Significativamente Oltre

migliavacca

Ciò che Matteo Renzi ignora

di Salvatore Viglia (pubblicato su L’Unità)

L’immagine comunicativa in manica di camicia stile  Mormone della domenica piuttosto che look Obama da convention non può né riesce a colmare un vuoto sostanziale che  lo separa da Bersani.

Non tanto nei contenuti, ma nella disinvoltura con la  quale non considera i “conti” da fare nella formazione di una futura maggioranza  di governo sta la mancanza.

Il suo vulnus è tutto qua se non si considera la  critica a volte acerrima, lesionista  di cui egli si fa paladino contro il “papà” Bersani come se parlasse ad un ministro del cavaliere.

E’ stato finanche  troppo facile citare l’imbarazzo Casini perché Matteo prescinde troppo facilmente dal considerare situazioni nazionali politiche contingenti. 

Altrettanto semplicistico è sembrato l’atteggiamento di poca analisi con la crisi globale che pospone irrimediabilmente le motivazioni ideologiche agli  aggiustamenti urgenti del dissesto economico europeo.

Pur chiamato Matteo da  Bersani, ha continuato a denominare, nel discorrere diretto, “segretario” Pier  Luigi.

Anche questa questione non di poco conto dal momento che è un aspetto  sottovalutato dal punto di vista dell’impatto mediatico.

Significa molto non  alla stregua della cravatta nera su sfondo bianco, ma significativa di una  impostazione partitica vecchia, antiquata, che contrasta con il nuovo e che è sintomatica di una formazione della quale egli non si è spogliato ancora  nonostante l’assillo della rottamazione che  auspica.

Il Comitato Bersani presenta esposto al Collegio dei Garanti

Il Comitato Bersani presenta esposto al Collegio dei Garanti 
delle primarie per violazione del Codice di comportamento 
dei candidati da parte di Matteo Renzi

 

“Abbiamo deciso di presentare al Collegio dei Garanti delle primarie un esposto sulle violazioni del Codice di comportamento dei candidati da parte di Matteo Renzi, codice liberamente sottoscritto contestualmente alla presentazione della propria candidatura.
Stamani sono apparse su grandi quotidiani nazionali inserzioni a pagamento, volte a creare una pressione impropria, contenenti informazioni errate e in contrasto con il regolamento sul ballottaggio di domenica prossima, che invitano a iscriversi tramite il sito “domenicavoto.it“. Il sito risulta registrato dalla Fondazione Big Bang di Matteo Renzi. È palese e evidente la violazione del regolamento e soprattutto delle norme che vietano la pubblicità a pagamento finanziate dai candidati e quelle che regolano il limite delle spese e la loro trasparenza.
Tradire il Codice di comportamento e il rispetto delle regole è un fatto gravissimo. Per questo chiediamo un intervento immediato dei Garanti.
Inoltre ci chiediamo dove può portare un simile atteggiamento, compreso il tentativo di forzare e stravolgere le regole del voto, da qui al ballottaggio di domenica. È sempre più evidente il rischio di sporcare un grande evento di partecipazione democratica consapevole, come sono le primarie e come sono  state il 25 di novembre”.

Lo dichiara Paolo Fontanelli, rappresentante di Bersani nel coordinamento nazionale primarie. 

Nonostante i media, Bersani è il (candidato) premier del centrosinistra

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Con il secondo dibattito televisivo di ieri sera, la partita per le primarie è definitivamente conclusa.

Bersani e Renzi, distanti nell’analisi dei problemi e soprattutto nelle ricette per affrontarli, si sono ritrovati nel rispetto individuale, dopo aver rischiato nei giorni scorsi di rompere definitivamente, a causa di un tifo, per nulla velato,proveniente da gran parte della stampa e delle trasmissioni televisive, per il giovane “rottamatore” e soprattutto per un “big bang” nel centrosinistra.

E’ questo infatti il dato che più di tutti emerge, soprattutto dalle ultime due settimane, in una campagna elettorale che francamente non ha detto nulla di nuovo.

Uno “strano” endorsement “renziano” da parte di molte trasmissioni televisive e di larga parte della stampa nazionale, in quello che sembra un ultimo tentativo di rafforzare la decantata ipotesi di prosecuzione del governo Monti, oltre la scadenza naturale del 2013.

Per verificare questa tesi, basta andare a leggere le prime pagine dei giornali di oggi e vedere che per tutti gli editori nazionali Renzi “avrebbe” battuto Bersani nel dibattito di ieri. Cosa che francamente è fuori dalla realtà.

Questo fa riflettere su chi fosse il “rinnovatore” del centrosinistra e soprattutto su quali siano i “portatori di interessi” dei due candidati premier del centro sinistra.

Attorno a Bersani si ritrova la gran parte della cittadinanza italiana di centrosinistra, che vede nel segretario l’affidabilità e la competenza necessarie per uscire da un incubo durato ormai cinque anni, che si chiama crisi, economica e sociale, ancora prima che politica. Vicino a Renzi si colloca invece quella serie di interessi (forti), oggi minacciati da un ritorno alla normalità “bersaniana”, che si manifestano da sempre, in Italia, tramite la stampa e la televisione nazionali, ed oggi attorno al governo dei tecnici.

Detto ciò, a marzo 2013 Pierluigi Bersani rappresenterà il centrosinistra, da tempo maggioranza nel Paese, contro le ipotesi masochiste di tipo tecnico o di grandi coalizioni, alle elezioni politiche nazionali.

Ci piacerebbe che Bersani parlasse di responsabilità oggettiva dei partiti

di Salvatore Viglia

Se Bersani si rendesse promotore di una proposta di legge che introducesse la responsabilità oggettiva dei partiti per i latrocini e le ruberie dovute ai propri deputati ed iscritti, farebbe un passo che neanche i più avanguardisti hanno pensato di fare.

Se i segretari garantissero la gestione del denaro pubblico rendendo conto con la trasparenza più assoluta delle gestioni ma soprattutto garantendo per legge il risarcimento per i derubati con le loro casse o addirittura con le proprie tasche, darebbe un segnale fortissimo.

Se si ragionasse in questi termini si troverebbe la legittimazione allo stesso scopo vero del finanziamento pubblico pur sempre nei limiti di una revisione comprensibile dei quantum.

In questo modo, auto diffidandosi, dimostrerebbe una posizione responsabile assumendo il rischio pesantissimo del fardello di un pericolo sempre incombente.

Primarie e Matteo Renzi? Io, del PD, dico che deve essere rottamato il rottamatore

di Arnaldo De Porti

Io non sarò proprio un’aquila quanto ad intelligenza ma, di certo ho buona memoria. A questo riguardo vorrei ricordare appunto due-tre cose sulle quali non ci piove.

La prima.  Cosa è andato a fare il rottamatore a Villa Arcore alcuni mesi fa, prima delle primarie. Forse è andato lì per congratularsi con l’arcoriano per il bene (si fa per dire)  che quest’ultimo ha creato in Italia durante il suo governo, atteso che non credo proprio sia andato lì per incontrare qualche “olgetina”, cosa che forse gli avrebbe reso più risonanza popolare e quindi anche più propaganda elettorale.

La seconda. Mi risulta che Renzi abbia scritto a mio genero, ex Presidente del Consiglio Comunale di Venezia,  allora Pdl ed ora Lista civica sempre di centro-destra, per dirgli che avrebbe gradito il suo voto (cose tutte che appaiono sulla stampa italiana di ieri a partire dal Corriere della sera).

Ometto di parlare delle visite ai paradisi fiscali sempre da parte di Renzi.

Alla luce di questi due-tre semplici fatti, il rottamatore può sperare nella mia fiducia ed in  quella degli altri come me, oppure va bandito dalla scena politica perché gioca sporco ? Magari confidando sulla ingenuità politica del popolo italiano ?

Perché preferire Bersani

di Salvatore Viglia

Non è la resa dei conti.

Ed è vero quanto lamenta Pier Luigi quando dice che Renzi parla di “noi” quando parla di sé e di “loro” quando parla di Bersani. E’ una gaffe non facilmente sopportabile.

Introduce e smaschera una posizione dissociante piuttosto che aggregante. La gaffe, se di gaffe si tratta, mette in rilievo il tallone d’Achille di Renzi non si sa bene dovuto a cosa, sta di fatto però che indispettisce e preoccupa.

Il figlio che prevarica il papà ed i papà non hanno sempre torto specie quando la ragionevolezza della esperienza pregressa infausta costringe il genitore a porre rimedio a beneficio di tutto il nucleo familiare.

Bastasse solo questo, in definitiva, è meglio preferire Bersani che, alla freschezza per certi versi irresponsabile del giovane Renzi, oppone la consapevolezza del fardello che sarà chiamato a portare sul groppone dopo le politiche prossime.

Oltre che di programmi che, fondamentalmente , stazionano tutti nella stessa area, quella di Bersani è la posizione giusta, lucida e per nulla esemplificativa di una situazione politica ed economica senza precedenti.

Rinnovamenti da domani con Bersani

 di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Questa campagna elettorale per le primarie è volata in  un attimo. Francamente, non ha raccontato  molto, parlo a titolo personale, di più di quello che già sapevo. E credo lo stesso effetto abbia fatto a molti simpatizzanti ed elettori del centrosinistra  italiano.

Eravamo già a conoscenza del differente peso e  solidità dei diversi candidati.

Cinque candidati che, messi insieme, rappresentano uno  spettro enorme di istanze, tutte interessanti, molte volte complementari, ma in  qualche caso troppo lontane dalla tradizione del centrosinistra.

Se infatti Vendola, Puppato e Tabacci hanno, nei fatti,  proposte politiche vicine a quelle del segretario Bersani, quelle di Renzi  dicono cose molto distanti da quell’idea di centrosinistra che in tanti in  Italia abbiamo, e che finalmente possiamo ritrovare, con il voto di domani.  Un’idea che io sento di tradurre in tre concetti: solidarietà, re-distribuzione  per la crescita, meritocrazia nell’uguaglianza.

L’Italia ha vissuto quasi vent’anni di stordimento  grave. Ora ha l’occasione di rialzarsi, anche se il cammino di risveglio a  questo punto sarà lungo.

Per farlo, non credo nella vulgata della “rottamazione”,  ancora di più se chi la propone è poi circondato di persone, metodi e  riferimenti culturali troppo lontani da noi e nemmeno innovativi.

Non vedo, personalmente, un’alternativa ad una proposta  politica di tipo progressista ed europeista, che voglia rinnovare con azioni  pazienti la classe dirigente del Paese, senza distruggerla, ma accompagnandola  naturalmente all’uscita.

E’ questa, in sintesi, l’idea che trasmette la leadership di  Pierluigi Bersani nel Partito Democratico. Ed è per questo che l’ho considerata  da sempre la proposta migliore possibile.

Non vi sono scorciatoie per cambiare un Paese così  malridotto, ma nel contempo portatore di un enorme potenziale da decenni  inespresso.

L’unica strada possibile è quella che conduce a  rinnovamenti della società civile, attuati attraverso scelte politiche nette (il  progressismo in Europa) guidate da una solidità che solo il Partito Democratico  a guida Bersani oggi dimostra in Italia.

Siamo ad un giorno dal voto alle primarie. Mi aspetto  una vittoria netta del segretario del PD, per le ragioni sopra  espresse.

Gli italiani, che a volte sembrano essere attratti  sadicamente dal “nuovismo”, domani voteranno in massa per una solida politica di  rinnovamento, che merita sostegno.

Ed, in ogni caso, viva le Primarie, nei fatti, unico  vero strumento di mobilitazione politica democratica e di massa oggi esistente  in Italia e nel mondo

Le Primarie – un buon segno per la democrazia. Intervista ad On. Rosato (PD) nel circuito Radio-Tv REASAT

LE PRIMARIE

(un buon segno per la democrazia)

scarica l’intervista e mettila subito in onda

www.reasat.it/content/iniziative/rosatipd.mp3  

Il buon vento politico lo si avverte dall’importanza che, stampa e  radiotelevisione pubblica e privata, uniche cartine al tornasole del grado di libertà esistente in un Paese democratico, stanno dando alle Primarie in atto nel Partito Democratico e nel centrosinistra. Ciò altro non è che esemplare esercizio per un nuovo corso di rinnovamento delle rappresentanze nei due rami del Parlamento e nelle formazione del Governo.

Il problema del rinnovo della classe dirigente del Paese però rimane impantanato tra le maglie della polemica “rottamazione si” “rottamazione no”. Non credo che un rinnovo effettivo e, radicale, possa essere assunto con tali magiche formule.

La REA, raccogliendo gli intenti politici del movimento Innovatori Europei per una Europa Unita su basi innovatrici e politiche, credo che aiuti a dipanare la confusione che si è venuta a creare per via di tale dialettica “rottamatrice” che non fa bene né a coloro che la predicano né, in generale, alla causa di un “reale rinnovamento” del Paese e alla costruzione di una Europa dei popoli e non delle lobby politiche ed economiche-finanziarie.

Infatti per tale duro e complesso cammino non credo possano essere sufficienti gli entusiasmi dei giovani senza l’apporto determinante di coloro che la politica l’hanno saputa onestamente e responsabilmente fare e la sanno governare nei programmi e nei fatti concreti.

Pertanto nelle Primarie del Partito Democratico e del centro sinistra si affermino le nuove proposte, ma se non sono unite all’esperienza  di Bersani il rischio dello stallo è altissimo.

Alla prossima tornata, nelle Primarie del Centro Destra,  mi auguro si segua lo stesso stile e si dia nuovo impulso alla vita democratica del Paese.

Se condividi il pensiero scrivi CONDIVIDO  e invia a antonio.diomede@tiscali.it

San Cesareo, 23 novembre 2012

                                                                      Antonio Diomede

                           Presidente REA – Radiotelevisioni Europee Associate

I paradossi della guerra sul budget UE

di Francesco Grillo (Il Mattino, 22 Sabato 2012)

Quello che si è consumato tra ieri e l’altro ieri a Bruxelles sul budget per i prossimi sette anni dell’Unione Europea, deve essere stato uno dei vertici più difficili per Mario Monti: da Presidente del Consiglio si trova a dover minacciare il veto per difendere interessi e, soprattutto, ad assumere un approccio al negoziato che, da ex commissario europeo ai mercati e da docente della Bocconi, sarebbe il primo a criticare. E sono i paradossi di dover navigare nelle due crisi – quella europea e quella italiana – che (nonostante i progressi degli ultimi mesi) continuano ad alimentarsi tra di loro creando una miscela esplosiva sempre pronta ad esplodere.

Da capo del governo italiano Mario Monti non può non essere preoccupato per l’erosione della capacità del nostro Paese di contare in Europa. È un deterioramento che è cominciato, ovviamente, molto tempo fa e che continua. Mentre l’Italia nel 2000 presentava nel suo rapporto con l’Unione un bilancio positivo tra i contributi pagati al bilancio comunitario e le somme che lo stesso bilancio allocava al nostro Paese (laddove la Germania pagava per l’esistenza dell’Unione quanto tutti gli altri contributori netti messi assieme), lo scorso anno, secondo i dati della Commissione Europea, siamo riusciti ad essere lo Stato al quale l’Unione Europea è costata di più – se al contributo pagato sottraiamo i finanziamenti allocati al nostro Paese: in proporzione al PIL l’adesione dell’Italia all’Unione è costata nel 2011 lo 0,31% del PIL contro lo 0,24% della Francia, e, comunque, qualche frazione di punto in più rispetto alla Germania che dà le carte e alla Gran Bretagna che ha da sempre il ruolo di chi è costantemente sul punto di far saltare il tavolo e di dover essere convinto a restare.

Le ragioni della perdita di capacità negoziale dell’Italia sono essenzialmente due.

Da una parte la distribuzione del bilancio che è tuttora allocato per il 77% alla politica agricola comune e alle politiche di coesione e i meccanismi attraverso i quali le risorse destinate a questi due programmi vengono distribuiti: in agricoltura l’Italia è penalizzata da un sistema che premia l’estensione dei terreni più che la produzione e, dunque, finisce con il premiare Paesi territorialmente più grandi come la Francia e la Spagna; dall’altra per i fondi strutturali la penalizzazione è arrivata con l’allargamento verso Est e lo spostamento di risorse Paesi più poveri (con la Polonia che è nel 2011 il maggiore beneficiario di finanziamenti comunitari).

Dall’altra, però, l’Italia risulta ancora più indebolita – sul piano finanziario e della credibilità – dalla capacità di usare queste risorse: proprio sui fondi strutturali, laddove ci giochiamo buona parte delle nostre possibilità, i dati della Direzione Generale per le Politiche di Coesione della Commissione Europea, dicono che con una percentuale di spesa inferiore al 30% dopo cinque dei sette anni del periodo di programmazione che sta per finire, siamo al penultimo posto in Europa; per non parlare delle frodi che tanto tengono impegnata la Guardia di Finanza sui finanziamenti agli agricoltori.

In questa situazione, il presidente del consiglio Monti si trova a difendere ciò che a volte appare indifendibile e che, probabilmente, trova egli stesso imbarazzante.

Ed, in effetti, la proposta presentata in un primo momento dal Presidente del Consiglio Europeo, Van Rompuy, conteneva alcune innovazioni che lo stesso Monti ha più volte incoraggiato: una riduzione assai significativa del peso delle politiche agricole; un aumento consistente della spesa per la competitività, una riallocazione importante dei fondi strutturali dalla spesa per infrastrutture a quella per la ricerca: il risultato però risultava essere per l’Italia – aggrappata, di fatto, alla sola paradossale speranza che le quattro Regioni del Sud continuino a risultare in “ritardo di sviluppo” – indigesto con una diminuzione del venti per cento di finanziamenti comunitari allocati al nostro Paese ed un ulteriore crescita del contributo netto che forniamo all’Unione.

Ed è per l’opposizione dell’Italia, – unita in questo a quella della Francia che ha inventato alcuni decenni fa che la priorità dell’Europa fosse la difesa dei suoi agricoltori, oltre che a quella dei Paesi che maggiormente beneficiano di fondi strutturali – che l’asticella si sta nuovamente muovendo verso un bilancio più simile a quelli del passato.

Potrebbe essere un riduzione dei danni per l’Italia. Ma una sconfitta per chi – in altre sedi – si augura un cambiamento sostanziale del ruolo dell’Europa rispetto alla crisi devastante che stiamo vivendo.

Del resto è una contraddizione che da una parte si invochi un’Unione addirittura fiscale e dall’altra si litighi sull’entità di un bilancio comunitario che pesa, comunque, l’uno per cento del PIL europeo e quaranta volte meno della somma della spesa pubblica degli Stati nazionali. Che si favoleggi di Stati Uniti d’Europa, e, poi, si accetti, sin dall’inizio, un budget fatto per ricavi e spese per Paese che, di fatto, prescinde da valutazioni sull’efficienza con la quale le risorse sono utilizzate dai singoli membri dell’Unione. Che si continui ad invocare crescita basata sulla conoscenza mentre, in queste ore, si stanno sottraendo – come avverte il rettore dell’Università per gli Stranieri di Perugia, Stefania Giannini – risorse destinate a finanziare un aumento nel numero di studenti europei che studiano all’estero, per difendere gli agricoltori francesi dalla competizione dei Paesi del Nord Africa e la possibilità – assolutamente virtuale – della Regione Campania di spendere soldi che probabilmente continuerà a non riuscire a spendere.

Ci sarebbe bisogno di una strategia. Che renda tutte le amministrazioni europee (inclusa la Commissione) responsabili dei risultati ottenuti con risorse che sono, comunque, scarse. Che stabilisca meccanismi attraverso i quali le risorse si trasferiscano – in maniera automatica e trasparente – tra amministrazioni che mostrano diverse capacità. Un budget più flessibile, meccanismi che incoraggino la crescita attraverso il confronto di chi gestisce spesa pubblica, potrebbe diventare la migliore legittimazione possibile per una integrazione che non cali dall’alto.

Ma per riuscirci occorrerebbe superare la logica del breve periodo e degli interessi nazionali. E diventare leader di un progetto che dia – aldilà della retorica e degli appelli smentiti dalle scelte concrete – sostanza all’idea di un’Europa più forte. Dovrebbe essere la priorità di chi provi a governare l’Italia per più di un anno e che capisca che la nostra crisi è solo la manifestazione più estrema della crisi di un intero continente. Utilizzando l’argomento che siamo in fondo noi, quelli ai quali l’Europa costa di più. Quelli che più hanno interesse ad una forte, profonda innovazione.

Il naturale sbocco istituzionale di Innovatori Europei con Bersani

di Salvatore Viglia (su Politicamentecorretto)

Sono stati anni di lavoro silente ma proficuo.

Innovatori Europei, costantemente impegnato nell’innovazione a tutto tondo dell’intero sistema politico italiano, ha rappresentato, per l’area PD, un grande serbatoio di portatori d’energie e talenti fin dal 2006.

La prova dei fatti, l’assente mira “carrieristica” unita alla professionalità ed onestà intellettuale dei suoi componenti, ha posto di fatto l’intero movimento alla attenzione della dirigenza Bersani.

Non solo e per ultimo la costituzione di numerosi comitati territoriali – di cui due anche all’estero – per le primarie pro Bersani leader, ma per storia ed apporto politico frutto delle menti più libere e qualificate che circolano nel paese.

Innovatori Europei si trova dunque a dover fare un salto di qualità. Gli è stato riconosciuto di essere meritevole di incidere e farsi interprete di una esigenza innovativa per linguaggio e per articolazione progettuale degli intenti che vedranno il paese al cospetto della fase politica dei prossimi difficili anni a venire.

Il processo di riconoscimento ufficiale da parte del PD di una dignità istituzionale di IE è maturato, almeno la sua prima fase, naturalmente senza accelerazioni né forzature.

Era quanto di più auspicabile potesse avvenire in un contesto meritocratico e partecipativo che ha mostrato e mostra chiaramente la sua propedeuticità alla presenza impegnativa da protagonisti.

Con Bersani che vincerà le primarie domenica al primo turno, si aprirà un capitolo decisamente nuovo nel quale IE vedrà riconoscersi altri meriti data la predisposizione favorevole del partito e considerato gli entusiasmi che al proprio interno animano l’intero movimento.

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