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CAPITALI E TALENTI

TUTTO DIPENDE DALLE SCELTE DEI LEADER

di Francesca Cattozzo

Essere dentro o fuori dalla competizione globale è piena responsabilità dei leader. Capitali e talenti per realizzarsi hanno bisogno solo di regole chiare, semplici e soprattutto certe.

In un’intervista a Francesco Caio ex McKinsey, ex A.D. Omnitel, ex Merloni, ex Cable&Wireless e attualmente Vice Presidente della banca d’affari internazionale Lehman Brother di Londra, il mensile Business People affronta il tema della fuga dei manager italiani all’estero.

In Italia è vissuto come un fatto “normale” che un manger o una persona di talento per potersi esprimere nel pieno delle proprie capacità e competenze e per crescere professionalmente se ne debba andare all’estero “with compliments” ai Paesi riceventi. Così hanno fatto anche Vittorio Colao, numero due mondiale della Vodafone; Claudio Costamagna ex responsabile della Goldman Sachs, e numerosi altri prima e dopo di loro.

“Capitali e talenti per realizzarsi nelle loro massime potenzialità” afferma Francesco Caio “hanno bisogno di regole chiare, semplici e soprattutto certe . Se queste regole vengono cambiate in corsa, è evidente che si insinua la sfiducia nella solidità del sistema che genera incertezza la quale è nemica della crescita economica e sociale di un Paese. E direi anche della crescita personale del singolo”.

Caio evidenzia anche il fatto che in Italia le persone non vengono valutate per il merito ed i risultati, ma – nel pubblico come nel privato- le selezioni e le collaborazioni si basano su processi di cooptazione dove vincono le relazioni sulle competenze. Il tutto a discapito della competitività del Paese e del sistema impresa italiano. “Io sono per una economia di relazione” continua Caio “che sulla base di criteri oggettivi e ruoli chiari e inviolabili, selezioni il migliore”.

leaderNel mix di cultura americana ed europea di Paesi quali l’Inghilterra o gli USA non importa chi sei e da dove vieni, importa cosa vuoi e quanto sei disposto a impegnarti per raggiungere il tuo obiettivo. Funziona una sorta di meccanismo fondato sulla condivisione di valori e obiettivi che permette a chiunque di mettersi in gioco per cogliere le opportunità che gli si presentano. Gli ingranaggi sono: la meritocrazia e il pieno apprezzamento, la chiara definizione dei ruoli, la continuità nella comunicazione interna ed esterna, l’orientamento al mercato e al consumatore.

Non a caso l’economista Kjell Nordstrom, uno dei massimi esperti mondiali di business intervenuto alla conferenza di ottobre “Creare richezza in tempi rivoluzionari”, organizzata a Bologna da Mind Consulting Italia, ha definito gli USA “una grandissima idea su un pezzo di carta”.

La Cina, dove Nordstrom ha lavorato per 7 anni, ha un tasso di espansione del 10-11% annuo. I numeri della Cina sono equivalenti a 4 volte quelli degli USA + 2 volte quelli del Giappone. In questa espansione senza limiti, l’Europa assomiglierà sempre più al Lussemburgo del mondo; per vedere l’Italia servirà un microscopio.

Nonostante questo gli USA non temono la Cina. Gli USA erano già negli anni ’20 tra i primi 3 Paesi più ricchi al mondo e ora mantengono il primato in numerosi settori: dai nobel, alle università, al settore del software e dell’intrattenimento. Il Prof. Nordstrom afferma con certezza che gli USA continueranno a dominare questi settori anche per gli anni venire. La grande idea sta nel far arrivare i migliori talenti da tutto il mondo, metterli nelle migliori condizioni operative, strapagarli e formare leader e manager in grado di saperli gestire e trattenere.

i nuovi condottieriLa medesima mossa la potrebbe fare qualsiasi azienda in Italia. Selezionare i migliori talenti per ogni ruolo e non i più vicini o i più parenti, coinvolgerli, motivarli, strapagarli e mettere fuori un’insegna: “SONO IL NUMERO UNO”. In fin dei conti questo è ciò che avviene già nello sport: le squadre di calcio per esempio, o quanto è avvenuto per un’equipaggio delle alpi svizzere che ha vinto l’American’s Cup – Alinghi.

Le aziende che ce la fanno oggi sul mercato sono quelle che prima scelgono “chi”, le persone giuste, e poi “cosa”, gli obiettivi da perseguire per sviluppare capitale.

Determinante nella scelta di un simile gioco applicabile nell’economia, come nella politica, nell’istruzione o nello sport è la figura del leader. Oggi la leadership dei grandi numeri internazionali non è più una posizione, ma è la scelta di questo tipo di gioco.

Ken Blanchard pensatore di spicco molto ricercato nel campo del management sostiene che “questa è la prima volta nella storia imprenditoriale, in cui oggi puoi essere fortissimo in quello che stai facendo, ma domani essere tagliato fuori”.

Una volta che si sceglie di essere dentro il gioco è necessario saperlo condurre usando le regole degli USA e dell’Inghilterra. Gli ingranaggi che fanno funzionare il meccanismo.

Paolo Ruggeri, Responsabile R&D di Mind Consulting nel suo best seller dal titolo “I nuovi condottieri” descrive molto bene la nuova responsabilità dei leader: “Sono i collaboratori a possedere oggi i mezzi di produzione più rilevanti nella creazione di ricchezza e ogni imprenditore e ogni manager, che lo voglia o no, si trova a fare i conti con questa nuova realtà profondamente diversa dalla realtà del passato. L’individuo acquista sempre più potere e libertà e anche i collaboratori alla pari dei nostri clienti, decidono se e come lavorare con noi in funzione della motivazione”

Gli individui di talento sono monopoli portatili con passaporti globali. Controllano il segreto della competitività, la risorsa più scarsa: la competenza. Manager e politici dovranno imparare come affrontare la gente che è libera di conoscere, andare, fare ed essere.

Francesca Cattozzo

LE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE

Sfide attuali ed emergenze sociali, ecologiche, culturali

di LAURA TUSSI

Nel lessico di fine millennio si fa strada questa domanda nuova che, a causa degli abusi quotidiani, rischia di risuonare senza un preciso significato: come si coglie la reale complessità della globalizzazione e come ci si misura con le sue sfide?
Si evidenziano gli errori di un globalismo semplificato e si rivendica anche una “politica della globalizzazione” capace di rispondere a emergenze ambientali e sociali non più governabili a livello nazionale: i rischi della globalizzazione possono mobilitare nuove energie, favorendo la nascita di una “seconda modernità”. Nell’accezione economica, la globalizzazione è contestata da alcuni movimenti no-global e new-global. (v. anche Popolo di Seattle, No logo), mentre è fortemente sostenuta dai gruppi liberisti, libertari e anarco-capitalisti.
I dibattiti riguardo il suo effetto sui paesi in via di sviluppo sono infatti molto accesi: secondo i fautori della globalizzazione, questa rappresenterebbe la soluzione alla povertà del terzo mondo. Secondo gli attivisti del movimento no-global invece essa non farebbe altro che impoverire maggiormente i paesi poveri, in favore delle multinazionali.
I dati forniti dalle scienze sociali indicano però che la globalizzazione non ha reso nel complesso i paesi più poveri, ma nemmeno ha grande influenza nella riduzione della povertà. Hanno invece effetto decisamente maggiore alcuni miglioramenti interni, quali sviluppo della rete infrastrutturale, il perseguimento della stabilità politica, le riforme del sistema agrario e miglioramento dell’assistenza sociale. Effetti indiretti della globalizzazione sono le ripercussioni sull’ambiente e sull’inquinamento dell’aria, causate dall’industrializzazione e dall’aumento dei trasporti.

Contribuenti virtuali

Uno degli aspetti più interessanti della globalizzazione è la tendenza a collocare il politico al di fuori dello Stato-Nazione. Le imprese e le loro associazioni hanno conquistato il potere d’azione, finora addomesticato con la politica dello Stato sociale del capitalismo. Con la globalizzazione, le imprese sono arrivate a detenere un ruolo chiave non solo nell’organizzazione dell’economia, ma anche in quella della società nel suo complesso. L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti degli Stati-Nazione e della loro economia nazionale.
Il potere delle imprese internazionali si fonda sulla possibilità di esportare i posti di lavoro dove ciò è più conveniente. Le imprese possono dividere prodotti e servizi e distribuire il lavoro in posti diversi, servendosi di Stati-Nazionali piuttosto che di altri così da trovare le più convenienti condizioni fiscali. Le stesse possono distinguere autonomamente tra luoghi di investimento, di produzione, sede fiscale e servirsene l’uno contro l’altro. Tutto ciò avviene senza un dibattito in parlamento, senza una decisione governativa o mutamenti legislativi: da qui il concetto di sub-politica. Quello dell’imposizione fiscale, il principio dell’autorità dello Stato-Nazione è esplicativo di come le imprese internazionali minino l’autorità statale, potendo permettersi di fuggire alle imposizioni fiscali, pagandole, tramite gli scorpori, dove più conviene loro: i capitalisti sono contribuenti virtuali.

Globalismo, globalità e globalizzazione

Con il termine globalismo è indicato il punto di vista secondo cui il mercato mondiale sostituisce l’azione politica, che riduce la multidimensionalità della globalizzazione ed i suoi aspetti ecologici, sociali, culturali ad una sola dimensione, quella economica. Non si vuole negare o ridurre il significato centrale della globalizzazione economica, ma con il termine globalismo si sottolinea l’eliminazione della differenza, fondamentale nella prima modernità, tra politica ed economia. Il globalismo ritiene che uno Stato proceda diretto come un’azienda. Interessante come il globalismo, così inteso, finisca con l’attrarre anche i suoi avversari dando vita ad un globalismo che si opponga, convinto comunque del dominio non eliminabile del mercato mondiale che si rifugia nelle diverse forme di protezionismo. I protezionisti neri piangono la perdita del significato di nazione, ma sollecitano, contraddicendosi, la distruzione neoliberale dello Stato-Nazione. I protezionisti verdi scoprono lo Stato-Nazione come difensore dell’ambiente. I protezionisti rossi rispolverano la lotta di classe e la globalizzazzione serve per ribadire le loro ragioni.
Da tempo viviamo in una società mondiale, dove nessun paese, nessun gruppo può isolarsi dall’altro. Per società mondiale si intende l’insieme dei rapporti sociali che non sono integrati nella politica dello Stato-Nazione.
La globalizzazione è intesa come il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e le loro sovranità vengono condizionati da attori transnazionali. Una differenza essenziale tra la prima e la seconda modernità è la irreversibilità della globalità e, a tal proposito, solo acquistando la prospettiva della multidimensionalità della globalità si smentisce che il globalismo sia nella natura delle cose; le diverse logiche particolari della globalizzazione ecologica, culturale, politica, devono essere decifrate e comprese nelle loro interdipendenze. La globalità risulta irreversibile per varie ragioni come la crescente interazione del commercio internazionale, le connessioni globali dei mercati finanziari, la crescita delle imprese transnazionali, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le rivendicazioni dei diritti umani che si impongono universalmente, i flussi di immagine dell’industria culturale globale, gli attori transnazionali sempre più potenti, accanto ai governi, la povertà globale, la distruzione globale dell’ambiente, i conflitti transculturali locali.
Come un container, lo Stato simula un’unità territoriale in cui le categorie dell’auto-osservazione statale divengono le categorie delle scienze sociali empiriche, così che le decisioni sociologiche della realtà finiscono per confermare la descrizione che lo Stato attribuisce a se stesso. In base a questa teoria le società presuppongono il dominio statale dello spazio, per cui le società sono subordinate allo Stato; la politica non risulta collegata alla società, ma allo Stato; l’omogeneità interna delle società è una creazione del controllo statale.
Wallerstein individua il motore della globalizzazione nel capitalismo, sostituendo l’immagine di singola società separata con l’immagine di un sistema-mondo nel quale tutti devono collocarsi e affermarsi in una divisione del lavoro. L’economia mondiale capitalistica consiste in un unico mercato dominato dal principio della massimizzazione del profitto, dalla presenza di strutture statali ( che tendono a incrementare i guadagni di gruppi particolari) e dall’appropriazione del plus-lavoro in virtù di uno sfruttamento che comprende tre livelli: spazi centrali, semiperiferie e paesi periferici. Nel sistema-mondo pensato da Wallerstein si acuiscono i conflitti perché crescono le diseguaglianze.
Anche Rosenau rompe con il pensiero nazional-statale, ma non si avvicina al concetto di sistema-mondo, bensì distingue due fasi della politica internazionale e individua la globalizzazione come il superamento della politica internazionale. Adesso è cominciata la politica postinternazionale nella quale gli Stati devono dividersi il potere con organizzazioni internazionali, gruppi industriali, nonché con movimenti politici trans-nazionali.
Con Rosenau si può parlare di politica mondiale policentrica nella quale tutti gli attori (il capitale, i governi, la Banca Mondiale, Greenpeace) lottano gli uni contro gli altri per imporre i propri interessi. Nel quadro di questa politica mondiale policentrica si distinguono le organizzazioni transnazionali che agiscono in collaborazione o scontrandosi, i problemi transnazionali (clima, AIDS, denutrizione) che determinano l’ordine politico attuale, gli eventi transnazionali (mondiali di calcio, guerra nel Golfo, in Iraq) che provocano turbolenze nei diversi continenti e le comunità transnazionali, basate sulla religione, sul sapere, sugli orientamenti politici.
Lo sviluppo del mercato mondiale ha profonde conseguenze sulle culture e sugli stili di vita. Questa globalizzazione culturale consiste nella fabbricazione di simboli culturali e in una loro sempre più estesa convergenza: sembra sorgere un unico mondo di merci nel quale gli unici simboli sono quelli del capitalismo e del consumismo. Il locale e il globale non si escludono, al contrario il locale deve essere appreso come un aspetto del globale. Globalizzazione significa anche unirsi, l’incontrarsi di culture locali e perciò Robertson propone il termine glocalizzazione.
Secondo Smith il concetto di “nazionalismo metodologico” ben caratterizza il modo di intendere la società e lo Stato nella prima modernità: essi vengono pensati, organizzati, vissuti come sovrapponibili. Lo Stato territoriale diviene il container della società. Queste società nazional-statali conservano nella vita quotidiana identità fondamentali, la cui ovvietà sembra formarsi su formulazioni tautologiche (es. i Tedeschi vivono in Germania, se esistono ebrei neri ecc…) di normale disordine mondiale, viene recepito in questo orizzonte come una vera minaccia. Questa architettura di pensiero degli spazi e delle identità nazionali si infrange contro la spinta della globalizzazione economica, culturale nel rapporto fra la prima e la seconda modernità in cui non abbiamo più un’etica che detta le regole, ma che le muta; una politica caratterizzata dalla nuova disputa del potere fra attori nazionali e attori transnazionali.
Uno degli aspetti interessanti di questa seconda modernità è il modello coalizzativo di politica diretta globale, che porta a formare alleanze tra coloro che normalmente erano opposti: i gruppi industriali mondiali e i governi nazionali sono sottoposti all’opinione pubblica mondiale e il cittadino scopre che l’atto d’acquisto può essere un atto politico.

La globalizzazione biografica

La poligamia di luogo porta a essere legati a più luoghi che appartengono a mondi diversi; questa sorta di globalizzazione biografica significa che i contrasti del mondo non hanno luogo solo là fuori, ma al centro della nostra vita, in famiglie multiculturali, in azienda o nella cerchia degli amici.
Il passaggio dalla prima alla seconda modernità è segnato anche da questo passaggio dalla monogamia alla poligamia di luogo.
Viviamo in una società mondiale multidimensionale nella quale non vi è però uno Stato mondiale e un governo mondiale e dove è sorto un capitalismo globale disorganizzato.
Il globalismo ha prodotto vari errori quali la metafisica del mercato mondiale, ossia la riduzione della complessità del fenomeno alla sola dimensione economica ridotta a società mondiale del mercato.
Il libero mercato mondiale a cui il globalismo leva un inno sostiene che l’economia globalizzata porterà benessere a tutti. Si trascura intenzionalmente il fatto che viviamo lontano da un modello di libero mercato: affermare che il mercato mondiale rafforza la competizione e comporta un abbassamento dei costi è una affermazione cinica la quale non tiene conto che l’abbassamento dei costi viene ottenuto tramite l’abbassamento degli standard di produzione e di lavoro umani.
Con l’internazionalizzazione e la non globalizzazione si può notare un rafforzamento dei rapporti commerciali transnazionali fra determinate regioni del mondo, America, Asia, Europa, per cui più che di globalizzazione si può parlare di triadizzazione dell’economia. Il globalismo trae il suo potere solo in piccola parte dal suo effettivo verificarsi e perlopiù dalla messa in scena della minaccia, ciò da cui le imprese transnazionali traggono il loro potere è una specie di società del rischio. Il globalismo neoliberale è una manifestazione politica che però si esprime in modo impolitico, non si agisce, ma si ubbidisce alle leggi del mercato mondiale.
La globalizzazione economica non è un meccanismo, non è qualcosa che va da sé, ma è un progetto politico di attori, istituzioni, coalizioni transnazionali.
I più credono che se alla società dei consumi viene a mancare il lavoro salariato, si ha una catastrofe. D’altronde la sostituzione della forza-lavoro con la produzione totalmente automatica, compiuta nel modo giusto, potrebbe offrire possibilità finora inimmaginabili: esse però devono essere colte e realizzate politicamente. Il globalismo neoliberale però diffonde paura e paralizza politicamente, per cui se non si può far nulla allora almeno bisogna proteggersi, con reazioni protezionistiche.
Le risposte alla globalizzazione possono essere la cooperazione internazionale, lo stato transnazionale, il riorientamento della politica della formazione, e l’alleanza per il lavoro d’impegno civile.

ATTO ESTREMO

di Aldo Perotti

Da “laRepubblica” del 28/05/2005

TOKYO – Il ministro giapponese dell’Agricoltura, Toshikatsu Matsuoka, si è tolto la vita. E’ stato trovato impiccato in un alloggio per parlamentari a Tokyo nel centralissimo quartiere di Akasaka. Ricoverato in gravi condizioni all’ospedale dell’Università Keio, è spirato poco dopo. Matsuoka, 62 anni, era coinvolto in diversi scandali finanziari. Nel pomeriggio di oggi avrebbe dovuto partecipare a una riunione di una commissione del Senato. E’ il primo caso di suicidio di un ministro nipponico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (segue). LINK

Ci si domanda sempre in questi casi: si è ucciso perché colpevole o perché innocente?
Il suicidio è una soluzione drastica e rappresenta una via d’uscita ad una situazione insostenibile.
Mi domando anche di chi è la colpa. Una persona che arriva al suicidio da colpevole deve in qualche modo riconoscere di aver fatto uno sbaglio irreparabile e di aver offeso o danneggiato gli altri e se stesso da dover rinunciare per sempre a qualsiasi relazione. Se una persona arriva a tale analisi è chiaramente oppresso da un terribile senso di colpa e sa di aver sbagliato. Allora ci si domanda, perché una persona capace di un tale senso di colpa sbaglia ?
Dall’altro lato un’innocente che si suicida lo fa perché si sente disarmato ed incapace di far valere le proprie ragioni. Nei casi in cui non si ha modo di interagire non si può che sbattere la porta e andarsene. Il suicidio è il modo più eclatante di sbattere la porta (come Catone).
Il suicida, ma anche l’autoesiliato, colpevole o innocente che sia, lancia un messaggio di accusa alla società che lo ha portato in una condizione di non ritorno.

Anche nel nostro paese abbiamo avuto casi del genere (ricordate tangentopoli).
E’ però molto tempo che nessuno si suicida eppure di personaggi coinvolti in scandali finanziari ne abbiamo avuti parecchi e parecchi pure colpevoli.

Probabilmente il senso di colpa, ovvero la forte responsabilità delle proprie azioni e dei propri errori, è qualcosa che nel nostro paese si sta perdendo. Anche la più profonda ed insostenibile vergogna ha ceduto il passo all’arroganza ed all’impunità.

Nell’antichità, altri tempi, chi sapeva di aver sbagliato e veniva a sapere che presto avrebbe incontrato la legge o la parte offesa, faceva spesso la cortesia di farsi trovare morto (Bruto, Cassio).

AMMINISTRATIVE: TEST IMPORTANTE

di Massimo Preziuso

Non so voi, ma io credo che questo delle amministrative sia un test molto importante.

E credo che, sebbene ci siano diversi motivi perchè un elettore poco analitico (poco propenso a guardare in un’ottica di lungo periodo) possa abbandonare il Centro Sinistra, questo non avverrà: lo sapremo nelle prossime ore!

Comunque vada, questo Governo dovrà subito cominciare a dedicarsi alla risoluzione di “fatti percepiti concretamente dal cittadino-elettore”, altrimenti la nave ballerà.

Questo primo anno è stato buono da un punto di vista di risoluzione di problemi macro (vedi il Debito pubblico che inizia a prendere la strada della discesa, vedi l’inizio delle liberalizzazioni):
è ora necessario adottare politiche che migliorino la vita dei cittadini nell’istante stesso in cui entrano in vigore (riduzione tasse, intensificazione della lotta all’evasione, sicurezza dei cittadini, infrastrutture, traffico nelle città..) e aprire concretamente a GIOVANI E DONNE, i più delusi per tante ragioni.

Io sono fiducioso…voi?

CERCASI REFERENTI TERRITORIALI

Cari amici: Innovatori Europei è arrivato ad un momento importante.

Dopo una prima fase di Start Up (durata 6 mesi), adesso è il momento di radicarci di più nei territori.

Chiediamo, allora, agli amici interessati, di inviarci una propria candidatura per rappresentare il Gruppo (e la sua mission) nel proprio territorio.

Scriveteci in tanti!: è davvero il momento di partecipare!

LISTA “GIOVANI” ALLE PRIMARIE

Finalmente ci rendiamo conto di dover fare Lobby anche noi.

da Repubblica

La delusione per la mancanza di under 30 dal Comitato dei 45 del futuro Partito Democratico

Arrabbiatissimi. Furenti. Delusi. Tanto che adesso affilano le armi per una «vendetta»: presentare il 14 ottobre (primarie del Pd) la loro lista. Tutta di giovani. Pina Picierno, segretaria nazionale giovani Dl, e Fausto Raciti, suo omologo per i Ds, ci stanno pensando dall’altro ieri, giorno di ufficializzazione del Comitato dei 45. Da allora sono sul piede di guerra: tra i prescelti, infatti, non figura un solo under 30. E questa decisione ha fatto esplodere proteste un po’ dappertutto.

In Piemonte i giovani dl hanno annunciato di essere pronti «a restituire le tessere a Roma per i metodi seguiti. Che hanno portato all’assenza di giovani e di esponenti piemontesi». In Calabria, invece, i giovani dl hanno deciso «di autosospendersi dal partito». Come spiega Luigi Madeo, calabrese e responsabile nazionale organizzativo della Margherita: «Loiero inserito nel Comitato? Siamo a disagio. Non sono rappresentati né i Ds né i Dl calabresi. E invece è entrato lui, l’uomo dello strappo. Per non parlare della mancanza di giovani. Noi contestiamo il metodo usato. La nostra sfida? Sarà alle primarie, sperando che facciano un regolamento che ci consenta di partecipare».

Mal di pancia anche in Sicilia. E in Lombardia, dove ieri, al congresso regionale dei giovani dl, c’era grande delusione per la scelta di escludere gli under 30 dal Comitato. Spiega Pina Picierno: «È stata un’assurdità. Le donne, invece, che hanno fatto lobby, poi alla fine l’hanno spuntata. E noi ragazzi? Noi che lavoriamo dentro i partiti, o anche fuori, e che abbiamo meno di 30 anni? Niente. Cancellati. Ma il Pd non doveva essere il partito dei giovani? Invece qui l’età media supera il mezzo secolo. Complimenti per il coraggio». La pupilla di Ciriaco De Mita, vicina anche a Dario Franceschini, non ha voglia però di attaccare a muso duro i big dl. Però chiarisce che la protesta non si fermerà qui. E avverte: «Ora il nostro percorso per la Costituente sarà autonomo e molto diverso. Sarà veramente aperto, inclusivo, e darà spazio a chi ha voglia di partecipare».
Fausto Raciti, leader della Sinistra giovanile, usa toni simili a quelli di Picierno: «Siamo davvero arrabbiati, è ovvio. Ma alla Costituente del Pd ci faremo prendere in considerazione, ne siano pur certi. Intanto stiamo organizzando la prima assemblea nazionale dei giovani del Pd, a giugno, a Roma. Ma resta tutta la nostra preoccupazione per il sistema usato: vuol dire che si sono solo riempiti solo la bocca, finora, con la parola “giovani”. Ma poi alla fine nel Comitato dei 45 hanno inserito solo i professionisti della società civile. Non ci sono i giovani, quindi, ma c’è Slow Food. E ci sono Dini e Amato. Complimenti davvero».

Raciti però non ci sta ad accettare le decisioni delle segreterie nazionali: «Noi non vogliamo i giovani cooptati, come dice Parisi, e per questo il 14 ottobre ci misureremo candidandoci. Ma per far questo ovviamente chiediamo regole certe. Primo: confermare il voto per chi ha 16 anni; secondo: gli under 30 devono poter votare al prezzo di 1 euro; terzo: seggi aperti anche davanti a tutte le scuole e le università. E vediamo, poi, alla fine chi la spunta. Perché siamo proprio stufi di fare sempre e solo i donatori di sangue».

Angela Frenda

INIZIATIVA PD A LAURIA (PZ)

“QUALE PARTITO DEMOCRATICO?”

Lauria, 26 maggio ore 18.00 (presso Hotel Isola)

Introduzione di Maria TURI (Ass. Partito Democratico Lauria)

Ne discutono:

Alfonso ANDRIA (deputato al Parlamento europeo, Gruppo ALDE)

Romualdo COVIELLO (Presidente Associazione Partito Democratico della Basilicata);

Gianni PITTELLA (Presidente Delegazione Italiana Gruppo PSE al Parlamento europeo)

INIZIATIVA SU PD: ROMA, 2 GIUGNO

Sabato 2 Giugno 2007 – Roma

Il prossimo 2 Giugno, nel pomeriggio, si terrà a Roma un’iniziativa per il Partito Democratico organizzata dall’Associazione Nazionale per il Partito Democratico, insieme ad altri movimenti e singoli cittadini.

Interverrà, tra gli altri, il Presidente del Consiglio Romano Prodi.

Il programma dell’iniziativa sarà disponibile a breve.

CRISI POLITICA? NO, DEI VALORI

di Aldo Perotti

E’ vivace in questi giorni il tema della crisi della politica, i suoi costi, la rappresentatività, lo scollamento tra il paese e la sua classe dirigente.

Si accavallano le proposte, le idee, i timori, si disegnano scenari a tinte più o meno fosche e si dimentica che alla base di tutto non ci sono situazioni contingenti, questioni di parte, problemi economici, ma solo una profondissima crisi di valori.
Cosa sono i valori ? Borsa valori.. gioielli e valori… valoroso.

Il valore è un sostantivo essenzialmente astratto associato a cose concrete che vuole individuare nelle cose, ma anche nelle persone, qualcosa di non immediatamente percettibile che va al di là della sostanza fisica. L’oro è un metallo come gli altri metalli… ma diverso è il suo valore.

Il valore è a volte qualcosa di inaspettato, di nascosto.

I valori sociali, sui quali voglio porre l’attenzione, sono quindi degli attributi della società non immediatamente evidenti eppure riconoscibili e comparabili.

La “comparabilità” è una caratteristica del valore, da cui i valori fondamentali (che sono alla base ma in realtà sono quelli che superano tutti gli altri); e quindi quelle cose che non sono più un valore (come ad esempio la verginità), fino a giungere ai dis-valori (valori negativi).

Nel corso della storia alcune caratteristiche della società, alcuni attributi in genere astratti hanno acquisito la definizione di “valori” in quanto ritenuti fatti positivi o condizioni preferibili.

Buttiamone là tre, credo parecchio noti: libertà, uguaglianza, fraternità.

Sono tre attributi di una società, dei valori sociali, si direbbe, incontestabili.

Purtroppo assistiamo invece all’offuscamento di questi concetti nel sentire comune. L’idea di libertà, il concetto di uguaglianza, il sentimento di fraternità, appaiono offuscati, dai contorni indefiniti. Da questo deriva la loro crisi.

La libertà senza limiti diventa caos e disordine (che sono disvalori). Se qualcuno afferma “troppa libertà !” appare evidente che è la definizione stessa di libertà che non è più chiara, che è in crisi.

La libertà è quindi un valore in crisi in quanto snaturato, confuso, mescolato con fattori estranei.
Lo stesso per gli altri (già da tempo decaduti).

Ormai l’essere tutti uguali, o tutti fratelli, non rientra proprio tra le massime aspettative dell’uomo contemporaneo che invece fa della differenza, della distinzione e spesso della prevaricazione i suoi baluardi.

Possiamo oggi essere uguali (o fratelli) quando nel nostro paese le distanze in termini economici si fanno abissali, quando l’oligarchia politica ed economica non fa che evidenziare la propria “disuguaglianza” dal resto del paese attribuendosi compensi esorbitanti oppure autoassolvendosi da qualsiasi colpa o nefandezza.

Possiamo essere “uguali” quando chi evade è un furbo, chi non lavora e ruba lo stipendio pure, chi serve lo Stato è comunque un “fannullone” , chi vive onestamente del suo lavoro è, se va bene, un semplice “fallito” se non un “morto di fame” (spesso è cosi che i furbi considerano i “non furbi”) ?

Venuti meno i valori della Rivoluzione Francese tutto quello che ne è seguito rischia di subire un brutto colpo. La storia insegna che le dittature, i totalitarismi, trovano ampi spazi in un mondo in cui i fondamentali dello stato moderno sono sminuiti e messi in discussione.

Se vogliamo salvare il nostro paese dovremmo tutti pensare ad un bel ripasso di storia.

Nei momenti difficili è bene ricordarsi del percorso che ci ha condotto fino a dove siamo ora e ripercorrerlo passo passo. E’ per quella strada che troveremo la soluzione.

LETTERA AL PRESIDENTE PRODI

Mandala anche tu, o esprimi le tue considerazioni, SCRIVENDO AL PRESIDENTE PRODI

Egregio Presidente Prodi.

Credo di parlare a nome di tutti i giovani Under 35 che hanno letto oggi l’elenco degli illustri personaggi che comporranno il Comitato Promotore del Partito Democratico.

Il problema è che in quella lista non è presente nessuno di Noi.

Mi è bastato un giorno, girando per la rete, per capire che tutto questo ha accresciuto malumore tra “quei giovani, e sono tanti, che stanno partecipando con impegno ed entusiasmo a questo importante processo storico”.

Allora Le chiedo: perchè non aprire finalmente le porte della politica (del Comitato) almeno ad uno di noi?

Davvero non mi spiego il perchè di questa chiusura verso il “futuro”.

Non si fa che parlare di giovani.

Eppure nessuna scelta concreta viene assunta a riguardo.

Cordialmente.

Massimo Preziuso

Innovatori Europei – Giovani e Donne

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