Significativamente Oltre

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Finalmente flessibilità. Ora il patto di stabilità è un po’ più intelligente

di Gianni Pittella su Huffington Post

Si potrebbe dare fiato alle trombe. Ma non lo facciamo. Vogliamo solo salutare, con un pizzico di legittima soddisfazione, quel che è avvenuto in sede europea dopo tanto parlare, in questi ultimi mesi, della battaglia tra austerità e crescita. La Commissione Juncker ha mantenuto la promessa e ha consegnato il suo regolamento sul famoso fondo europeo per gli investimenti strategici.

É significativo che ciò sia avvenuto nel giorno di chiusura del semestre di presidenza italiana a poche ore dal resoconto svolto nell’aula di Strasburgo dal presidente Renzi. Ed è importante che la politica di flessibilità possa tagliare oggi un importante traguardo. A dimostrazione che le battaglie politiche condotte con convinzione e fermezza si possono vincere.

Questo rapporto – un vero e proprio testo legislativo – è adesso una realtà. Si tratta di quel provvedimento così tanto atteso che punta in tre anni a mobilitare più di 300  miliardi di investimenti pubblici e privati per favorire la crescita e l’occupazione. Vogliamo e dobbiamo essere chiari e leali quando si evocano cifre che possono alimentare, a torto o a ragione, delle facili aspettative.

Il piano varato dall’esecutivo comunitario, a pochi mesi dal suo insediamento, non promette la Luna. Ma costituisce – questo è indubbio – una inversione di tendenza, e dunque di azione politica economica, negli atti e nei comportamenti delle Istituzioni dell’Ue. Grazie a questo, possiamo registrare un primo successo. Con la mobilitazione di risorse pubbliche e private. Più ci sarà fiducia e ottimismo, più il piano agirà a cascata in un moto – ci si augura – che trascini e gonfi il vento della crescita.

Non è retorica, ma una possibilità reale. Proprio perché stavolta l’Europa si impegna con risorse importanti agevolando gli Stati membri i quali potranno scorporare quelle spese per gli investimenti. Dopo sei anni di crisi si comincia a prendere coscienza della necessità di un’inversione di tendenza. Forse non è esagerato affermare che da questo momento può iniziare anche un nuovo modo di servirsi della costruzione europea, mettendo l’accento su lavoro e sul sociale provando a bandire l’immagine, costruita spesso ad arte, di un’Unione nemica dei popoli e amica della Finanza.

Nell’azione dell’Unione non ci sono mai state inversioni di rotta repentine. Ma accelerazioni certamente. Questo evento politico, che mette in testa nell’agenda europea un intervento di considerevole portata nella sfida alla crisi economica che scuote il continente da parecchi anni, è uno di questi momenti. Un passo avanti, un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare le questioni più sensibili e urgenti. Stiamo parlando di uno strumento di azione economica, che dovrà essere approvato dai due legislatori (Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue) entro il prossimo mese di giugno, un “colpo di frusta” per l’economia europea come ha detto Juncker.

La Comunicazione sulla flessibilità nel patto di Stabilità e crescita, approvata ieri e alla cui definizione il nostro gruppo ha contribuito in maniera decisiva, fa diventare il Patto di stabilità e di crescita meno stupido (come disse Romano Prodi) e anzi, lo rende più intelligente. Perché – ecco il punto politico più interessante – introduce una quota di flessibilità e un margine di manovra per i bilanci dei Paesi che hanno una sofferenza dal punto di vista del debito e che intendono investire massicciamente per il rilancio delle proprie economie. È quel che si voleva? Certamente, anche se si tratta di un primo passo. Ma già da solo rappresenta una spinta formidabile se saremo capaci di sfruttarla in pieno. Utilizzando in maniera efficace e produttiva le risorse, specie quelle contenute nei Fondi Strutturali.

Di sicuro, il piano di Bruxelles non imporrà, come taluno aveva fatto credere, alcuna imposizione di riforme “dall’alto”. L’Europa punitiva, questa volta, non ha trovato acqua in cui nuotare. Anzi, gli Stati nazionali che contribuiranno al Fondo di Investimento della Bei, si vedranno riconosciuti e non conteggiati questi sforzi del loro bilancio e gli Stati impegnati in riforme strutturali interne vedranno riconosciuto questo loro operato. Inoltre, la cosiddetta “regola d’oro” funzionerà anche se il limite del 3% resta, per il momento, non rimuovibile. Non cesseremo, ovviamente, di batterci.

Ci sono, dunque, una serie di condizioni che hanno il segno del cambiamento. Si tratta di cogliere al volo questa opportunità. L’Europa, come si vede, può cambiare. Anche se ciò costa sempre un lavoro paziente, a volte testardo, e di lunga lena. Una strada si è aperta. Tocca a noi, agli Stati, alle forze politiche, di asfaltarla e renderla transitabile. Per allontanarci definitivamente dalla cieca austerità.

Si apre formalmente la guerra dell’algoritmo.

di Michele Mezza

Con il fondo pubblicato oggi, venerdi 28 novembre sul Corriere della sera, a firma del vice direttore Daniele Manca, dall’esplicito titolo “Noi nudi davanti a Google”, diventa così senso comune anche in Italia il tema della dittatura dell’algoritmo.

Per la prima volta l’emergenza di un nuovo potere digitale che incrina e squilibra il sistema delle relazioni sociali ed istituzionali sopravanza la solita predicazione sui diritti negati alla rete.

Il voto del parlamento Europeo sul potere dominante che il gruppo di Mountain View ha ormai accumulato in Europa, con la conseguente necessità di separare l’attività del motore di ricerca dall’offerta dei servizi accessori , tipica norma anti trust che il liberalismo americano ha insegnato al mondo, rende più concreta e visibile il nuovo conflitto.

Persino una vestale del libero mercato anglo americano, come il magazine Economist rileva il problema, mettendo il copertina il logo di Google con la domanda: Schould Govermment break up digital monopolies?

Al momento, almeno in Italia, a guidare la critica a Google rimane la fragile tematica della privacy. Ossia di un sistema di diritti , tutti interni alla sfera del potere dell’individuo, assolutamente e liberamente negoziabili ,in cambio di servizi e commodities. Cosa che Google sa benissimo e pratica su scala planetaria. Tu mi concedi le informazioni sul tuo profilo io ti faccio fare bella figura nel lavoro e nelle tue relazioni supportando il tuo sapere e la tua potenza di calcolo. Diciamo che il pericolo viene identificato prioritariamente nei Cookies più che nell’algoritmo.

E’ questo uno scambio che noi stessi pratichiamo da tempo, quando usiamo una carta di credito o un telepass.

Diverso diventa invece il tema che affiora dal voto del parlamento europeo e dalla copertina dell’ Economist. Quanto può essere tollerata l’efficienza e la potenza tecnologica di un unico gruppo quando questo gruppo insidia l’autonomia e la sovranità di stati, comunità, e individui, nell’organizzare i propri saperi e trasmettere le proprie culture ai successori? In realtà è questo il vero tema.

Siamo , niente più e niente meno, che a quel 24 gennaio del 1984, quando l’Apple trasmise nel corso della finale del Super Bowl americano a San Francisco lo shoccante spot televisivo di Ridley Scott sul nuovo personal computer di Steve Jobs. Lo spot , faceva il verso al libro di Orwell 1984, e ammiccava allo scontro con un granbde fratello tecnologico e cvulturale che di identificava con l’allora gigante IBM, e terminava con l’esortazione: affinchè il 1984 non sia un 1984.

Il tema si p ripropone: la rete per non essere un grande fratello deve emancipare la conflittualità dei saperi o omologare in virtù di un gigantismo tecnologico? E l’accresciuto protagonismo del software nella nostra vita quotidiana può permetterci di delegare, come quotidianamente facciamo oggi, ogni nostro pensiero alla sintesi digitale che Google ci ammannisce con i suoi servizi? La prospettiva di aprire la scuola elementare al pensiero computazionale, come si chiede a gran voce, può essere occasione di un ennesima delega a Google che produce i principali tool tecnologici per la formazione di base? E ancora, l’imminente riorganizzazione del sistema editoriale e giornalistico, insieme a quello televisivo, può essere condotto semplicemente importando algoritmi di Google, come sta avvenendo?

Allarma che perfino una comunità di esperti e intellettuali critici, come quella raccolta dalla commissione sui diritti della rete, insediata dalla presidenza della Camera e guidata da Stefano Rodotà, continui, all’alba del 2014, a porre il tema di promuovere l’accesso alla rete, purchessia , piuttosto che rendere evidente che oggi, come spiega Bauman, il vero digital divide non riguarda l’uso di questa o quel congegno digitale quanto l’impossibilità di concorrere alla creazione di senso comune. E l’algoritmo è oggi linguaggio e strumento per organizzare pensieri e parole del senso comune. Più ancora di quanto cinema e letteratura potessero fare negli anni precedenti. E se su questi due settori prima gli USA, e poi la stessa Europa, hanno introdotto palesi eccezioni al liberalismo economico, codificando la necessità di proteggere i propri pensieri e le proprie opere, con leggi che supportavano l’eccezione culturale, non si vede perchè su una materia mille volte più pervasiva e minacciosa dobbiamo preoccuparci solo di come Google venda i nostri dati a produttori di biscotti.Non è questo tema per rifondare una nuova sinistra su un nuovo conflitto?

Nella crisi la centralità dei piccoli comuni

roberto di Roberto Speranza su Europa Quotidiano

Servono crescita e utilizzo delle potenzialità di questi territori che consenta di superare una tendenza alla marginalità, un rischio vero di spopolamento e al tempo stesso assicuri un maggiore riequilibrio del territorio

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Lo scriveva più di mezzo secolo fa, un grande scrittore, un grande osservatore della realtà come fu Cesare Pavese. Lui stesso era nato in un piccolo borgo delle Langhe: ne conosceva virtù e grandezze, limiti e risorse. Da allora il mondo è cambiato.

Sono cambiate le dimensioni del vivere quotidiano, le possibilità di movimento e le dinamiche della produzione e della comunicazione. Ma il piccolo comune rimane una dimensione importante – direi fondante – del paese Italia, forse una delle principali caratteristiche della nostra struttura demografica e sociale. Italia: paese dei mille campanili, dei quasi 5700 comuni con meno di 5000 abitanti, dove vivono in totale oltre 10 milioni di persone.

È a loro che pensiamo quando diciamo che vogliamo “ristrutturare” il paese valorizzando le sue caratteristiche, potenziando territori e comunità per rispondere oggi alla crisi e domani ai cambiamenti che verranno.

Lo fa con intelligenza e coraggio la proposta di legge sulla valorizzazione dei piccoli comuni presentata dal Partito democratico, sotto la spinta promotrice del nostro deputato Ermete Realacci. È un’iniziativa condivisa con gli altri partiti della maggioranza e dell’opposizione perché aiutare territori e comunità non ha colore politico, è solo “buona politica”.

I piccoli centri rappresentano in moltissimi casi luoghi di eccellenza per la qualità dell’agroalimentare e della tecnologia moderna, accanto a realtà turistiche che il mondo ci invidia.

Per primi, i piccoli comuni hanno accolto la non più rinviabile necessità di ricorrere a fonti di energia rinnovabile e smaltimento intelligente dei rifiuti. Hanno fatto della creazione di prodotti eccellenti in tutti i settori un volano dell’export nazionale.

Per difendere la ricchezza – spesso nascosta – dei nostri borghi, dei nostri paesaggi, di gran parte del nostro paese, e allo stesso tempo rilanciare la qualità della vita delle comunità locali, occorre valorizzare il ruolo che anche le aree piccole e interne possono avere per immaginare un nuovo modello di sviluppo che contribuisca al superamento della crisi attuale.

Per ragionare su tutto questo, per dare respiro e carattere a una proposta di legge che vogliamo far crescere nel paese, abbiamo promosso un incontro con amministratori e esponenti dell’associazionismo e dell’economia che si terrà nella sala della Regina della camera dei deputati nella mattina di venerdì 10 ottobre.

Vogliamo una buona legge per aprire una nuova fase culturale, ma anche politica, di crescita e utilizzo delle potenzialità di questi territori che consenta di superare una tendenza alla marginalità, un rischio vero di spopolamento e al tempo stesso assicuri un maggiore riequilibrio del territorio. L’obiettivo è ambizioso: consentire a tutti, ovunque si viva, si lavori e si produca di concorrere alla modernizzazione dell’intero paese.

@robersperanza

«Questa Ue non va, ha paura del futuro»

Intervista di Romano Provi ad Avvenire

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Parte da un’immagine Romano Prodi.  Davanti a lui c’è un gruppo di studenti cinesi, uno alza la mano e lo interroga: cos’è l’Europa?  È un laboratorio oppure è un museo? Prodi pesca nella memoria  e risponde oggi come rispose allora: «È il più grande laboratorio politico della storia, ma troppo spesso è incapace di guardare al futuro. È un laboratorio smarrito, timido, timoroso, e il rischio è girare  il volto all’indietro come fosse  un museo». Quando il treno Roma-  Bologna comincia a correre, l’ex presidente della Commissione Ue ci racconta vizi e virtù del Grande Progetto.  Con realismo e con durezza. «È stato  un percorso straordinario. Siamo partiti  con sei Paesi, siamo arrivati a ventotto.  Paesi che hanno unito un pezzo importante  del loro futuro…». Una pausa leggera  precede una nuova riflessione: «… Ora  è come se avessero paura del futuro stesso. Ma la scommessa è andare avanti,
non arretrare».
Ci crede?
Negli ultimi anni non è stato così e non sono  ottimista. L’economia non ha girato e non gira: siamo stati il malato del mondo, siamo cresciuti poco, non abbiamo offerto  lavoro ai giovani, le disparità tra i Paesi  e all’interno dei Paesi sono aumentate. Sì, spesso penso ai giovani, a quei giovani che sono sempre anche nei pensieri del Papa. Vorrei raccontare l’Europa cominciando  con la pace, ma loro vogliono risposte  sul futuro e capiscono di più temi come crescita e solidarietà. In quelle due parole c’è la loro vita.
C’erano quelle parole nel Dna della Ue…
C’era la volontà di far camminare parallelamente  sviluppo e solidarietà nella testa  dei padri fondatori. Ma oggi dov’è la solidarietà se i leader europei dicono che spendere così tanto per il welfare è la condanna  dell’Europa? La difesa del più debole  era tra i principi fondamentali dell’Unione  e oggi? Si sta tradendo un disegno, è un voltafaccia terribile e pericoloso.
È quasi un atto d’accusa?
Serve verità per voltare pagina. Tutti ci vedono  come una società vecchia,  chiusa in se stessa, raggomitolata  sul passato. Ora o  respingiamo questa analisi ma  a me pare terribilmente difficile  – o cominciamo davvero  a riflettere e cerchiamo i rimedi  per trasformare l’Europa in  laboratorio. Se poi lei mi da elementi  per dire che l’Europa  in questo momento è dinamica,  solidale, con un disegno comune,  io cambio giudizio. Ma  lei non può darmi questi elementi  e allora insisto: bisogna riflettere sulle mancanze di oggi per preparare il salto in avanti che ci permetta di fare bene  domani. Se non ci rendiamo conto della  realtà non possiamo nemmeno avere l’urgenza necessaria per vincere egoismi e differenze di interesse.
Crede che la nuova commissione possa imprimere il cambio di passo?
Vedo elementi di conservazione. Tanti, troppi. Quando penso che le politiche più coraggiose vengono prese da un organismo  tecnico come la Bce vuol dire che la politica ha paura di fare fino in fondo il suo mestiere. Molto non va. I falchi del rigore hanno ancora molto potere e non si rendono  conto che proprio il rigore sarebbe una grande virtù se accompagnato da una  condivisione di obiettivi per avanzare verso il futuro. Non è così. E soprattutto non è più il momento di fare i maestrini, di dimostrare che si è meglio dagli altri; è il momento del Progetto e della Solidarietà.
Però il laboratorio è smarrito. E intanto l’Europa dà anche l’impressione di arretrare  sui valori, di non difendere la vita.
Sono 28 Paesi con valori diversi, con sensibilità  diverse: nel complicato Parlamento  trovare linee comuni, convergenti,  sembra una sfida impossibile. Una riflessione  culturale collettiva su questi temi  è ancora più complicata, ma il Papa anche su questo può offrire spunti di riflessione  forti. Richiamare ai valori fondamentali  è decisivo. Non si può pensare  a una condivisione immediata, ma l’Europa ha un disperato bisogno di riflettere,  di interrogarsi, di riscoprire la solidarietà.  C’è bisogno di parole profetiche,  ma anche cariche di concretezza. Per strappare la scena a contrapposizioni  astratte e spostare il dibattito sui destini dell’uomo.

Lo spazio dell’Italia tra Usa e Africa. Parla Salzano (Eni)

Lo spazio dell'Italia tra Usa e Africa. Parla Salzano (Eni) Intervista di Formiche a Pasquale Salzano

Pasquale Salzano è senior vice president di Eni ed ha delega agli affari istituzionali. È il volto e la voce di Claudio De Scalzi, una vita nel Cane a sei zampe e da pochi mesi nominato dal governo Renzi nuovo Ceo della prima multinazionale italiana.

Salzano, classe 1973, è arrivato in azienda nel 2011 dalle fila del ministero degli Affari esteri essendo Consigliere d’Ambasciata. La promozione di un giovane diplomatico non sorprende, anzi conferma il peso della dimensione istituzionale e internazionale in Eni. Formiche.net lo ha incontrato per una conversazione a valle del Summit USA-Africa appena terminato a Washington e che ha lasciato in eredità sia la Clean Energy Finance Initiative sia investimenti tra i quali una partnership da 5 miliardi di dollari tra il fondo Blackstone e il ricco investitore africano Aliko Dangote per progetti di infrastrutture energetiche nell’Africa sub-sahariana.

Anche Eni, pur nel suo core business degli idrocarburi, investe da tempo nel Continente nero. Quali opportunità vi intravedete? “Il vertice di Washington è stato il più grande incontro con i capi di stato e di governo africani mai organizzato da un presidente americano negli Usa. La sua importanza è dunque innanzi tutto di carattere politico e strategico e segnala la crescente attenzione che l’amministrazione americana dedica ad un continente in cui, negli ultimi dieci anni, diversi paesi hanno registrato i tassi di crescita più elevati del mondo. Va considerato, inoltre, che la popolazione africana raddoppierà entro il 2050, tornando a rappresentare un quinto del totale mondiale, come era nel XVI secolo. In questo quadro, gli investimenti e il commercio sono considerati dagli Usa come parte del più complessivo impegno per la sicurezza e lo sviluppo civile e sociale del continente. Si tratta di un approccio altamente condivisibile, molto simile a quello che Eni, pur nella sua specificità di azienda energetica, ha tradizionalmente promosso in Africa fin dall’inizio della sua presenza, nel 1953. È stato proprio grazie alla attiva integrazione tra i progetti di sviluppo dell’azienda e le opportunità di crescita dei territori in cui è ospite, che Eni è potuta diventare non solo la prima compagnia internazionale del continente per produzione di idrocarburi, ma anche l’azienda leader nel favorire l’accesso all’energia da parte delle popolazioni locali. Il rinnovato impegno americano e la convergenza dei rispettivi approcci al continente non può dunque che essere vista da Eni in modo molto positivo”.

Gli Stati Uniti hanno deciso di puntare in modo deciso sullo sviluppo dell’Africa e sugli investimenti non solo energetici nel continente. L’Italia, per sua vocazione e collocazione rappresenta un ponte ideale tra l’altra sponda dell’Atlantico e l’Africa. Ritiene che questo nuovo sguardo a sud possa aiutare il nostro Paese a diversificare le proprie alleanze energetiche, finora più orientate ad est?

“Pochi lo sanno, ma l’Italia è tra i paesi europei che nell’ultimo decennio ha provveduto maggiormente alla diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento, come spesso auspicato dall’Unione europea. Nello stesso periodo, inoltre, l’Eni ha registrato in assoluto i migliori successi esplorativi tra le majors petrolifere mondiali, inclusa la più grande scoperta di giacimento gas della sua storia, in Mozambico, nel 2011 e l’Africa è stata al cuore di questi successi. Si tratta di nuove fonti che, soprattutto per quanto riguarda il gas, potranno contribuire ulteriormente alla diversificazione energetica italiana ed europea, consolidando una sorta di corridoio nord-sud come nuovo asse strategico di approvvigionamento energetico, di cui ha recentemente parlato anche il presidente Renzi, che potrà avvicinare sempre più l’Africa al vecchio continente”.

Ritiene che, tenendo conto anche dei nuovi progetti energetici annunciati dall’amministrazione Obama, ci possano essere ulteriori momenti di collaborazione tra Italia e Stati Uniti?

“Le sfide che la straordinaria crescita dell’Africa pongono alla comunità internazionale rendono sempre più importante la sinergia tra l’Italia e gli Stati Uniti, che non può che realizzarsi nella più ampia cornice dei rapporti tra Ue e Usa. L’importante negoziato in corso sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership ne è solo uno degli esempi più recenti, e l’inclusione dei temi energetici al suo interno sarà molto rilevante. In Africa, in particolare, la collaborazione tra Italia e Usa potrà registrarsi anche alla luce del programma Power Africa lanciato dall’amministrazione un anno fa, che mira a raddoppiare l’accesso all’energia nel continente entro il 2018, grazie anche a importanti convergenze tra pubblico e privato (Public Private Partnership)”.

Il recente viaggio del premier Matteo Renzi in Africa – in Mozambico, Congo e Luanda – è forse il segno che anche la politica italiana guardi all’Africa non solo come a una frontiera, ma come a un mercato di riferimento. Eni come valuta questo nuovo approccio e quali cambiamenti scorge?

“Il rinnovato impegno del governo italiano verso l’Africa è a tutto campo e tocca la dimensione politica, economica e culturale. Può quindi essere considerato parte di una più ampia strategia di apertura e adattamento del nostro paese alle nuove tendenze del sistema internazionale. Un’azienda come Eni, che opera in circa settanta paesi in tutto il mondo, non può che considerare positivamente questo approccio, sempre più necessario e carico di implicazioni significative. A questo riguardo Il Ministero degli esteri ha recentemente promosso l’Iniziativa Italia–Africa, anche con l’obiettivo di rafforzare l’accesso all’energia sostenibile attraverso l’espansione della rete di aziende italiane impegnate nel continente. A metà ottobre si svolgerà a Roma una conferenza internazionale di alto livello per fare il punto sullo stato di avanzamento delle attività su questo fronte”.

Per dirla con Barack Obama, aumentare gli investimenti occidentali in Africa è anche un modo per rafforzare “sicurezza e democratizzazione dei Paesi africani”, anche quelli dove Eni è presente. Penso alla Nigeria, ma anche alla Libia, in queste ore teatro di scontri terribili. Cosa ne pensa? E come proseguono le attività di Eni nei Paesi africani più instabili?​

“Per le caratteristiche del suo business, Eni è abituata da sempre ad operare in realtà o regioni complesse o genericamente considerati “a rischio”. Per questo ha tradizionalmente dedicato grande attenzione allo sviluppo dei paesi in cui opera, anche attraverso il cosiddetto “dual flag approach”, ovvero quello di una compagnia al tempo stesso internazionale ma anche locale e con uno stretto rapporto con il territorio. Poiché l’energia è la chiave di ogni sviluppo, negli ultimi anni Eni si è anche impegnata direttamente nella realizzazione di alcune centrali elettriche, come ad esempio quelle in Nigeria e Congo, che vengono gestite insieme alle autorità locali e forniscono ai due paesi rispettivamente il 20 e il 60% dell’energia. Solo l’ulteriore consolidamento di questa strategia, ribadita dalle recenti iniziative sia negli Stati Uniti che in Italia, potrà offrire all’Africa quel futuro di pace e prosperità che ognuno di noi auspica”.

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Sulo stesso tema, la nota scritta nel 2013 da Massimo Preziuso: Un’area di libero scambio UE-USA per lo sviluppo sostenibile mondiale e per la nascita degli Stati Uniti d’Europa

 

 

 

 

 

Il Movimento Innovatori Europei propone la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. Intervista all’Ing. Massimo Preziuso, fondatore del Movimento

Intervista su NaNotizia

imagesIl 21 giugno scorso presso la sede del Partito Democratico del “Nazareno”, il Movimento Innovatori Europei, fondato e guidato dall’Ingegnere lucano Massimo Preziuso, ha proposto al Pd e al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. La proposta è stata elaborata e redatta in un documento al termine dei lavori dell’annuale convegno organizzato dal Movimento, che quest’anno ha titolo: ”Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese“.  Per il Movimento: “La Logistica dei Trasporti e le indispensabili Infrastrutture a essa strettamente collegate debbono assolvere lo scopo di rilanciare con forza l’economia del Paese, riconsegnando al Mezzogiorno la sua plurisecolare funzione di collegamento col Mediterraneo ciò che la stessa Unione europea gli attribuisce nell’attuale momento storico”. Per comprendere meglio i contenuti della proposta abbiamo posto alcune domande al fondatore del Movimento, l’Ingegnere Massimo Preziuso.
  • Come verrà strutturato l’Osservatorio?

“Come è noto, L’Osservatorio ha preso l’avvio da incontri con un gruppo di esperti, operatori e accademici operanti nel settore della Logistica e delle Infrastrutture. Le attività da portare avanti saranno suddivise per macrotemi; di conseguenza risultando le problematiche alquanto  complesse, occorrerà  un approccio strutturato e rigoroso”.

  • Se la Vostra proposta sarà accettata, chi ne farà parte attiva?

“Stanno procedendo i lavori avviati formalmente con il convegno del 21 presso il Nazareno mentre la proposta al governo è stata attivata. Il nostro obiettivo è che essa venga dibattuta in una delle date della agenda del semestre italiano e come tale possa quindi proseguire come progettualità istituzionale”.

  • Come verrà finanziato l’Osservatorio?

“Per il momento si procede utilizzando la volontarietà di Innovatori Europei, che riunisce attorno a sé una serie di personalità che guidano Associazioni e primarie realtà di settore. Su come finanziarlo sarà lo stesso Governo a proporlo. A settembre verrà stilata una apposita  tabella di marcia”.

  • Il ruolo del mondo Imprenditoriale e Sindacale?

“Da molti anni ci adoperiamo affinchè il privato sociale diventi un percorso da  attualizzare insieme;  è comunque nostra intenzione, e lo si è visto già nella scelta dei relatori del convegno di giugno, portare il mondo della Impresa e del Sindacato più innovativo al centro di un dibattito sullo sviluppo delle economie reali nei territori italiani e di tutto l’Euro mediterraneo”.

  • Quali sono le iniziative che potrà prendere l’Osservatorio?

“L’Osservatorio è ricco di risorse umane. Al di là delle riflessioni tecniche ed economiche sul tema della infrastrutturazione e logistica euro mediterranea ogni ulteriore decisione scaturirà dall’esame di problematiche  condivise. Ci auguriamo comunque che l’avvio del progetto porti  fattibilità e occupazione”.

  • Il ruolo di Napoli?

“A Napoli esiste da anni un gruppo che collabora alla costruzione delle linee guida nazionali degli Innovatori Europei. L’idea è di sviluppare  una forte iniziativa attorno al tema  “Città – Porto intelligente””.

  • Il governo Renzi accetterà la proposta e la porterà in Europa?

“E’ l’augurio che facciamo a questo Governo perché anche in questo senso dimostri nei  fatti di essere innovativo e al passo coi tempi”.

www.innovatorieuropei.com

Auguri a Gianni Pittella, eletto nuovo capogruppo di Socialisti & Democratici

Oggi gli eurodeputati Socialisti e Democratici hanno eletto con larga maggioranza l’europarlamentare italiano Gianni Pittella nuovo Presidente del Gruppo S&D. Già Vice-Presidente del Parlamento, Pittella guiderà il secondo più grande gruppo politico del Parlamento Europeo, con 191 membri provenienti da tutti i 28 paesi dell’UE.

Dopo la sua elezione, il nuovo presidente del Gruppo S&D, Gianni Pittella, ha dichiarato:

“Sono orgoglioso di essere stato eletto presidente S&D. Questa è la prima volta che un italiano ricopre questo importante ruolo. Sarà una grande opportunità guidare questo forte gruppo politico progressista mentre iniziamo questa nuova legislatura.

“Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è un programma coraggioso e ambizioso per l’Europa e per dare all’UE un ruolo di primo piano sulla scena mondiale. Dobbiamo superare gli squilibri tra l’immagine di un’UE gigante economico ma nano politico.

“L’Europa deve dare risposte concrete al grande malessere che così tanti cittadini europei oggi sentono. Se vogliamo avere successo a livello globale nei prossimi anni, dobbiamo investire in ricerca e sviluppo e dobbiamo promuovere un’economia competitiva e sostenibile basata su un sistema di meritocrazia.

“È tempo per l’Europa di tornare alle proprie radici e rilanciare l’approccio comunitario e solidale.

Dobbiamo avere il coraggio di superare i nostri egoismi e lavorare insieme. Solo cooperando saremo in grado di affrontare problemi urgenti come le recenti tragedie dell’immigrazione accadute a Lampedusa e altrove. Dobbiamo essere pronti a rafforzare la solidarietà tra i diversi stati membri dell’UE.

“L’Europa deve essere dinamica e concentrarsi sui problemi comuni dei propri cittadini. Perché questo avvenga, dobbiamo assicurare che il Patto di stabilità e di crescita non sia applicato come un dogma intoccabile, ma come uno strumento flessibile per promuovere – nel rispetto dei Trattati – lo sviluppo, la crescita e l’occupazione.

“Solo agendo insieme possiamo essere forti e fare sentire la nostra voce nel campo della cooperazione economica, finanziaria, nelle politiche d’asilo e immigrazione o ambientali”.

Il Gruppo S&D accoglie nel Bureau il nuovo Vice-Presidente Knut Fleckenstein.

Con l’elezione del nuovo presidente del Gruppo S&D, il Gruppo ha anche eletto il sostituto di Gianni Pittella come Vice-Presidente S&D.

Il nuovo Vice-Presidente, che entrerà a far parte del Bureau, è l’eurodeputato tedesco Knut Fleckenstein.

Il Bureau S&D è composto da 11 membri con un Presidente, 9 Vice-Presidenti e il Tesoriere.

Proposta per il Semestre Europeo a guida italiana: Un Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee nel Mezzogiorno italiano

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Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese

Convegno 21 giugno 2014, Sede Nazionale Partito Democratico

   Una proposta per il Semestre Europeo a guida italiana

Un Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee nel Mezzogiorno italiano.

E’ ampiamente dimostrato che la Logistica e le Infrastrutture a essa connesse hanno rappresentato per alcuni Paesi europei un formidabile strumento di difesa contro la crisi economica che ha colpito il mondo.

Chi è stato in grado di captare rilevanti percentuali dei flussi mercantili mediterranei ha potuto godere dei benefici concessi dalle consistenti quote di valore aggiunto derivanti dal trasferimento dei beni dai luoghi di produzione ai consumatori finali, nonché della possibilità di operare su materie prime e semilavorati provenienti da Paesi extraeuropei, accrescendo così la competitività della sua industria di trasformazione.

La rivoluzione trasportistica basata sulla creazione della Rete Ferroviaria Transeuropea, così come auspicato dall’Ue, offre l’ulteriore possibilità di stimolare la crescita sociale ed economica dei territori attraversati dai grandi assi di trasporto. 

Nei prossimi decenni, l’Africa sarà sempre più considerata come un grande mercato in espansione, con tassi di crescita multipli rispetto a quelli europei. Ad essa guardano con rinnovato interesse i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo da Nord e da Est, pronti a utilizzare a proprio vantaggio i ritardi della Nazione che, geograficamente e storicamente, ha per millenni rivestito un ruolo baricentrico nell’interscambio commerciale mediterraneo, l’Italia.

Il nostro Paese si trova oggi di fronte a un bivio:

  • adeguare la propria rete trasportistica alle strategie del mercato globale facendo del suo Sud il principale driver di sviluppo commerciale europeo;
  • proseguire nell’attuale politica di rigore e marginalizzazione del Mezzogiorno, con il rischio di accentuare prevedibili tensioni sociali e politiche.

Una Politica che decida di imboccare la prima strada deve farlo con convinzione, chiarezza di obiettivi e in conformità a considerazioni metodologiche indiscutibili. Ciò si traduce nell’attivare una forte competizione con altri Paesi europei all’interno di un settore in rapida crescita, come quello della Logistica, e nel ricercare nuove e solide alleanze con chi mostra di volere accrescere il proprio peso nella gestione dei grandi flussi commerciali internazionali.

Il movimento associativo Innovatori europei, da sempre attento osservatore dei grandi fenomeni indotti dalla globalizzazione e delle sue conseguenze economiche, ha organizzato il Convegno del 21 Giugno scorso presso la sede nazionale del Partito Democratico al fine di raccogliere attorno a sé le tante voci del mondo scientifico italiano convinte dell’urgenza di avviare un epocale programma di sviluppo fondato sulle evidenze precedentemente accennate.

Un Governo che vuole realmente cambiare l’Italia non può non affrontare con determinazione questo audace viaggio verso il futuro, mostrando all’intero Paese di considerare il Mezzogiorno non più come l’inerte beneficiario di provvidenze fondate su criteri clientelari, ma come parte integrante del territorio nazionale, organica allo sviluppo di una nuova Italia.

La possibilità di porre fine a questa lunga fase di stagnazione dell’economia italiana, affrontando nel contempo con decisione il secolare tema della Questione Meridionale, rappresenta un’occasione irripetibile nella storia dell’Italia.

Né il reperimento delle risorse economiche e delle conoscenze tecniche e scientifiche indispensabili ad avviare questo grande progetto rappresenta un ostacolo insormontabile, come è stato dimostrato durante il Convegno.

La Logistica può rappresentare per l’Italia quello che il petrolio è stato ed è ancora per i Paesi arabi.

L’obiettivo principale resta quello di rendere vincente l’intero Paese, non di dare solo qualche chance in più solo ad una sua parte, per quanto importante possa considerarsi. Aspettiamo il potenziamento dell’Arco Ligure e del Veneto-Friulano consapevoli  che ciò, da solo, non potrà apportare una cambiamento radicale dei flussi mercantili  del Mediterraneo. Né una diversificazione dei ruoli degli scali italiani – a Nord i gateway e a Sud il transhipment – rappresenta una soluzione accettabile: il transhipment europeo non è in grado di competere alla pari con i porti africani, per ovvii motivi di costi ed economia.

A tal fine gli Innovatori Europei, movimento unitario che riunisce organizzazioni rappresentative nei settori interessati, si propongono quale collettore delle grandi risorse tecnico-scientifiche del Paese, al fine di coordinare un istituendo Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee in grado di approfondire e dettagliare – secondo le precise indicazioni del Governo – gli argomenti emersi in quella manifestazione.

Si propone dunque al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di inserire tale iniziativa nell’agenda del semestre europeo a guida italiana. La svolta europea che le forze politiche italiane più responsabili auspicano è subordinata alla individuazione per il nostro Paese di un ruolo da protagonista. Solo così l’Italia si potrà proporre quale forza progressista e visionaria capace di riattivare ripresa, occupazione, opportunità, competenze, tecnologie in una nuova era della conoscenza.

Roma, 28 giugno 2014

Gli Innovatori Europei

Allegato: Osservatorio Logistica e Infrastrutture Mediterranee (PDF)

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