stessa forza dirompente. Eppure quell’afflato, quell’impulso di Grillo significava una cosa in maniera inequivocabile, che l’area nella quale si sentiva di stazionare era quella del PD. Tutto ciò premesso, come dicono nei tribunali, dichiariamo il nostro sgomento anche per l’incapacità di questi “genitori” sciagurati e negligenti che circolano in pantofole per casa. Pur, sia chiaro, non voler (ancora) rottamare nulla. Lasciamo stare. Lasciò stare Grillo che stigmatizzò giustamente con un velo pietosissimo l’atteggiamento irresponsabile e negletto dei niet incassati e si precipitò dove oggi si trova a pieno titolo. La mancanza di democrazia che gli viene contestata è una idiozia pseudo-ideologica, un infantilismo pre-politico inconsistente. Si sa che in una fase di start up tanto importante e dirompente come quella del M5S con un paese marcio come questo, l’unica cosa da evitare accuratamente era proprio questa democrazia con la quale ci si riempie solo la bocca. Purtroppo per i detrattori il tempo sta forgiando il ferro caldo del M5S come il martello fa sul metallo incandescente ed i minuetti stucchevoli di chi si parla sul petto agevolano il processo che è divenuto inarrestabile. Staremo a vedere come continueranno nell’analisi i nostri “adulti insostituibili” quando a quel processo democratico, una volta in Parlamento, Grillo darà il via libera. Allora avremmo dovuto, era necessario, coscienzioso, indispensabile, sostituire i colpevoli in tempo prima che continuassero a far danno.

Comitato Innovatori Europei Lucani per Bersani

 
Oggi si è costituito il Comitato Innovatori Europei Lucani per Bersani.

Solo la buona politica, intorno a Bersani, può dare credibilità e futuro al nostro Paese in Europa.

Il tema sul quale vogliamo contribuire è:

La Basilicata come modello di rinnovamento culturale, socio-economico e politico dell’area euro- mediterranea. Valorizzazione e rilancio in ottica europea del territorio partendo dal coinvolgimento delle istituzioni locali e da una strategia basata sullo sviluppo sostenibile”.

  • Il Sud dell’Italia vive una crisi nella crisi ed ha bisogno di nuovi stimoli ed idee per uscire da questa situazione cosí complessa. Il nostro Paese, alla fine di questa crisi, non sará più come lo conoscevamo. Questo è il migliore momento per dare un segnale forte e per investire sul futuro di tutto il Meridione, in particolare della Basilicata, terra ricca di risorse che puó fare un salto qualitativo e quantitativo molto importante sia a livello economico che sociale. Questo è il primo e fondamentale aspetto sul quale lavorare: perchè i luoghi (e le persone) che sapranno rinnovarsi ed investire correttamente oggi usciranno da questa crisi molto piú forti.

  • La politica italiana è in uno stato confusionale ed è molto distaccata dalla società. Il nostro compito è quello di promuovere un progetto politico innovativo, coerente, trasparente, che faccia delle persone il motore d’azione. In questo senso le Amministrazioni locali, provinciali e regionali dovranno modificare il loro modus operandi in modo da aprire un dialogo con i cittadini affinchè si possa crescere insieme sotto ogni punto di vista.

  • Le Istituzioni Europee dovranno essere parti integranti di questi progetti. Le differenti identitá dovranno essere un motivo di unione e di forza non di disgregazione, in quanto le differenze culturali ci arricchiscono e ci rendono capaci di capire, rispettare e sostenere meglio i problemi.

  • La crisi climatica è tale da non poter pensare di sviluppare una nuova linea economica che non sia basata sullo sviluppo sostenibile e nel rispetto dell’ambiente. Le nuove tecnologie, le energie rinnovabili, le infrastrutture sostenibili devono essere al centro dei progetti di rilancio economico dei territori.

Su questi temi il Comitato IE Lucani per Bersani discuterá e si confronterá per poter trovare risposte e progetti sul COSA e COME farlo, presentando le proprie idee alla classe politica affinché essa ci renda partecipi di questo cambiamento in maniera democratica ed attiva.

Il Comitato è aperto a tutti coloro che vogliono agire per una profonda innovazione della politica.

I coordinatori del Comitato:

Paolo Salerno, Nicola Pace, Massimo Preziuso

Potenza, 9 novembre 2012

Candidiamo Giuseppina Bonaviri al Consiglio Regionale del Lazio

COMUNICATO STAMPA

La Rete Indipendente “ Nuove idee per i territori”, i “Comitati cittadini spontanei” La Fenice per l’Italia che sono presenti nel 50% dei Comuni ciociari e in altri Comuni delle altre 4 provincie del Lazio, gli “Innovatori Europei”, “ Gli Intellettuali del Lazio”, propongono la candidatura per le prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Prof.ssa Giuseppina Bonaviri ritenendola donna di elevata cultura e da sempre al servizio della comunità e delle collettività per la soluzione dei problemi , per la trasparenza, la legalità, l’ambiente, la sanità, il bene comune ma quello che più conta di essere una intellettuale libera, indipendente senza scheletri nell’armadio.

In un momento storico particolare in cui gli elettori traditi sentono il bisogno di un vero ricambio con persone pulite, di valore e chiedono facce diverse dai soliti noti che hanno solo pensato a lucrare con i soldi pubblici e a far danni, in un momento in cui le donne chiedono di poter essere ben rappresentate la Prof.ssa Bonaviri risulta la candidatura più funzionale per portare avanti le istante del popolo ciociaro in ambito regionale.

Questo Appello aperto viene rivolto ai cittadini, alle associazioni, alle organizzazioni sindacali, ai politici perché riflettano in considerazione di quegli elettori che chiedono personalità innovative su cui indirizzare le loro attenzioni nell’espressione del voto e perchè non contrastino questa candidatura alternativa solida che nasce dal basso.

Nuove Idee nei territori ( Mariano Zomparelli)

Comitati cittadini spontanei ( Bruno Frioni)

Innovatori Europei ( Massimo Preziuso)

Gli Intellettuali regione Lazio ( Fulvio Bongiorno)

 

11 novembre 2012

 

La militanza nei partiti, qui casca l’asino di Peppino Grillo, ma anche quello di Bersani

Di Salvatore Viglia

 Ma come? Il male assoluto, l’errore degli errori, il bolscevico orientamento fideistico introdotto nei partiti ha contaminato proprio Grillo il re, no anzi, l’imperatore del cambiamento? La militanza è stata  ed è l’impedimento principe al progressismo programmatico di tutto il secolo. Stazionare nei partiti è un atto di fede? Ma vogliamo continuare ancora a scherzare? E poi, caro Grillo, ma ci viene di dire caro Bersani, caro Casini, cari voi, con tutto l’affetto e la condivisione di questo mondo, tu fai cascare proprio l’asino più importante. Per fede non siamo più disposti neanche a credere in Dio immaginiamo negli uomini. La preclusione alla meritocrazia, la saracinesca blindata all’accesso ai migliori è proprio la militanza. A ben vedere, la disarmante posizione di quanti ancora si scorticano la lingua nel proclamare le “quote rosa”, oppure meglio ancora “ le pari opportunità, si sono formati con i dictat imposti dalla militanza. Questi concetti prescindono dai più elementari e consigliabili criteri di cooptazione dei migliori. Ma che pizza significa introdurre nelle istituzioni per legge una percentuale di donne? E se non ne troviamo di adatte per capacità e competenza per un determinato incarico istituzionale? Che facciamo, le prendiamo lo stesso così sembreremo meno misogini? Predicare i principi di meritocrazia significa porre in essere un sistema obiettivo di scelta senza riserve mentali né partitiche né tantomeno di genere. Significa mettere in condizione i responsabili di trovarsi naturalmente a scegliere un parlamento composto di sole donne, per esempio, perché bacino migliore. Il principio meritocratico per eccellenza prescinde, come è stato sempre ovvio, dalla militanza nei partiti, anzi quest’ultima  è motivo di preclusione gravissimo. Che brutto termine: militanza! L’accostamento in “tuta mimetica e zainetto tattico” a questo tipo di ”affezione” ai partiti sintetizza una mancanza di partecipazione attiva di base, un codice intriso di “signorsì”, di annullamenti delle personalità a tutto tondo. Che proprio il nostro buon Peppino proponga in via serrata una militanza totale ai suoi adepti, non ce lo saremmo mai aspettato. Anche lui introduce il concetto fideistico e bolscevico dell’appartenenza: uno per tutti,  tutti per uno ed il Giuda al cappio.

 

Primarie a destra, primarie a sinistra ed intanto Grillo costruisce un muro alto mille metri

 di Salvatore Viglia

Non possiamo chiudere i rubinetti della critica. Non dobbiamo distrarci nella questione delle primarie come se fosse la novità delle novità. Non è più così. Forse, fare le primarie oggi è addirittura anacronistico, disarmante e poco conveniente. Fare le primarie non cambia nulla specie in questa fase politica assai critica. A sinistra Renzi e Bersani, a destra Berlusconi ed Alfano. Tutti i media si occupano a tempo pieno di queste questioni, tutti i partiti e quanto resta di loro ne parlano. Intanto Beppe Grillo lavora nel silenzio e nell’autonomia più completa ignorato e snobbato scandalosamente. Errore politico gravissimo Si rischia di fare delle primarie inutili che non cambieranno sostanzialmente nulla anche se vincessero gli outsider accorgendoci di aver lasciato il campo fertile al movimento cinque stelle. Non c’è nulla da fare. Alle posizioni del dissenso Grilliano, si contrappongono questioni vecchie, inutili, per nulla innovative che non propongono futuro a breve termine. La necessità di aprire a Grillo è una opportunità politica che non si può disconoscere bollandola come fenomeno da baraccone. La politica, per essere efficace ed efficiente, deve entrare nel merito di fenomenologie che, fondamentalmente descrivono il progressismo in qualunque veste esso si manifesti. Un “Grillo” a sinistra, oggi farebbe da collante ad una coalizione PD-M5S in grado di ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento. L’area democratica se si pone come disposta a confrontarsi e ad ammettere di discutere del nuovo non smentisce sé stessa, altrimenti il muro che sta costruendo il dissenso del movimento cinque stelle diverrà insormontabile.

L’importanza di non trascurare alcuni argomenti politici

di Rainero Schembri

Forse mai come in questo momento il dibattito politico in Italia sta ribollendo in una pentola sempre più surriscaldata. Purtroppo, in quasi tutti i talk-show i gli argomenti sono quasi sempre gli stessi: il disavanzo pubblico, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle province, la disoccupazione giovanile, gli sprechi della politica, la riforma elettorale. la casta, l’antipolitica, ecc. Intendiamoci, sono tutti argomenti importantissimi e di grande impatto sociale. Però ci sono anche altre questioni di cui si parla molto poco ma che hanno ugualmente una grande rilevanza. Ecco qualche esempio:

Politica sociale. Vogliamo finalmente introdurre in Italia un sussidio minimo per tutti i cittadini che non hanno alcuna fonte di reddito?  Insieme a Grecia, Spagna e Bulgaria siamo l’unico Paese in Europa a non prevedere quest’istituto. Eppure nel 2011 l’Italia si è ritrovata con più di 8 milioni di poveri, i quali rappresentano quasi il 14% dell’intera popolazione e l’11% delle famiglie. Quasi 3 milioni di famiglie, composte da due persone, è al di sotto della soglia di povertà (pari a 1.011,03 euro mensili). Le famiglie a rischio povertà sono il 7,6% mentre al Sud la situazione si aggrava visto che una famiglia su quattro è considerata povera. Se decidessimo di erogare 600 euro mensili per garantire a tutti un reddito di base pari a 7.200 euro all’anno, la collettività dovrebbe sopportare un costo annuo di quasi 18 miliardi di euro. Considerando che il costo attuale del welfare è di 15,5 miliardi di euro annui, il costo extra da sopportare si aggirerebbe intorno ai 5 miliardi di euro annui: una cifra considerevole ma non impossibile da raggiungere. Basterebbe una piccola patrimoniale per i redditi superiori al milione e 200 mila euro.

Immigrazione. Vogliamo affrontare in maniera seria la questione della concessione della nazionalità agli immigrati? Lo sta affrontando Obama che ha vinto le elezioni grazie anche alla nuova politica verso i latinos. E noi? Non dimentichiamo che l’antica Roma è diventata grande inglobando tutti i cittadini delle provincie occupate.

Italiani all’estero. Sono milioni che non hanno ancora trovato un’adeguata rappresentanza. Siamo tra i pochi Paesi che non prevedono il voto elettronico o almeno il voto per posta. L’attuale legge sul voto all’estero si è rivelata una vera burla. Eppure questi italiani rappresentano una risorsa enorme anche per la nostra economia.

Politica estera. Vogliamo orientare maggiormente la nostra politica estera verso i Paesi che in passato hanno aperto le porte all’immigrazione italiana. Penso, ad esempio, all’America Latina che in questo momento sta registrando uno sviluppo senza precedenti. Un piccolo esempio: a differenza dei francesi, spagnoli, inglesi e tedeschi non abbiamo una sola banca (se escludiamo un paio di uffici di rappresentanza) in tutta l’America del Sud. Inoltre, siamo agli ultimi posti per quanto riguarda i collegamenti aerei diretti, e questo in un momento in cui il turismo sud americano in Europa sta crescendo notevolmente.

Europa. Tutti ora parlano degli Stati Uniti d’Europa. Vogliamo compiere un primo passo nel prevedere l’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo?

Vogliamo premere affinché venga finalmente approvato l’accordo UE Mercosur che offrirebbe all’Italia enormi possibilità, ad esempio nel settore agro industriale?

Come ci poniamo di fronte alla recente nascita dell’UNASUR, il grande mercato dell’America del Sud?

Vogliamo creare delle corsie preferenziali per gli scambi di studenti italiani e quelli dei Paesi storicamente vicini all’Italia?

ONU. Dopo che l’Italia è riuscita negli anni passati ad evitare la riforma del Consiglio di Sicurezza ora siamo completamente assenti su questo fronte. Nel frattempo alle porte dell’ONU stanno premendo Paesi come l’India, il Brasile, il Sud Africa e altri. Se, in questo momento non appare realistico proporre una semplice candidatura dell’Italia come membro permanente dell’ONU, potremmo invece collocarci alla testa di un movimento che proponesse la creazione di un nuovo seggio per l’Europa. In questo contesto, grazie all’importanza ancora rivestita dal nostro Paese e al fatto che due seggi sono comunque occupati da Francia e Inghilterra, potremmo  aspirare nell’ambito di una rotazione biennale di occupare spesso un posto nel Consiglio di Sicurezza. Ciò accrescerebbe notevolmente il ruolo dell’Italia.

Ma poi ci sono tante altre idee. Pensiamo, ad esempio, a tutte le possibilità offerte dalla conservazione e dal restauro dei beni culturali (settore in cui primeggiamo nel mondo). Solo l’India, che sta varando grandi progetti di restauro dei parchi archeologici, potrebbe dare tanto lavoro alle aziende italiane.

Infine, sul piano Istituzionale, potrebbe risultare suggestiva la proposta di avanzare alla prossima elezione per la Presidenza della Repubblica una candidatura di alto prestigio esterna al mondo politico.

Indipendentemente, comunque, dalla validità delle singole proposte importante è che l’attuale dibattito politico non rimanga completamente circoscritto ad alcuni temi che sono sicuramente molto importanti ma che non esauriscono certamente l’ampio ventaglio di riforme che necessita il nostro Paese.

 

Comitato Innovatori Europei Piemonte per Bersani

Oggi si è costituito il Comitato Innovatori Europei Piemonte per Bersani.

 Solo la buona politica, intorno a Bersani, può dare credibilità e futuro al nostro Paese Europeo.

Il tema sul quale vogliamo contribuire è:

Rinnovamento culturale per un’Italia fonte d’innovazione nell’area Mediterranea. Nuove istituzioni locali in una nuova Europa sociale. Sviluppo sostenibile orientato al potenziale glocal ”.

 Il giusto dimensionamento dei costi della politica non deve ridurre la funzione democratica delle Autonomie Locali. Va preservato, e meglio esercitato, il diritto costituzionale dei cittadini e delle comunità a partecipare alle decisioni e ai programmi di sviluppo che riguardano il proprio territorio e le opportunità per svolgere un ruolo di raccordo tra Europa e Paesi del Mediterraneo.

Il centralismo dirigista non favorisce l’economia, è dannoso alla società e alla democrazia.

  • L’Europa sociale e l’incentivazione della ricerca sono le chiavi del futuro per una società moderna capace di cogliere tutte le sue potenzialità valorizzandole in un contesto pubblico e privato dinamico e flessibile per cui ancora molto bisogna fare : informatizzazione servizi sociali, internazionalizzazione degli atenei universitari, specializzazione educazione sulla base delle potenzialità locali d’impiego.

  • La crisi dell’economia si supera, come a Torino si è iniziato a fare, con lo sviluppo di un’economia reale-territoriale, fondata sulla promozione delle risorse (umane, culturali, naturali, produttive, sociali, economiche, …) tipiche ed esclusive in ciascun Sistema Territoriale.

 Su questi temi il Comitato IE Piemonte per Bersani svilupperà il confronto su COSA fare e COME fare, intende portare al “cielo della politica” le istanze di innovazione che da troppo tempo la politica trascura.

Il Comitato è aperto a tutti coloro che vogliono agire per una profonda innovazione della politica, dal leaderismo dirigista-populista che ha contaminato anche il Centrosinistra negli ultimi vent’anni, a forme più evolute, efficaci e organizzate di democrazia partecipativa.

 Il Nucleo promotore:

Filippo Bruno-Franco, Rossella Preziuso, Simone Cerbone, Giuseppe Preziuso, Massimo Preziuso

 Torino, 8 novembre 2012

www.innovatorieuropei.com

infoinnovatorieuropei@gmail.com

La virulenza infettiva dei media. Elaborare un messaggio che possa essere recepito

Di Salvatore Viglia

I socialisti erano mariuoli per bocca di Grillo. Per questi motivi fu bandito da tutte le televisioni nazionali e non. Il ricordo va a quei momenti quando la preoccupazione di proscrizioni tanto forti avesse potuto incrinare la democrazia. Il dispiacere anche di non vederlo in televisione a continuare a farci ridere divenne angosciante.

Molti si prodigarono per un suo ritorno, molti altri auspicarono il ritiro della fatwa contro di lui. Ebbene, solo Beppe Grillo fu contento e colse l’occasione, perché capì, che quei sistemi di informazione erano infetti. Laddove dunque noi pubblico televisivo ci rammaricammo, egli invece fu contento. Ed ancora oggi lo è. Contento di aver fatto quella scelta radicale e di protrarla sino ad oggi estendendola a tutti quelli del suo movimento.

A ben vedere, poi, quella virulenza infettiva si è estesa a contagiare anche altri, come i Biagi, i Guzzanti, i Luttazzi, i Santoro ecc. Beppe Grillo allora rifiutò una impostazione che è sostanzialmente da rifiutare considerando l’approccio politico e strumentale della lottizzazione partitica dei media così come oggi li conosciamo.

Dobbiamo alzare la guardia e frenare le critiche. Che siano costruttive. La necessità di evitare di essere banali abbandonandoci a considerazioni approssimative è impellente.

Non è pensabile, neanche lontanamente, che questo movimento sia solo una tempesta di vento che passerà presto. Non è pensabile neanche credere che i loro amministratori pubblici un giorno si lasceranno abbindolare facilmente bollandoli come sprovveduti. La questione è tutta da considerare.

La politica che in essa si cela è di fondamentale importanza per il futuro parlamentare e non va abbandonata sic et simpliciter come irrilevante. Sarebbe un errore. Un  errore gravissimo.

Che gli “adulti”, patrimonio di esperienza e reputazioni, intervengano nell’elaborare il messaggio in termini recepibili. Siamo ancora in tempo a decifrare ciò che avviene nella giusta ottica e a trovare il verso adatto per intervenire sostanzialmente.

Viceversa sbaglieremmo come quelli che non capirono che la scelta di Beppe Grillo rappresentò per lui un salto di qualità  assolutamente decisivo e radicale.

News da Twitter
News da Facebook