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La strana democrazia di 5 Stelle, La Repubblica e Montezemolo: chi comanda non è nel partito

Peppino Caldarola (su Linkiesta)
Sta nascendo una nuova tipologia di partiti (che si dichiarano rigorosamente  non partiti) a direzione occulta, ovvero, per meglio dire, diretti da gente che  se ne sta fuori a guidarli dalle tenebre. Nell’elenco c’è il partito di Grillo,  che pudicamente si autodefinisce movimento ma è un partito, c’è quello di  Montezemolo, c’è quello del gruppo “L’Espresso-Repubblica”. Grillo ci ha già  spiegato che lui sarà dietro le quinte a stabilire ciò che è giusto e ciò che  non lo è, più o meno come accade in Iran con gli ayatollah. Irene Tinagli ci ha  raccontato che nel suo “Italiafutura” Montezemolo svolgerà un ruolo di difficile  catalogazione ma anche lui sarà un leader occulto, il gruppo editoriale citato  aiuterà la presentazione di una lista, ma ne saranno fuori i tre capi, cioè  Carlo De Benedetti, Eugenio Scalfari e Ezio Mauro.

Sta nascendo una strana democrazia in Italia. Mentre a  destra ci si sta convincendo che forse è bene fare le primarie per eleggere un  signore o una signora che prenda il posto di Berlusconi, e mentre a sinistra  Bersani (che prese poco tempo fa qualche milionata di voti per diventare  segretario di partito) dovrà sottoporsi a una nuova prova per diventare il  candidato premier, c’è questo pullulare di nuovi movimenti, questo formicolio di  società civile, questo insorgere di antipolitica che si svolge nell’ombra e tine  al riparo i grandi burattinai, cioè i capi della nuova forma-partito, il  partito-occulto. Mi viene da dire che è meglio il peggior partito, con regole  democratiche vere, che il miglior movimento affidato nelle mani di uno o più  guru che possono di soppiatto e senza controllo decidere le sorti della politica  e con essa di milioni di cittadini.

Stiamo diventando quello strano paese in cui il massimo di  virtù democratica viene riconosciuta a personalità e movimenti che non si  sottopongono a congressi o a qualcosa di simile. Prendete quel democratico di Di  Pietro: non ha mai fatto un congresso, ha selezionato una classe dirigente  peggiore di quella della prima repubblica, i suoi parlamentari sono stati  oggetto di attenzioni e di scambi per tenere in piedi il vecchio governo. Eppure  Di Pietro, che non fa congressi né primarie, guida la lista di coloro che hanno  qualcosa da insegnare ai partiti ed elogia Grillo sul ricambio generazionale  dimenticando che sia lui sia Grillo sono, anagraficamente e non solo, abbastanza  avanti con gli anni. La lista di Montezemolo, per parlare di un altro partito  occulto, verrà fuori da un’associazione che è fatta di tante belle persone, la  Tinagli è anche brava e carina, ma nessuno sa chi e come sono selezionati i suoi  dirigenti, eppure anche loro criticano i partiti perché poco trasparenti. Il  gruppo editoriale citato è il prototipo della struttura autoritaria, ben più di  quanto lo sia necessariamente ogni giornale, e la sua eventuale lista sarà  formata con un meccanismo di selezione arbitrario, senza alcun rapporto con una  linea politica che è stata di una mutevolezza e anche di un opportunismo  politico da lasciare interdetti.

L’unico che dovrà fare gli esami sarà Bersani e con lui i  suoi contraddittori, si chiamino Renzi o Vendola o altri ancora. Nella Italia  stanca dei partiti invece saremo pieni di movimenti di duri e puri che della  democrazia non sanno che farsene, in cui comanderanno i nuovi ayatollah formati  nei camerini dei teatri, nelle stanze di grandi aziende, nelle redazioni  militarizzate. Sono tutti nipotini di Berlusconi, buonanima. Per questo,  passando sopra a tutti i miei mal di pancia, guardo con affetto a Bersani e tifo  per lui. So che se toccherà a lui comandare, a me e a tanti altri resterà la  possibilità di criticare. Con quegli altri, duri e puri, movimentisti,  espressione della società civile, eccetera e eccetera forse correrò qualche  pericolo come capita nelle democrazie commissariate dai guru, dai para-guru,  dalle strutture di comando occulte.

Deputato grazie al web

di Mario Adinolfi (su Europa Quotidiano)
Una premessa personalissima. La giornata di ieri è stata particolarmente divertente perché vedevo avverarsi i miei pronostici sui ballottaggi grillini pubblicati qualche giorno fa su Europa.
E anche perché con l’elezione del deputato Pietro Tidei a sindaco di Civitavecchia (congratulazioni a questo vecchio combattente mio corregionale) scatterà nelle prossime settimane il mio ingresso alla camera, da primo dei non eletti promosso dalle regole sull’incompatibilità. I quattro sindaci del M5S sono evidentemente molto più politicamente rilevanti della mia vanagloria da deputato per qualche mese, ma c’è un tratto comune: la vittoria di Internet.
Nel 2008 venni inserito a forza in lista dalla campagna “Un blogger in parlamento” attivata da centinaia di colleghi di destra e di sinistra che dalla rete fecero piovere nel quartier generale del Partito democratico una valanga di email che mi valsero una posizione ineleggibile, che per il terremoto politico causato dalle scelte del Pd finì per essere ai margini dell’area di eleggibilità.
La rete aveva smosso qualcosa in un partito tradizionale, così come qualcosa si mosse quando i blogger di Generazione U inventarono la via della candidatura alle primarie del Pd l’anno precedente. Insomma, se Internet si mette a fare politica, qualcosa succede.
Io vado implorando il Pd dalla sua nascita: deve capire che la rete cambia tutto, cambia i rapporti tra i cittadini nati dopo il 1970 e la politica. Dopo il 1970 sono nati 29 milioni di italiani, i candidati sindaci del M5S erano tutti nati dopo quella data, hanno vinto contro sfidanti (anche del Pd) tutti più vecchi.
Non vince l’anagrafe, non solo almeno: vince però il sapere interpretare il paese in digitale e non attardarsi nella lettura datata, quella in analogico di chi ha ballato su dischi a 78 giri e guardato con sospetto i primi cd.
Qualche mese fa restituii con dolore la tessera del Pd al segretario Bersani, con una lettera che ha fatto discutere anche qui su Europa. I motivi di quel dissenso permangono tutti, ma al momento del mio ingresso alla camera ricorderò che sono stato eletto nelle liste del Pd, da cittadini del Pd che quelle liste hanno votato: mi iscriverò da indipendente al gruppo del Pd e ne accetterò la disciplina. Farò valere però in sede parlamentare e politica le mie idee sul rinnovamento radicale di cui abbisogna il partito, che non può pensare di vincere proponendosi come “l’usato sicuro”.
Deve sapere essere un passo avanti nell’innovazione, non un passo indietro. Può battere la proposta più innovativa, quella del M5S, rilanciando come si fa a poker: deve essere più innovativo. Deve avere il coraggio di correre il rischio di proporsi come alternativa di governo in autonomia, secondo l’originale vocazione maggioritaria, accettando la sfida di primarie che identifichino la leadership e la legittimino secondo un processo di democrazia diretta, senza inutili coalizioni e ringiovanendo totalmente le liste. Gli schemi ingialliti dal tempo vanno riposti in soffitta, insieme ai vecchi 78 giri.
Ha vinto internet, non so neanche se è un bene o un male, ma è così. Da oggi si deve viaggiare in digitale. Sono personalmente felice di aver dato una mano a mettere in moto questo cambiamento.

Come si risponde al Partito Amazon di Grillo?

di Michele Mezza

Per fortuna che c’e’ la crisi.

E’ davvero il caso di dirlo dinanzi allo sfacelo politico. La crisi, con la sua salutare azione di disillusione per chiunque ancora spèeri di sopravvivere con le vecchie ricette, è oggi l’unico motore del cambiamento.

Un motore che in assenza di una spinta consapevole ed autonoma della comunità nazionale, può comportare, come tutte le rivoluzioni passive, uno sbocco conservatore.

I dati elettorali ci confermano che i problemi sono grandi, ma tutto è possibile, perfino una positiva ripartenza.

I dati ci segnalano alcuni scenari di fondo:

– Una destra  senza contenitore, dove  i flussi elettorali tracimano in cerca di vettori.Il letto del fiume non è a secco, anzi, ma non ci sono argini.

– La sinistra ha invece solo contenitori, senza spinta dell’acqua, che compress da argini alti ristagna ma non spinge.

– Infine il segnale di una irriducibilità fra ceti socio anagrafici e una leva politica che non si intendono. Sembra che parlino lingue diverse: grillini, localisti, leghisti vari, continuano a declinare una domanda di rappresentanza senza assistenza, e la politica risponde con un’offerta di assistenza senza rappresentanza.

Ancora una volta l’insorgenza del malessere non deve essere confuso con la patologia. Grillo è la Bonino di turno, che ricordate, arrivò alle europee fino al 9% nazionale.

Con due differenze: la rete come forma, la lunga coda come organizzazione. Grillo infatti unifica un caleidoscopio di differenze: Parma, Vicenza, Genova,Sicilia, sono facce di un movimento assolutamente estranee l’una alle altre. Il modello è esattamente la lunga coda di Andersen: ogni prodotto trova la sua nicchia, ogni consumatore chiede un prodotto differente. Grillo apre la sua Amazon elettorale e coagula la differenza dandole un respiro nazionale. Il linguaggio e la forma di tutto questo particolarismo è la rete, che significa, estraneità alla TV, lontananza dal palazzo, selezione delle professionalità. I partiti imbarcavano gli avvocati, Grillo fa eleggere gli informatici.

Il sintomo è ormai chiaro:si apre la stagione della generazione che non ha nulla da chiedere. Si spara sul malaffare perchè non si ha niente da chiedere di concreto e personale.

I grillini, come i designer di Milano, o i gastronomi di Slow Food, o  i ricercatori della Normale, non chiedono nulla alla politica perchè giocano su scenari globali, dove la negoziazione parte dai livelli di sapere che si possono scambiare.

La destra cercherà ora di rispondere con la ricetta del 94 di Berlusconi: raccogliamo i cocci o vincono i cosacchi.Casini sarà costretto a starci, e la Chiesa si giocherà le suggestioni di Todi sull’altare di una nuova sacra alleanza(Fini, come previsto, sotto i ponti).

La sinistra replicherà, con uno slogan simmetrico: compattiamo l’alleanza possibile per non far vincere Berlusconi. Tutti  e due  si perderanno al centro, mentre le rispettive basi sociali si dispiegheranno nelle fascie laterali, dove i conservatori cavalcheranno il populismo anti democratico, e i riformatori la conflittualità territoriale.

Il vero buco nero, più che le fanfaronate sui conti dei partiti, sta proprio nell’incapacità di declinare i nuovi linguaggi dell’autorappresentazione: la rete , come spiega Castells, nasce dal protagonismo dell’Io.

Chi federera’ le moltitudini degli infiniti io? la cultutra di massa non sa rispondere. Il lavoro non trova legami da annodare.

Solo la ricomposizione di alleanze locali, fra saperi, amministrazione e competizione, può comporre le tre esse di un programma plausibile: sussidiarietà, solidarietà, sviluppo.Obama sta traducendo in inglese i tre termini. In Europa chi raccoglie la sfida?

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