Significativamente Oltre

europei

Si provi un governo breve ma PD e PDL avviino “congressi aperti” subito

di Massimo Preziuso
 
Stamattina un amico del M5S ha pubblicato su Facebook i link alle pagine di tanti politici del PD.
 
Impressionante quanto il “popolo del web” non abbia apprezzato la scelta del Napolitano Bis, fatta dal PD dopo la bocciatura interna della candidatura del suo padre fondatore, Romano Prodi. E senza poi almeno provare un opportuno dialogo con l’alleato desiderato fino a quel punto, il M5S appunto.
 
Se la voce di quel “popolo” rappresenta il Paese – ed io credo da tempo di sì – lo sapremo domani dai risultati elettorali del Friuli Venezia Giulia.
 
La verità è che il Bis di Giorgio Napolitano (personalità di chiaro altissimo profilo) ha senso se e solo se serve a fare un governo politico, limitato nel tempo e nello scopo, possibilmente aperto anche al M5S. Altrimenti il Paese – quello fuori i palazzi – sarà nel frattempo esploso totalmente. Nessuno di certo potrebbe accettare di essere governato a lungo da un gruppo di “saggi” lontani dalle strade di Italia, che nel frattempo muoiono giorno dopo giorno.
 
Ma soprattutto il Bis di Napolitano ha senso se, nel frattempo, il Partito Democratico e il Popolo delle Libertà avvieranno da subito congressi aperti (sul serio) che disegnino pienamente, aprendosi all’esterno, una nuova classe dirigente politica in Italia.
 
Senza paura, senza mezze misure, tocca alla attuale leadership del PD fare il primo passo ed agire in tal senso.
 
Altrimenti moltissimi di noi – da anni sostenitori del PD da fuori – dovranno cambiare e abbracciare le novità, ormai mature, che vengono dalle parti del M5S appunto. Un “Movimento” che pure dovrà fare un salto di qualità, aprendosi all’esterno, per crescere in maniera sostenibile.

PD: anatomia di una disfatta

di Pierluigi Sorti

L’ ampiezza del disastro del Pd, mentre la presidente della Camera dichiara il risultato ufficiale della IV votazione per il presidente della Repubblica, assume le dimensioni di una catastrofe definitiva.

Non stupisce, più di tanto, in serata , dopo i telegiornali, il susseguirsi , nell’ ordine, delle dimissioni annunciate dal presidente Rosy Bindi, poi dal segretario Pier Luigi Bersani e, dal Malì africano, la dichiarazione di amarissimo stupore dello stesso Romano Prodi , principale vittima designata di questa Waterloo della democrazia parlamentare italiana.

Eppure, davanti allo sfacelo prodotto da circa 100 parlamentari , quasi o, forse, tutti del Pd, il nostro istintivo risentimento non si rivolge al responsabile indubbio di una serie di incomprensibili scelte tattiche e strategiche di Pier Luigi Bersani : troppo stridente appare infatti il comportamento del gruppo suddetto di franchi tiratori che unanimemente poche ore prima avevano assunto, senza espresse riserve alcune , l’impegno di votare sulla scheda il nome di Prodi.

Un quadro desolante che implica la stupida, masochista e vile scelta di una schiera di persone, gratificate dal privilegio di essere stati scelti come membri parlamentari di Camera e Senato , ma pronte a tradire, sconciandolo , un mandato di cui non erano evidentemente degni.

Constatazione che tuttavia getta una luce retrospettiva di come un gruppo di regia che, dal 1994, e proveniente dai vecchi Pci e Dc , ha operato un percorso ricorrendo a camaleontici rifacimenti di identità, nell’ illusione di sottrarsi alla doverosa operazione di fare i conti con la propria storia.

Mancando la quale , nella varietà di metabolismi cui hanno ritenuto di ricorrere, hanno svolto una azione di proselitismo evidentemente ispirato a canoni selettivi e formativi , basati inconsciamente sulla doppiezza con la quale hanno occultato la loro storia personale.

Il destino ha voluto che gli allievi, fra cui sicuramente alcuni che hanno guadagnato il seggio parlamentare con quelle “parlamentarie”, superate con metodi talmente discutibili da indurli a ritenere, con meschino machiavellismo, che tali potessero costituire l’ essenza stessa della condotta politica.

Ora il buio delle prospettive, a breve e a lungo, del Pd, si protende sulle necessarie operazioni di ricambio in un panorama complessivo che non esclude l’ ipotesi del disfacimento strutturale della stessa sua ossatura organizzativa.

Un Presidente in nome del Papa Re

Di Michele Mezza

Pensavo piovesse, ma non che grandinasse. In questi mesi non ho risparmiato critiche, anche salaci, al gruppo dirigente del PD. Ma ieri, lo confesso, ho pensato che dopo la lezione Marini, attorno all’ancora di Prodi , il partito tentasse un’operazione di autosalvataggio. Invece è stato auto affondamento.

Il voto  è servito alle diverse bande per approfittare dello sfacelo. 100 franchi tiratori sul fondatore del partito, dopo il fallimento delle precedenti aperture, sono più di un agguato, sono la Guyana: un suicidio di massa.

Ora il PD non c’è più. Ma è mai iniziato? Questa è la domanda. E più in generale: la sinistra ha mai  potuto contare su una credibile identità e cultura politica dopo il disfacimento del PCI e del suo mondo?

Questa è la domanda che va distribuita su tutto il fronte su cui si è dislocata la sinistra dopo l’89: Ds, Rifondazione, schegge varie, e ora Sel e PD.

Siamo ad un tornante non dissimile a quello che, mille volte più in piccolo, si ebbe, alla fine degli anni 70 con il gruppo della sinistra extraparlamentare. Qualcuno forse ricorderà: quando la strategia politica coincide con il destino personale dei singoli dirigenti oltre il fallimento subentra la miseria morale. Tale fu allora il destino di quella stagione, tale è ora l’epilogo di un esperimento inconcluso.

L’accartocciamento attorno al Quirinale è infatti la conclusione di un itinerario fatto di improvvisazioni e di scorciatoie velleitarie. 
Un partito senza cultura condivisa, senza fatica di una discussione, senza un progetto sociale, senza un quadro internazionale e senza la curiosità del nuovo. Un partito di riciclaggio, dove i vecchi dirigenti cercavano di improvvisarsi  nuovi e i vecchi di farsi come i precedenti.

Un partito che faceva le primarie come un congresso interno , e i congressi come i festival dell’Unità. Che pensava di vincere le elezioni solo perchè gli avversari erano impresentabili, e di governare solo perchè i propri aderenti erano più eleganti e  cosmopoliti.

In questo quadro non ci si è accorti che le elezioni si erano perse e non vinte, seppur di poco, che mancava un’idea di alleanze, che non si riconosceva una base sociale coerente con il proprio disegno politico. Che si parlava di  produzione industriale ad un partito di impiegati pubblici, si celebrava il lavoro ad un ceto di mediatori, che si elucubrava di innovazione  covando in cuore l’avversità alla rete.

Questa sinistra è estranea al paese, o meglio assomiglia alla parte meno vitale dell’Italia. Lo dobbiamo riconoscere. Renzi, Grillo, la Lega, i frammenti, belli o brutti, di una razza rude e pagana che corre sono tutti fuori dal nostro perimetro, dai nostri ricordi, dalle nostre fotografie. Vogliamo capire perchè? O continuiamo a valutare i presidenti e gli elettori in base ai quarti di nobiltà radicale che esibiscono?

Ieri Vespa esibendo un iPad gridava che “questo avvelena la politica”. E una considerazione miserabile. Non sono i tweet che arrivano ad intimidire un gruppo dirigente, ma è la fragilità e l’inconsistenza di un gruppo di  capi improvvisati e cooptati che rendono ogni stormir di fronda una minaccia. Fossero pure telefonate o telegrammi.

Bisogna ripartire dall’idea di rappresentanza: chi vogliamo  organizzare e per che cosa? Chi pensiamo che siano oggi gli agenti di libertà e progresso in questo paese, e chi devono essere i ceti da garantire per l’equità. Le due operazioni oggi sono disgiunte. Questa è la vera differenza rispetto al secolo scorso: ieri  il motore del cambiamento erano direttamente i ceti dell’equità, oggi il cambiamento è promosso da settori che poi usano l’equità per vivere in un paese migliore.

La rete ne è il luogo di cultura e di reciproca identità. Non è una minaccia.

Come diceva Manfredi al papa, nel film di Luigi Magni in Nome del Papa Re: Santità qui non è che finisce tutto perchè arrivano i piemontesi, qui arrivano i piemontesi perchè è finito tutto.

Prima lo capiamo e meglio è, anche per il Quirinale.

Bersani “segue” la linea Innovatori Europei: Romano Prodi Presidente della Repubblica

 di Massimo Preziuso

Sta andando a finire come qui dicevamo da mesi.
Bersani porta il Partito Democratico sulla linea del protagonismo.
Lo fa dopo essere passato, in maniera strategica, per “potenziali” scelte condivise, che erano chiaramente non fattibili.
Arriva alla candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica.
E con questa mossa finale ricongiunge le varie anime del Partito Democratico, date per disperse un giorno prima, che votano la sua proposta all’unanimità.
Per noi Innovatori Europei questa è una notizia straordinaria ed importante: la aspettavamo da mesi e la abbiamo chiesta in più luoghi.
Tra poche ore avremo il ritorno del fondatore del PD, nostro riferimento politico fin dal 2005-6, in Italia, al Quirinale.
E sembra che Prodi sarà votato anche da (almeno parte di) M5S e Scelta Civica. Un fatto importantissimo.
E mai direi mai che il supporto non arrivi anche da parte del PDL e della Lega.
E adesso il PD arriva al centro della scena, quale calamita attrattiva dei processi di cambiamento ed innovazione del Paese.
Finalmente!

Prodi, D’Alema, Cassese: tre scelte ottime, per motivi diversi, per la Presidenza della Repubblica

 di Massimo Preziuso
 
Come al solito, all’ultimo minuto, viene fuori un Partito Democratico che sa discutere animatamente e ragionare.
 
In un momento davvero complesso, a 24 ore da inizio votazioni, per la Presidenza della Repubblica escono tre nomi, che rappresentano tre scelte ottime, per motivi diversi.
 
Sabino Cassese è personalità di esperienza e competenza istituzionale ed accademica di primissimo livello. Rappresenta l’outsider perfetto.

Massimo D’Alema è oggi il politico del Partito Democratico con la maggiore caratura istituzionale e stima inter – partitica in Italia (e forse all’estero). Rappresenta evidentemente l’unico nome politico su cui si possa trovare convergenza tra PD e PDL (se la si vuole cercare).
 
Romano Prodi  – dopo i successi politici in Italia e in Europa – è ormai personalità politica di livello mondiale. Rappresenta evidentemente una scelta con cui il PD marca la volontà di essere da subito IL partito di Italia.
Molti di noi “tifano” maggiormente per lui perché si avvicinarono alla politica proprio con il ritorno del Professore in Italia nel 2005-6, ed il successivo avvio di quel breve ma intenso periodo di partecipazione di società civile alla politica (da cui prese il via quello che è oggi Innovatori Europei).
 
In ogni caso, se il futuro Presidente della Repubblica sarà scelto tra uno di questi tre nomi,  sarà un fatto comunque positivo. Anche se poi da quel nome conseguiranno direzioni politiche diverse per il Paese. 
 
Aspettiamo ancora qualche ora – giorno e sapremo.
 

Berlusconi tiene in ostaggio la governabilità

 di Arnaldo De Porti

Il titolo racchiude in maniera esaustiva ciò che voglio dire,  ma certe considerazioni, dette e ridette, trite e ritrite,  vanno ripetute ad un popolo, come gli Italiani, i quali, hanno dimostrato fin troppo spesso di dimenticare, vuoi perché la politica concepita appunto all’italiana li ha esasperati, vuoi perché problemi prioritari importanti come quello di assicurarsi la sopravvivenza li hanno distolti da questo importante aspetto civico, quale la partecipazione alle sorti del paese, trasformando la democrazia rappresentativa in una sorta di oligarchia di un padrone delle ferriere: il  recente comizio tenuto a Bari da parte di questo “padrone” ne è stato una delle più lapalissiane e miserabili conferme. Mi vien da pensare che i mass-media di opposizione, in particolare Rai News 24, abbiano voluto proporre in toto la diretta televisiva allo scopo di far vedere e soprattutto far esprimere agli Italiani uno sconcertante giudizio riveniente dalle elucubrazioni indecenti di Berlusconi, stile Mussolini all’Arengario di Milano, ove il Duce teneva le oceaniche adunanze fasciste. Insomma, sistemi da baraccone.  Nessuna differenza di stile a mio avviso, fatta eccezione per le moderne tecnologie di riproduzione dell’…adunata, i cui presenti pare siano stati anche pagati per partecipare. Gli Italiani si ricordano quando Mussolini faceva spostare gli aerei da una base all’altra per far vedere che la flotta era immensa…mentre gli aerei erano sempre quei pochi ?. Stessa cosa per Bari, in termini di persone.

Per Grillo, al di la della sua, se vuoi anche civilmente inaccettabile dialettica che lambisce e supera le modalità democratiche, propone cose serie e gradite agli Italiani che peraltro, pur votandolo, non sono in grado di recepire a sufficienza che i suoi “adepti” sono a livello…pubertà politica, quindi privi di esperienza e di capacità. Con la sola, non trascurabile differenza che, da parte Berlusconi, l’obiettivo primario è la salvaguardia dei suoi personali interessi, mentre per Grillo esiste davvero una finalità sociale, volta da ripristinare un minimo di dignità e di benessere a tutti, eliminando che la forbice fra ricchi e poveri abbia ad aprirsi ulteriormente. Oggi siamo arrivati al punto che persino alcuni esponenti clericali sono costretti ad affermare che rubare per la sopravvivenza è un diritto naturale… (V. quotidiano La NUOVA VENEZIA di aprile 2013)  Realtà che è stata bocciata anche di recente dagli inglesi, post-mortem della  Thatcher ? Che hanno fischiato al feretro ?

Quando mai avremmo immaginato che  persino la Chiesa si spingesse a tanto ? Di chi la colpa se non di una politica iperliberista che ha affondato il sociale fino ad aprire un possibile panorama di grave conflittualità socio-politica per il caso che il berlusconismo, vero cancro di questo ventennio, non abbia a sparire  definitivamente alla crosta terrestre ?

Siamo in un epoca difficile, di cui sembra che quasi tutto vada messo in discussione per sopravvivere ed i nostri politici stanno lì a cincischiare solo perché non sono capaci di una reazione forte, determinata, che estirpi il male dalla radice ?

Realtà che gli Italiani ancora non hanno afferrato per le corna. A cominciare, purtroppo, dal Presidente della Repubblica che, per eccesso di saggezza costituzionale, ha preferito passar la palla ai saggi che, a loro volta, ora la passeranno ad altri ?

 

Non avrei alcuna remora ad affermare che oggi una buona ricetta per l’Italia sarebbe Prodi come Capo dello Stato e Bersani come capo del governo. Del resto, lo dico agli Italiani “dimenticoni”, Prodi a suo tempo aveva dimostrato di saperci fare, diminuendo il debito pubblico, l’inflazione e stabilizzando il potere di acquisto: Oggi, è tutto al contrario.

Non ci resta che piangere

 
Forse a Roma l’aria condizionata non funzionava, fatto sta, che tra Luglio ed Agosto 2011, qualcuno ebbe il coraggio di nominare Einaudi. L’aria condizionata invece funzionava benissimo; quel barlume di ritorno alla ragione, di speranza, era causato dalla paura. La paura prendeva il nome di spread che veniva iconizzato come il boia alla ghigliottina con noi in ginocchio. Si, in ginocchio, perche’ in ginocchio lo era e lo e’ il paese.
Il tentativo di divincolarsi dalla morte fu affidato a Monti che, con pratiche medioevali, ha curato l’Italia per sanguinamento: lacerandola prima per poi lasciarla morire, sia economicamente sia fisicamente. Gli impiccati abbiamo smesso ormai di contarli, e Massimo Del Papa nel libro In Questo Stato, fa una descrizione cruda, quanto vera, di quello che e’ significato realmente per il paese la cura Monti. Un costo enorme, dettato non da un’ispirazione ideologica (quella sarebbe almeno comprensibile anche se non condivisibile) bensi’ da un’ispirazione preservatrice dello status quo che e’ ormai insostenibile.
 
Il trascorso anno e mezzo ha visto l’Italia annaspare nelle paludi delle politiche economiche nocive, mentre le istituzioni sono oggetto di contesa e/o distruzione da parte di chi dovrebbe garantirle. Questa ressa – io la chiamo teatrino della politica – provoca la deviazione dell’attenzione e la sua focalizzazione su problemi in realta’ inesistenti e/o secondari.
I dibattiti sono su argomenti piu’ disparati: Enrico Letta, il PD, evocavano gli Stati uniti d’Europa ed Eurobond quando lo spread era sopra 450, sotto quella soglia non se ne parla piu’; la legge elettorale andava cambiata senza che nessuno dicesse come; le liberalizzazioni, che in una sorta di orgia di numeri senza senso tutti le davano, prese singolarmente, come contributrici alla crescita del PIL del 2%, cosicche’ potevi fare come quando vai al supermercato: due liberalizzazioni al prezzo di una e il PIL fa il 5% in 5 anni.
 
Lo scopo, quello del vecchio parlamento, soprattutto quello del PD, era di arrivare alle elezioni. A votare ci siamo arrivati con di tanto in tanto qualcuno che ci ricordava del boia, costringendoci quindi a genufletterci a qualsiasi soppruso che prendeva il nome di politica economica.
Il PD voleva arrivare al voto con lo status quo preservato, davano Berlusconi morto e Grillo come uno spauracchio da 15%. Avrebbero dominato, nella loro testa a Natale stavano gia’ pensando ai ministri. Ad un mese dalle elezioni, incontrai a Londra, negli studi di un broker, Maurizio Cotta; spacciava per sicuro un Governo PD-Monti. C’erano Hedge Fund, Gestori, e in uno scambio abbastanza animato gli dissi che secondo me un’alleanza non avrebbe retto a lungo e che si sarebbe tornati a votare entro un anno e che veniva troppo sottostimato Grillo mentre non venivano fatti i conti con una legge elettorale che garantiva l’ingovernabilita’ cosi’ come la garantiva il Mattarellum. I fatti hanno dimostrato che avevo ragione: il malessere del paese, il cancro che lo sta uccidendo, hanno prodotto un parlamento ingestibile che fara’, giocoforza, affidamento su un governo PD che dovra’ pettinare Monti mentre smacchia Berlusconi.
 
Lo stato di caos istituzionale in cui versa l’Italia e’ palpabile. Lo stallo ha prodotto un’anomalia del tutto Italiana con la nomina di 10 saggi che, nella pratica, hanno partorito quanto segue:
 
una riforma costituzionale: via una camera perche’ altrimenti non si governa;
una riforma di legge elettorale indicandone nel maggioritario corretto al proporzionale la soluzione (come il caffe’ con la Sambuca): forse il Mattarellum che tanto non funziona;
indicazioni sibilline come il miliardo per la CIG o rivedere il patto di stabilita’ interno;
che la principale emergenza e’ il lavoro: grazie dell’informazione, nessuno se ne era accorto.
 
Il caos istituzionale si riflette poi anche sui partiti dove vedi filosofi incartapecoriti teorizzare, un po’ come fanno i regimi totalitari democratici (Cina), una nuova forma di partito che dovrebbe soppiantare quelli  esistenti. Grazie ancora, abbiamo Grillo per quello, ci basta ed avanza.
 
La vera informazione e’ che questi 10 saggi sono di fatto una sorta di costituente che nessuno ha eletto, ma qualcuno ha nominato. Pero’ questa cosa passa inosservata, come se fosse irrilevante in una democrazia, quando invece non lo e’, soprattutto quando si tenta di manipolare la forma delle istituzioni. Ma veramente con due Camere non si puo’ governare? Se si, come fanno in America dove, al di la’ del presidenzialismo che riguarda l’esecutivo, c’e’ una sorta di bicameralismo perfetto come in Italia? In Italia sono 20 anni che la parola “riforme” ha una correlazione del 100% con la Costituzione: se qualcosa non va, bisogna cambiare la Costituzione. Perche’ poi bisogna sempre cambiare la Costituzione? Perche’ la Costituzione e non le leggi ordinarie che sono subordinate alla Costituzione? Veramente l’Italia non funziona per colpa della Costituzione? E’ la Costituzione da cambiare o i politici e la politica economica? E’ il cavallo che non e’ vincente o il fantino incompetente?
 
La volontaria deviazione dell’attenzione dal caos istituzionale ad altre questioni che in alcuni casi rasentano la farsa e’ sotto gli occhi di tutti, ma vengono fatte passare per vittorie e segno di civilta’. Pensate ai debiti dalla pubblica amministrazione e la restituzione di 40 miliardi alle imprese: ammesso e non concesso che glieli ridiano questi soldi, essi rappresentano solo il 40% dei debiti che sono circa 100 miliardi. La realta’ e’ che l’Italia e’ in default bello e buono in quanto restituisce il 40% (per di piu’ finanziato con ulteriore emissione di BTP) mentre ristruttura il rimanente 60%.
La disinformazione generale porta poi a dire bestemmie del tipo: ma lo spread e’ sceso grazie a Monti che ci fa risparmiare. In primis lo spread e’ sceso grazie a Draghi (Monti ha forse contribuito in misura marginale), in secondo luogo i titoli vengono emessi a tasso fisso e le variazioni dei tassi si riflettono sui prezzi e non sugli interessi per il debito emesso, mentre si riflette sugli interessi solo sul debito di nuova emissione. Anche qui, la vera informazione sta sul fatto che, per via dello spread, abbiamo rifinanziato il debito riducendone la scadenza media (come se rifinanziate un mutuo da 20 anni a 15 anni) rinviando un problema di liquidita’ ad una data da stabilirsi.
I numeri dei prossimi tre anni sono lievitati a cifre da capogiro secondo quanto riportato da Bloomberg:
 
Nel 2013 dovremo rifinanziare 257 miliardi e pagarne 37 di interessi
Nel 2014 dovremo rifinanziarne 222 di milardi e pagarne 52 di interessi
Nel 2015  dovremo rifinanziare 186 milardi e pagarne 48 di interessi
 
Il problema in Italia in realta’ e’ chi Monti rappresentava e rappresenta: una classe dirigente che e’ completamente incapace o cerca semplicemente di conservare lo stato di fatto delle cose. Una classe politica che, a fronte di uscite che saranno sempre piu’ impellenti, fara’ ricorso a nuove tasse e nuovo debito. La mia non e’ fantasia, basta leggere, cercare, ascoltare. Fassina (PD) sostiene che per quest’anno ci vuole una manovra da 8 miliardi, e siamo ancora ad Aprile. Il Ministero delle Finanze dice che ne serve una da 20 miliardi tra il 2015 e il 2017 (gia’ pensano a tartassarvi nel futuro rispolverando i piani quinquennali), aggiungendo che che se non lasciano l’IMU ne servono 60 di miliardi, cioe’ una manovra Amato maggiorata del 20% tanto per tenere conto dell’inflazione. Fatevi una risata sul “se non lasciano l’IMU” perche’ le tasse in italia sono perpetue, e che serviranno 60 miliardi, con o senza IMU, ce ne accorgeremo.
Ma tutti questi soldi a cosa servono? Le tasse e la spesa pubblica sono due facce della stessa medaglia. Se non riduco la spesa le tasse restano uguali o aumentano. Se non riduco le tasse perche’ la spesa resta uguale e ugualmente ripartita, che riforme ho fatto? Nessuna. Ed ecco che il capro espiatorio diventa la Costituzione
 
Ma tagliare la spesa per tagliare le tasse e rivisitare il sistema fiscale in Italia e’ un miraggio. A sinistra associano “spesa” alla sola voce “stato sociale” e quindi immodificabile per definizione, mentre eventuali risparmi da tagli di spese indicate come possibili (vedi F35) verrebbero immediatamente girati a qualcun’altro con gli interessi. A destra non fa tanta differenza perche’ spesa pubblica in Italia significa anche finanziamento pubblico a fondo perduto ad una serie di lobbies imprenditoriali (abbiamo rottamato anche gli spazzolini da denti in Italia) che ha consentito il proliferare di industrie inefficenti che hanno drenato l’economia da risorse. Della riduzione delle tasse ne hanno parlato, 5 minuti in campagna elettorale, poi finito lo spettacolo, i musicanti ci tornano a suonare. Perche’? Perche’ lo staus quo e’ ormai insostenibile senza ulteriori salassi. Se la pressione fiscale e’ sopra il 50% significa che la popolazione intera e’ narcotizzata, ci facciamo tutti, siamo tutti tossicodipendenti, tossicodipendenza dallo Stato. E’ tossicodipendente chi non capisce la domanda “si ridurrebbe la pensione di 32000 euro al mese?”. E’ tossicodipendente chi dice che 2 miliardi di euro l’anno spesi per la politica sono ragionevoli. Amato e Dini sono chiaramente da comunita’ di recupero non da nomina alla Presidenza dello Stato. Ma e’ tossicodipendente anche il sindacato che vive in simbiosi con l’impresa non piu’ efficente che viene finanziata in ogni modo: lo Stato, o chi per lui, compra quello che produce oppure si fa una rottamazione; cosi’ la droga Stato passa prima nell’impresa e poi sui lavoratori. Ovviamente a chi non ancora tossicodipendente si toglie l’ossigeno con le tasse al punto da metterli in condizioni di richiedere anch’essi una dose di Stato, ed ecco che tutti, chi piu’ chi meno, ci facciamo di Stato. 
 
Per far ripartire l’economia il peso del fisco andrebbe ridotto con la spesa, rivedendo sia il sistema fiscale sia quello redistributivo. Al sistema fiscale non basta togliere i cerotti messi dai vecchi governi, il fisco va razionalizzato, va reso semplice quanto certo e facilmente accertabile. La razionalizzazione della spesa dovrebbe avvenire con tagli e redistribuzione a favore della scuola, sanita’ e dello sviluppo di infrastrutture che dovevano essere gia’ in piedi piu’ di un decennio fa. Come dice la Costituzione, lo Stato deve essere sociale (non assistenziale) e deve esserlo in un’economia libera di cui ne e’ promotore. In Italia invece la libera economia l’hanno soppressa investendo sulla conservazione, sulle inefficenze, sulle logiche di rendite di posizione. Siamo un paese che non investe in niente da 30 anni. Non investiamo piu’ neanche sulla scuola e un paese che non investe sulla scuola e’ un paese che non investe sulle future generazioni e quindi sul futuro del paese. E’ come il padre di famiglia che piuttosto che sfamare i propri figli pensa alla propria pancia lasciando i figli affamati, ignoranti, impoveriti e condannati ad un tenore di vita inferiore a quello proprio. Quale figlio avrebbe rispetto di questi genitori? Quale popolo puo’ avere rispetto per questi governanti?
 
E noi, invece di licenziare questi padreterni, siamo qui a vederli come speranza per il paese. Violante, uno dei saggi, D’Alema che sembra ricucire gli strappi interni del PD come uno al capo del partito, Prodi, Bersani, Rodota’, Amato. Tutti papabili come Presidente della Repubblica e nessuno sembra ricordarsi che questa gente e’ dagli anni ‘90 che parla di riforme. La Bicamerale del ‘97 con gli accordi sottobanco e le spartizioni di torta che prendevano le forme di crostate sono storia, confessata da Violante ai cittadini con un intervento alla camera qualche anno dopo. Quando ripenso all’estate 2011 ripenso ad Einaudi e la sua strumentalizzazione, ma ripenso anche al FATE PRESTO scritto a caratteri cubitali, tanto di effetto che ancora oggi qualcuno lo usa per dare enfasi all’urgenza.
 
Oggi, Aprile 2013, se l’ugenza la si vuole risolvere con chi e’ dal ’97 che parla di urgenza, con Berlusconi o con Grillo, allora ogni volta che sento qualcuno che dice di fare presto o che non c’e’ piu’ tempo, mi viene in mente Troisi in Non ci resta che piangere: “mo’ me lo segno”.

Il ministro Barca di salvataggio

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Arriva in soccorso del Partito Democratico il ministro Barca.

Propone una nuova strada da percorrere nel rinnovamento e nell’innovazione dei partiti.

Su tutte aborra il catoblepismo neologismo usato per primo da Raffaele Mattioli nel 1962 che usato oggi vuol dire denunciare la commistione indegna tra lo Stato ed i partiti.

La cognizione di causa di cui è piena la sua relazione mette in risalto una dichiarazione che, su tutte, primeggia: “basta ipocrisie, siamo di sinistra”.

Sdogana, cioè in un colpo solo, elementi spuri che hanno assortito una invenzione ipocrita ed ignava confezionando ciò che il PD oggi è. Basta con emulsioni impossibili, egli vuole un partito che sia di sinistra e non di centrosinistra.

E’ una vera e propria Barca di salvataggio offerta al Partito democratico che affonda e con lui il suo elettorato.

Qualcosa di innovativo dunque bolle in pentola seriamente ed era ora.

La presa di posizione del ministro Barca sembra veramente una cosa seria e soprattutto nuova. Staremo a sentire e vedere con molta attenzione agli sviluppi.

Il Ministro Barca entra ufficialmente nel Partito Democratico. Un fatto importante

 di Massimo Preziuso
 
L’ingresso ufficiale del migliore ministro del governo Monti – Fabrizio Barca – nel Partito Democratico a guida Bersani è un fatto importante.
 
Dice – prima di tutto – che il PD è fin dalla nascita il luogo più completo di elaborazione politica del Paese.
 
Un Partito che deve rapidamente aprirsi – a cominciare da un congresso “aperto” – al confronto con la società tutta.
 
E’ l’ultima chance questa per fare del PD il motore della rinascita italiana. Prima della fine assoluta.

Innovazione “sociale”

 

di Giuseppina Bonaviri

L’Innovazione sociale passa da molti contesti: dalle condizioni di lavoro all’istruzione, dallo sviluppo della comunità alla salute ampliando e rafforzando la qualità di vita della gente comune. Si possono intendere, allora, quali processi sociali di innovazione (fatti dal lavoro di semplici persone in grado di creare valore diretto e indiretto) i metodi e le tecniche open source o le innovazioni che abbiano uno scopo sociale diffuso come il microcredito o la formazione a distanza. Il concetto espresso si incrocia con l’innovazione delle politiche e della governance pubblica ma riguarda essenzialmente ambiti di cui i governi non si fanno carico nascendo, invece, dalla comunità e ritornando alla comunità. In un contesto di crisi come l’attuale tutti i soggetti possono guardare all’innovazione sociale “per poter fare meglio e a un costo inferiore quello che facevano prima”.

La Social Innovation come anche un hub, che stanno vivacizzando il dibattito italiano, ne sono chiari esempi. Quando si presta attenzione alle persone oltre che ai processi si entra nella realtà e nel quotidiano restituendo alla comunità tutta la ricchezza di saperi e di esperienze che la hanno caratterizzata negli anni. Da qui la scelta di addentrarsi in quell’incubatore di sviluppo sociale rivolto ai giovani, ai disoccupati o a chi si trova in una situazione di instabilità lavorativa per sviluppare progetti di inclusione, di nuovo sviluppo imprenditoriale, tecnologico, occupazionale e di sostenibilità. Questo processo diviene metafora della grande comunità sociale in cui ciascuno, con le sue competenze e caratteristiche uniche, può trovare delle occasioni di esplorazione interna. Uno strumento di sviluppo di comunità, gruppi e organizzazioni.

Il governo ha inserito, recentemente, nel decreto sviluppo il pacchetto di misure “crescita 2.0” che apre la porte a varie possibilità ed opportunità per definire le startup ed incentivarle sulle piattaforme online di crowdfunding così come per gli incubatori certificati. L’ecosistema delle start up laziali si aggira attualmente intorno a 90: 2 a Monterotondo, 2 a Frosinone, 2 a Fondi, 1 a Latina, 1 a Cassino, 1 a Pomezia, 1 a Ceccano, 1 a Fiumicino,1 ad Anguillara, 1 a Sonnino e tutte le rimanenti a Roma che, al momento, risulta essere la città italiana più creativa in termini di idee.

Il progetto Indigeni Digitali, assieme ad altri partner, sta lanciando in questa direzione un progetto pensato per dare la possibilità agli startupper italiani di condividere esperienze e ampliare relazioni sociali che ci fa intravedere la nascita di un vero e proprio modello italiano di startup.Allevare giovani talenti, sperando che, per contaminazione, ringiovaniscano anche le storiche grandi aziende italiane, oggi, non è un optional tanto che si susseguono, in molte città, iniziative di creazioni di spazi fisici dove ospitare gli startupper che finora avevano avuto solo occasioni per vedersi, presentarsi e fare rete (il primo ad intuire l’importanza di creare spazi reali è stato Riccardo Donadon che nella campagna alle spalle di Venezia avviò la trasformazione di casali agricoli abbandonati in moderni uffici per giovani innovatori. Una piccola Silicon Valley di Roncade).

L’esperienza del Silicon Valley e di InnovAction Lab è stata presentata dal Think-Tank di Innovatori Europei il 27 marzo scorso nella Sala delle Bandiere dell’Ufficio di Rappresentanza del Parlamento Europeo in Roma per discutere, con esperti internazionali, delle opportunità per le imprese italiane innovative di fare rete in USA e all’estero.

 

 

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