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Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi

di Massimo Preziuso su L’Unitàelezioni

 

Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.

Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.

Dopo i primi giorni di “calma piatta”,  nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.

Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.

Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.

A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.

Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.

Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.

E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.

Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.

E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.

Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.

Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.

Monti, Bersani e i veri nemici del cambiamento

bersani montidi Francesco Grillo su Il Mattino e Il Messaggero

Ha ragione il Financial Times quando correggendo la stroncatura nella quale era incappato il giorno prima il nostro Presidente del Consiglio, ha identificato nelle qualità personali di Bersani e nella credibilità internazionale di Monti l’unica, concreta speranza per un “nuovo inizio”. E, tuttavia, anche nell’ipotesi – tutt’altro che scontata – che tra trenta giorni un’alleanza tra Centro e Centro Sinistra risulti necessaria e sufficiente per governare, permarrebbero due straordinarie complicazioni per poter davvero far ripartire l’Italia: la prima è determinata dalla distanza tra i due leader che, in questi giorni, si sta allargando fino a raggiungere i caratteri di una diversità ideologica che può rappresentare un punto di non ritorno; la seconda è che se anche i due riuscissero a mettersi d’accordo, si troverebbero successivamente a fare i conti con vincoli che sono molto più diffusi di quelli rappresentati da qualche ala estrema, come sembra credere il Professor Monti.

Sono pesantissimi, in effetti, gli attacchi che Monti ha, in questi ultimi giorni, sferrato contro le posizioni che Bersani dovrebbe “silenziare”. Ed è solo ovvio che sia stato lo stesso Bersani a incaricarsi di ribadire alleanze ratificate attraverso un processo comunque democratico. E forse ha ragione Vendola quando, nonostante qualche precedente apertura, rileva che ormai lo scontro sia di profonda differenza nelle stesse categorie semantiche che si utilizzano per osservare la realtà e costruire un’idea di futuro.

Gli effetti finali sono chiari: il Centro si allontana dal Centro Sinistra e, probabilmente, dallo scontro guadagnano voti gli altri che stanno probabilmente rientrando in gioco.

Ma c’è un elemento ulteriore che lascia perplesso della logica del “taglio delle posizioni” che Monti (e lo stesso Financial Times) continua ad invocare: i blocchi sociali che si oppongono alle “riforme radicali” di cui l’Italia ha urgente bisogno non vengono solo dalla CGIL o dalla sinistra radicale.

Lo dimostra la vicenda – assolutamente centrale per il suo valore non solo effettivo ma anche simbolico – della riforma del mercato del lavoro che anche nella sua forma finale, molto smussata nei suoi aspetti più innovativi, è stata contrastata praticamente da tutti. Ma lo dimostrano anche le due questioni che, pur essendo assai poco discusse, sono forse le più importanti per arrivare ad una revisione della spesa pubblica più intelligente di quella provata da precedenti Governi e, in definitiva, ridurre le tasse e tornare a crescere: le pensioni ed, in particolar modo, la possibilità di toccare il totem dei “diritti acquisiti” che pesano come un macigno sulla quantità e qualità della spesa dello Stato; la riforma del pubblico impiego e, nello specifico, la capacità di mettere in discussione l’inamovibilità dei dipendenti pubblici che costringe le pubbliche amministrazioni ad usare la sola leva del blocco delle assunzioni per poter dimagrire e, dunque, ad una spirale di sempre maggiore obsolescenza e ulteriori richieste di tagli.

Sulle pensioni ha ragione Bersani quando dice che sono solo le pensioni “vecchie” (e gli interessi sul debito pubblico) ad essere disallineate rispetto agli altri Paesi. Non tutti, però, hanno un’idea dell’ampiezza del disallineamento. L’Italia spende in pensioni, secondo l’INPS, quattro punti e mezzo di PIL (17,1%) più della Germania (12,8) e se ci riallineassimo ai livelli di spesa del Paese con il welfare più sviluppato del mondo (del resto in Germania ci sono molti meno anziani che vivono sotto la soglia di povertà rispetto all’Italia) potremmo risparmiare circa 80 miliardi di euro: da destinare al taglio delle tasse o, magari, all’educazione, visto che se sommiamo scuola, università e ricerca arriviamo a risorse pari a poco più di un quinto di quelle che eroghiamo ai pensionati. Spostare risorse dal passato al futuro è ovviamente una misura per la crescita. E, tuttavia, quello delle pensioni è il primo esempio di quanto siano più vaste delle ali estreme le resistenze al buon senso. Alla costruzione di un sistema iniquo hanno collaborato tutti, datori di lavoro e sindacati e del resto, basta vedere i numeri della rappresentanza per rendersi conto che negli ultimi trent’anni è diminuita la presenza delle confederazioni nelle fabbriche ed è aumentata di molto tra i pensionati.

Il pubblico impiego è l’altro nodo decisivo per far ripartire l’economia italiana ed è evidente quanto le resistenze siano trasversali. È vero quanto afferma, ad esempio, Bersani quando dice che la revisione della spesa ha portato a non avere più la benzina nelle macchine della Polizia. Ma è altrettanto vero che il confronto internazionale dice che nel Regno Unito – a parità di popolazione e crimini – ci sono la metà dei poliziotti che ci sono in Italia (e molta più tecnologia). Che da anni è evidente – soprattutto ai poliziotti e ai carabinieri – che non ha senso avere due organizzazioni che fanno le stesse cose negli stessi territori e che, però, una riorganizzazione senza poter, almeno, spostare le persone sarebbe l’ennesima montagna destinata a partorire un topolino. Che il 90% della spesa delle pubbliche amministrazioni è spesa in personale al quale mai si potrà applicare la mobilità del settore privato e che in questa condizione, anche la riduzione delle province – se anche mai andasse in porto – rischierebbe di avere effetti del tutto marginali. Così come pure è vero che se mai riusciremo a metterci nella condizione di poter rimuovere un dirigente incapace o di premiarne uno meritevole, rischieranno di essere vani persino gli sforzi di Fabrizio Barca di non sprecare le uniche risorse pubbliche che questo Paese ha a disposizione per lo sviluppo.

Eppure, di nuovo, una questione così importante è dimostrazione che gli ostacoli alle riforme radicali possono prescindere dalle ali estreme e dagli idealisti: capita, infatti, che la resistenza può venire persino dallo stesso Governo Monti, dal suo ministro della Funzione Pubblica che si affrettò qualche mese fa a chiarire che la travagliata riforma dell’articolo diciotto mai avrebbe, comunque, toccato quel totem che costringe le stesse pubbliche amministrazioni all’inefficienza.

Resistenze diffuse, dunque. L’antidoto, l’unico possibile, è rinunciare a parlare di luoghi estremi dove si anniderebbe la conservazione e ammettere, come Monti dimostra di sapere quando invoca una ristrutturazione dell’offerta politica, che le resistenze al cambiamento esistono ovunque. Bisognerebbe parlare fino in fondo il linguaggio della verità. Ammettere che il costo di avere troppi pensionati o troppi poliziotti lo pagano anche i poliziotti senza benzina, gli studenti senza più assegni di ricerca, le piccole imprese con troppe tasse e i percettori di pensioni più basse – che pure sono tra gli elettori che Monti e Bersani rappresentano. Parlare il linguaggio della verità: facendolo fino in fondo, in maniera chiara, è possibile persino convincere i privilegiati che un sistema non più sostenibile si troverà presto – se continuiamo così – senza nessuno rimasto a pagare i loro privilegi.

 

 

Monti: sarà onesto, sarà falso, sarà credibile?

 mariomontidi Arnaldo De Porti

Tre righe per esprimere una mia impressione su Mario Monti, maturata osservandolo da alcune angolazioni.

Agli inizi, quand’era al governo, non lo nego, mi ha offerto una buona impressione al punto da credergli quasi in toto, capendo che,  da parte sua, per non inimicarsi con coloro che l’hanno sostenuto e lo dovevano sostenere, deve aver fatto di necessità virtù, evitando di urtare la suscettibilità per non venir privato appunto  del predetto sostegno,  peraltro facilitato dal fatto che ciò faceva comodo a tutti, compreso  al Pdl, pena lo sfacelo politico;

Verso la metà del suo governo, la mia fiducia è venuta un po’ meno in quanto egli ha privilegiato le fasce forti a danno dei meno abbienti, con la terribile conseguenze che le fasce deboli e meno protette, ora sono state e sono attualmente costrette a soffrire, se non a morire di fame, con il pericolo imminente di una rivoluzione civile, non quella di Ingroia che, a mio avviso, malgrado le buone intenzioni, sta combinando guai, come e più di Grillo;

Alla fine, costretto a dimettersi in quanto il Pdl gli ha tolto il sostegno, egli ha mostrato una faccia molto diversa: egli ferisce a morte gli avversari con l’arte  di una diplomazia che, malcelata, evidenzia aspetti dittatoriali, più di Berlusconi, come si è visto ieri sera a Ballarò: egli infatti non va d’accordo con nessuno e si  auto-etichetta come “il migliore”.

Domanda legittima che mi pongo: “Ci si trova di fronte ad una persona a due facce, ad un attore perfetto, oppure ad un diplomatico che obbedisce freddamente alla seguente esigenza machiavellica secondo cui il fine giustifica i mezzi ? : “

Se così fosse, mi permetterei di aver dei dubbi sull’onestà intellettuale.

La Lista Sapienza

                                                                                                                                                                                libri

(Verso l’assemblea nazionale degli Innovatori Europei, 16 Febbraio a Roma: un invito alla lettura per la classe dirigente e politica, per le elezioni di febbraio)

di Massimo Sapienza

Invece di votare chi scrive agende mediocri non potremmo appoggiare elettoralmente chi ha l’umiltà di leggere grandi pensatori? Provo a fare un mio personale elenco, la lista Sapienza, ossia i miei consigli di lettura per la nostra classe dirigente e politica.

Alcune regole di ingaggio: ho scelto solo libri pubblicati nell’ultimo trentennio, ho scelto solo testi per non addetti ai lavori, ho abbandonato qualunque criterio di organicità e sistematicità, libertà al potere

Ho fatto uno sforzo di selezione “eroico”. La lista è aperta ai vostri suggerimenti. Sarebbe bello arrivare ad avere una grande diffusione e una profonda condivisione. Non mi spingo a sognare che i nuovi parlamentari leggeranno i libri contenuti nel seguito, ma se anche qualche amico dovesse trovare spunti interessanti non potrei che dirmi soddisfatto.

In ogni caso, io sono padre di un piccolo leoncino di tre anni. Se un giorno mio figlio Léon dovesse chiedersi che idee aveva sua padre sulla società potrà leggere la lista e scegliere liberamente se vuole includere nella sua formazione di giovane uomo qualcuno dei libri che io ho amato.

Di seguito la lista Sapienza, 20 saggi e un documentario, suddivisa in 5 macro-argomenti:

Sulla conversione ecologica e sui cambiamenti climatici

  1. “”La terza rivoluzione industriale” di Rifkin perché l’età del carbonio volge al termine e siamo nel secolo delle rinnovabili. Tutto il sistema produttivo ne sarà profondamente modificato e dobbiamo saper governare il cambiamento;
  2. “Piano B” di Thurow perché la pressione demografica e il suo impatto sulle risorse idriche e sulle terre coltivabili, il riscaldamento globale e tanti altri problemi capitali richiedono un serio ed organico piano di mobilitazione e rappresentano, fra l’altro, una importantissima opportunità di crescita. Gratis in rete (http://www.indipendenzaenergetica.it/index.php?option=com_content&view=category&id=51&Itemid=64);
  3. “Home” di Arthus-Bertrand. Un film gratuito disponibile on-line con immagini meravigliose del nostro pianeta e messaggi importantissimi. 89 minuti che cambiano la vita;
  4. Tempo Rubato”, di Robert perché l’attuale sistema dei trasporti è un pezzo importante del vecchio modo di intendere la vita. Cambiare il modo in cui spostiamo uomini e merci ci consentirà di fare un altro salto verso un mondo sostenibile. Gratis in rete (http://www.quarantina.it/vecchiosito/pdf/articoli/robert,%20tempo%20rubato%20(321%20kb).pdf);
  5. Collasso” di Diamond perché è importante riflettere su quanto le civiltà siano frutto di un delicato equilibrio. Leggere la storia delle società del passato che non sono riuscite a mantenersi in equilibrio dovrebbe darci la spinta per rilanciare la nostra società e fare le scelte “giuste”;
  6. “Il mondo senza di noi” di Weisman. Per tutti quello che si credono insostituibili. Perche’ il pianeta Terra ha una enorme capacita’ di autoregolarsi. Perche’ l’azione dell’uomo e’ martellante, incredibilmente pervasiva ma in gran parte destinata a scomparire. Un libro per chiedersi “che cosa restera’ di noi”;

Sullo sviluppo e la crescita in generale

  1. “Information rules” di Shapiro e Varian perché, anche se Internet è ormai ovunque nella nostra vita, raramente la consapevolezza del valore dell’informazione e delle reti va oltre qualche slogan. Poiché il presente e il futuro passano per quella strada, non rimane che imparare (http://www.inforules.com/);
  2. La cultura è una industria, forse la più importante a tendere. Per farlo capire a chi la considera solo un lusso, “Creative Destruction” di Cowen, un libertario eclettico che spiega come la globalizzazione modifichi la produzione culturale;
  3. Landes di “La ricchezza e la povertà delle nazioni” perché un grande storico è quello che ci vuole per mostrare le cause del divario crescente fra ricchi e poveri. Da leggere e studiare per capire quanto siano importanti “società aperta”, “lavoro” e “progresso tecnologico”;
  4. “La singolarità è vicina” di Kurzweil perché se si assume che il progresso tecnologico acceleri costantemente il 2030 sarà davvero un altro mondo. Sembra fantascienza, ma guardare lontano consente di andare dove si vuole davvero invece che inseguire e farsi trascinare;
  5. I tre imperi” di Khanna in rappresentanza della geopolitica, una disciplina difficile e mutevole. Venne accolto come “la bibbia del settore” e dopo 4 anni si cominciano a vedere i segni del tempo. Se si vuole conoscere il mondo non resta che studiare sempre e tanto;

Sul diritto e sui diritti

  1. Un libro di filosofia morale: “Created from animals” di Rachels. Pensare ai diritti degli animali è un modo fresco e potente per ripensare e rivendicare i diritti civili di tutti, uomini, animali e piante;
  2. “Legge, legislazione e libertà” di Hayek perché senza legge non c’è stato e vita sociale. Il dibattito sulla legalità però non riguarda solo la magistratura ma anche cosa sono e come si fanno le leggi. Su questi temi le società occidentali hanno dimenticato quasi tutto. La crisi di legalità inizia quando non si hanno più delle “vere leggi”;
  3. Ancora dalla parte delle bambine” di Lipperini perché le differenze di genere pesano ancora a 40 anni dal saggio originario della Giannini Bellotti. I nuovi media pesano nell’educazione e nel formare i pre-concetti su “maschile” e “femminile” che poi condizionano la nostra vita. Anche per chi non crede, come me, che uomini e donne siano un tutt’uno indistinto meglio non dimenticare quanto veniamo “addestrati” ad essere diversi

Sulla società

  1. “Bowling alone” di Putnam perché la cittadinanza è vera ricchezza ma è maledettamente complessa. Non di solo capitale fisico vive il sistema ma abbiamo bisogno di tanto capitale sociale;
  2. “Superclass” di Rothkopf perché il rapporto fra Stati Nazione ed élite sta cambiando a favore delle seconde per via della globalizzazione. Oggi 6.000 persone “dominano” il pianeta. Un libro serio per chi non è cospirazionista ma vuole capire le dinamiche del potere e immaginare come modificarle;
  3. “Altissima povertà” di Agamben, un mio omaggio personale al sogno rivoluzionario che da quasi 2 millenni cerca di creare uomini nuovi dalla “vita perfetta”, abbracciando una regola. Un messaggio sempre attuale perché si possono e si devono guardare le cose con occhi diversi. Concetti quali “proprietà” e “povertà” hanno uno spazio di possibilità molto più ampio di quello al quale ci ha abituato la consuetudine moderna;
  4. Price of Inequality” di Stiglitz perché la distribuzione del reddito sta mutando in maniera molto significativa e questo fenomeno va conosciuto, compreso e valutato in tutti i suoi risvolti. E’ un argomento sul quale non dovrebbe essere ammessa né ignoranza, né preconcetto;

Sulla crisi e la finanza

  1. “Irrational exuberance” di Shiller, uno dei massimi esperti di finanza, perché la volatilità ci fa capire che l’avidità deve essere limitata, altrimenti la finanza, che è uno strumento di sviluppo, diventa “cattiva” (http://www.irrationalexuberance.com/);
  2. “This time is different” di Reinhart e Rogoff ancora sulle crisi finanziarie e sulla fragilità dei meccanismi di fiducia. Il tema è difficile ed è d’attualità mi perdonerete se dedico due saggi a questo argomento;

Facce nuove in politica non ce ne sono

 facce nuovedi Aldo Perotti
 
Ci si domanda come mai non si riescono a trovare facce nuove per la politica che possano considerarsi realmente delle risorse per il paese, qualcosa di nuovo e di affidabile al tempo stesso, che non sia legato a doppio filo al passato, e costituisca una vera rottura.
 
Quando si dice “sono sempre gli stessi” si ribadisce che anche nel caso di un cambio generazionale ci ritroviamo i figli, i nipoti, dei personaggi del passato, in qualche modo “figli d’arte”.
 
Non meraviglia nessuno il fatto che come le professioni ” d’arte ” (penso agli artigiani, fabbri, falegnami) sempre con più difficoltà passano da padre in figlio,  le professioni di potere e di prestigio di contro vengono letteralmente trasmesse in regime di successione ereditaria (non escludendosi conflitti tra eredi); quello che è di interesse trasferire non è in realtà “l’arte” (la capacità di svolgere bene una certa attività)  ma il “titolo”, potremmo dire nobiliare, con tutti gli annessi e connessi, potere, prestigio, e conseguentemente ricchezza.
 
L’Italia in questo è ferma al medioevo, o comunque è ferma ad un periodo pre-umanistico; in concreto il sistema delle caste indiane, da noi non scritto, è in realtà concretamente attuato, ed è uno dei motivi per cui il nostro paese non è in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità.
 
Esiste, oltre al ben noto soffitto di cristallo che impedisce alle donne di salire ai vertici, un sistema di gabbie di vetro che congelano le dinamiche sociali rendendo difficile gli spostamenti in qualsiasi direzione. Ovviamente questo non è generalizzato, ci sono numerosissime eccezioni e l’impegno, la perseveranza, e anche una buona dose di fortuna, permettono di poter individuare e raccontare storie di successo (o anche di clamorosa rovina) che alla fine evitano al paese di sprofondare nell’arretratezza di un moderno medioevo, anche se, purtroppo, una sorta di memoria ancestrale regola la vita del paese, e solo eventi eccezionali (guerre, cataclismi) sono in grado di incidere sostanzialmente.
 
Per quanto riguarda la crescita, la ricchezza individuale, si è osservato un arricchimento in termini assoluti, ma in termini relativi probabilmente i rapporti non sono cambiati molto negli ultimi 50 anni, la distribuzione  – o meglio l’allocazione – della ricchezza in sostanza, quando più quando meno, non è cambiata.
 
La Scuola, l’Università, che rimangono forse l’unico strumento in grado di far attraversare le pareti e i soffitti di cristallo (mai quanto però un buon matrimonio), spesso non riescono allo scopo per essere loro stesse strutture rinchiuse all’interno di sistemi chiusi; occorre entrare in “certe scuole” per riuscire ad entrare in “certi ambienti” indipendentemente poi dal merito individuale, che potrà tutt’al più permettere dei distinguo, senza essere però quella la chiave che apre le porte.
 
In questo contesto  l’accesso all’attività politica avviene tramite percorsi molto stretti; percorsi attraverso i quali si viaggia accompagnati ed aiutati da un sistema di relazioni sempre più spesso prevalentemente familiari; in tal senso diventa un’arte, un mestiere da trasmettere di padre in figlio.
 
Il problema di fondo è che la politica non è un mestiere che si può imparare in bottega; si può sicuramente imparare a muoversi nelle stanze della politica ed ad utilizzarne gli strumenti; ma le idee, la visione del futuro, il senso di giustizia, i valori, le capacità; quelli sono qualcosa di più complesso che si costruisce negli individui attraverso la propria storia personale, attraverso i successi e le sconfitte.
 
Nella migliore delle ipotesi vediamo in politica solo dei buoni artigiani, ma il genio, il grande artista, fa grandissima fatica ad affermarsi in un settore così chiuso, e spesso rinuncia in partenza.
 
Il denaro, infine, permette l’affermazione in politica anche di chi non dispone di una familiarità, situazione questa in alcuni casi addirittura peggiore; questo perché se il figlio del falegname bene o male sa cos’è il legno e come lo si lavora e perché,  chi compra la falegnameria  la vede spesso come un investimento da far fruttare mettendo in secondo piano la qualità del mobilio prodotto.

Cambia tutto affinchè non cambi nulla

gattopardodi Francesco Grillo (pubblicato su Il Mattino e Il Messaggero)

Osservando la campagna elettorale delle elezioni che dovevano essere le più importanti della storia della Repubblica, tornano in mente le parole che il principe di Salina riserva al cavaliere sabaudo che gli chiede dove trovare in Sicilia la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia. Dopo cinque anni di crisi e cambiamenti inauditi, ancora una volta, nel momento decisivo prevale l’eterno ritorno della politica italiana al suo passato. Ed è un’intera società ad apparire come paralizzata da sé stessa.

Ciò che sorprende di più è quanto poco si affrontino in queste settimane le domande dalle cui risposte dipendono, letteralmente, la sopravvivenza di una comunità nazionale ed il suo futuro: come possiamo risvegliare un’economia che appare sprofondata in un letargo che dura da vent’anni? Con quale criterio cominceremo un’operazione di progressiva, continua revisione del ruolo dello Stato? Come possiamo riportare alla legalità i rapporti tra cittadini e la competizione tra le imprese in una società che appare spesso lacerata dalla sfiducia?Quale può essere il ruolo dell’Italia in uno scenario europeo e globale che influenza così tanto le quotidianità di tutti?

Il confronto del 2013 avrebbe dovuto segnare l’ascesa di nuovi protagonisti; la rete ed il “territorio” dovevano sostituire la televisione come luoghi dove si sarebbe giocata la partita; infine, la contrapposizione tra Centro Destra e Centro Sinistra sarebbe stata superata, come aveva annunciato Monti, da una nuova sintesi in grado di esporre le contraddizioni interne ai partiti e favorire una ristrutturazione radicale dell’offerta politica.

Succede, invece, che il dibattito si è trasformato in un inseguimento senza fine negli studi televisivi tra tre o quattro leader, i quali da settimane ripetono sempre gli stessi concetti per arrivare all’ultimo dei propri elettori target; che le contrapposizioni non sono mai state così forti; che i programmi appaiono ridotti ad un referendum sulla tassa (l’IMU) pagata più di recente, quando sarebbe, invece, il momento di capire cosa non ha funzionato negli ultimi vent’anni, per poter invertire un declino lungo che si sta trasformando in tracollo; che contenuti essenziali sono completamente spariti.

Assenza di risposte, dunque, che parte da un vuoto di domande di cui – nonostante lo tsunami mediatico – è responsabile anche buona parte del sistema dell’informazione.

Sulla crescita, innanzitutto, che non è solo un problema di economia ma, più in generale, di interruzione del coma – come dice Bill Emmott – nel quale siamo tutti intrappolati da due decenni. I dati sull’evoluzione dei redditi e delle quote sulle esportazioni dicono che vent’anni fa eravamo il Paese peggio attrezzato del mondo per affrontare la globalizzazione e che abbiamo continuato ad esserlo negli anni successivi, nonostante tante riforme rimaste imprigionate in una legge. E allora la prima domanda da fare a chi si candida è: come si può superare questa maledizione che ci accompagna dal 1994, quando passammo in pochissimo tempo dall’essere una delle economie più dinamiche a fermarci quasi totalmente? Se la ricetta fosse – come insiste Fassina – un ritorno agli investimenti pubblici, dove intendiamo reperire le risorse? Come ci dovremmo attrezzare entro la fine dell’anno prossimo, per utilizzare nella migliore maniera possibile le uniche risorse che saranno sicuramente disponibili e che verranno, in buona parte, allocate alle Regioni del Sud?

Se invece la risposta alla domanda sulla crescita fosse – come insiste Brunetta – quella della riduzione delle tasse, come si immagina di voler rispettare i vincoli di bilancio e la necessità di ridurre il debito che ci zavorra? Chi proponesse – come ha fatto Berlusconi – la riduzione della spesa pubblica del 10% (ottanta miliardi di euro) in cinque anni, cosa esattamente vuole tagliare, come pensa di farlo senza mettere in discussione l’impossibilità di licenziare i dipendenti pubblici per “motivi economici”? C’è un modo per costruire un’offerta politica alternativa alle proposte di Destra e Sinistra cogliendo – al Centro- il nesso che esiste (e che molti ignorano) tra una più efficace lotta all’evasione fiscale e una maggiore tutela dei contribuenti rispetto all’invasività del fisco?

Ma ancora più a monte, in che maniera ci aspettiamo che muti il ruolo dello Stato nei prossimi anni? Visto che le attribuzioni di poteri che una Costituzione fa è – per definizione – rigida, come faccio a cambiarle in maniera periodica per tener conto di quanto invece la realtà sia diversificata tra Regioni diverse e di quanto essa si modifichi continuamente per effetto di innovazioni tecnologiche che rendono ridicole e insopportabili certe burocrazie? Quale può essere il ruolo dello Stato nell’incoraggiare quelle mutazioni sociali e industriali – ad esempio, della geografia di città che devono affrontare sfide urgentissime sul piano del traffico, dei rifiuti, dell’energia – che faranno il futuro?

E ancora sul piano della Giustizia, e, dunque, dei rapporti tra cittadini e tra imprese: c’è un margine per superare la contrapposizione tra chi vuole conservare le cose come stanno e chi fa finta di volerle stravolgere per arrivare – esattamente come teorizza il Gattopardo – al nulla? In che misura in una società moderna le decisioni delle maggioranze possono incidere sulle scelte personali e, ad esempio, sulla forma delle famiglie?

Ancora più grave è, poi, il buco nero nel quale risulta sparita la questione del ruolo dell’Italia sul piano europeo e globale che così tanto ci condiziona. Sull’Europa, lo scontro è tra chi vorrebbe difendere lo status quo e chi, al contrario, individua nell’Europa attuale la madre di tutti i problemi. Quale la strategia per cambiare un progetto che ha, appunto, bisogno di essere radicalmente ripensato per sopravvivere? Cosa si intende proporre ai vertici europei, che subito dopo le elezioni italiane fisseranno dimensione e composizione del budget dell’Unione per i prossimi sette anni? Quale la nostra visione per quella parte di mondo che – dalla Turchia al Marocco – ci circonda ed è attraversata da rivoluzioni vere?

Avremmo bisogno di modelli di leadership diversi da quelli che abbiamo, in grado di coinvolgere le persone spiegando perché il privilegio finisce con il far male a tutti. Un cambiamento fatto dall’alto è, del resto, finto tanto quanto quelli che avevano creduto di vedere gli occhi del padre di Tancredi. Tuttavia, è altrettanto vero che la storia della fine del Regno delle due Sicilie insegna anche che un sistema di potere è già morto quando subisce trasformazioni alle quali non riesce ad adattarsi e reagisce illudendosi di poter rimanere aggrappato al passato.

Il manifesto politico degli Innovatori Europei

Innovatori-Europei-def

Innovatori Europei è una associazione radicata in numerose città italiane ed internazionali ed annovera nelle proprie file personaggi di spicco provenienti dalla società civile, dalle professioni, dall’imprenditoria, dal mondo intellettuale e politico.

Dal 2006 attiva in Italia e in Europa come centro studi e movimento politico, Innovatori Europei ambisce a diventare elemento di aggregazione di tante realtà innovative operanti nel vecchio continente.

Innovatori Europei vede in Europa e nel Mediterraneo il baricentro dello sviluppo europeo e mondiale dei prossimi decenni, nell’Italia il naturale attrattore di nuova ricchezza e nuovi saperi, ed in Roma la futura capitale culturale ed economica dell’area euro-mediterranea.

Altresì crede che nell’Europa rinnovata una ridistribuzione della ricchezza, a mezzo di una nuova fiscalità partecipata e di una revisione mirata della spesa pubblica, sia urgente e necessaria.

Infine ritiene l’innovazione quale metodo guida nello studio e nella comunicazione politica.

– Europa

L’Unione Europea, come si è configurata attraverso gli anni, è un organismo politico internazionale che necessita di modifiche e miglioramenti.

Appare ormai indispensabile: coordinare, ma non imporre, le politiche europee attraverso istituzioni comuni, specialmente per le politiche economiche e fiscali; semplificare i processi decisionali con l’approvazione a maggioranza qualificata; ampliare le competenze del Parlamento europeo; attivare strumenti finanziari comunitari con cui avviare cantieri di sviluppo nell’area euro-mediterraneo.

Questi i principali elementi di aggregazione dei popoli europei, in una strada accidentata e difficile, che conduce verso due mete esaltanti, la federazione europea prima e gli Stati Uniti d’Europa poi.

 – Italia

L’Italia è in un momento decisivo. Finita la prima fase della globalizzazione, a cui ha partecipato non da protagonista, oggi il nostro Paese si trova a pagarne le conseguenze, principalmente in termini di mancata competitività.

Per sanare tali ritardi, è fondamentale partire da due semplici obiettivi – crescita e lavoro – da raggiungere a partire dall’avvio di cantieri nazionali ed europei per la crescita.

Il sistema fiscale italiano è  freno alla nostra competitività, in quanto rende oggi impossibile la creazione di nuova ricchezza mentre facilita la conservazione di rendite e vantaggi competitivi, e non riesce a combattere l’enorme fenomeno della evasione, a scapito del ceto medio-basso. Esso è altresì collegato ad una spesa pubblica, molte volte inefficiente ed inefficace, che va rivista in maniera intelligente.

E proprio con le risorse liberate, da un sistema di fiscalità realmente progressivo e partecipato e da una spesa pubblica divenuta efficace ed efficiente, il Paese deve urgentemente investire nei settori legali alla sostenibilità del nostro sviluppo, creando lavoro qualificato.

Da Dove Siamo Partiti, Dove Siamo Arrivati e Dove Stiamo Andando: Votando(li) e non

partiti politicidi Fabio Agostini

1992-1994 e’ il biennio in cui, una crisi finanziaria dovuta a malgoverno ed eccessi della classe politica, vede l’Italia fuori dallo SME e svalutare la lira. Gli italiani credono che muoia la Prima Repubblica e l’Italia volti finalmente pagina: Mani Pulite, la scomparsa della DC, del PSI, nuovi partiti e nuova legge elettorale, il Mattarellum.

L’anomalia del tutto Italiana, del passaggio alla Seconda Repubblica, si riscontro’ nel cambiamento che avvenne all’interno del sistema politico, piuttosto che nel cambiamento del sistema politico stesso.
Cosi’, le facce dei nuovi governanti erano si nuove ma non sconosciute, il loro modus operandi lo stesso di quello della classe dirigente precedente, il loro status quo non intaccato. Cosi’ come cambia il dittatore nel passaggio di mani tra padre e figlio, il passaggio alla Seconda Repubblica ha visto la vecchia classe dirigente scalzata dalla presunta nuova, che poi nuova non era, perché’ figlia della stessa che stava scalzando: erano i delfini.
 
2011-2013 la crisi di credibilità  dell’Italia e la conseguente crisi finanziaria mette a nudo il problema di malgoverno ed eccessi della classe politica, gli stessi della Prima Repubblica. La risposta che la politica cerca di dare, oggi come allora, sta nel cambiamento all’interno del sistema politico, anziché un cambiamento del sistema politico stesso. Cioè  il passaggio ad una Terza Repubblica che e’ solo di nome ma non di fatto, perché  sostanzialmente di diverso non ci sarebbe nulla.
 
Chi non ha la memoria corta dovrebbe ricordarsi ciò  che accadde nel 1996. L’oggi acclamato Presidente della Repubblica, Napolitano, seppur candidato in un collegio uninominale ed in tre collegi proporzionali non venne eletto, ma venne comunque nominato ministro degli interni. Cioè  se protestavi in piazza per questa cosa, ti trovavi li’ la polizia che, “democraticamente” mandata da Napolitano (non eletto), ti poteva riempire di mazzate. Di democrazia io ne vedo ben poca qui.
Oggi, leggo la notizia che Casini (8 legislature, 29 anni e 5 mesi da parlamentare) si e’ candidato come capolista in cinque Regioni. Che sarebbe successo se si votava con l’uninominale e non lo eleggevano come accadde per Napolitano? Lo avrebbero fatto passare in silenzio nominandolo Papa (cioe’ Presidente della Repubblica) con al conclave Fini Rutelli e D’Alema? In Italia tutto e’ possibile, il popolo italiano sembra ormai assuefatto accettando con fatalismo anche illegalità e cattivi servizi, percependoli come prassi [Einaudi].
 
Chi non vuole vedere una continuità  tra Prima e Terza Repubblica, chi non vuole capire che l’unico cambiamento sta all’interno del sistema politico faccia mente locale alla legge elettorale. Andrete a votare mettendo la croce su un simbolo non sapendo a quale faccia quella vostra croce sia poi associata. Non ti e’ permesso scegliere, le liste sono bloccate, c’e’ il premio di maggioranza, e le primarie non si sostituiscono ne’ curano le carenze del sistema elettorale che rimane sempre un sistema elettorale proporzionale con liste bloccate che decide la composizione del parlamento.
La classe politica sta tentando di rigenerarsi con i delfini che avanzano protetti dal sistema elettorale e controllati/protetti dagli elefanti della politica.
La legge elettorale, una legge che facesse scegliere il popolo non la voleva e non la vuole nessuno: il maggioritario, l’uninominale, fa paura. Due o tre partiti toglierebbero dalla scena, e dall’aggravio sul bilancio dello Stato, tanti padreterni che sarebbe ormai bene ora di licenziare.
 
E cosi’, come nel 1994 gli Italiani a 20 anni di distanza andranno a votare con una legge elettorale propria di un alchimista costituzionale, pensando, sperando di voltare pagina. Speranza vana, purtroppo.
La compagine che si appresta a presentarsi alle elezioni sembra ormai chiara cosi’ come chiari sono gli intenti di politica economica (almeno a grandi linee) dei contendenti.
Tutti dicono di abbassare le tasse, quindi se il vostro scopo nel votare e’ di vedere meno tasse, andare alla cieca (falsi invalidi e non), e mettere una croce su uno dei tanti simboli non fa differenza
Tutti parlano di crescita come soluzione al problema, quindi se il vostro scopo nel votare e’ di vedere il PIL correre vale quanto sopra.
Se lo scopo della politica economica e’ comune a tutti, le modalità  sono invece incerte visto che nessuno dice come farlo, se non Fermare il Declino di Oscar Giannino che, indipendentemente dall’esserne in comune accordo, usa bene numeri per descrivere un’idea e la sua fattibilità.
 
Che la speranza di voltare pagina sia vana, lo dice il fatto che nessun partito parla, in maniera concreta, del cambiamento del sistema politico stesso. Anche qui forse c’e’ un’eccezione. Tutti tranne Grillo, indipendentemente dall’esserne in comune accordo,  sono per facce nuove dei governanti ma non sconosciute, il loro modus operandi lo stesso di quello della classe dirigente precedente, il loro status quo non intaccato.
Con promesse economiche vane o irrealizzabili perché  portate avanti da un partito che ahimè, avrà, se nessuna, una minima rappresentanza, e la speranza di cambiamento riposta nel genovese che era marcito nello yogurt gli Italiani saranno costretti a confrontarsi con un teatro politico non dissimile da quello dei 30 anni passati. Grillo magari fa ridere, e’ un bravo comico, ma gli italiani, l’Italia, non ha bisogno di ridere, non c’e’ da ridere c’e’ da piangere.
 
A destra e sinistra ci sono frammenti di partiti che grazie al sistema elettorale andranno soli per potersi “finanziare elettoralmente” cioè  continuare a mungere la vacca Stato a vantaggio del popolo a detta loro. Fatti salvi questi, gli schieramenti, con annesse accozzaglie di cui sopra, sono:
  1. Lega-Berlusconi (o prestanome): addossano le colpe dello stato di cose all’Euro e alla Germania. Soluzione? Uscire dall’Euro
  2. Monti: appoggiato dai nonni della politica, Fini Casini, insieme 60 anni da parlamentari, addossa le colpe dello stato di cose alla mala-gestione politica, quasi un je m’accuse, visto che loro con Berlusconi ci hanno governato. Soluzione? Quella precedentemente applicata: false liberalizzazioni, false riforme, tasse.
  3. PD: con l’aurea vagamente di sinistra addossa le colpe dello stato di cose alla mala-gestione politica e finanza. Soluzione? Si differenzia da Monti perché  non vuole liberalizzazioni anche se false, ma vuole false riforme e tasse. La finanza andrebbe cancellata (Boccia-Fassina) perché’ quello che non capisci va eliminato
  4. Sinistra: la più’ frammentata, accozzaglie di partiti e partitini che proclama la necessita’ di esistere perché  rappresentano una categoria, la cui numerosità’ e’ irrilevante, che addossa le colpe dello stato di cose all’Euro e alla finanza. Soluzione? Uscire dall’Euro, default
  5. Grillo: sostiene che lui non conta, ma ha formato una classe di politici che lo ascolta e concorda su quanto dice. Addossa le colpe dello stato di cose all’Euro e alla mala-gestione politica. Soluzione? Uscire dall’Euro, default, statalizzazione con ritorno forse al modello IRI che ha poi partorito Prodi (collegamento Prima-Seconda Repubblica)
 
Chiaramente l’Italia politica che uscirà  fuori dalle urne vedrà  formare un governo PD-Monti che e’ chiara continuità  con le passate gestioni politiche, viste le facce. Tuttavia questa compagine non e’ più  fragile di quanto poteva essere quella di un precedente governo degli ultimi 20 anni. Si pensi alle differenze sulle false liberalizzazioni tra i due schieramenti con Monti che chiede la testa del responsabile economico del PD Fassina (a ragione secondo me). Quanto dura un governo cosi’? Un anno, forse qualcosina in più  poi torniamo a votare di nuovo con questa legge elettorale che farà  cementificare i nuovi delfini mandando in pensione i nonni, senza che il sistema politico sia cambiato davvero.
 
Dall’altro lato queste elezioni potrebbero anche rappresentare il punto di svolta per l’Italia. La crescita scordatevela, meno tasse pure, non accadrà . Il 2013 sara’ come, se non peggio del 2012. Il gettito fiscale e’ inferiore alle stime e quindi il mancato incasso dovrà  esser preso da qualche parte (10 miliardi di manovra o più). Le tasse che hanno fatto forza nel 2012, l’IMU, fara’ ridurre i consumi più  quest’anno piuttosto che l’anno passato a causa di una reazione ritardata della popolazione alla tassazione: si riduce il consumo a favore della tassazione dopo che il pagamento e’ stato effettuato. L’economia e’ allo stremo e il discontento continuerà  a crescere piuttosto che recedere. In tutto questo chiunque fuori dal duo PD-Monti e’ accomunato dalla soluzione “uscire dall’Euro”
Il pericolo reale e’ che questi partiti facciano, indipendentemente dall’essere di destra o di sinistra, fuori dal parlamento, quello che non sono in grado di fare da dentro perché  politicamente non amalgamabili. Chiamare gli Italiani alle urne con un quesito referendario sull’Euro  il cui esito e’ incerto, ma che recenti pools indicavano come quasi il 50% degli Italiani fosse a favore dell’uscita dall’Euro.
 
L’Italia purtroppo non ha bisogno degli imbalsamatori, dei conservatori e templari dello status quo. L’Italia non ha neanche bisogno di uscire dall’Euro, perché  non e’ l’Euro il problema, ma e’ il malgoverno della nostra economia il problema. Se il gommista non ti monta la ruota bene, non e’ la gomma che va sostituita, ma il gommista. Quando i tempi finanziari erano rosei avremmo potuto allungare la vita del debito pubblico di 5 anni almeno, finanziandoci a tassi fissi bassissimi e riducendo al minimo se non annullando la possibilità  della crisi. Se non lo abbiamo fatto non e’ colpa dell’Euro, e’ colpa nostra, dei nostri politici. Sono loro da cambiare, non la valuta.
 
E adesso signori miei, con queste prospettive andrete a votare, turandovi forse il naso, non sapendo che nessuno dei papabili e’ ciò  di cui l’Italia ha bisogno: qualcuno che riformi il paese realmente. Qualcuno che cambi il sistema politico (grazie ad una legge elettorale normale e riforme) e che rivisiti la parte fisco/tributaria del paese. Nominare Einaudi non e’ un caso, le sue politiche furono radicali, cosi’ come oggi dovrebbero esserle per l’Italia. L’italia necessita di una riforma strutturale del sistema impositivo, del sistema redistributivo e dell’utilizzo di risorse volte alla crescita del paese. In altre parole l’Italia necessita di un nuovo risorgimento. Per fare questo bisogna essere abili e non ottusi, citando Einaudi, non si può essere mai né liberisti, né interventisti, né socialisti ad ogni costo; ogni problema darà luogo ad una soluzione sua propria, dettata da un appropriato calcolo di convenienza.
Il sistema impositivo italiano e’ chiaramente iniquo. E’ un groviglio inestricabile anche per un’Azzecca Garbugli  E’ mal gestito in quanto ad ogni entrata da tasse inferiore alle attese fa seguito una nuova tassa. Il problema non e’ da dove si prendono i soldi, e’ come si prendono.
Risolvere questo problema non e’ semplice, ma e’ chiaro che, sempre citando Einaudi, “semplificare il groviglio delle imposte sul reddito e’ la condizione essenziale affinché  gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché  i contribuenti siano onesti, fa d’uopo anzitutto sia onesto lo Stato. Oggi, la frode e’ provocata dalla legge”
Il sistema fiscale va in qualche modo riscritto. Chi per partito preso nomina o prende a calci la patrimoniale dovrebbe un attimo pensare bene a cosa sia e cosa si vorrebbe ottenere da essa. La patrimoniale [clicca qui permaggiori info] se usata per l’eliminazione del groviglio fiscale, consentirebbe, oltre alla semplificazione del sistema fiscale,  anche un immediato riequilibrio del gettito tra imposte dirette e indirette riducendo le seconde e redistribuendo equamente il carico fiscale delle prime tra reddito e rendita generata dal patrimonio. L’Italia farebbe un passo che gli consentirebbe di recuperare quel terreno perso nei passati 20 anni perché’ risorse economiche verrebbero liberate a favore di spesa, consumi ed investimenti.
 
Invece no, ancora una volta saremo condannati alla sopravvivenza, per altri 20 anni almeno, finché  i delfini di oggi saranno i vecchi di domani che traghetteranno, ancora, l’Italia, nelle mani della sopravvivenza per il popolo e degli allori per i governanti il cui falso litigio quotidiano e’ parte dello show trasmesso in TV e raccontato ogni giorno sui giornali, con cui la popolazione viene illusa ed affamata.

Insieme sì, ma per innovare la politica

 Innovatori-Europei-def 

di Massimo Preziuso

L’appello che il movimento FARE per Fermare il declino ha rivolto ad Innovatori Europei ci onora. Lo consideriamo un autorevole riconoscimento dei caratteri laici e progressisti della nostra Associazione.

 La prospettiva di avviare un percorso di ricerca e di azioni comuni, efficaci per innovare profondamente la politica, le istituzioni e l’economia è nella stessa ragion d’essere di Innovatori Europei. Siamo convinti che all’Italia serva una innovazione più veloce e radicale di quella che possono produrre, da sole, le forze politiche in campo.

E crediamo nella funzione propulsiva che potrà avere un’alleanza tra i diversi innovatori negli scenari politici che si profilano nell’immediato futuro. In tal senso siamo ben lieti di poter stabilire un rapporto privilegiato con il movimento FARE.

Ma il futuro è ancora in divenire, insidiato da vecchie dinamiche politiche fondate sulla interdizione e sulla contrattazione di potere, antichi vizi della politica italiana che hanno bloccato ogni prospettiva di ammodernamento del nostro sistema politico-istituzionale. Anche la cultura politica necessita di innovazione.

Per vincere queste anomalie occorre una forza politica più forte e radicata, aperta alla società italiana, in grado di costruire un sistema democratico più avanzato, diffuso ed efficiente.

Per queste ragioni Innovatori Europei ha sostenuto da tempo lo sforzo di innovazione del Centrosinistra, che si propone oggi come un credibile punto di inizio per il cambiamento, anche se ancora molta strada si deve percorrere affinché esso assuma caratteri di dinamismo in sintonia con i bisogni più profondi di innovazione sociale ed economica che il paese richiede da tempo.

E una transizione troppo lenta rischia di non essere adeguata.

Per cambiare l’Italia, infatti, non basterà un riformismo di maniera. Occorrerà fare scelte coerenti, radicali e tempestive, e mettere in campo forza politica, competenze e autorevolezza per attuarle.

Innovatori Europei proseguirà la sua battaglia ideale e politica su questo fronte, al di là di schematismi rigidi.Il patrimonio di cultura e di esperienza accumulato in questi anni vuol essere parte attiva in un progetto di largo e lungo respiro di coesione tra gli innovatori.

Per questa finalità, riconosciamo in FARE per Fermare il declino un’iniziativa coraggiosa e, dunque, rispondiamo positivamente all’appello, avviando una collaborazione intellettuale.

Roma, 12 Gennaio 2013

 

Appello a Innovatori Europei

fermare-il-declinodi Oscar Giannino – FARE per Fermare il Declino
A nome di Fare per Fermare il declino, rivolgo un caloroso appello agli amici dell’associazione Innovatori Europei, tramite il suo presidente Massimo Preziuso. 
Imparando a conoscervi più da vicino, abbiamo il massimo rispetto per il percorso che sin dal 2006 vi ha visto intraprendere un percorso di forte rinnovamento e qualificazione dell’azione civile, impegnandovi sui temi non solo della qualificazione delle scelte di politica economica e sociale in Italia ma altresì dell’Europa, della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, degli italiani all’estero. E inoltre comprendiamo che nel vostro percorso abbiate visto sin dall’inizio nell’appello alla ibridazione e alla somma di culture diverse, all’atto di nascita del Pd, un percorso interessante e sul quale impegnarvi con la vostra passione e i talenti che raccogliete ed esprimete.
 
Il quadro politico italiano è giunto a un passaggio molto delicato. Dopo 18 anni, noi siamo nati su un programma chiaro che integra proposte estremamente precise – come quelle di nessun altra coalizione che si presenta al voto – per abbattere il debito pubblico, ridare margini a impresa e lavoro individuando precisi capitoli sui quali tagliare spesa pubblica retrocendendola in minor carico fiscale a chi offre e chi domanda occupazione,  ricentrare il welfare sulle categorie che oggi sono le vere vittime della crisi, a cominciare da donne e giovani.
Su questa base, vi confermo che siamo molto interessati ad approfondire con voi interesse, possibilità e modalità concrete di un primo passo in comune, in occasione delle imminenti elezioni, per poi procedere alla costruzione di un vero e proprio percorso comune. Che rispetti pienamente la vostra identità , storia e sensibilità, come avverrà per altre associazioni – Imprese Che Resistono e numerose altre – della società civile che già condividono tale impostazione, di costruzione di una più ampia forza nuova, dopo il voto, sulla base di un ulteriore approfondimento e condivisione di programmi concreti e fortissima discontinuità politica rispetto ai vecchi schieramenti. 
 
E’ anche per questo che alle elezioni del 2013 andiamo soli, insieme a chi condivide un programma e un intento che con chiarezza annuncia che si tratta solo di un inizio, l’inizio di un percorso  che dopo il voto si darà nuovi e più ambiziosi sviluppi. 
 
L’appello che vi rivolgiamo è di esaminare fin da subito il vostro interesse  a condividere con noi un primo pezzo di percorso congiunto, a cominciare dall’imminente voto politico. Noi ne saremmo felici, per rafforzare insieme al vostro contributo un’offerta di società civile che guardi con interesse, passione e competenza a quanto si muoverà nella politica italiana a cominciare dal prossimo governo, anche con specifica attenzione all’ambito nel quale sin qui si è svolta la vostra azione. 
 
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