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PD, articolo 18 e la sindrome del monopolista

francesco_grillo di Francesco Grillo

Conosco Ivan Scalfarotto, lo stimo e gli riconosco – per aver difeso le diversità – parte dei meriti che hanno portato il Partito Democratico a rimanere l’unico partito rimasto in piedi, dopo una guerra di posizione che ha svuotato il Paese di quasi tutte le sue risorse civili ed economiche. E, tuttavia, ieri sera mi è tornato in mente un episodio successo qualche anno fa: eravamo, credo a Piombino, si discuteva (ovviamente) di rinnovamento di classi dirigenti e, rispetto alla premessa che facevo di non essere iscritto al Partito Democratico, fu proprio Ivan a farmi notare – scherzando – che prima di partecipare al dibattito sarei dovuto andare in segreteria a risolvere questo piccolo dettaglio operativo, “perché il Partito Democratico discute del proprio futuro con chi vi aderisce”.

Mi è tornato in mente questo episodio ieri sera sentendo distrattamente del dibattito alla direzione del Partito. Un dibattito che chiunque giudichi le cose con un minimo di serenità, non può che ritenere surreale, tanto quanto quello che si è svolto negli ultimi dieci giorni sull’articolo 18. Per dieci giorni si è parlato fuori e dentro il PD solo di questo; il PD e il Paese sono sembrati sull’orlo di una crisi di nervi e di una scissione irreversibile; e, alla fine, di tanto rumore per nulla, siamo tornati – con la mediazione che, comunque, ha lasciato il Partito passato in tre tronconi attorno alla maggioranza larga per Matteo – al punto di partenza; lasciare la reintegra solo per i licenziamenti discriminatori e disciplinari è esattamente ciò che prevede l’articolo 18 nella sua formulazione attuale.

Mi è tornato in mente, l’episodio di Piombino perché il dibattito di questi giorni fa capire che dall’essere rimasto l’”unico ancora in piedi” (come alla fine di un film degli anni ottanta) resta di essere danneggiato soprattutto il PD. Senza un avversario da battere, senza alternative il PD rischia di implodere su se stesso. E deve essere questo l’ultimo, velenoso abbraccio che quel genio di Berlusconi sta riservando al partito che ha combattuto per vent’anni.

Il PD rischia se non è sfidato sui contenuti da nessuno, di non avere più contenuti. Oltre a quelli di una comunicazione, di una sociologia sulle intenzioni che rischia di non entrare mai, davvero, nel merito delle soluzioni. Credo che l’Italia ha bisogno di un PD forte e di una democrazia funzionante. Ed è per questo motivo che mi è tornato in mente Ivan. Perché è, proprio, nel momento in cui resti senza avversari che rischi di sederti e di cominciare a gestire il potere come se fosse fine a stesso. Mentre la società, quella che è fuori dalle stanze “dove si discute del futuro del PD” va avanti senza aspettare.

Sarebbe paradossale che la sindrome del monopolista colpisse una classe dirigente così giovane: è questo il momento per decidere di correre il rischio di andare a confrontarsi con chiunque abbia idee concrete.

Grillo: enunciazioni sagge, ma atteggiamenti villani

 

(Manuale che vale non solo per Grillo)

di Arnaldo De Porti 

Premetto di non essere un cultore del “grillismo”,  ma un semplice osservatore dei suoi movimenti attraverso i quali egli si propone i suoi obiettivi che, almeno a mio avviso, soprattutto per quanto riguarda la necessità di un forte “repulisti” dell’attuale classe politica essi mi trovano perfettamente d’accordo, io giudico Grillo come uno dei più efficaci e strategici personaggi della recente politica italiana.: il successo macroscopico ottenuto alle politiche che altro è se non il frutto di una strategia che ha coinvolto un po’ tutti e…stravolto l’attuale sistema ?

Penso anche che, a parte gli “addetti” al mantenimento-conservazione di posizioni già acquisite con stratagemmi più meno onesti che vedono l’Italia come il Paese che in seno al parlamento certifica un…guinness della delinquenza che, non ci sia stato un solo elettore, alle politiche, che non abbia fatto un pensierino mirato a mettere una crocetta sul simbolo del M5S ….io, per esempio,  sono uno di quelli che, prima del voto alle politiche,  ha fatto il seguente ragionamento: “ voto il Pd come una volta  solo perché l’incertezza di un movimento appena nato come il M5S potrebbe determinarmi qualche sorpresa dovuta all’inesperienza, all’incapacità da parte di neofiti della politica ecc.ecc..”   Ho sbagliato, ho fatto giusto, non lo so ed ancora non ho elementi per dire di aver optato davvero per il male minore…”   Di una cosa sono certo e cioè che, se per paradosso le….amministrative recenti fossero state politiche come quelle del febbraio scorso, Beppe Grillo forse avrebbe raddoppiato i consensi.

Molti hanno confuso la strategia  di Grillo and co. con mancanza di democrazia interna: nulla di più sbagliato ! Egli infatti, aprioristicamente conscio che la sua base  non fosse all’altezza, ha preferito fare tutto da se, facendo apparire alla pubblica opinione di essere come…Berlusconi che impartiva il menù politico da Arcore.  In questo però c’è una differenza sostanziale: Grillo voleva e vorrebbe ancora fare gli interessi del popolo italiano, mentre Berlusconi aveva ed ha gli occhi puntati verso i suoi interessi personali e dei suoi accoliti con i quali ha costruito una vera e propria oligarchia, di cui l’Italia ne sta patendo le conseguenze di fame, di suicidi, di fallimenti e di immoralità civile e giudiziaria.

Dove sbaglia Grillo ? In primis, giudicando la classe politica attuale composta solo da …cani e porci e, contestualmente, offendendo in maniera nauseante e ribrezzante anche le persone per bene (caso Rodotà docet !)

A questo punto il futuro per Grillo,  almeno a mio avviso, si presenta molto e molto discutibile.

Atteso che, risalire dal deludente risultato delle amministrative per avvicinarsi quanto meno al risultato delle politiche: un’impresa ciclopica (con le amministrative infatti si è mangiato tutto l’ottimo risultato di febbraio 2013), a Grillo non  resta  altro se non :

 

1)  dialogare con coloro che egli ritiene meno  “colpevoli” di aver portato l’Italia alla rovina, magari spiegando apertamente ed umilmente  alla pubblica opinione questa sua necessità di un dialogo che non avrebbe mai voluto; 

2) cambiare subito strategia della comunicazione optando soprattutto per le varie emittenze televisive che, in questo momento,  andrebbero a ruba pur di averlo dopo i suoi perentori ed assoluti dinieghi, ed anche in questo caso, spiegando agli Italiani che la sua è stata una strategia che ha dato i suoi buoni frutti;

3)  usare un po’ di educazione, almeno verso le persone per bene in quanto non si può fare di ogni erba un fascio;

4)  confessare apertamente perché sin qui egli non ha voluto usare i canali mass-mediatici tradizionali, circostanza che, stante il risultato ottenuto alle politiche, forse oggi verrebbe capita in toto.

 

Di certo, per Grillo, altra via da percorrere non esiste. A meno che egli non voglia buttare a mare tutto il suo lavoro pregresso, senza prendere atto che – come mi piace spesso dire – che un bilancio, nelle sue varie poste,  presenta l’attivo, ma anche il passivo..  Passivo che, in questo caso, per Grillo, si identificherebbe con il pregresso “marpionismo” della politica che, giustamente va buttata a mare.

Il Movimento 5 stelle assorbirà il PD senza che questo se ne accorga

imagedi Salvatore Viglia su Politicamente Corretto

Stanti così le cose è facile, ad essere un po’, almeno un po’, lungimiranti, capire che il futuro politico sarà tutto in rete. La strada è quella del partito unico che deciderà sulle leggi da votare.

L’attuale PD è un figurante di un film in bianco e nero.  Radere al suolo politicamente, negli uomini e nelle intenzioni, l’attuale partito Democratico è un imperativo categorico e si sarebbe dovuto già fare da un pezzo per avere voce nel capitolo attuale.

Nessuna alternativa esiste se non questa. C’è chi vedrebbe in Renzi la soluzione. Figuriamoci se il buon Matteo si andrebbe ad impelagare in una guerra persa impugnando lo scettro della presidenza del consiglio in una mano e nell’altra la bandiera bianca della resa incondizionata. E poi, senza aver vinto le primarie non accetterebbe mai. Anzi, probabilmente se ci vede bene, in futuro non si ricandiderà neanche alla primarie. Il problema insormontabile è la squadra. Vogliamo parlare delle deroghe oppure stendiamo un velo pietoso anche sul listino del segretario che avrebbe attinto, stando ai suoi proclami, dalla società civile? Ma lasciamo stare e parliamo di confronti. Avere contatti con il M5S significa adottare la rete come mezzo. Non appuntamenti, incontri, abboccamenti, tavole rotonde ma la rete. Un consesso universale complessivo di confronti attraverso un processo di democrazia ancora sconosciuto ma partecipativo. Yes, we can? No! Yes, it must…yes, it shall, tanto per parafrasare adattando lo slogan copiato da Obama.

IE, per esempio, non si addice a convivere con mummie alessandrine, neanche rivisitare anacronisticamente la storia costituente di un partito che partiva malissimo definendosi addirittura “Democratico” come se fosse stato possibile immaginare un partito antidemocratico. Noi siamo italiani e la nostra storia differisce da quella americana. Ma si sa che siamo abituati ad emulate le sintesi linguistiche dell’inglese. Ci piace. Il PD non esiste più. Forse non è mai esistito. Ce ne accorgiamo solo oggi con una consapevolezza implacabile e decisamente disarmante. E’ una inutile, pesante ripetizione complessiva di tutti gli errori commessi sino alle primarie scorse ed all’interno di esse. Un PD come questo nuoce e non serve a nessuno.

Il M5S ha posto una questione epocale: l’azzeramento dei partiti, di tutti i partiti ed il processo comincerà dall’interno di ciascuno di essi. Quando il PD si accorgerà e capirà questa realtà resterà di stucco nel bel mezzo del nulla. Finirà per ultimo ad approdare alla rete cercando di mostrare il suo essere progressisti in quella veste senza comprendere che la rete è tutto. E’ il setaccio dal quale si rastrellano le decisioni politiche, progressiste o no. Il PD finirà per essere assorbito dal M5S e, senza accorgersene, cambierà pelle amalgamandosi con Grillo, sia che lo voglia e sia che non l’abbia voluto.

Il Movimento 5 stelle è la Rivoluzione francese “italiana” senza ghigliottine né sangue

imagedi Salvatore Viglia

Solo chi non vuole vedere, non capisce cosa stia accadendo nel paese. Grillo è una macchina schiacciasassi che sta travolgendo ed appianando tutto quello che incontra. Di questo il paese ha bisogno per poter riscrivere un nuovo copione. Le resistenze più o meno giustificate di attaccamento al vecchio, alle segreterie antiche dei partiti presiedute da facce verdi ed avvilite con le tasche piene di soldini e privilegi, sembrano culottes al paragone dei perizoma. Quella di Grillo è una novità risolutiva la cui portata è pari a quella che la Rivoluzione francese rappresentò per la Francia prima e per il mondo poi. Certo è che la mente non riesce ad associare una rivoluzione senza la violenza, i forconi, i giustizialismi sommari. Ciò che il M5S ha messo su è un impasto che lievita giorno per giorno. Nessuno, nemmeno Grillo stesso può prevedere con certezza cosa succederà domani mattina. Questa è una pagina di storia che ha a che fare con l’innovazione purissima della comunicazione e della rivisitazione di concetti cui la politica non ha saputo adeguarsi. E’ una naturale evoluzione della vita “agevolata” dall’iniziativa di un movimento che ha messo in moto un motore che va da solo ormai in una sorta di moto perpetuo. E’ una speranza, forse è la speranza, quella verde, serena anche se lontana dall’attuarsi. Non neghiamoci di aver bisogno di sperare. E’ umano anche questo. Nelle roccaforti delle “Bastiglie” allestite alla bisogna si cerca di addossare la colpa dello sfacelo del paese proprio a Grillo che non c’era, che non voleva venire e che si è trovato, per coscienza, a farsi portavoce della gente comune. Non è leale questo atteggiamento e non lo serebbe per chiunque si trovasse al posto di Grillo. Il mal comune mezzo gaudio rassicura i galli sui cumuli di immondizia per troppi anni adagiati a non fare nulla. Questa Rivoluzione italiana è degna di attenzione critica e non di approssimazione qualunquista. Se qualcuno si lusinga ancora sull’innocua presenza del M5S avrà a che fare con una realtà implacabile.

ll Gelato di Viola

grillodi Michele Mezza

123 mila firme in poche ore raccolte sul web da una gelataia fiorentina che vive a Venezia -Viola Tesi-  ha dimostrato che qualcosa di rilevante è accaduto anche in politica, nel secolo della rete. Dopo l’informazione, la formazione, le professioni, i servizi, la pubblica amministrazione, la ricerca, la finanza, anche la politica è investita dall’ondata di disintermediazione che disarciona i giganti e premia i nani.

Un fenomeno complesso e ingovernabile, che , a poche ore dal trionfo, porta persino il Gigante a 5 stelle ad inseguire la gelataia di Venezia, imprecando contro la nanetta che si è intrufolata nel suo giardino.

E’ la rete, bellezza, verrebbe da dirgli.

La pancia conta quando è alla pancia che si parla. Ed affiora  ora il vecchio richiamo solidarista ed emancipatorio di una base sociale che viene da sinistra  ma trascende la sinistra- non   ha votato PD, ignora Vendola, non parla con Ingroia, perché da tempo non vi vede la potenza trasformatrice della realtà. Ma quando si trova in mano le chiavi di Palazzo Chigi il primo istinto è quello di guardare da dove si è venuti.

Ma chi sono e cosa è successo?

Loro sono  quello che fanno, ed è accaduto quanto doveva accadere. Ne più ne meno.

Loro, i grillini, anzi il movimento 5 Stelle, votanti e votati, sono esattamente come appaiono. Giovani, ma non giovanissimi,  precari ma non disoccupati, tecnici, ma non esecutivi, impiegati, ma non placati, cattolici, ma non subalterni, laici, ma non ideologici. Soprattutto digitali, ma non smanettoni.

E’ un movimento della rete, ma non sulla rete. Per certi versi  i 5 Stelle non sono molto dissimili dalle primavere arabe.

In Algeria, Tunisia, Egitto è pure sorto un movimento di protesta, composto da giovani, professionisti ed emarginati. Si disse è la rivoluzione di Facebook. In realtà, questo è il nodo che la politica tende ad esorcizzare, quel movimento, e ancora di più Grillo, non cresce perché usa la rete per parlare, ma perché usa la rete per produrre. Abbiamo di fronte un movimento che si caratterizza per un nucleo di  operai del web: informatici, mediatori, broker, insegnanti, amministratori, imprenditori.

Questa è l’aristocrazia operaia di Grillo. Attorno a questo nucleo  si sta raccogliendo un mosaico di  ceti e figure sociali  convergenti: giovanissimi irridenti, giovani ambiziosi, famiglie silenziose, anziani ignorati, lavoratori in esubero.

Il movimento si è agglutinato per condensazione, come i fenomeni tipo Occupy, dove ci si aggrega per singole convergenze, per condivisione di isolate tematiche, senza la pretesa, ne l’ambizione, di costituire una visione organica. La frammentazione sociale non permetterebbe di ripercorrere la vecchia strada del partito forte, gramsciano, che dall’astronave all’ago, assume un’unica visione del mondo. Quell’approccio è stato del tutto rimosso, insieme alle macerie del Muro di Berlino. Qui è rintracciabile una prima rilevante contraddizione di Grillo come leader: ogni volta che tenta una stretta, di imporre un metodo leninista, perde pezzi e capacità di guida nei nuovi movimenti a rete la direzione è il punto finale di una lunga coda, non la testa  iniziale.

Il linguaggio connettivo è il brusio della rete che prende tono per i lavori nella rete. L’elemento unificante è  l’estraneità, prima, l’ostilità, poi, per le elites: tutte le elites. In particolari quei salottini, meglio ancora quei tinelli, dove gli staff dei decisori, le figure adiacenti ai  leaders, i frequentatori degli amministratori. I sobborghi del potere, più che il vero potere. I riti delle terrazze, dello scambio di privilegi, di mance di prevaricazioni.

Questa è la cultura della rete. Forse , si dirà, la cultura di ogni opposizione che contrappone ai poteri costituiti, che se ne vuole liberare.

In realtà la rete produce distanza e indifferenza, più che ostilità. Gran parte dei grillini, soprattutto i nuclei storici, in Emilia e in Piemonte ad esempio, sono  figure che vivono autonomamente in circuiti professionali o formativi che non hanno nulla da chiedere alla politica per se stessi. Si tratta di ceti che vivono di competenze, specializzazioni settoriali, flessibilità nell’uso del proprio tempo, controllo delle ambizioni di consumo, versatilità nel muoversi nel paese e fra paesi.

Ragazzi che per il proprio equilibrismo fra saperi e fra condizioni, trovano mercato. La rete  è la scorciatoia, che trasforma l’idea o la disponibilità in opportunità. Un ceto  non reattivo alla politico, ma insofferente, proprio perché non chiede, per l’etica, e le competenze. Di fronte al combinato disposto di un degrado morale e di una palese incapacità scatta la contrapposizione: si può fare meglio, si deve fare bene.

Qui si crea un cuneo che scompone la base sociale delle due forze tradizionali: che scava nel mondo del lavoro, e distoglie il mondo delle proprietà. Si crea un popolo della comunicazione, che conscio del proprio isolamento , ma anche della propria abilità, e del proprio tempo, investe in relazioni: si clicca per condividere la propria riprovazione che diventa rabbia e poi sfida.

Proviamoci è lo slogan. La grande prova , non a caso, è nei feudi: l’Emilia rossa, il Veneto verde, la Sicilia azzurra.

Il territorio produce il salto di qualità, ma  comporta anche le prime contraddizioni. Come spiega il saggio della direttrice dell’istituto Cattaneo, Elisa Gualmini, Il Partito di Grillo, sono state le elezioni amministrative del 2010 ha dare la consapevolezza che la sfida era vincente: Parma, ma soprattutto Budrio.

Nel paese rosso al 70%, i grillini , mail dopo mail, forum dopo forum, “I like” dopo “I like”, censiscono le forze e mettono in rete i mestieri che non corrispondono alla rappresentatività della sinistra: informatici, consulenti, cottimisti delle filiere di arredamento e ceramiche. Arriviamo per la prima volta a voti in doppia cifra.

Reddito di cittadinanza, connettività, energie rinnovabili, KmZero, diffidenza per l’Europa. E’ il programma di una community  da maso digitale. Il lavoro è ormai un dato anagrafico da risarcire, non da organizzare: non il conflitto ma l’indennità per la disoccupazione.

L’unico incaglio al momento sono proprio le amministrazioni locali. Le prime esperienze segnano alti e bassi. E trovano, sul territorio un’unica resistenza, la Lega di Maroni. I dati elettorali, soprattutto in Lombardia vedono, straordinariamente, la Lega non solo sopravvivere dopo il bombardamento dei mesi scorsi, ma addirittura trovare una via per un nuovo radicamento. Nelle regionali Lombarde, fra lista ufficiale della Lega e Lista civica Marroni vediamo che il bottino elettorale dei lombardi è incrementato addirittura, spalmandosi sul territorio, in  maniera proporzionale al tessuto produttivo.

La debolezza nelle grandi città- la lega è sopravanzata dal PD in tutti i capoluoghi provinciali della Lombardia, e vince in tutte le provincie- indicherebbe un carattere arretrato del voto leghista. In realtà nelle città ormai risiedono elites e ceti amministrativi e commerciali, mentre si snodano nel territorio extra urbano le filiere produttive e della ricerca applicata.

La lega si è nutrita di un tessuto sociale straordinariamente americano. Grillo invece si è aperto un varco nella giungla metropolitana, insidiando per la Lega anche nelle campagne industriali.

Andremo ad un conflitto finale o si ipotizza un colpo di scena fra i barbari sognati e i sognatori cittadini? Questo è il vero interrogativo che la sinistra dovrebbe porsi: impedire la convergenza di una Lega senza Berlusconi e un grillismo amministrativo.

In questo quadro la televisione è usata da grillo come carica al contrario: meno la vedi meglio stai, meno ci sei più comunichi, meno ti fai coinvolgere , più sei popolare. Grillo cavalca un trend storico: la TV come disvalore, così come ogni consumo di massa, tanto più se legato alla spesa pubblica, come la TV, è un disvalore.

Il trionfo arriva quando la lontananza dalla TV diventa incubo per la TV, che comincia a cercarti ossessivamente, parlando di te, senza te. Tanto più che avendo solo una bandiera popolare, il rifiuto dei politici, e tanti programmi settoriali, non declinabili in TV- energie, agricoltura, lavori digitali, No Tav, ambiente- la rete e’ il catalogo ideale per dare ad ognuno il programma on demand.

Anzi la TV diventa l’uniforme della politica, l’emblema del regime: Vespa, ma anche Santoro, con il loro sovraesporsi ai partiti diventano i bersagli più facili da inquadrare: non ci vengo perché sei il nemico.

In questo quadro da catalizzatore dei movimenti, che trovano un provider che li porta  alle soglie del potere, si aggiunge l’effetto Monti. Con il Governo tecnico, Grillo estende il suo marketing: diritti e qualità della vita, ma anche fisco e sviluppo. Dobbiamo parlare alla pancia di una maggioranza silenziosa orfana e disgustata da Berlusconi. 

In poche settimane Grillo diventa  “neo cons” : assume un carattere da anarco – conservatore, all’americana. La rete in questo  lo aiuta ancora: la natura individualista, competitiva, anti statalista, comunitaria, cooperativa, ma non solidarista, diventa un ambiente coerente per ibridare la cultura di una movimento nato a sinistra ma diventato digitalmente populista, tout court.

Si verifica in politica quanto è già in atto in altri segmenti sociali. Nell’informazione i grillini sono l’enorme proletariato digitale dell’informazione senza contratti  né testate, che chiedono connettività, copy-left e  ricerca. Lo stesso vale nelle professioni, nei saperi, nell’assistenza, nel commercio: un’ondata di auto-imprenditori che incalzano i titolari di ogni funzione chiedendo di condividerla. Il grillisom è la  fase supresa del networking, per parafrasare Lenin.

Non si aggredisce, ne comprende il fenomeno, se non si decifra il processo di riconfigurazione di ogni verticalità fordista in una nuova orizzontalità a rete.

Il combinato disposto di un’anima di equo sostenibilità di sinistra, con un’aggressività di individualismo competitivo di destra porta grillo ad un nuovo interclassismo  digitale, che gli permette , unico sul mercato politico, di parlare i nativi digitali, e tramite loro, di trainare l’attenzione delle generazioni emancipate. E di dettare l’agenda politica.

La dinamica della campagna elettorale lo ha dimostrato.

Il sito  http://www.twazzup.com/?q=giannino&l=it che misura le citazioni e la tracciabilità  dell’attenzione della comunità di twitter per singoli soggetti, traducendoli in TPH ( tweets per  ogni ora) il 18 febbraio dava questa classifica dei contendenti alle elezioni.

grillo          1128

giannino      898

berlusconi   811

monti           703

bersani        474

ingroia           94

vendola         53

Il dato risentiva, ovviamente, delle perturbazioni del giorno. E quel giorno Grillo aveva lanciato la sua ennesima provocatoria sfida al sistema e Giannino invece stava incubando la bomba Zingales.

Ma strisciando l’insieme dei dati nelle settimane precedenti, si notava come in quasi ogni giorno della campagna elettorale si era consumata una perturbazione che aveva fatto impennare i dati delle citazioni in rete per le liste dei grillini .

Un’attenzione che  si gonfiava nelle piazze più che nelle arene televisive e si depositava nella rete. Un fenomeno di curiosità di tipo “serendipico”, ossia di ricerca di cose nuove senza sapere bene cosa  che si concludeva sempre con il piacere  di essere stupiti da quello che si trovava attorno a Grillo. Un’ansia di nuovo che addirittura tracimava oltre i confini  dei 5 stelle, arrivando ad investire anche soggetti in qualche modo affini, nella loro eccentricità, come  il movimento di Giannino.

Con alti e bassi,   il pendolo “serendipico”, in una relazione di causa ed effetto  veniva sempre attratto dalla capacità di Grillo, e in subordine di Giannino e ,infine, dello stesso Berlusconi, di determinare la cosi detta agenda – setting del dibattito elettorale. Mentre rimanevano inerti, sostanzialmente marginali, personaggi tutti da salotto televisivo, come Vendola e  Ingroia, o schiacciati nel ruolo di bersaglio come Monti e,  in mezzo come snodo fra le due realtà-quella dinamica di Grillo, innanzitutto, Giannino e Berlusconi e quella inerte di Vendola, Ingroia e Monti – la macchina da guerra di Bersani.

Nell’ultima settimana  ha preso forma lo tsunami. E il gruppo si sgrana con un gerarchia che poi sarà , nei suoi trend premianti, riprodotta dal voto.

Bersani, che aveva registrato nell’arco del mese precedente una media TPH attorno a 300, con l’ultimo rush finale propagandistico non sfonda il muro delle 500 citazioni medie per ogni ora della giornata. Vendola e Ingroia, non si fuoriescono dalla gabbia di quota 100, e Monti, che pure aveva un valore doppio di Vendola , attorno a 230,non supera mai le 350 citazioni.

Grillo invece, che  pure all’inizio della campagna elettorale aveva un valore non dissimile da Bersani- 300/350 TPH- si impenna prepotentemente ,e supera con forza, nel corso delle 24 ore di ogni giorno dell’ultima settimana preelettorale,  quota 600, arrampicandosi, nelle ultime, decisive,36 ore sul tetto delle 2.000 citazioni per ora.

Il 23 febbraio, il giorno prima del voto, e  dopo  la manifestazione di Piazza S. Giovanni, è il  momento di svolta, che tutti i sondaggisti concordano nel ritenere decisivo per orientare le due paludi  che incombevano sul risultato: gli indecisi e i potenziali astenuti.

Grillo trova un canale forte di comunicazione con i due universi di  voto inespresso. In particolare appare visibile la  dinamica , nell’ultima settimana che porta a concentrarsi su Grillo l’attenzione dell’area di simpatizzanti ex PD , in maniera  decisamente più marcata  rispetto a quella  di provenienza PDL, che pure all’inizio della campagna  aveva costituito lo zoccolo duro del consenso alle liste 5 Stelle.

La tracciabilità di questo processo in rete conferma che ormai l’opinione pubblica reale non si discosta dall’opinione media della rete. Soprattutto l’indice di socialità, cioè di circolarità della relazione, calcolabile con i grafi che misurano l’interattività della comunicazione che si realizza negli spazi web. Più i flussi di comunicazione sono interattivi, producono cioè un dialogo multipolare, più le opinioni che vi si formano hanno un valore universale. Grillo ha raccolto vision, protesta e proposte, e le ha  trasformate in un flusso  circolare di reciprocità. Chi ha concepito questo disegno ha studiato molto da vicino il fenomeno Obama, arrivando ad applicare la regola David Axelrod, il consulente del presidente americano, che in Italia non si è ripetuto con il suo sodalizio con Monti, secondo il quale Obama vince non perché usa la rete per parlare con i suoi elettori, per questo c’è la TV, Obama vince perché fa parlare i suoi elettori fra di loro.

E questo lo ha scoperto anche la gelataia di Venezia.

E ora inizia un’altra storia, sulla rete.

Grillo non tiri troppo la corda, anche se ha fatto bene a tirarla sin qui

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di Arnaldo De Porti

Beppe Grillo ha vinto una grande battaglia: ha rotto  una forma-mentis politica che gli Italiani non digerivano più.

Lo scossone elettorale ne è la prova più provata; e di questo, senza dubbio, è necessario riconoscergli il merito, indipendentemente dalla metodologia, non sempre democratica, da lui adottata per arrivare a detto risultato.

Ma di questa metodologia non c’è da incolparlo più di tanto se si considera che altri, a mio avviso in maniera disonesta e dolosa, hanno messo in atto una sorta di voto di scambio promettendo la restituzione dell’IMU.

Ma se quest’ultimo fatto ha tolto, quasi per punizione,  oltre sei milioni di voti a chi l’ha messa in atto, io suggerirei oggi a Grillo di non tirare oltre la corda se non vuole che essa si trasformi in un cappio al collo. Con le conseguenze che ne deriverebbero.

Gli Italiani infatti hanno capito che egli è democratico in maniera contraddittoria: da una parte lo è quando dialoga con l’elettorato col supporto web, dall’altra è antidemocratico quando non consente ai suoi di adoperare il simbolo. Ergo,. democratico “ad libitum”.

Ora Grillo sembra scagliarsi contro Bersani e quest’ultimo gli risponde di dire ciò che vuole, ma in parlamento.

Stando così le cose, e cioè ove nessuno parli con nessuno, e Grillo pensi di entrare in parlamento per fare la bella statuina, allora non v’è dubbio alcuno che l’Italia sprofonderebbe nel caos. Con conseguenze ben immaginabili, ivi compresa  l’ipotesi  che detta corda  non debba necessariamente stringersi strettamente al collo dell’ex-comico.  E questa volta senza rompersi davvero.

Il fatto che, pochi minuti fa, la Germania abbia detto che oggi l’Italia è nelle mani di due clown, non promette bene.

Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi

di Massimo Preziuso su L’Unitàelezioni

 

Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.

Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.

Dopo i primi giorni di “calma piatta”,  nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.

Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.

Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.

A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.

Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.

Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.

E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.

Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.

E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.

Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.

Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.

Primarie: Renzi credeva fosse Grillo ed invece era un”calesse”

di Salvatore Viglia (su L’Unità)

Se Bersani fallirà, saremo severi con lui. Su questo non ci piove. A ben vedere, la vittoria non giustificherà una nuova possibilità.

Nessun’altra possibilità neanche per il buon Matteo che ha tentato di incantarci però con un pacchetto ben assortito di demagogia e manierismo barocco forbito di parole, gesti, opere ed omissioni.

Non ci ha convinto neanche nel pieno del marasma ghiacciato della disillusione, non ci convincerà mai più allora. Ad un certo punto ha creduto d’essere il Grillo della sinistra ma invece si è accorto di essere un “calesse” come nel titolo di un film del compianto Troisi.

Un incrocio tra Grillo e Benigni, seppur nella pittoresca fusione delle tipologie, non poteva bastare a Renzi stante la mancanza di un “sacco” personale ed originale dal quale estrarre farina che fosse sua.

La politica e gli uomini devono cambiare e lo devono fare attraverso il processo e la parentesi Bersani. Pier Luigi è colui sul quale pesa la responsabilità delleresponsabilità, quella di traghettare e condurre il generale ed auspicato cambiamento del paese da una sponda all’altra del fiume.

E’ chiamato a disinnescare un ordigno nucleare a prezzo della sua stessa vita politica, del partito nel quale agisce e del destino prossimo futuro del paese. Parliamoci chiaro, e diciamolo una volta per tutte, qui in ballo c’è molto di più del default economico.

C’è assai di più del prestigio internazionale che lascia, in fin dei conti, il tempo che trova. Siamo chiamati a predisporre le forze sul campo per difendere la reputazione e la dignità di un intero popolo fucina di eccellenze umane senza precedenti che da Mani pulite ad oggi non solo non ha fatto progressi, ma è addirittura peggiorato. Da oggi pensiamo seriamente al da farsi, mettiamoci un punto. In bocca al lupo.

Ciò che Renzi non avrebbe fatto: “rottamare” Beppe Grillo

di Salvatore Viglia 

Ciò di cui si ha bisogno è una visione chiara dello scenario politico attuale sul quale lavorare. L’area “adulta” del PD, ha commesso l’errore peraltro cosciente di sottovalutare la protesta cavalcata da Beppe Grillo. Ciò che più meraviglia, infatti, è la mancanza di determinazioni conseguenti che tengano a correggere quella posizione. Il vero rottamato in tutta questa storia di contrapposizioni è proprio l’attore genoano. Ma è un errore strategico e sostanziale che, se rettificato in tempo, potrebbe aprire soluzioni definitive anche decisamente stabili nel lungo periodo. Gli “adulti” si sa, dall’alto della loro saggezza non sempre moderatamente giustificata, finiscono con l’ignorare sia le novità, sia i linguaggi relazionali che propongono prospettive e innovazione. Essi hanno bisogno di maturare nel tempo per acquisire ed accettare il nuovo quando però altro non si fa che parlare di rinnovamento. Attenzione di rinnovamento, cioè una posizione  parecchi step lontana dall’innovazione. Ci riferiamo alla volontà non solo di passare a riconoscere come politica ciò che conveniva chiosare, d’acchito, antipolitica tout court. Lo vediamo, lo abbiamo visto che ciò accade in politica come nella vita pensiamo alla ostinazione ancora di alcuni che restano abbracciati alla loro olivetti 22 con la quale si son pur scritte pagine memorabili di storia e di giornalismo. Il punto cruciale è il passaggio consapevole dell’atteggiamento “maturo” ad una disponibilità di comprensione e di adeguamento necessario al nuovo. Ciò che è obiettivamente vecchio ed in disuso ancora tra queste file, non sono i suoi uomini che pure rappresentano un patrimonio immenso di esperienza e reputazioni anche di caratura internazionale, quanto l’atteggiamento severo ed anacronistico delle idee all’impatto con i fatti contemporanei. Una serie di errori sono stati commessi, alcuni di questi veramente gravi ed incomprensibili ad una mente aperta e disponibile. Manca ancora il coraggio, senza rinnegare né sventolare rese incondizionate, di accogliere e valutare. Manca la presenza e l’ardire dei giovani innovatori quale testa di ponte intrepida e ferrata pronta a “sfruttare” l’esperienza dei padri nel vigore dei figli senza paure e remore. Tutto ciò, però, solo a condizione che esista incontrovertibilmente la volontà di realizzare i propositi.

R-innovamenti web per i partiti politici

di Massimo Preziuso su L’Unità

Ci sono momenti nel dibattito politico in cui basta una parola e la tensione tra due parti esplode e rischia di trasformarsi in una guerra infinita.

E’ il caso di una frase del Segretario del PD Bersani che nelle 48 ore successive ha generato reazioni esagerate ma ipotizzabili da parte di Beppe Grillo e di molti utenti Internet, vicini al Movimento 5 stelle o comunque già critici rispetto al PD e più in generale verso la cosiddetta “casta”.

E allora quella frase diventa utile per riscoprire i limiti delle organizzazioni politiche nella comprensione di un fenomeno da anni dirompente come Internet e, soprattutto, della sua evoluzione.

Ovvero dell’incapacità dei principali partiti italiani di comprendere che cosa è la Rete oggi e da chi è popolata.

E invece la risposta è semplice: la Rete è fatta di normalissimi cittadini e rappresenta uno spaccato rappresentativo delle società contemporanee.

E un partito politico oggi più che mai deve impegnare enormi risorse nel rendere più normale e fluido possibile il rapporto di comunicazione con gli utenti di Internet fondamentalmente per un semplice motivo: per comprendere meglio quello che sta accadendo e quello che accadrà nella società in cui esso opera.

Sembrava che l’esperienza di Moveon.org nella campagna americana poi vinta – anche grazie a questa interazione forte con il web – dal Presidente Obama sarebbe stata importata in Italia.

Ma così non è stato e la politica tradizionale è tornata, sbagliando, a “snobbare” il web definendolo un fenomeno di nicchia, soprattutto in ragione della sua (presunta) modesta ”portata” elettorale.

La storia italiana degli ultimi anni ha detto tutt’altro, se è vero che un fenomeno 100% Internet come il M5S in pochi anni è diventato protagonista della scena politica, con il lavoro volontario di tanta gente normale messa in Rete.

Detto questo, non è ancora tardi per recuperare in tal senso.

I partiti politici dedichino risorse importanti a riguardo, studino in fondo le dinamiche del web, e vedranno risultati imponenti già alle prossime elezioni.

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