Europe
La leggenda di Super Mario
di Francesco Grillo (su Il Mattino del 3 Luglio)
Negli ultimi fantastici giorni vissuti tra Varsavia e Brussels, tra gli italiani si deve essere diffusa una strana leggenda: quella di uno, anzi due, forse tre Fratelli Super Mario (Monti, Ballottelli e probabilmente Draghi) che proprio come nel famoso gioco della Nintendo avrebbero salvato, ancora una volta, il Paese che più di qualsiasi altro e’ specializzato a sfornare miracoli dell’ultima ora. Un paese vecchio, depresso, che da tempo perde la parte migliore delle sue generazioni piu’ giovani, da un anno sull’orlo di un vero e proprio fallimento e che da venti non riesce più a crescere. Una specie di bella addormentata che però trova sempre un eroe buono disposto a caricarsela sulle spalle e tirarla fuori dalla acque limacciose che rischiano costantemente di farla affogare.
E’ stato proprio Prandelli, uno dei personaggi più positivo degli Europei, a dire quanto la favola – perfettamente riuscita sei anni fa a Berlino – del trionfo costruito sula disperazione sarebbe stata controproducente:“la vittoria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a tanti” – ha ricordato il nostro Commissario Tecnico – perché “per cambiare c’e’ bisogno di molto tempo” e solo quando “ci saremo riusciti, saremo pronti per rivincere subito dopo un risultato positivo, senza alternare picchi e periodi bui”.
Deve essere per questo motivo, per poter continuare il Progetto che Prandelli ha deciso di rimanere proprio dopo aver perso. E quello che dice l’allenatore italiano vale non solo per il calcio. Anche per l’economia e la società italiana la logica è la stessa: un paese fermo per vent’anni, avrà bisogno dei prossimi venti per fare i conti con un passato ingombrante e trovare una prospettiva di crescita duratura.
La Nazionale “ha, in effetti, provato a cambiare in un Paese vecchio”. E se e’ vero che l’età media dell’Italia era ancora più alta di quella fatta registrare in media dalle altre nazionali, è altrettanto vero che, rispetto al Mondiale del Sud Africa, la squadra è ringiovanita di quasi due anni e che in termini di numero medio di presenze (ventotto) nella squadra nazionale prima del torneo, i giocatori azzurri erano quelli che erano cambiati di più subito dopo la Polonia e la Francia.
Tuttavia, è altrettanto vero che non basta rinnovare i vertici, i punti più visibili di un movimento o di un Paese per modificare quella società in profondità: e così come a Prandelli non possono bastare le buone intenzioni se le squadre di club non gli consentono di allenare con sufficiente continuita’ gli azzurri, a Mario Monti non può bastare la credibilità internazionale se, contemporaneamente, a casa, la montagna della revisione del rapporto complessivo tra lo Stato e i cittadini è costretta a partorire il topolino di cinque miliardi di Euro che neppure vedra’ mai la luce per l’opposizione pre giudiziale dei sindacati e della Camusso.
Non basta Mario Ballottelli che diventa insieme la bandiera dei giovani e degli immigrati che tanto possono dare ad un Paese che non ha più fame. Non basta se dalle pubbliche amministrazioni italiane continua ad essere escluso per legge (a differenza degli altri Paesi) chi non è cittadino italiano, laddove in alcune aree – ad esempio la stessa polizia di stato – ce ne sarebbe bisogno vitale per poter avere le competenze linguistiche e le conoscenze per affrontare fenomeni nuovi. E non basta che un ventunenne diventi simbolo di un’Italia vincente, se nel frattempo l’approccio puramente contabile alla trasformazione della macchina statale ha prodotto solo un lento e inesorabile invecchiamento che ha, di fatto, pietrificato universita’, ospedali, ministeri, magistrature, organi istituzionali di uno Stato che vive ormai solo per sopravvivere a se stesso. Non basta anche perche’ Mario e’ anche il simbolo involontario di tanti giovani talenti italiani che sono scappati dal nostro Paese e che non vedono le condizioni per poter tornare.
Non basta una vittoria del cuore anche se puo’ costituire la premessa per la riscossa. Non basta un accordo tra capi di governo – quello di Brussels della settimana scorsa e’ peraltro ancora quasi totalmente da riempire di contenuti – e non basta da solo neppure lo scudo anti spread, anche se puo’ essere utile per comprare tempo laddove un governo in difficolta’ dimostrasse alla Commissione Europea di fare veramente autocritica. E non esiste, infine, un bottone magico premendo il quale otteniamo la crescita anche perché la leva degli investimenti pubblici per far ripartire l’economia dovra’ essere usata in maniera molto limitata e selettiva.
Quello che dobbiamo davvero realizzare per ottenere una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva come chiede il documento conclusivo del vertice della settimana scorsa, e’ un enorme trasferimento di risorse tra sprechi e rendite di posizione a generazioni e gruppi sociali che avrebbero i mezzi per creare ricchezza ma che sono stati assurdamente penalizzati per decenni. Dobbiamo avere meno avvocati, meno notai, meno amministratori di patrimoni che essi stessi senza cambiamenti sono destinati a ridursi progressivamente; meno lobbies che ferocemente litigano per conservare la propria fetta di una torta che sta scomparendo. E molti piu’ innovatori veri, disposti a rischiare per il proprio talento e che, prima di tutto, possano essere messi in grado di utilizzare la propria inventiva.
Un cambiamento di mentalita’ ed una riallocazione di priorità così massiccia richiede di più dello sforzo di un governo o di una squadra; qualcosa di diverso dei “sacrifici per uscire dalla crisi” che continuano ad essere centrali nella retorica del presidente del consiglio italiano. Esse richiedono una trasformazione che non può che coinvolgere una parte grande della opinione pubblica ed, in particolar modo, delle “classi” (giovani, donne, immigrati) che dal cambiamento sarebbero beneficiati; riforme che non possono vivere senza il supporto dei cittadini che decidano di spegnera la televisione e scendere in campo per difenderne le ragioni; richiede un’autocritica di milioni di italiani che dallo status quo sono stati beneficiati per molto tempo e che da quei privilegi rischiano essi stessi di essere travolti; e, anche, sacrifici che pero’ non possono essere uguali per tutti perche’, per definizione, se dobbiamo ripartire dovremo farlo con chi da questa crisi otterra’ il riconoscimento – atteso da tanto tempo – del proprio valore.
Seconda lettera al sindaco di Frosinone
Verso una democrazia partecipativa
La Rete Indipendente “ Nuove Idee nei territori” ritiene urgente ed auspicabile, all’interno della Amministrazione comunale di Frosinone, proporre l’istituzione a costo zero di un tavolo di lavoro per l’organizzazione di un modello di democrazia, quello del governo partecipato, responsabile e condiviso e di un Garante ai “Beni Comuni e alla Partecipazione”.
Si propone contemporaneamente una riflessione che, rispondendo ai principi di trasparenza e integrità, previsti dalla normativa vigente per tutte le pubbliche amministrazioni istituisca referendum abrogativi e propositivi senza quorum soprattutto per le opere di interesse pubblico e dai costi sociali particolarmente rilevanti quale risposta ad un percorso di consultazione nel pubblico dibattito.
Proponiamo altresì l’adozione dello schema operativo di Agenda 21 locale che può diventare un modo di operare strategico a medio e lungo termine essendo modello partecipativo, democratico, antidogmatico e consapevole responsabilizzante tutti i soggetti partecipanti al dibattito sulla cosa pubblica. Inoltre, attenendosi al principio di legalità nella gestione delle amministrazioni, appare determinante che nei contratti pubblici sia abolito il criterio del “massimo ribasso” e venga istituita una commissione comunale, sempre a costo zero, per l’attuazione di un sistema tale da controllare in automatico eventuali infiltrazioni malavitose mediante verifiche incrociate dei dati su appalti, licenze, redditi, anagrafe. Sarà fondamentale, per evitare sprechi, implementate sia la formazione che l’aggiornamento dei dipendenti comunali così da ridurre al minimo le consulenze esterne.
Certi di trovare adeguata risposta alla suddetta proposta la Rete si rende disponibile ad una collaborazione, su un concetto chiave di gratuità assoluta, perché il percorso individuato sia fattibile ed in linea con una idea di innovazione dei Governi locali.
Giuseppina Bonaviri
Rete Indipendente “Nuove Idee nei territori”
Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità
Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi, e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma, e Matteo Renzi, a Firenze.
Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui, specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono, in massimo grado consapevoli.
Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd e, ancor più, degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.
Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni di elettori.
E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,
Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.
Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.
Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?
Here’s why Italy should actually have the strongest economy in Europe
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Presently, Italy’s economy is the fourth biggest in Europe, according to the International Monetary fund. Italy sits behind Germany, France and the United Kingdom.
Really, Italy should be the biggest economy in Europe, and should be able to overtake Japan too which would make Italy the third biggest economy in the whole world.
To be honest, with its reputedly stagnant economy, Italy is not doing all that badly to be in fourth place in Europe and in eighth place in the world. Just imagine where Italy would be if its economy started really motoring.
Powering past the world leaders, the USA and China would be hard seeing as Italy has neither the manpower nor the area to compete with the big two. Eventually maybe, countries such as Russia or even India may overtake Italy in terms of economic horsepower, but growth in these two nations will be of benefit to Italy.
Now, why do I think Italy should be the biggest economy in Europe? When you think about it, it’s not too difficult to understand.
Here are the areas in which Italy could really shine, and most probably will, if the current forward thinking Italian Prime Minister Mario Monti manages to overcome the many obstacles obstinate Italy is likely to throw in his path.
Just look at what Italy has to offer on its home turf:
Tourism
Italy is a holiday destination par excellence. It has got absolutely everything any tourist can possibly desire:
- A great climate – which lasts from mid-April all the way through to then end of October. If you count winter sports, Italy’s climate can attract tourists to significant sections of the peninsula all year round.
- Fabulous beaches – not all of which are too organized.
- A fantastically rich cuisine. Honestly, if you cannot find something you like in Italy, they you probably don’t like food. The meat is good, the fish is lovely and the vegetables and various condiments are superb too. And there is all that cheese!
- Wine. The world is starting, through no fault of its own, to discover the joys of Italian wines, both still and sparkling wines, such as my personal favorite: prosecco. Enjoying Italian wines in Italy adds another, very positive, dimension to experiencing this incredible country.
- Landscapes to die for. Mountains, lakes, seascapes, city and townscapes, Italy has them all – in abundance, and then some!
- Historic cities like Rome, Venice, Florence, Naples, Bologna, Turin, Palermo, Verona, Bergamo, Milan, Genoa -the list goes on and on. Then there are all the magnificent churches, ruins, villas, monuments, villages and even charming castles everywhere.
- Shopping. Where can I start? Fashion – clothes, men’s and women’s wear. Footwear, accessories, jewelery, leather goods, and children’s wear. Food and drink – not just wines, but also spirits such as grappa, and all those digestive and bitter drinks, as well as limoncello and liquorice liqueurs.
- Sport. Skiing, Formula One, football, rugby, golf, rallying and historic rallies. Water sports: water skiing, yachting, jet skiing, and a few more – and Italy makes fabulous boats too!
- Cruises. Italy’s coastline is, generally, spectacular, so going on a cruise is something many will enjoy – and it adds yet another dimension to Italy.
Have I missed something? Quite probably and will happily accept suggestions, even if the list is quite impressive as it is.
Exports
This is the real biggie and many of the items mentioned in the tourism section above can be exported.
Italy has so many brands with a world class reputation, it is difficult to remember them all, but here are a few to be going on with:
- Ferrari
- Fiat
- Maserati
- Riva
- Snam
Italian fashion brands: Gucci, Armani, Emilio Pucci, Valentino, Prada, Dolce & Gabbana, Ferragamo, Roberto Cavalli, Trussardi, Versace, Krizia, Etro, Miu Miu, Laura Biagiotti, Max Mara, Fendi, Moschino, Missoni, Bottega Veneta, Benetton and Brioni are but a few. And there are many Italian accessory and jewelry brands, such as Luxottica, too.
Italian food brands: Nutella, Ferrero, Barilla, Napolina, Parmalat, and many more, including smaller brands making exclusive products for the luxury sector such as Baratti & Milano, Venchi, Bistefani and more. Visit the Eataly Market to see reams and reams of Italian food brands.
Want more? There are, plenty:
Italian furniture brands, and this is a mere glimpse of what Italy has to offer:
- Alivar
- Bonaldo
- Casprini
- Cattelan Italia
- Draenert
- Fasem
- Gallotti e Radice
- i4 Mariani
- Kristalia
- Lago
- Lapalma
- Magis Design
- Morelato
- Naos
- Ozzio
- Reflex
- Team 7
Then there is Italian design, such as
- Alessi
What about Italian motorbikes:
- Ducati
- Moto Guzzi
- Aprilia
- Bimota
- MV Agusta
Italy seems to be good at just about everything it touches, and then some.
Brains
Italy has lots of great brains, but has already, and blindly, let them export themselves away from the Boot, but many would come back and may well do so, when they deem the time is right. I’m willing to bet that many Italian expats are watching what Mario Monti is getting up to with great interest.
What is also interesting is that Italy is not standing still, despite its problematic economy.
New companies are being formed all the time, such as South Garage Cafè, a creator of bespoke cafè racer motorcycles. Unfortunately, Italy does not do much to nurture its baby businesses, but if the nation goes in the direction Mario Monti is pointing it, the world may well be graced by even more iconic Italian brands.
Obviously it is no good making products which nobody wants to buy, but this is not the case with Italy’s goods. The problem is that many people outside of Italy simply do not know what Italy offers.
I’ve been told by a few Italians that Italy is not especially good at marketing itself – which is putting it very mildly indeed. This is a pity because markets for Italian products abound.
Markets
Just about every country in the world is a market for made in Italy goods.
In some countries, such as the USA, UK, and a good few other nations, Italian brands are fairly well established; very well established, if you consider some of the big Italian fashion houses.
On top of the existing markets, which Italy could probably exploit better, there are the huge emerging markets – China, India and, eventually, Russia.
There is still plenty of space for Italy’s fine products almost everywhere.
Market, Market, Market
Italy only really needs to market its vast assortment of goods better.
If the Italian government actually starts functioning, one fine day, and with a little luck it will as a result of Mario Monti waving his technocratic wand, Italy stands to be an economy which dwarfs those of France, Germany and Great Britain.
Italy should be the number one economy in Europe. I’m absolutely, utterly and totally convinced of this.
Go on Italy! You can do it – if you want to.
This post originally appeared at Italy Chronicles
FDI in Indian retail sector and EU business
by Asif Parvez – Innovatori Europei India
The ruling coalition government (UPA) of India has hung the ‘Open’ sign for foreign retailers. The cabinet has cleared 51% FDI in multi-brand retail sector and 100% FDI in single brand. Now the pros and cons of this huge step are being highlighted to much extent; the path to FDI in retail sector for foreign players seems not easy and clear.
Prime Minister of India, Dr. Manmohan Singh on Tuesday, 29th Nov 2011 said that “the government’s decision to allow foreign equity in retail has not been taken in haste but after a careful thought to how it would benefit the common man in India”. He added, foreign direct investment (FDI) in India’s retail sector would benefit farmers as “this will bring latest technology to India” and improve its agriculture sector by saving farm produce from being destroyed.
On one hand farmers will benefit from it but on the other hand small traders feel they will not be able to withstand the competition. Will India in general will benefit from this move? It’s for sure with FDI being allowed in multi-brand retail, the Indian retail scene is set for a dramatic makeover and has triggered a new dimension on retail sector. One immediate area that we can foresee is dynamism is supply chain management, the know-how and the technology. It will empower the Indian farmers who at the moment loses anywhere between 30% and 40% of their produce. Above all, what’s also exciting will be to watch is the changing shopping paradigm of the Indian consumer. More players, both Indian and Foreign including the local “kirana” stores will open a space for competition and hypercompetetion (leader or follower; value chain efficiencies; core or distinctive competencies; and financial capital).
The decision is likely to clear the decks for the entry of foreign retail giants such as Tesco (UK), WalMart (USA), Metro (Germany), Ahold (Netherlands) and Carrefour (France), which have been waiting in the wings for long to have a taste of the $450-billion (organized and disorganized) retail Indian market. The proposal for 51 per cent FDI in retail has come with certain riders, including approval to be taken from the Foreign Investment Promotion Board (FIPB), a minimum investment of $100 million by the foreign investor, putting 50 per cent of the total FDI in back-end infrastructure and procurement of 30 per cent of the products from small scale industries. China, Indonesia, Russia, Thailand, South Africa, Argentina and Chile have allowed 100 per cent FDI in multi-brand retail. The key conditions for allowing 100 per cent FDI in single-brand retail are: selling products under the same brand name internationally; product retailing will cover only those products that are branded during manufacturing and the foreign investor should be the owner of the brand.
Terming it as a major step towards unleashing the second generation reforms, India Inc has given thumb ups to the Government’s decision to allow 51 per cent FDI in multi-brand retail, stating the move would help bring in the much-needed capital required for rural infrastructure development. The Confederation of Indian Industry (CII) said it strongly supported the introduction of FDI in multi-brand retail as it would benefit consumers, producers (farmers), small and medium enterprises (SMEs) and generate significant employment.
But naturally, the announcement has also evoked strong criticism from Opposition parties, including the BJP (the main opposition party) and the Left. Opposition parties and some of UPA allies are demanding a rollback of the reform allowing foreign supermarket giants to enter the country’s $450 billion retail market. The BJP believes that allowing foreign investment in multi-brand retail would adversely impact the retail sector, which is growing, and put the country’s entire food chain system into the hands of foreign firms. SP (an UPA ally) leader Mulayam Singh repeated the threat of BJP leader Uma Bharati to set Walmart stores on fire if they came up in Uttar Pradesh (the largest state in India in terms of size of population with 200 million people, often termed as the 5th largest country on globe in itself). Ridiculing claims that opening of foreign direct investment (FDI) in multi-brand retail will lead to displacement and unemployment, Union Commerce and Industry Minister, Anand Sharma, asserted that this bold move would lead to creation of 10 million jobs and billions of dollars in investments during the next three years.
The overall benefit of FDI in retail trade is “a 360 degree advantage,” according to the Confederation of Indian Industry (CII). In a true potential scenario, opening up of FDI can increase organized retail market size to $260 billion by 2020. This would result in an aggregate increase in income of $35-45 billion per year for all producers combined; three-four million new direct jobs and around four-six million new indirect jobs in the logistics sector, contract labour in the distribution and repackaging centres, housekeeping and security staff in the stores. The government, too, stands to gain by this move by transparent and accountable monitoring of goods and supply chain management systems. The government can be expected to receive an additional income of $25-30 billion by way of a variety of taxes. FDI can help SMEs supply in large volumes, increase quality and become a vendor to international players.
India-EU business links in numbers and FDI:
India is an important trading partner for the European Union (EU) and a growing global economic power. India-EU relations dates back to early 1960s. India was among the first countries to establish diplomatic relations with the (then) European Economic Community (EEC). India combines a sizable and growing market of more than 1.2 billion people with a GDP growth rate of between 8 and 10 % – one of the fastest growing economies in the world. Although it is far from the closed market that it was twenty years ago, India still also maintains substantial tariff and non-tariff barriers that hinder trade with the EU. India-EU free trade agreement (FTA) is likely to be finalized by the first quarter of 2012. The EU, as a bloc of 27 countries, is India’s largest trade partner while India was EU’s 8th largest trade partner in 2009. The total bilateral trade increased by 28% to Euros 67.78 billion in 2010 compared to Euros 53.03 billion in 2009 (Indian exports of Euros 32.99 billion and Indian imports of Euros 34.79 billion). In 2010, total Indian exports to the EU in different services sector were Euros 8.1 billion whereas total Indian services imports from the EU were Euros 9.8 billion. EU investment to India has more than tripled since 2003 from €759million to €3 billion in 2010 and trade in commercial services has tripled from €5.2billion in 2002 to €17.9 billion in 2010. Owing to current economic crisis, FDI inflows from the EU to India declined from Euro 3.4 billion in 2009 to Euro 3.0 billion in 2010. India’s investment into EU has also seen a marginal decline from Euros 0.9 billion in 2009 to Euros 0.6 billion in 2010. The most important countries in the EU for FDI into India are Germany, UK, France and Italy.
In the background of above developments, this move definitely opens a entirely new chapter for EU businesses which are looking forward to have their footprint in Indian growing retail market.
Source(s) : European Union-India FDI, Newspaper (The Hindu, The Economic Times, The Times of India), European Commission, Eurostat etc.
Interview with Sebastian Nerz – Leader of the German Piratenpartei
by Massimo Preziuso – Innovatori Europei
Sebastian Nerz (photo made by Fany Fazii) is a 28 years old bioinformatics from Berlin and Deutsche Pirate Party leader. The Piratenpartei Deutschland are a striking example of how the speed of the Internet and the creativity of people, put together may achieve real and extraordinary change in modern societies. With a mission primarily oriented to issues like the ‘”free Internet”, the “privacy” and the “open government” the Piraten are emerging as primary political actors in Germany, with their 9% in September 2011 regional elections in Berlin, obtained after the success of their older cousins - PiratPartiet – in Sweden (with their 7% in 2009 European elections).
Let’s figure out with Sebastian how this success came and if this wave of positive change is also coming to us and in which form.
Dear Sebastian. First of all thanks for your time.
As you know, Innovatori Europei is both a (light) movement of political ideas – trying to support change in Italy and Europe – and an observatory on new and interesting happenings around the world. For this reason, we have followed with great interest the important result of the Piraten in the regional elections in Germany held this month.
1) An unexpected success for many, but I guess long planned. How have you grown up and what are the characteristics of your success that can be transmitted to other bottom – up political initiatives born aroud the Internet?
The pirate movement originates from Sweden, where it was founded in 2006. In the same year the German Pirate Party was founded in Berlin. In 2009 the government of Germany proposed the introduction of a censorship system, designated to fight child pornography. While the goal was a good one, the means were not. Building a system that allows to restrict access to websites can only lead to misuse. This proposition led to a very intense discussion in Germany. The pirate party was among the leaders of the opposing parties.
In those days the pirate party Germany grew from roughly 800 to roughly 10.000 members. The discussions have not been nice. Pirates have been named rapists, child molesters, and whatever else because some politicians (and media agencies) did not understand that fighting a mean is not the same as fighting the problem. We kept up fighting against the “Zugangserschwerungsgesetz” law. In the end we won. The law was passed, but it was never actually enforced and has now been canceled.
I believe that this shows: Be true to yourself. Whatever you do, people will attack you for it. People will misunderstand your intentions. Well, then explain it again. And again and again and again.
Afterward the pirate party rebuilt its structures. We needed to adopt to the new situation. Discussions structures working with 800 members are not necessarily working with 10.000 members. This is a very difficult and sometimes frustrating process.
And what we had to learn is how to leave the internet. The net is a wonderful tool to lead discussions with others, to meet and talk, to publish your ideas. But you will never reach all of the people if you stay there. Develop your ideas – and then get out and on a marketplace and discuss your ideas and propositions with the people out there! They have a lot of important things to say. So listen to them. Explain your ideas. Try to work as transparent as possible. If you do it right you have nothing to loose from transparency.
But the most important point is: be honest. Politicians are making errors. This is quite normal. If you try to hide your errors, they are going to come to the light in the worst possible way. So just be honest to your voters and to yourself. And don’t shy away from things only because others are using (or not using) them. You have to find YOUR way of doing stuff and then stick to it.
In short: Use the tools provided in the net to form a group. Meet online and offline. Discuss your ideas. Open your group for external feedback. Work transparent. Be honest. Don’t hide your errors. Don’t hide your success. EXPLAIN your ideas. Many politicians just say „do this“ – but they don’t explain it. This is not going to work for you!
2) Your activity as Piraten is strongly connected with the Internet, as you work for concepts like Open Governance, Privacy and Free Internet. What is your view on the Renewable energy policies, seen they are very strongly connected with the idea of “distributed political and economic power”? And which is your view on the creation of a real (renewable) energy common market at EU level ?
The pirate party Germany is a strong supporter of renewable energy policies. Politics and economy have to stop being short-sighted. We neither have unlimited supplies of coal nor of oil and we have no idea how to handle the risque of nuclear fission plants (quite apart from the fact that there is no unlimited supply of Uranium either).
And the only way to really build a strong renewable energy market is to build a super-national market. We have lots of sun in southern Europe, there are lots of possibilities for pumped-storage power stations in middle and northern Europe, etc In addition by building a super-national energy market some of the problems (e.g. daily fluctuations of the amount of energy needed) can be solved (or at least reduced).
3) What are your goals in Germany? You also want to look out, in countries like Italy? Are you thinking about developing a sort of federation of the Pirate Party in Europe?
We want to change the way politics are working. Politics in Germany are traditionally held behind closed doors. Only the results of discussions are being published, how, who and why decisions have been made is seldom known.
In addition politicians are not honest to their voters. They are promising lots of things if an election is upcoming, but after the election has been held, everything is forgotten.
This destroyed the trust between politics and society. In recent polls politicians have been elected the 2nd least favored job. People expect politicians to lie. Thus we have an ever decreasing percentage of people actually voting (usually around 50-60%). This leads to very frightening democratic problems – if the majority of people is not participating in an election, does it really have a democratic legitimacy?
So we want to change the way politics are working. We want to achieve transparent and open politics. And our experience shows us that people are accepting errors. Politicians are human and human tend to make errors. That is okay! Hiding an error is not.
Apart from that we want to establish more participation processes. People should be able to participate in democratic processes. Politicians need their feedback in order to build working laws – so there should be a strong participation process established in our democracy. At the moment people are not able to participate apart from the regular elections. So we want to change this too.
Another important point are human and civil rights. The last years have seen quite a number of security laws being passed (data retention policies as a recent example). The balance between freedom and security has been tipped towards security. We have to re-balance this scale! Security laws have to be checked for their efficiency and whether they are really needed.
I could continue writing a long essay – about education, why its needed for a stable and democratic society and why the current educational systems in Germany are not sufficient. About a former welfare-state that has reduced its social systems to something that is not worthy of this name – but this would take too long.
In short: We want to change politics. We want to rebuild a social-liberal, democratic, free society with educated citizens, a strong social system, a transparent state that leaves the citizens to themselves and open politics allowing intense participation.
4) Europe is undergoing a complicated time, mainly as a natural result of global phenomena: there is a huge part of the world that rapidly grows and leave western countries poorer. What can we expect in the coming months and years? Shall Europe return to be protagonist, or shall we risk it leaving the main scene?
This will depend strongly on our own decisions. Are we re-enforcing the European bonds or are we trying to hide between national interests? Are we capable of building a strong super-national, democratic society or do we continue using the EU for unpopular decisions?
Europe has a strong economy, many talented engineers and well-educated citizens. We have all the resources we need to stay strong and wealthy in a globalized world. But we have to re-invent the European idea to achieve this goal.
And we have to accept that other parts of the world have a right to live good as well! We cannot continue to live on the cost of others. Following that path could only lead to problems.
5) What is your advice to citizens who want to commit in a beautiful country in a deep and unique crisis period (like Italy)?
Get some information about the root of the problems. Talk about them. Unite with other citizens. Don’t let yourself be frustrated, because whatever you want to achieve, it will take time and it won’t be easy. And don’t let yourself be stopped by minor problems or differences.
It is quite often that we see unification of diverse civil rights organizations working for an important common target. And then they split about some minor differences. This is plain stupid. As long as the main goal is more important then the differences one should continue working together to achieve it! This does not mean that you will continue to do so for all eternity. And perhaps you will have divergent goals in different issues.
That’s okay. Combine for your main goal, diverge for your secondary goals. That way you can achieve much more!
Another important topic is spreading information. The modern net provides lots of new and interesting opportunities to spread information! Start a blog, link with others, use Twitter, Facebook or Google+ to build networks. Yesterday I have listened to a presentation made by a German civil rights activist. She told us „Even if your blog is only read by two people, it is well worth writing it! Two people are two more then zero“. She is right. Perhaps those two are talking to their friends. And they continue to do so – and suddenly everyone is talking about your ideas!
And don’t let yourself be deflected. Perhaps you are reaching some minor goals – but this does not mean that you can stop working! Being a civil rights activist is an ongoing job. And it is one that you can never stop. Because what was won in several years can be lost in days.
6) To end this interview with a proposal: in Italy various innovative inter – parties political initiatives are starting (i.e. The Outsiders, whose I am a founding member) and I imagine the same is happening in your country. Would you like to see Germany and Italy closer via their innovative political movements? What do you think about the creation of a Deutsche – Italian (and later European) network? I am certain it would be a great way for our countries to learn each other from different but strong experiences.
Super-national networks are very, very important. As I have already stated the pirate movement was intentionally founded as a super-national network of parties. Many of our current problems are in fact not national but super-national – so the only way to handle them is on this level!
WAITING FOR OBAMA – INNOVATORI EUROPEI’S PARTY
CLEAN TECHS E FINANZA ISLAMICA
Finanza islamica e clean technologies per lo sviluppo sostenibile nel Mediterraneo
(pubblicato su RESET di Novembre in Progetto “Kyoto of the cities”(di Massimo Preziuso*))
In questo contributo si vuole evidenziare l’emergere, dalle ceneri della crisi finanziaria che sta colpendo i mercati e le economie di tutto il mondo, di un enorme potenziale di sviluppo sostenibile nell’area del Mediterraneo, derivante dall’incontro dei mondi delle Clean technologies e della Finanza islamica.
In pochi mesi, le clean technologies e sviluppo sostenibile del pianeta sono diventati i protagonisti del dibattito quotidiano nel mondo dei media, della politica, dell’economia e nella società.
Solo a dicembre scorso, anche io scrissi per Astrid un piccolo contributo dal titolo “il futuro della finanza nelle clean technologies” dove sostenevo che, in un mondo scottato dalla finanza derivata, gli investitori avrebbero guardato sempre più ai real assets, in particolare alle Clean technologies, per trovare riparo dalla “tempesta perfetta” che si stava per abbattere su di essi.
Solo qualche mese più tardi, tutto questo sta avvenendo, ed in maniera sostenuta: infatti, sebbene gli ambiziosi ma necessari risultati previsti dal protocollo di Kyoto (il trattato internazionale sul cambiamento climatico, che ha dato luogo alla fissazione di “limiti di emissione nocive” alla maggior parte dei paesi industrializzati) siano ancora lontani, ci sono tutti gli elementi per essere fiduciosi ed aspettarsi una ulteriore crescita di attenzione, di investitori e non, verso il tema della sostenibilità ambientale.
In questo senso, la recente sfida di lungo periodo lanciata solo qualche settimana fa al G8 di Hokkaido (riduzione del 50% di emissioni nel 2050), sebbene a molti possa sembrare soltanto “un enunciato di parole”, rappresenta un ulteriore e decisivo segnale su quale direzione il mondo abbia ormai preso: quella dello sviluppo sostenibile dell’economia e della società.
Oggi, le clean technologies (tecnologie di produzione energetica a zero emissioni) continuano ad attrarre ingenti capitali (di investitori istituzionali e non), a motivare importanti politiche pubbliche in tutto il mondo, a dar vita ad importanti iniziative di business e di ricerca, e a rendere sempre più consapevoli i cittadini dell’importanza da dare alle scelte di consumo e agli stili di vita personali.
Due esempi numerici per tutti:
– tra il 2005 e il 2007 la piattaforma finanziaria dell’ETS (Emission Trading Scheme), il principale mercato di scambio di certificati di emissione ha quadruplicato i propri volumi, passando dai 15 ai 64 miliardi di dollari annui ed avviandosi a divenire una piattaforma globale, con l’ingresso secondo molti ormai vicino (2009) dei grandi colossi economici Stati Uniti e Cina.
– Esistono ormai più di 60 carbon funds, con capitalizzazione sopra i 10 miliardi di dollari, che hanno dato vita ad importanti investimenti in progetti CDM (Clean Development Mechanism, il meccanismo project based nato a Kyoto) operanti nei paesi in via di sviluppo, dando l’inizio ad un trend crescente sull’Africa (oggi 5% del totale).
Ma se è vero che le clean techs rappresentano sempre più il cuore di un nuovo paradigma economico e culturale mondiale, da qualche tempo si affianca loro un’altra novità interessante e di lunga prospettiva: lo sviluppo della Finanza Islamica.
Negli ultimi due anni, infatti, in parallelo alla crisi scoppiata con i subprime, e continuata con la crescita dei prezzi del petrolio e delle materie prime, proprio la finanza islamica ha acceso i motori a ha preso il largo.
Ma cos’è la finanza islamica e perché sta crescendo così tanto, in un panorama finanziario da tempo e da tutti definito grigio?
Fondamentalmente la finanza islamica è basata su alcune interpretazioni di alcuni versetti del Corano – il “glorioso” libro dell’Islam, e i suoi due pilastri centrali consistono nell’impossibilità di ottenere interessi sui prestiti (ribà) e nell’obbligo di effettuare investimenti socialmente responsabili. La finanza islamica, quindi, si fonda sul concetto dell’assed based financing, ovvero sull’idea che una istituzione finanziaria possa agire solo nel finanziamento di attività produttive – reali attraverso una propria partecipazione diretta nell’investimento.
Proprio per queste sue caratteristiche peculiari, in questi ultimi due anni, mentre i mercati venivano fortemente colpiti dall’attuale crisi globale, un enorme spostamento di capitali si è diretto verso la finanza islamica: il settore è cresciuto, infatti, ad un ritmo del 20% annuo e molti analisti prevedono il giro di affari di questa tipologia di investimento sarà di circa 2 trilioni di dollari per il 2010.
Da un lato tale crescita si spiega con la crescita della ricchezza dei paesi arabi legata al prezzo del petrolio, dall’altro dalla richiesta degli investitori (istituzionali e non) di investimenti più sicuri e meno rischiosi, nel “viaggio verso la semplicità” di cui si è parlato nei media i mesi scorsi.
Alcuni analisti ed economisti sono arrivati a dire che una finanza mondiale incentrata sul modello islamico oggi non avrebbe vissuto il trauma derivante dai subprime, per la semplice ragione che “le varie strutture finanziarie montate su tali mutui non sarebbero potute esistere in quel mondo (finanza islamica)”, e quest’ultima è una verità dura da contestare.
Di contro, la finanza islamica vive oggi nella difficoltà di staccarsi dalla diffusa consuetudine, presente nelle società occidentali, di essere considerata “attività” vicina al mondo del terrorismo internazionale, sebbene la maggior parte dei colossi dell’investment banking abbiano avviato linea di attività dedicate a tale tipologia di investimenti.
Andando a concludere: il punto centrale che questo piccolo contributo vuole sottolineare è che i fenomeni “Finanza Islamica” e “Clean Techs” si stanno sviluppando insieme, perché mossi dagli stessi drivers e diretti verso un futuro collegato e correlato – la sostenibilità ambientale.
Infatti, essendo le clean techs fondamentalmente legate ad assets reali, esse diverranno sempre più il target di attrazione per la finanza islamica dei prossimi anni, a maggior ragione quando i paesi arabi dovranno guardarsi intorno per trovare il sostituto del “petrolio” – asset / risorsa che andrà ad esaurirsi presto – e trovare un nuovo sentiero di crescita sostenibile per le proprie economie e società.
I primi passi di questo avvicinamento sono stati già fatti:
– il governo di Abu Dhabi ha avviato il più grande fondo clean tech al mondo, investendo in tutto il mondo per raggiungere importanti obiettivi di crescita sostenibile per tutto il mondo arabo.
– I paesi islamici del mediterraneo iniziano a definire degli obiettivi importanti di crescita
Sostenibile basata sulle politiche ambientali
– Il Mediterraneo vive un momento di rinascimento economico e culturale, ed è già sede di importanti investimenti provenienti da tutto il mondo: è di questi giorni la notizia di un progetto (50 miliardi di Euro), sviluppato presso la Commissione Europea, per la costruzione di una immensa rete di pannelli solari (di dimensione paragonabile alla superficie del Galles) che potrebbe produrre tutta l’elettricità richiesta dal continente europeo.
E’ il mediterraneo, infatti, il luogo in cui far frutto dell’avvicinamento tra clean techs e finanza islamica sopra descritto, ed è l’Europa la naturale candidata a condurre questo percorso, essendo per storia e cultura, il baricentro naturale tra mondo arabo, mediterraneo e occidentale.
I primi fatti stanno avvenendo: infatti, con l’avvio dell’Unione Mediterranea (UM), “avvenuto” il 13 e 14 luglio a Parigi, l’Europa ha da subito la possibilità di unire i quattro concetti chiave – Europa, Mediterraneo, Energia e Finanza Islamica – sotto un unico cappello, UM appunto.
UM nasce infatti proprio con l’idea che l’ambiente possa essere il volano per lo – sviluppo sostenibile delle due sponde del mediterraneo – luogo ideale in cui cominciare a sviluppare quella complessa e necessaria transizione verso quello che io chiamo “Clean Economy and Society”.
Ci sono tutte le premesse – politiche, economiche, sociali e demografiche – per permettere che questo accada: bisogna però darsi tutti da fare, perché vi sono pochi anni per intercettare il “futuro”.
Massimo Preziuso – Innovatori Europei
www.innovatorieuropei.com
*Profilo
Laureato in Ingegneria Gestionale nel 2003 presso Federico II a Napoli, si è specializzato su Innovazione e Tlc presso Telecom Italia (Talent Academy), E Business e Management presso il Politecnico di Torino (2004), Finanza Pubblica e Valutazione di Investimenti Pubblici presso l’Università La Sapienza (2005). Si è poi iscritto (2005) al Dottorato di Ricerca in Finanza di Progetto presso Luiss Guido Carli, svolgendo una Tesi sul tema della “Evoluzione della finanza verso l’ambiente e la sostenibilità”, passando periodi di ricerca presso Peking University (2007), dove ha frequentato una Summer School sul tema Globalizzazione e Climate Change, e London School Economics (2007/08), in qualità di Visiting Researcher. Ha lavorato presso Telecom Italia (2003-04), Consip spa (Ministero Tesoro, 2004-06) e dal 2007 si occupa di investimenti nei settori delle Energie alternative e delle Risorse Naturali. Dal 2006 è fondatore e presidente di Innovatori Europei e dal 2008 direttore del Centro Studi di ISME (Istituto di studi economici e finanziari per lo sviluppo del Mediterraneo).
E’ IL TEMPO DELLE SCELTE
LA CULTURA DEL NOSTRO PIANETA E’ IN PERICOLO. E’ il tempo delle scelte
(pubblicato su RESET di Novembre all’interno di Progetto “Kyoto of the cities” (di Gabriele Mariani) *)
La nostra cultura ha conosciuto e conosce ancora momenti splendidi, là dove l’uomo viva senza traumi il suo rapporto con la natura. Questo pare si possa intendere anche dal racconto della Bibbia, ove il peccato non arrivi a rompere gli equilibri.
Ma questa età felice può non finire, se l’uomo saprà amare le proprie origini.
La natura soddisfa tutte le nostre esigenze, e vivendo in simbiosi con essa e godendone i frutti ci fa crescere. Ce ne accorgiamo quando la natura ci manca. Ed è bello apprendere ancor oggi dai libri di protagonisti del secolo appena trascorso, quale Rigoni Stern (che amo ricordare), come l’uomo che viva la natura ne alimenti anche la propria cultura.
Intendendo per cultura non tutto quanto faccia (o dia l’illusione di fare) dell’uomo un essere potente e superiore agli altri esseri viventi, ma la sapienza che deriva dalla conoscenza del proprio ambiente vitale e dal modo di gestirlo, preservandone la ricchezza. Perché mentre imparava a gestire il rapporto con elementi vitali quali la terra, l’acqua e il fuoco, l’uomo è cresciuto dallo stato semplicemente esistenziale a quello di essere razionale, in grado di stabilire e di scegliere da sé come operare per il meglio.
Così è stato sino a quando non capitò che l’uomo si sentisse minacciato dalla natura. Perché ovviamente il rapporto con la natura non è stato sempre idilliaco, e l’avvicendarsi delle stagioni e i fenomeni che nei secoli hanno modificato l’ambiente hanno sviluppato negli uomini dei meccanismi di difesa, che nel tempo talvolta purtroppo sono diventati aggressivi. L’uomo ha cercato di modificare la natura a proprio vantaggio, com’era ovvio e ragionevole, ma spesso dimenticando le regole e i limiti che la natura stessa ci insegna.
Ne è nato un conflitto, e dove la natura ha avuto il sopravvento sono rimasti solo i resti.
Perché paradossalmente, l’uomo per fare ordine crea il disordine. Il consumo dell’energia, che secondo le leggi della fisica può produrre un lavoro più o meno utile, è cresciuto a dismisura senza regole e senza freni, sino allo spreco, creando in molti casi danni non rimediabili nel breve arco dei tempi che l’umanità sa gestire.
Oggi la nostra cultura e i nostri costumi, troppo dipendenti dall’uso dell’energia, sono in pericolo. E’ tempo di rimetterli in discussione, e non solo per noi stessi, ma guardando anche a quello che ci circonda.
Infatti il colonialismo politico ed economico delle nazioni più avanzate che, per iniziativa propria o per una felice posizione geografica, hanno imboccato per prime la via dello sviluppo, monopolizzando per decenni i consumi dell’ energia e appropriandosi delle fonti, dovrà fare i conti con i mercati che loro stessi hanno sviluppato, e con i popoli che, per la crescita demografica e il migliorato stile di vita, incrementano esponenzialmente i propri consumi.
E la tentazione è più forte per chi ha avuto di meno….
E ciò in relazione al risveglio politico e sociale in quei paesi che per decenni sono stati relegati ai margini, accontentandosi di vivere di luce riflessa dai paesi ricchi.
Chi ha meno certezze ha anche più coraggio, o la forza della disperazione, ed è più disposto a rischiare. Le promesse dei paesi ricchi non hanno più credibilità e solo dove si fa qualcosa assieme si ottiene credito.
Ma nonostante la prospettiva di un inizio di esaurimento delle fonti energetiche più sfruttate, di natura fossile, i paesi ad elevato sviluppo economico, dove la crisi energetica è comunque già in atto, egoisticamente non sono disposti a sacrificare il proprio benessere. I paesi in via di sviluppo a loro volta incrementano un uso irrazionale delle stesse fonti di energia manipolandole nel modo più pratico e veloce. La mancanza di mezzi e di una seria cooperazione da parte dei paesi ricchi non li incoraggia all’impiego di tecnologie più avanzate, sia dal punto di vista ecologico che dell’efficienza. E così succede che, “nel fai da te”, chi ha sete di sviluppo e possiede una risorsa ne faccia un uso incontrollato ed anche “improprio”, diventando una minaccia anche per coloro che sinora li hanno sopravanzati .Intendendosi per “improprio” l’attitudine allo sfruttamento delle risorse su basi poco scientifiche e poco ecologiche. Come avviene in paesi quali la Cina, dove si allagano intere Regioni per fare energia idraulica e si inquina a dismisura l’atmosfera con l’uso del carbone senza trattare le emissioni e gli scarti..
Oggi per uso improprio è da intendersi principalmente quello su vasta scala di idrocarburi quali petrolio e derivati, gas e carbone senza limiti alle emissioni: le maggiori cause di una produzione enorme di gas tossici e di CO2 che la natura non riesce più a riciclare e che determinano il riscaldamento e le modifiche, talora devastanti, del clima del nostro pianeta .
Il cosiddetto “effetto serra”.
L’incremento dei consumi di combustibili di origine fossile per la produzione di energia elettrica è stato talmente rapido ed imponente da causarne la crescita spaventosa e non prevista dei prezzi, senza con questo che se ne riducano significativamente i consumi.
E paradossalmente l’uso dei cereali per produrre carburanti sintetici da sostituire agli idrocarburi rischia di contrastare la lotta alla fame nel mondo.
Per la prima metà di questo secolo gli indici di previsione degli incrementi globali dei consumi energetici nel mondo , e contemporaneamente le aspettative di riduzione attraverso l’educazione al risparmio, sono valori in continua evoluzione, anche a causa della crisi economica e politica. Pertanto è meglio riferirsi solo ai dati di tendenza, orientati comunque verso un netto incremento dei consumi, con una varia distribuzione sul pianeta.
Come fonte dei dati possiamo riferirci all’IEA (Int. Energy Agency) e al suo outlook annuale.
In effetti in Occidente, auspicando che si possano assumere comportamenti più virtuosi, o volontariamente o come effetto della crisi, i dati dei consumi potrebbero mantenersi più stabili, mentre in Oriente si é imboccata decisamente la strada della crescita, con incrementi medi del PIL di dieci punti annui. In Cina e in India in particolare, incoraggiati dalla necessità dell’Occidente di sviluppare nuovi mercati e di assumere manodopera a basso costo.
Così ogni anno in Oriente si incrementano gli impianti di produzione di energia elettrica di circa 200 gigawatt, un valore circa doppio di quello degli impianti operanti attualmente in Italia .
Pertanto ogni comportamento virtuoso dell’Occidente non basta a contrastare la crescita globale dei consumi e delle conseguenti emissioni. E ciò nonostante che per circa due terzi la produzione di energia elettrica sia ancora concentrata in Occidente.
E’ difficile parlare di risparmio a chi é ancora in gran parte sotto la soglia di povertà.
Quindi le prime esigenze sono quelle di promuovere l’educazione al risparmio energetico e contemporaneamente lo sviluppo su vasta scala di nuove risorse energetiche non inquinanti, alternative alle risorse fossili.
L’educazione al risparmio energetico diventa un fatto di costume, da sviluppare per noi e da insegnare ai nostri figli come rispetto della natura e di coloro che vivono situazioni precarie.
Ora il vero problema è che non esiste “sviluppo sostenibile” se la migliore educazione al risparmio si limita alla installazione di lampadine di basso consumo e a distribuire meglio i propri consumi nella giornata, per evitare i picchi.
Occorre investire nell’acquisto e nell’ammodernamento delle macchine e dei sistemi che migliorano il nostro stile di vita ma che hanno consumi elevati, e cogliere così due obiettivi: riduzione dei consumi e rilancio dell’economia.
I Governi del mondo attraverso il cosiddetto protocollo di Kyoto hanno avviato una azione di natura politica tendente a educare i popoli, anche attraverso sanzioni, a ridurre e/o a modificare le emissioni e le relative cause. Ma i primi a non rispettare gli obiettivi sono state nazioni come Stati Uniti e Russia, fra i maggiori consumatori (anche se produttori) di energia. Ed ora anche Cina ed India, in pieno sviluppo, reclamano per sé meno vincoli.
E’ difficile convincere i popoli dei paesi in via di sviluppo, se la logica è che hai meno diritto ad inquinare perché hai un’economia più arretrata.
Anche il commercio di questi diritti (l’ Emission Trading System) non può essere l’obiettivo principale dell’azione intrapresa per coinvolgere tutti i popoli della terra..
Le riduzioni auspicate del 20% delle emissioni al 2020 (rispetto al 1990) rimarranno una mera aspettativa fintantoché la dipendenza dai combustibili fossili non verrà ridotta drasticamente.
Sia per la trazione che per la produzione di energia elettrica.
La possibilità di catturare la CO2 e reiniettarla nel sottosuolo è una soluzione, e si sta studiando, ma, sia dal punto di vista tecnico che economico, non trova per ora larga applicazione. Forse potrebbe essere imposta se i costi dei combustibili tornassero ai livelli di dieci anni fa.
Oggi nel mondo oltre due terzi dell’ energia elettrica è prodotta ancora da combustibili fossili.
La sostituzione su scala industriale dei combustibili fossili con risorse energetiche rinnovabili (specchi solari, eolico, fotovoltaico, biomasse etc..) comporta due generi di difficoltà: i costi e la scala degli impianti. E’ noto che occorrono alcune centinaia di ettari di terreno per produrre poche decina di megawatt, là dove una centrale tradizionale produce 1000/1500 megawatt. L’impiego di tali risorse su vasta scala richiede situazioni culturali e geografiche particolari, quali la gestione diretta, su scala domestica e/o di piccole comunità, di impianti locali, con esigenze più limitate e non continuative di consumo. Inoltre il costo del kilowattora prodotto è in generale più elevato.
L’Italia incentiva l’installazione di pannelli fotovoltaici, nonostante che il costo del Kilowattora prodotto sia dell’ordine di cinque/dieci volte superiore al costo del prodotto tradizionale. Questo è un bene comunque perché incentivando l’applicazione di una tecnologia promettente se ne favorisce lo sviluppo dell’efficienza e la conseguente riduzione dei costi.
La Smart Grid, ovvero la rete intelligente, é il sogno di stabilire un rapporto di scambio diretto fra tutti i produttori e i consumatori, con una rete simile a Internet, che possa eliminare il vincolo delle politiche delle grandi compagnie e dei governi che gestiscono le risorse.
Le difficoltà derivano dal fatto che nella rete elettrica non è come su WEB, dove può andarci di tutto. Una rete elettrica per operare deve essere monitorata e controllata da un sistema centrale.
La nostra nazione, che impegna attualmente una quantità di energia prodotta pari a circa 100 gigawatt, è dipendente per circa il 15% dei consumi dall’estero, in particolare dagli impianti ad energia nucleare che la Francia e la Svizzera hanno costruito ai nostri confini.
Per far fronte autonomamente ai nostri consumi noi abbiamo la necessità di programmare la costruzione entro il 2020 di almeno dieci centrali da 1500/2000 megawatt, a meno di non voler continuare a comprare energia facendo finta di non conoscerne la provenienza.
Solo l’energia nucleare può dare il contemporaneo vantaggio di un’alta concentrazione di produzione di energia e assenza di emissioni di CO2 e di altri gas.
E’ forse il tempo di rinnovare le scelte che in modo non molto razionale e consapevole abbiamo fatto in occasione del referendum nell’87.
Se vogliamo essere sinceri le scelte le hanno già fatte gli altri per noi, ce lo dimostra anche Chicco Testa nel suo recente libro: Tornare al nucleare ?
Non possiamo più dire di no al nucleare di ultima generazione, già sperimentato e collaudato in oltre 400 impianti nel mondo, senza con questo trascurare lo sviluppo delle risorse alternative che daranno in un futuro prossimo un contributo essenziale, in mancanza di altre risorse.
Nulla che l’uomo ha scoperto o ha inventato è in sé un bene o un male, dipende dall’uso che l’uomo ne fa. Lo sfruttamento per fini pacifici della grande potenza concentrata nell’atomo é un dono di Dio, se contribuisce a elevare lo stile di vita e allontana la tentazione di usi aggressivi.
Il problema è convincersi che si può convivere con un rischio calcolato. Che dopo il disastro di Cernobyl, dovuto a un grossolano errore dell’uomo, l’energia nucleare per scopi pacifici ha causato di fatto molte meno vittime di altre attività industriali e/o di attività normali della nostra vita di ogni giorno, verso le quali non abbiamo questo rifiuto. E questo perché l’industria nucleare ha molti più controlli ed é in continua evoluzione, sia dal punto di vista delle tecnologie che della sicurezza e dei sistemi di trattamento delle scorie.
La terra nella sua evoluzione, a partire dal primo Big Bang, ha sviluppato sempre migliori condizioni di vita, almeno sul lungo periodo. Può esserci una spiegazione religiosa, oppure è solo perché nella natura c’è uno” slancio vitale”, che non si esaurisce . James Lovelock, ambientalista, noto quale inventore della teoria di Gaia, considera la terra un organismo vivente alla ricerca continua di equilibrio,coadiuvata dalla specie umana come parte attiva e interagente, e ha dichiarato che considera l’energia nucleare una risorsa irrinunciabile per affrontare i cambiamenti climatici.
*profilo
Laureato in ing.meccanica al Politecnico di Milano nel 1969, ha lavorato come progettista tre anni alla F.Tosi di Legnano.Assunto nel ’73 alla Snamprogetti( ENI) ha ricoperto vari ruoli e varie responsabilità sino al 2006.Dall’Ufficio Macchine é passato alla Divisione Infrastrutture dove é stato Resonsabile delle Tecnologie ,del Marketing e infine Direttore della Divisione sino al 1988.Direttore commerciale della Snamprogettisud sino al1992.In seguito Presidente del Consorzio Alta Velocità Cepavdue e Direttore Realizzazione Progetti.