innovators
BASTA CON LE IMPOSIZIONI
di un Redattore Anonimo
La logica dell’imposizione partitica spero sia finita.
Con questo non voglio polemizzare con Ds e Margherita, ma voglio soltanto confermare quello che il Partito Democratico, ormai nato, deve dimostrare: novità! Novità, significa che in un Paese come il nostro in cui i conservatori ci sono e sono anche tanti, bisogna iniziare ad operare secondo logiche di necessità e non di convenienza. Urge una innovazione dal punto di vista politico, è impensabile che in Parlamento così come nei Consigli Regionali si legifera poco, anzi pochissimo. Questo purtroppo è un dato oggettivo che, per quanto concerne il Parlamento è dato dall’inefficienza della Legge Elettorale, per quanto riguarda i Consigli Regionali, è dato dalle solite lotte intestine dei partiti che compongono una coalizione.
Sosteniamo candidati giovani, sosteniamo amministratori giovani.
Enrico Letta, così come la Bindi e gli altri candidati rappresentano la novità.
Mi auguro che l’imposizione in politica sia un brutto ricordo.
Cari amici Innovatori, dobbiamo promuovere noi quella concertazione tale da far sì che la scelta di una persona rappresenti il punto di arrivo o di una consultazione o di un ragionamento condiviso.
Sursum Corda!
ENRICO LETTA SCENDE IN CAMPO?
Martedì si dovrebbe candidare un altro nome importante che arricchisce la competizione per le elezioni di Ottobre.
«Io e i giovani targati anni ’80»
da Corriere.it
Enrico Letta scende in campo per il Pd Il sottosegretario scioglierà la riserva martedì: «Firmo per il referendum, il voto va cambiato»
ROMA — Enrico Letta ha vissuto un mese intenso. Durante la settimana, la trattativa sulle pensioni. Nei weekend, l’ascolto in giro per il Paese. Oggi firmerà il referendum: «Penso sia lo stimolo giusto perché il Parlamento approvi una legge elettorale sul modello tedesco, quello vero, con una soglia di sbarramento non fittizia». Dopodomani annuncerà la sua decisione sulla candidatura alla guida del partito democratico. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha davanti a sé le ultime 48 ore di riflessione, ma è evidente che ormai non potrà sottrarsi.
«È stato davvero un mese importante, decisivo — racconta dalla sua Pisa, di ritorno da Torino e Genova e in partenza per l’Abruzzo —. Non ho viaggiato solo nel Nord-Est, in Veneto e nel Trentino di Lorenzo Dellai, una delle persone con cui mi trovo più in sintonia; sono stato anche nel Mezzogiorno, a Bari e a Napoli. E poi in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana. Devo dire che dappertutto, sia dagli imprenditori, sia dagli amministratori, e anche dai presidenti della Sardegna Soru, delle Marche Spacca e della Basilicata De Filippo, sia dai giovani è arrivata un’indicazione univoca: la richiesta di primarie vere. Dai miei interlocutori è venuta una spinta molto forte a decidere per il sì. Le primarie sono belle quando non c’è un leader designato, ma tante candidature. Certo: sarebbe faticoso. Si tratterebbe di trovare 2500 candidati in tutta Italia; se ho atteso a lungo, è anche perché ci sono grandi difficoltà organizzative da superare». Ma non è soltanto questo. «L’incertezza, il dubbio, sono una delle categorie umane più importanti e positive. Questo mese mi è servito anche a riflettere sulle attuali difficoltà del centrosinistra e su come dovrà essere il partito che nascerà il 14 ottobre». A chiedergli cosa lo divida da Veltroni, dalla Bindi, da Colombo, Letta risponde in due modi. Evitando la contrapposizione diretta. Ma distinguendosi, con un’idea del partito democratico legata alla propria formazione e anche alla propria generazione.
«Walter, Rosy, Furio hanno fatto benissimo. Sono loro grato. Decidendo di candidarsi hanno deciso di rischiare, e quindi ci hanno dato una lezione perché il rischio è il seme della politica. Sono tre personalità che stimo, pur avendo con loro rapporti e consuetudini diverse. Ma la logica delle primarie impone a chi pensa di aver qualcosa da dire in più, di avere qualcosa di positivo da portare, di farlo con la candidatura». Una lista con il proprio nome in appoggio a un altro può non essere sufficiente: «La via maestra è metterci la propria faccia. Prendiamo le primarie negli Stati Uniti. Se due anni fa i dirigenti del partito democratico americano si fossero riuniti e avessero designato, ad esempio, Hillary Clinton, convincendo gli altri candidati a ritirarsi, le primarie sarebbero state molto meno coinvolgenti di quanto non siano con Obama ed Edwards in campo».
Senza considerare che in Italia esiste una questione specifica, quella generazionale. «C’è una generazione tra i trenta e i quarant’anni che nella politica è poco rappresentata, come denuncia Adinolfi. Certo non mi rivolgo soltanto ai miei coetanei. Ma non mi chiamo fuori: di quella generazione faccio parte; e credo che abbia molto da dare, soprattutto al partito democratico. Perché il Pd è il primo partito postideologico. E noi siamo la prima generazione postideologica. Ci siamo formati negli anni Ottanta; anni bistrattati, che in realtà sono stati straordinari. E non soltanto per la musica, la tv, il cinema, il design. Non è vero che siano stati soltanto gli anni del riflusso; la formazione di chi era ragazzo allora è stata forse più equilibrata di quella della generazione precedente. Questo ci rende per certi aspetti più liberi». Gli esempi che si potrebbero fare sono molti. «Aver cominciato a seguire la vita pubblica dopo la crisi delle ideologie ci ha avvantaggiati. Non essendoci mai illusi, non abbiamo vissuto la fase della disillusione». Da qui un atteggiamento più equilibrato, anche nei confronti dell’America: «Prima di noi è cresciuta una generazione critica, e anche giustamente: erano gli anni del Vietnam. Qualcosa di simile sta accadendo ora con l’America di Bush che scatena la guerra in Iraq. Per noi l’America era il grande avversario dell’Unione sovietica, un Paese che davvero non esercitava su di noi alcuna attrattiva, così come la Cina postmaoista. Abbiamo amato gli Stati Uniti, fin da subito; e questo ci rende liberi, quando occorre, di criticarli». Letta si guarda dall’impostare il suo progetto sulla contrapposizione generazionale, tanto meno di ergersi a portabandiera di trentenni e quarantenni.
L’obiettivo è prendere il meglio di un’esperienza e di una formazione, e portarlo nel Pd. «Vorrei fare in modo che il nuovo partito sia costruito un po’ come l’enciclopedia Wikipedia, un po’ come un quadro di Van Gogh. Come accade con Wikipedia, anche nel Pd ognuno delle centinaia di migliaia di partecipanti deve portare il proprio contributo, le proprie competenze, che in certi campi sono di sicuro maggiori delle mie e di quelle dei leader del centrosinistra. E, come i quadri di Van Gogh, il nuovo partito deve avere tinte forti: un giallo che sia giallo, un blu che sia blu. Non deve porsi per prima la questione della mediazione, che è importante, ma dovrà seguire; il Pd deve innanzitutto dire la sua». Letta dirà la sua già oggi sul referendum. «Firmo». A ricordargli che in molti nel Pd hanno esitato a sostenere il referendum nel timore di destabilizzare il governo, risponde che «l’unico modo per indurre il Parlamento ad approvare una nuova legge elettorale è creare un vincolo esterno. Come accadde all’inizio del decennio scorso, quando il referendum costrinse le Camere a varare la legge Mattarella, di cui solo ora si comprende il valore. Magari la si potesse ripristinare. Purtroppo la legge Calderoli ha creato un sistema, con il Parlamento nominato dai capi partito anziché eletto dal popolo, che va assolutamente smantellato». E siccome la nuova legge avrà bisogno di un vasto consenso, «l’unico modello che può avere una larga maggioranza e nello stesso tempo combattere la frammentazione e difendere la governabilità è il sistema tedesco. Credo anche sia il modello che meglio si adatta alle esigenze del partito democratico». A chiedergli se la nuova leadership del Pd non indebolirà il governo in carica, Letta ha uno scatto: «L’accordo sulle pensioni dimostra che il governo Prodi c’è, eccome».
Letta ne è molto soddisfatto, anche pensando alla propria generazione: «È stata una prova di riformismo dei fatti, non delle parole. Certo, tutto è perfettibile. Ma abbiamo raggiunto tre obiettivi. Tutelare i giovani e i precari, con il riscatto della laurea, la totalizzazione dei contributi per evitare che un solo euro versato vada sprecato, e i contributi figurativi per garantire i collaboratori a progetto. Aumentare le pensioni più basse. E assicurare la tenuta del sistema previdenziale nel modo imposto dalla demografia, innalzando l’età pensionabile». Letta però non intende intestarsi il merito, pur rivendicando di non «aver mai mollato, non essermi mai alzato dal tavolo e aver sempre invitato gli altri a restarci».
È stato un lavoro di squadra, con i ministri Padoa Schioppa e Damiano. Ma il protagonista è stato il vituperatissimo Romano Prodi. «Parliamoci chiaro: la palla l’ha messa in porta lui. Anche nella notte finale, il ruolo decisivo è stato suo. Spero che la cosa sia chiara, e che se ne rendano conto tutti».
VELTRONI O CHI?
Adinolfi, Bindi, Colombo, Letta, Schettini, Veltroni (in rigoroso ordine alfabetico).
A chi affidare la guida del Partito Democratico?
A me pare che la “novità” potrebbe cominciare proprio col dare minore importanza a una domanda che appassiona tanto i giornali. Se sarà “democratico, davvero”, come chiede Rosy Bindi, allora anche il ruolo e la responsabilità del “capo”, a dispetto di una dittatura mass-mediatica che impone personalizzazioni a oltranza, dovrebbero essere considerevolmente ridotti.
Riformare la politica, completare il cammino verso una democrazia aperta e compiuta: questo è il vero oggetto della nostra (temeraria ?) scommessa sul Partito Democratico. Liste e candidati per il 14 ottobre andrebbero scelti con questo criterio: chi è più in grado di farci vincere quella scommessa?
Il candidato favorito, Walter Veltroni, darebbe le migliori garanzie al riguardo, se non fosse per quell’atto di nascita della sua candidatura firmato D’Alema e Marini e per quell’accoppiata con Franceschini che incoraggia a pensare ad un patto federativo DS-Margherita, più che a un partito “davvero nuovo”. Ma lasciatemi dire in proposito, a me che ho passato una vita incollato al confine tra utopia e realismo politico, che almeno in questo caso la scelta del leader può essere fatta serenamente, secondo le affinità di ciascuno, con un mix di coraggio e buon senso. E infatti Rosy Bindi, più ancora di Franceschini e Letta, ha dato ampia prova di anticonformismo e indipendenza dalle vecchie logiche di partito. Per non parlare di Furio Colombo, che più di qualsiasi altro meriterebbe il titolo di “cittadino prestato alla politica”. Così anche per gli altri.
Restituire la politica ai cittadini: questo è il nostro orizzonte. Altrettanto importanti dell’elezione del leader nazionale, se non di più, saranno le elezioni dei segretari regionali e di tutti coloro che saranno chiamati a discutere e approvare manifesto e statuto del nuovo partito.
Decisivo sarà soprattutto che chiunque faccia politica, a qualsiasi livello, accetti di vivere il proprio impegno al servizio della collettività, fuori da ogni interesse personale o di gruppo che non sia quello, legittimo, al sostegno dei valori in cui crede.
Ma restituire la politica ai cittadini vuol dire anche una scelta non equivoca del bipolarismo, perché soltanto i trasformisti o i nostalgici della prima repubblica preferiscono che siano gli eletti e non gli elettori a decidere sulle alleanze politiche e di governo.
Vuol dire, infine, stabilire nello Statuto nazionale e in quelli regionali regole che assicurino, insieme con il contributo delle associazioni che arricchiscono il panorama ulivista, un concorso permanente degli iscritti e dell’elettorato alle decisioni più rilevanti.
www.nandocan.it
RADUNO DI INNOVATORI EUROPEI
Ieri sera è stata una simpatica serata.
Molti, ahime, non sono venuti (chi per mio errore nel comunicare il luogo dell’incontro, chi perchè è fine luglio, chi perchè è al mare), ma ne ho contati circa 40: niente male.
E’ stata una occasione per incontrare gente nuova, come le due nuove Donne del Gruppo, Mawa e Letizia, altri amici – colleghi di Luigi, altri amici dei miei tempi lontani in Consip, altri amici di Municipi di Roma, altri dei tempi universitari come Massimo, oltre a Luigi, Tommaso, Luca Lauro, Alessia, Luca Bochicchio e Vanina, Mario, Antonio Ranalli e amici abruzzesi, Alessandro Camiz, Francesco Grillo arrivato con due simpatiche amiche straniere, poi Mario Coviello.
Non sono riusciti a venire Vincenzo e i suoi amici di Caserta, e nemmeno l’amico Pierluigi Sorti a cui devo le mie scuse per aver indicato male il luogo.
Ringrazio Maria Caracciolo che ci dato una mano per organizzare questa simpatica serata, nelle bellissime terrazze del Palazzetto di Roma con un affaccio stupendo su Piazza di Spagna, sperando di organizzare altro insieme.
Si è parlato molto di quello che Innovatori Europei ha fatto e vuole fare, ci siamo confrontati sulle nostre visioni sul Partito Democratico, e sul candidato che vorremmo appoggiare.
Prima di mandare comunicati ufficiali, però, abbiamo deciso di realizzare una POLL- SONDAGGIO, per sapere quale è il CANDIDATO IDEALE per tutti i simpatizzanti di Innovatori Europei, dato che ne sono qualche migliaia, e vi sono diversi gruppi territoriali attivati.
Vi è una abbastanza marcata preferenza per un candidato, ma daremo la ufficialità dopo aver ricevuto le risposte di chi vorrà dirci la sua a riguardo.
A breve, quindi, invieremo il SONDAGGIO via email e attiveremo quello Online, in modo da decidere entro 7 gg al massimo eventualmente quale programma-segretario appoggiare e in quale modo.
Contestualmente, vi invieremo alcune simpatiche foto realizzate a Piazza di Spagna.
Grazie,
Massimo
RIFORMA PENSIONI E INNOVAZIONE
di Luca Lauro
La riforma delle pensioni sta generando discussioni animate già ampiamente previste in cui si contrappongono non solo forze politiche schierate nei poli opposti ma le persone che in qualche modo sono gli attori principali del sistema previdenziale, i contribuenti e lavoratori attivi di ieri, oggi e domani e i beneficiari delle erogazioni di oggi e di domani.
Non è facile entrare correttamente nel merito della questione, ci sono troppi rischi di essere, con una sola parola o con un semplice numero, attratti o respinti da questa, quella corrente;
ma perchè si arriva a questo?
siamo sicuri che tutti i passaggi da fare siano stati rispettati?
il dilemma di fondo potrebbe non essere in effetti il valore della ‘quota’ che il lavoratore deve raggiungere per ottenere il diritto alla pensione, semplicemente sommando anni di età e anni di lavoro effettuato.
In effetti, voglio dire, il problema potrebbe essere alla base della scelta più che nella scelta.
Si parte infatti dall’idea che si debba riformare un sistema, quello previdenziale, senza pensare di riformare tutto il resto.
Dunque, facciamo per dire, se tutte le altre voci di spesa sono un ‘colabrodo’, si dice sostanzialmente, ‘fermo restando il colabrodo’ cominciamo a riformare la previdenza.
Mi sembra naturale che allora le risorse a disposizione della riforma siano e saranno sempre molto limitate e questa non può essere una colpa nè dei giovani nè dei pensionandi o dei lavoratori in generale;
in questi termini, per salvare la pelle a qualcuno è inevitabile farla a qualche altro e questo, di per sè, è comunque non equo, a prescindere dal merito e dalle evoluzioni che avranno le dicisioni finali.
Ma se il problema della riforma delle pensioni ricevesse (senza fare torto alla realtà economica) un inquadramento più ampio del tipo:
cominciamo a vedere per ognuno delle centinaia di settori della spesa pubblica quali risparmi si possono ottenere anche subito in un’ottica di efficienza, e così facendo ci sarà un settore dove si risparmia un euro, un altro dove in un anno nè risparmi diecimila e un altro ancora dove nello stesso tempo metti nel salvadanaio 10 milioni di euro, e mettiamo quindi tutti questi risparmi a disposizione del sistema previdenziale, certamente quelle risorse aiuterebbero una riforma più equa al di là del valore della quota, perchè dietro quel valore c’è ‘capienza economica’ o semplicemente la capacità del sistema di dare a tutti il giusto.
Questo modo di inquadrare le questioni economiche non più a comparti stagni assieme all’impiego dell’efficienza, anche come criterio di valutazione dell’operato politico, potrebbe essere la principale innovazione economica dei prossimi anni.
MARIO ADINOLFI SI CANDIDA!
Scende in campo per la segreteria del PD il “re” dei Blogger politici, Mario Adinolfi.
Credo che abbia fatto bene, e avrà buoni risultati-meritati, e gli faccio un sincero in bocca al lupo.
E’ tra quelli che per primi si è battuto sul Web per un Partito Democratico aperto ai Giovani, credo abbia dato molti spunti a molti di noi (a me di sicuro): è giusto che abbia spazio nel PD.
Voi che ne pensate?
L’OUTSIDER DEL PD: SCHETTINI
Abbiamo sempre parlato della necessità di costruire la politica e la società dal Basso.
Internet e il Web 2.0 stanno permettendo qualcosa che molti ancora non hanno percepito:
la DEMOCRAZIA REALE
Innovatori Europei è espressione di questa caratteristica del Web 2.0
Nata dall’idea di pochi, ad oggi è un Network di Menti e di idee non indifferente! (evviva la modestia)
Dicevamo, parliamo sempre dell’approccio Bottom-up, quindi non possiamo non dedicare attenzione ad una interessante esperienze Bottom-up che sta partendo: quella della candidatura di Jacopo Schettini alla Segreteria del Partito Democratico.
Un interessante e simpatico 40 enne di esperienza europea (è direttore di una importante Agenzia di Rating Europea a Brussels), che presenta un programma basato sul ricambio generazionale.
Ecco il suo video di presentazione:
AA: “MERITO” CERCA SEGRETARIO
Alcune osservazioni personali su quello che sta avvenendo con le candidature di forti personalità politiche alla segreteria del PD .
Rosy Bindi si è giustamente candidata.
Sicuramente rappresenterà bene il variegato e finalmente imponente universo femminile che in questi ultimi mesi sta prendendo la ribalta nel mondo politico italiano, soprattutto nel nascente PD.
Ora una ulteriore importante riflessione che viene in mente è la seguente: chi rappresenterà la innovazione, il merito e il talento? E’ questa la domanda che molti, a mio avviso, si stanno facendo, prima di decidere se appoggiare questo o quell’altro candidato.
Sentendo qualche centinaia di amici che si occupano ormai da qualche anno, in tutta Italia e all’estero, di PD (chiaramente come semplici osservatori, come me) la questione centrale è questa: a chi affidare i Sogni di innovazione e di meritocrazia, di cui tanto si parla e finora nulla si è fatto?
Qualcuno dirà: ma le Quote Rosa e la rappresentanza femminile sono una Seria Innovazione.
Io rispondo: certamente lo sono e tutti noi speriamo in un PD con una Quota del 50% di elette donne.
Ma la cosa che più ci preme è quella di PROMUOVERE I TALENTI E LE INNOVAZIONI CHE RISIEDONO IN TANTI GIOVANI, DONNE, MENO GIOVANI E UOMINI.
Aspettiamo allora che qualcuno si faccia carico di questi SOGNI apertamente e seriamente.
Il Merito cerca un Segretario: chi lo adotterà?? Veltroni, Letta..??
Massimo Preziuso
18/7 – APERITIVO DI I.E. ROMA
L’APERITIVO DI FINE STAGIONE DI INNOVATORI EUROPEI : 18 LUGLIO dalle ore 19.30 alle 22.00 – HOTEL HASSLER. TRINITA’ DEI MONTI – ROMA Guardate le foto
Ciao a tutti.
Il giorno 18 dalle 19.30 alle 22.00 siamo a Trinità dei Monti, per un aperitivo in una splendida terrazza dell’Hotel Hassler di Roma.
Mi servirebbe sapere chi viene, per prendere dei tavoli sulla terrazza.
Sarà l’occasione per SALUTARCI e per parlare dei propositi della prossima stagione, che parte a Settembre.
Sperando di ricevere molte adesioni all’indirizzo info@innovatorieuropei.com
IE
LETTA SI E’ CANDIDATO A NAPOLI!?
di Fabrizio Dell’Orefice – Il Tempo
Arriva a piedi. In giacca senza cravatta. Senza scorta. Una giornalista sull’uscio della stazione marittima di Napoli gli chiede nella mattinata assolata se davvero sta scaldando i muscoli. E lui: «Sono qui per ascoltare». E ascolterà Enrico Letta. Ascolterà. Prima parlerà però. Un discorso in cui non userà mai espressioni come «mi candido», «scendo in campo», o peggio ancora «sfido Veltroni alle primarie del Partito democratico». Ma così tutti indendono. E quei tutti sono i cento ragazzi della summer schol di Mezzogiorno Europa, la fondazione creata da Giorgio Napolitano. Cento ragazzi che sono ad asoltarlo mentre lì a fianco i traghetti portano gitanti e villeggianti verso le isole, il mare. Cento ragazzi che esploderanno in un fragoroso applauso quando uno dalla sala, nel giro delle domande, chiede esplicitamente: «Ma perché non si candida alle primarie? Più che una domanda è una richiesta». Battimani. Letta si porta la mano destra al volto con il pollice schiacciato sullo zigomo destro e l’indice su quello sinistro e il resto delle dita a nascondere una bocca sorridente. Sghignazzante. Sì, è stato anche un attimo imbarazzante. Perché è vero che la Mezzogiorno Europa è una fondazione un po’ trasversale, ma è la casa di Ranieri e De Giovanni, Geremicca e Pittella, Nicolais e un giovane Ivano Russo. Insomma, sono gli uomini del Presidente, sono quelli che un tempo erano la corrente migliorista del Pci e del Pds. Anche se la distinzione è sempre più difficile, qui è soprattutto una casa diessina più che margheritina. Dovrebbe essere veltroniana. Qui ha vinto un’altra logica, quella generazionale. Perché Letta si becca quell’appaluso? Che cosa aveva detto fino quel momento? Aveva detto che «in Italia a quarant’anni si è ancora considerati ragazzini» e aveva spiegato di sognare «una classe dirigente che si rinnova attraverso la competizione e non attraverso la cooptazione». Già, competizione: è la parola chiave del pensiero del giovane sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Se non c’è competizione – aveva spiegato – ognuno fissa il traguardo dove si trova. Invece la competizione fa bene, c’è bisogno di competizione per andare avanti». Si riferirà all’uomo solo al comando di Veltroni? Letta aveva insistito: «Nel campo dell’economia il monopolio distorce la concorrenza, non crea stimoli. Ma è ovvio che gli attori del mercato tendano a realizzare il monopolio, al massimo un duopolio». Il riferimento correva veloce alla situazione del Partito democratico, e parola dopo parola diventava sempre più esplicito: «C’è chi dice: “ma come, spendete tempo a fare a gara tra di voi invece di farla tutti assieme all’avversario?”. Io rispondo: “Sì, è bene che la competizione ci sia sempre”». E non a caso aveva citato il «meccanismo virtuoso» dell’elezione diretta dei sindaci come sistema di selezione della classe dirigente: «È stato così in Francia e in Germania, dove il governo del Paese è nato nelle esperienze locali». E allora proprio per questo «bisogna ricordarsi che tutti i grandi leader europei hanno prima lottato all’interno dei loro partiti prima di conquistarne la leadership e quindi prendere la guida del Paese: è successo a Zapatero, a Sarkozy che pure aveva contro l’oligarchia della sua formazione politica, a Blair». «In Italia, invece – aveva continuato Letta -, non esistono partiti “conquistabili”. Chi è in minoranza non ha altra strada che fare una scissione e fondare un altro partito. Il Pd è l’unica possibilità di rendere europeo il nostro sistema; deve avere un valore positivo di partecipazione e di competizione virtuosa; deve mettere in circolo energie nuove che si sentono escluse. Solo così renderà un grande servizio al Paese. Per questo auspico delle primarie sul modello europeo, è la modernizzazione della politica». Arrivavano le domande dei ragazzi sulla rissosità della politica e altro con l’applauso di investitura. E Letta si lasciava andare: «Si è appena aperta una porta. Infiliamoci il piede, sbarriamola, spalanchiamola. Mettiamoci tutti insieme da qui al 14 ottobre e proviamo a fare in modo che nel Pd non sia tutto già deciso, meglio primarie che si svolgano in modo aperto e coraggioso». Il finale era morettiano: «Ci sono politici che pensano ad affrontare le questioni e a risolverle, altri che pensano solo ai voti. Noi amiamo questi primi. Stamattina abbiamo aperto una discussione, manteniamoci in contatto, scriviamoci, continuiamo a discutere su internet. Facciamo entrare nuovo ossigeno in questo Pd». Applauso di saluto, arrivederci e grazie. Si riparte per Roma, c’è il tavolo delle pensioni. Ma nella sua puntatina partenopea Letta non ha detto che si candida. L’ha fatto.