Significativamente Oltre

Europa e Mediterraneo

NASCE L’ASSOCIAZIONE PER L’EUROPA DI COPPET

Parte dal Lago Lemano il rilancio dello spirito del Gruppo di Madame de Staël

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Per un’Europa forte, solidale, protagonista, che veda in primo piano i cittadini, gli intellettuali, il mondo della ricerca e gli attori dello sviluppo.

E’ il principale obiettivo del “Cercle de l’Europe de Coppet” (Gruppo dell’Europa di Coppet), l’Associazione fondata domenica 19 settembre 2010, sul Lago Lemano, in Svizzera, nella sede storica del Castello di Coppet, che fu la residenza di Anne-Louise-Germaine Necker, meglio conosciuta come Madame de Staël. La scrittrice, una delle donne più conosciute del suo tempo, durante l’esilio in epoca napoleonica, raccolse in quel luogo di meditazione un gruppo di intellettuali. Da quell’esperienza, di studio e di confronto, scaturì l’idea nuova di Europa, tuttora attuale e ancora da realizzare nei suoi aspetti più lungimiranti.

E proprio allo spirito innovatore e libertario del Gruppo di Coppet – a due secoli di distanza – si ispira l’Associazione nei suoi principi di libertà, sviluppo economico, affermazione dei diritti dell’uomo.

L’organismo, istituito con diritto svizzero, è costituito sulla base del lavoro preliminare degli aderenti al “Manifesto dell’Europa di Coppet” al cui varo hanno lavorato da sette mesi personalità della cultura, del giornalismo, dell’arte e dell’economia italiane e svizzere.

Presidente dell’Associazione è l’europarlamentare Gianni Pittella, Vice Presidente del Parlamento di Strasburgo, figura di primo piano della politica europeista italiana, impegnato da anni per l’integrazione tra le aree dell’Europa e per lo sviluppo unitario delle regioni dell’Unione.

Presidente del Comitato è l’economista Paolo Garonna, professore alla Luiss di Roma e Direttore Generale dell’Ania, l’Associazione Nazionale delle Assicurazioni. Nell’organigramma anche il sindaco di Coppet, Pierre-André Romanens ed altri rappresentanti del mondo della cultura, della politica e dell’economia.

L’associazione è aperta alle iscrizioni di quanti vogliano impegnarsi per la promozione della cultura europea e si svilupperà nei diversi paesi, su base territoriale, anche con una rete di sodalizi già esistenti.

In occasione della costituzione dell’Associazione, è stato presentato il libro di Paolo Garonna “L’Europa di Coppet”, pubblicato, dopo il successo italiano, nella sua versione francese, da Editions LEP di Losanna.

Primo appuntamento per l’Associazione è l’incontro con il Presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, a Bruxelles il 26 ottobre 2010, a cui verrà consegnato il “Manifesto dell’Europa di Coppet” quale impegno condiviso per la futura azione politica.

Per la realizzazione di incontri tematici, è stato annunciato, altresì, un appuntamento: master e convention internazionale, da tenersi in Italia, in un’area simbolica che si affaccia sul Mediterraneo, in un luogo di cultura, che è il Palazzo Rinascimentale di Aieta, in provincia di Cosenza. Il tema scelto per l’evento, previsto per Luglio 2011, è: “L’Europa dei Municipi” e sarà organizzato in stretta collaborazione con la Fondazione “Rinascimento”.

La morte dei cervelli – 2

cervello

di Massimo Preziuso

Fa paura notare come in una Europa in cui il tasso di disoccupazione, in alcuni casi, è raddoppiato in un solo anno, non ci siano rivoluzioni (sociali ed economiche) in corso, né si riescano ad immaginare. C’è invece una Europa che si chiude invece di lottare. Una Europa rassegnata, che ha paura di tornare ad essere innovativa ed all’avanguardia, come la storia ci ha detto. Mentre i paesi emergenti ci aggrediscono con un cocktail di ricerca, innovazione e voglia di futuro, l’Europa si arrocca. Mentre lì lo sviluppo è guidato dai giovani e dalle donne, nel nostro Paese, l’Italia, si continua a tacciare di “stupidità” coloro i quali continuano a dire che è dai giovani e dalle donne che bisogna partire.

L’Italia del 2010 fa davvero paura. E’una Italia di assuefazione alla crisi e alla decadenza. Ed il brutto è che questa verità non la si dice, a tutti i livelli. Non solo nelle TV, ormai divenute “silenziatori dello stato sociale”, ma soprattutto tra le tante associazioni e movimenti – che solo qualche anno fa ruggivano di entusiasmo, nei dibattiti da strada, tra giovani e meno giovani.

Ed è questo il dato “crudo” da cui partire, se si vuole provare a svegliare un Paese ormai immobilizzato. Partire dall’analizzare il perché i nostri cervelli si sono quasi spenti in questi ultimi anni. Facile sarebbe descrivere i motori di questo avvitamento con alcune parole – crisi, berlusconismo,  gerontocrazia, familismo, assenza di meritocrazia – ma ciò non basterebbe.

Bisognerebbe invece analizzare se e come gli italiani abbiano ereditato o sviluppato “comportamenti” che non gli permettono di fare “rivoluzioni” e di opporsi a periodi brutti come questi, vivendoli invece passivamente. E una volta fatta questa analisi, cercare di capire come sia possibile alzare quel tasso di innovazione – rivoluzione che oggi è pericolosamente basso e quando c’è difficilmente ha modo di venire a galla.

Contemporaneamente occorrerebbe capire come, se possibile, riattivare i cervelli, ridare energie, stimolare idee, in un Paese che altrimenti fatalmente muore.

Perché, mentre il Paese si avvia linearmente a vivere a “livelli energetici inferiori”, ci si permette di vedere i nostri cervelli morire?

Non la stiamo rischiando davvero grossa, questa volta?

Non bisognerebbe portare questo macro tema all’attenzione della politica, e di noi stessi, che sembriamo davvero indifferenti a ciò?

Gli scenari energetici nell’area EU – MENA

desertec

di Massimo Preziuso

Nei prossimi decenni, diversi sviluppi globali creeranno enormi sfide per l’umanità. Ci confronteremo con problemi quali il cambiamento climatico, la crescita demografica oltre i limiti della capacità del Pianeta, ed una crescita di domanda di energia ed acqua causata da battaglie per la prosperità e l’espansione.

In un mondo fortemente interconnesso nell’economia, nei commerci e nella politica, sfide come queste vanno affrontate in ambito globale.

In questo contesto, per l’Europa è al contempo naturale e fondamentale rivolgere lo sguardo alla sponda sud del mediterraneo, se vuole affrontare le criticità a cui ci avviciniamo.

In tal senso, l’Unione Europa, nel dimostrarsi ancora una volta quale principale promotore di innovazione politica del pianeta, ha fatto importanti passi verso la definizione di una piattaforma politica euro – mediterranea, coinvolgendo anche l’area medio orientale.

Le relazioni politiche ed economiche dell’Unione Europea (UE) con i paesi della sponda sud del mediterraneo (Med) hanno subito, negli ultimi anni, una profonda evoluzione.

Fra il 1995 e il 2003 la politica mediterranea dell’Unione Europea si è concretizzata soprattutto nel Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), noto anche come processo di Barcellona. Dopo l’allargamento dell’UE nel 2004, i paesi sud-mediterranei facenti parte del PEM sono stati inclusi nella nuova politica europea di vicinato (PEV) accanto a quelli dell’Europa orientale restati fuori dall’UE.

Nel dicembre 2007, in una conferenza stampa a Parigi, presenti i primi ministri di Italia e Spagna, il presidente Sarkozy ha annunciato la creazione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). I paesi che hanno firmato il documento istitutivo sono quarantatre: tutti i membri dell’Unione Europea e le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, ad eccezione della Libia che ha preferito partecipare come osservatore. Questo nuovo organismo, costituito a livello dei primi ministri delle nazioni aderenti, ha una doppia presidenza affidata a turno a due paesi, uno europeo e l’altro mediterraneo (attualmente Francia ed Egitto).

La sede dell’UpM, decisa in una riunione avvenuta a Marsiglia nel novembre 2008, è Barcellona.

Dal 2009 tutte le strutture logistiche dell’organizzazione sono operative, guidate da un segretariato generale, con l’incarico di gestire i fondi e di controllare lo stato di avanzamento dei progetti comuni che verranno intrapresi.

L’UpM può finanziare i suoi progetti utilizzando diverse fonti, dalla partecipazione del settore privato al prelievo dal budget europeo, dal contributo dei partners a quello della Banca europea di investimento.

A tutt’oggi però l’operatività di UpM è molto limitata per difficoltà politico-istituzionali non ancora superate.

L’UpM, nasce con l’idea che i settori economici siano trainanti per lo sviluppo delle relazioni tra le due sponde del mediterraneo, e per questo ha come compito prioritario la realizzazione di progetti regionali di grande impegno economico e i firmatari dell’accordo hanno convenuto di dare la priorità a sei iniziative fondamentali:

– il disinquinamento del Mediterraneo,

– la costruzione di autostrade marittime e terrestri tra le due sponde del Mediterraneo,

– il rafforzamento della protezione civile,

– la creazione di un piano solare mediterraneo,

– lo sviluppo di un’università euro-mediterranea

– un’iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese

 

In particolare, al suo interno, il tema energetico – ambientale ne rappresenta un motore trainante, nella constatazione del primario ruolo che le energie rinnovabili possono avere nel garantire un avvicinamento reale tra le due sponde del mediterraneo.

Secondo uno studio del 2009 della Fondazione Mezzogiorno Europa (M. Pizzigallo, L’Italia e l’Unione per il Mediterraneo, Napoli, Fondazione Mezzogiorno Europa, 2009) infatti “la principale richiesta dei Paesi del Maghreb, nell’ambito dei futuri progetti targati UpM, riguarda il trasferimento di tecnologia per la realizzazione di impianti fotovoltaici, eolici e geotermici. La produzione di energia “pulita” libererebbe molti di questi Paesi da una stringente dipendenza energetica, tanto più se si considerano le caratteristiche fisiche e climatiche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per le quali il sole e il vento costituiscono una “materia prima” a basso costo e a massimo rendimento. Per tali motivi, dunque, proprio sul settore energetico vertono i progetti futuri di molti enti, e anche l’Italia guarda con favore allo sviluppo delle energie rinnovabili, cercando di trarre giovamento dalla condivisione di conoscenze ed esperienze con la sponda Sud”.

Esempio concreto di attuazione dell’iniziativa in ambito energetico è dato dal “Piano solare mediterraneo” (PSM) inserito nell’UpM per l’integrazione dei mercati energetici e la promozione dello sviluppo sostenibile nell’area del mediterraneo. L′obiettivo principale del PSM è noto: installare 20 GigaWatt di capacità di energia rinnovabile nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente entro il 2020; in buona parte per soddisfare i bisogni locali, ma in parte anche per esportare elettricità nell′Ue, dove potrà essere utilizzata per contribuire al conseguimento dell′obiettivo di portare al 20% la quota di rinnovabili ne consumo totale di energia.

In questo contesto, su iniziativa del chapter tedesco del Club di Roma, nasce il progetto Desertec (che oggi raduna sedici primari partner tra cui Eon, Rwe, Deutsche Bank, First Solar, oltre all’italiana Enel Green Power) che propone una cooperazione tra Europa, Medio Oriente e Africa Settentrionale (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Obiettivo del progetto è di proporre e realizzare impianti solari ed eolici nei Paesi nord-africani e medio – orientali, al fine di coprire entro il 2050 il 15% della domanda elettrica dell’Europa e una porzione significativa di quella dei Paesi produttori, con investimenti stimati in circa 400 miliardi di euro.

Il trasporto avverrà grazie alla realizzazione di una rete di linee di trasmissione elettrica ad alta tensione con cavi sottomarini tra Africa ed Europa, denominata Transgreen, progetto di punta tra i sei previsti dalla UpM, presentato dalla francese Edf.
Sullo sfondo, la posta in gioco è molto alta. Si tratta di sviluppare l’interscambio di energia elettrica e di collegare le nuove fonti di generazione di energia rinnovabile alle reti tradizionali. E allo stesso tempo, rendendo disponibili grandi volumi di energia generata in località remote, consentire una maggiore apertura del mercato dell’elettricità tra stati, favorendo la riduzione dei prezzi al consumo e la spinta all’innovazione tecnologica. L’obiettivo finale è ridurre i costi per l’utente finale. Con un’incognita. I tempi sicuramente lunghi, e la necessità di un non sempre facile coordinamento politico tra stati.

L’accoppiata Desertec-Transgreen può diventare a sua volta complementare della “Supergrid” paneuropea, che si inquadra nell’ambito degli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e che prevede di rendere disponibili grandi volumi di energia generata in località remote da fonti rinnovabili. Un esempio tipico sono le centrali eoliche offshore del nord Europa, come quelle in corso di realizzazione in Gran Bretagna.
Attualmente nel Mediterraneo sono collegate con linee a corrente alternata le reti elettriche di Marocco e Spagna, via Gibilterra. Transgreen dovrebbe partire più a est, da Algeria o Tunisia. Molti i progetti allo studio, come il collegamento Balcani-Italia, Malta-Italia, Tunisia-Sicilia.

In conclusione, tornando ad UpM, per alcune sue caratteristiche, secondo lo studio di Mezzogiorno Europa, essa rappresenta una grande opportunità di crescita per l’Italia: “In primo luogo, la connotazione prettamente tecnica e progettuale della nuova organizzazione, che individua gli ambiti prioritari di intervento in settori economici e sociali di particolare rilevanza strategica: l’ambiente, con particolare riferimento alla lotta all’inquinamento nel Mediterraneo; i trasporti; la protezione civile; le energie alternative, con il progetto di “Piano Solare Mediterraneo”; l’alta formazione e la ricerca, nel cui ambito è stata prevista l’istituzione di un’Università Euro-Mediterranea; lo sviluppo economico, sociale ed imprenditoriale dell’area mediterranea. In secondo luogo, la flessibilità regionale di tali progetti che potranno investire tutti o solo una parte dei partner, a seconda del loro grado di interesse e di coinvolgimento nello specifico settore di intervento. Questa sorta di “cooperazione a più velocità” nel Mediterraneo potrebbe consentire alle realtà italiane di porsi in prima fila nell’implementazione dei progetti con i paesi della sponda Sud. In terzo luogo, la decisa apertura, prevista nell’UpM, agli attori non statali, come le autorità locali, le imprese e le organizzazioni non governative, costituisce un quadro istituzionale di estremo interesse per l’Italia, in cui la forte crescita della cooperazione decentrata ha già permesso ad enti, istituzioni, autorità locali e organizzazioni della società civile di assumere una forte proiezione internazionale, spesso con il Mediterraneo come area di intervento privilegiata.”

 

Per concludere, alcuni cenni su Europa ed Area Mena:

EUROPA

L’Unione Europea è una unione politica ed economica composta attualmente da 27 Stati membri. Con oltre 500 milioni di abitanti, è oggi l’area economica più ricca del mondo.

La Regione, riconosciuta da tutti quale leader nelle politiche energetiche – ambientali (in ultima il “pacchetto clima” varato nel 2008), con la costituzione di una UpM centrata sul tema dimostra una naturale capacità di guardare oltre e di fare innovazione politica.

Nonostante si trovi in una fase delicata della sua vita politica, alle prese con pesanti crisi proprio in alcuni dei paesi “mediterranei” (Grecia, Spagna e Portogallo), l’Unione sta dunque puntando fortemente sul tema energetico – ambientale quale occasione per il rilancio della sua iniziativa politica e della sua economia, oltre che necessità per il superamento di una dipendenza sostanziale da partners “difficili” come la Russia nell’approvigionamento di combustibili fossili, e la contestuale riduzione del gap di costo dell’energia che ne limita seriamente e da tempo la competitività di sistema.

Vi è da dire che all’interno della UE risiedono paesi riconosciuti quali leaders delle industrie delle energie pulite (si pensi alla Germania, ma anche alla Spagna e all’Italia, nella filiera della produzione di energia elettrica da rinnovabili) e della sostenibilità ambientale (si pensi al caso della Svezia o dell’Olanda, per le loro politiche ambientali).

Detto questo, la costituzione di un mercato europeo dell’energia è ancora lontano, viste le correnti differenze esistenti tra i singoli stati membri nella composizione della produzione energetica e quindi nei livelli di prezzi ed emissioni ad essa relative: vi è quindi ancora molto da lavorare.

Il settore è sede di enormi potenziali di crescita per l’intera Unione, ma necessita di un approccio più europeo di quello finora avuto (che vede essenzialmente la libertà per i singoli Paesi membri di definire le proprie politiche energetiche, all’interno di alcuni obiettivi europei di lungo periodo).

 AREA MENA 

Per area MENA si intende l’area del Nord Africa e del Medio Oriente, che parte dal Marocco – nord ovest dell’Africa – ed arriva all’Iran – sud est asiatico.

La Regione ha una popolazione simile a quella europea (circa 500 milioni di persone) ed è caratterizzata fortemente dalle sue vaste risorse petrolifere e di gas naturale, che la rendono decisiva per la stabilità economica del pianeta: secondo l’Oil and Gas Journal (Gennaio 2009), la Regione ha il 60% delle riserve di petrolio mondali (810.98 miliardi di barili) ed il 45% delle riserve di gas naturale (2868.886 trilioni di cubic feet).

Anche per questo l’area MENA nei prossimi anni vivrà seri problemi derivanti dalla presenza contestuale di un enorme aumento demografico e di seri impatti da cambiamento climatico.

Studi della Banca mondiale prevedono dal solo aumento della popolazione, da qui al 2050, il dimezzamento delle risorse acquifere per individuo. Nello stesso periodo di tempo, la temperatura  prevista in rialzo di 2°C comporterà severi danni e numerose morti. Nel contempo, l’area è caratterizzata da un livello di emissioni di CO2 di 60% superiore alla media dei paesi in via di sviluppo.

Detto questo, i paesi MENA hanno un enorme potenziale nelle energie rinnovabili. In particolare, essi condividono le migliori condizioni al mondo per l’energia solare: abbondante soleggiamento, basse precipitazioni, ed enormi distese di terreni non utilizzati vicini a reti viarie e di trasmissione. E fortunatamente, nell’intero bacino del mediterraneo la domanda per elettricità “verde” sta crescendo rapidamente.

I paesi produttori di petrolio dell’area, in particolare i paesi del Golfo, stanno prendendo la leadership tecnologica e finanziaria nello sviluppo di tecnologie low carbon, in particolare per quanto riguarda la carbon capture and storage (CCS). In questo ambito la regione potrebbe contribuire a portare tale tecnologia dalla fase attuale di testing a quella di commercializzazione su larga scala.

Vi è da aggiungere però che, laddove una crescita low carbon dell’economia potrebbe generare importanti benefits per le economie dei paesi MENA (aumenti di produttività e risparmi fiscali associati ad una migliorata efficienza nell’uso dell’energia, una migliorata qualità dell’aria, una ridotta congestione del traffico, etc), le barriere tecnologiche ed in particolare i bassi livelli di prezzo dell’energia presenti nella regione danno un basso incentivo – in assenza di supporto finanziario esterno – per uno sviluppo low carbon su larga scala.

L’Europa necessaria

di Massimo Preziuso (in “Synthesis” – Oseco)

europa

Con l’adozione del trattato di Lisbona, arrivata dopo una lunga e complessa fase di incertezza, si può di certo essere un po’ più felici in Europa: il processo di costruzione di una forte Unione Europea ha fatto un importante passo avanti.

Sembra dunque ormai chiaro a tutti che l’esistenza di una Unione Europea forte e coesa è fatto fondamentale, sia per gli stati europei, che per il mondo intero.

Vari fattori richiedono agli stati europei, soprattutto dopo l’attuale crisi economica internazionale, di unirsi sotto un unico cappello, e molti sono riconducibili al tema della competitività e dell’innovazione nel “secolo dei paesi emergenti e della sostenibilità energetico – ambientale”.

In questo nuovo contesto globale, che si va rapidamente delineando, i piccoli stati europei non hanno infatti più alcuna possibilità di gareggiare e rimanere a lungo nel gotha dell’economia mondiale, e questo fondamentalmente per problemi di scala (geografica, demografica ed economica): l’Unione Europea consente loro di diventare grandi ed affrontare con successo tali problemi, pur mantenendo le proprie diversità e specificità culturali, in accordo col principio di sussidiarietà che emerge centrale dal Trattato di Lisbona.

La tematica ambientale rappresenta poi il luogo in cui l’agire insieme, come Unione Europea, permette di sfruttare al massimo il potenziale insito nella variegata tradizione culturale e di innovazione che risiede nel vecchio continente, e nei suoi singoli paesi, che è oggi disperso nelle logiche e dispute nazionaliste, e altresì aiutare ad equilibrare l’annoso problema della sicurezza degli approvvigionamenti energetici che rappresenta, per un continente così povero di combustibili fossili, un serio problema per la propria stabilità economica e politica di medio periodo.

A Copenaghen si è tenuto il 15° vertice delle Nazioni Unite sul clima: nella trattativa per la definizione di un nuovo trattato internazionale ambientale sta emergendo il ruolo da protagonisti di Cina e Stati Uniti che, all’interno di un acceso dibattito sulle rispettive responsabilità passate e presenti, stanno così definendo il nuovo asse del potere mondiale, che vedrà al centro proprio le tematiche energetico – ambientali.

In questo scenario l’Unione Europea, protagonista fino ad oggi nell’attuazione del protocollo di Kyoto, e luogo di elaborazione della più ambiziosa e strutturata politica ambientale al mondo, rischia di perdere la propria leadership, proprio per l’incompletezza del processo di integrazione.

Ma, forte dell’approvazione del Trattato di Lisbona, è proprio da Copenaghen che il progetto europeo può trovare nuovo slancio, definendo un ancora più ambizioso e cadenzato programma di riduzione delle emissioni, anche in assenza di un accordo internazionale vincolante, rimettendosi così al centro delle future politiche ambientali ed economiche del pianeta.

Il continente europeo rappresenta una risorsa unica e fondamentale per gli equilibri dell’intero pianeta, perché sede di una storia unica di democrazia ed innovazione e perché unico possibile garante dello sviluppo armonico e condiviso del pianeta, di una “globalizzazione sostenibile”.

Anche per questo, l’Unione Europea può e deve diventare attore principale della nuova competizione globale, guidando e ri-definendo insieme ai due giganti – Stati Uniti e Cina – la nuova governance del pianeta.

Detto questo, risulta anche evidente che quello europeo rappresenta attualmente il progetto politico più complesso al mondo, e per questo richiede pazienza: al suo completarsi potrebbe infatti nascere l’attore politico più prospero dell’intero pianeta.

L’Unione per il Mediterraneo e le prospettive per il “sistema Italia”

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Luisa Pezone*

Dal luglio del 2008, l’Unione per il Mediterraneo (UpM) costituisce il nuovo quadro politico-istituzionale delle relazioni euro-mediterranee. Fondata ufficialmente in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo di Parigi del 13 e 14 luglio 2008, allo scopo di imprimere un nuovo impulso alla politica mediterranea dell’UE a tredici anni dalla nascita del “Partenariato Euro-Mediterraneo” (PEM)[1] e a quattro anni dall’avvio della Politica Europea di Vicinato (PEV)[2], l’UpM comprende i ventisette paesi membri dell’Unione Europea e sedici partner mediterranei[3].

L’UpM ha visto la luce dopo un percorso costitutivo lungo, faticoso ed articolato, nel corso del quale l’originario progetto francese ha conosciuto una serie di modifiche ed adattamenti imposti dalle dinamiche comunitarie. L’iniziale proposta francese di Unione Mediterranea (UM)[4], lanciata da Sarkozy fin dai primi mesi del 2007 durante la campagna elettorale per l’Eliseo, ripresa al momento del suo insediamento, precisata nel corso dei primi mesi del suo mandato ed imposta al centro del dibattito diplomatico europeo, si proponeva di elaborare “un nuovo modello di governance” nei rapporti euro-mediterranei che, di fronte agli esiti modesti scaturiti dal Processo di Barcellona, fosse ristretto ai soli paesi rivieraschi e fondato su un “approccio basato su progetti concreti”, che costituissero la base di partenza per un più ampio percorso di cooperazione ed integrazione nell’area mediterranea. La prima iniziativa di Parigi, pertanto, nasceva come un disegno contrapposto al quadro comunitario, a carattere intergovernativo, e traeva le sue motivazioni in massima parte dalle delusioni suscitate dalle politiche euro-mediterranee dell’ultimo decennio, il PEM e la PEV.

Il lancio del progetto di Unione Mediterranea attivava un doppio binario di analisi e di confronto.

Da un lato, infatti, si apriva un ampio dibattito tra analisti, studiosi, esponenti della società civile e

dell’opinione pubblica, sia nei paesi europei che nei partner mediterranei, focalizzato sulle carenze e gli ostacoli incontrati nel dialogo tra le due sponde del Mediterraneo dal 1995 in poi. Tale dibattito, già in corso almeno dal 2005, anno del decennale di Barcellona,  rappresentava un’occasione di approfondimento e di riflessione interna all’UE sulla necessità di ripensare ed aggiornare le politiche comunitarie verso l’area, ed ha avuto il merito indiscutibile di rilanciare l’attenzione sulla cooperazione euro-mediterranea che, tra la crisi del Processo di Barcellona e il “basso profilo” della PEV, sembrava in una fase di profonda stanchezza e sfiducia.

Dall’altro, prendeva avvio un articolato processo di confronto politico- diplomatico in merito alla proposta francese di UM. La Germania e la Gran Bretagna la contrastavano apertamente, timorose di un progetto che mirava, nella loro valutazione, a servire gli interessi particolari di Parigi con le risorse comunitarie. La Turchia le si opponeva duramente, considerandola un’alternativa indigeribile al suo ingresso nell’UE, un orizzonte strategico da sempre lontano dall’idea d’Europa di Sarkozy.  I Paesi Membri Mediterranei (PMM), come la Spagna e l’Italia, paventandone l’impatto negativo sulla coesione europea e sulla solidità del Partenariato, la accoglievano tiepidamente e mettevano in campo una strategia di “riduzione del danno” al fine di ricondurre progressivamente l’UM nell’ambito comunitario. I paesi della sponda Sud la valutavano con attenzione ma anche con diffidenza, attirati dalla possibilità di un nuovo corso delle relazioni con l’Unione Europea ma anche timorosi di un indebolimento del “Processo di Barcellona”.

La nascita dell’ UpM, nel luglio del 2008, rappresentava il momento conclusivo di questo doppio processo. L’esito finale riconduceva l’iniziale idea francese nel canale europeo e la privava dei suoi elementi di esplicita rottura rispetto alle politiche euro-mediterranee condotte dopo il 1995, a cominciare dall’elegibilità geografica limitata ai paesi rivieraschi. 

Molti dei suoi aspetti più innovativi e significativi si sono tuttavia mantenuti anche nella nuova configurazione dell’UpM: la natura essenzialmente intergovernativa; l’eguaglianza tra i membri europei e mediterranei all’interno di un contesto di accentuata “co-ownership e il tentativo di condividere il processo decisionale e gestionale tra le regioni al Nord e al Sud del Mediterraneo; l’approccio fortemente tecnico- progettuale[5]; l’apertura alle varie componenti della società civile; una certa flessibilità geografica che potrebbe aprire la strada a forme di cooperazione rafforzata, limitata soltanto ai membri più interessati a specifici settori. Si tratta di elementi ereditati, in larga parte, dall’originale proposta francese, che ci consentono di affermare che la nuova organizzazione euro-mediterranea non è stata completamente svuotata rispetto all’iniziale idea francese, ma solo adattata alle esigenze comunitarie.

Ad un anno e mezzo dalla sua nascita, i progressi compiuti sulla strada della piena funzionalità dell’UpM appaiono ancora esigui e limitati per poter esprimere un giudizio compiuto sulla bontà e l’efficacia delle innovazioni apportate al quadro delle relazioni tra l’UE e i Paesi Terzi Mediterranei (PTM). Una serie di difficoltà e condizionamenti hanno infatti pesato in maniera determinante nei primi mesi di vita dell’UpM. In primo luogo, le accese difficoltà di rendere operativo il nuovo quadro istituzionale e di suscitare il necessario interesse politico dei Paesi partner del Sud. In secondo luogo, la scarsità degli incentivi e delle risorse finanziarie, che la recessione economica globale ha reso ancora più evidente. Infine, l’impatto negativo giocato dai conflitti regionali del Mediterraneo e del Medio Oriente, a cominciare dalla questione israelo-palestinese ancora lontana da una realistica prospettiva negoziale.

Si tratta di nodi irrisolti che testimoniano della permanenza, anche nell’ambito dell’UpM, di gran parte di quegli elementi tradizionalmente individuati come fattori di debolezza delle politiche euro-mediterranee. Nel complesso, l’ Unione per il Mediterraneo al momento può essere considerata come un tentativo apprezzabile, per quanto farraginoso in alcuni suoi aspetti, di superare limiti e contraddizioni del Processo di Barcellona, ma la reale efficacia delle novità da essa apportate al quadro delle relazioni euro-mediterranee non può ancora essere compiutamente valutata.

Nonostante le difficoltà, sia esogene che endogene, che hanno pesato sui suoi primi passi, l’UpM ha suscitato fin dall’inizio l’interesse e l’attenzione di quei settori istituzionali, economici ed imprenditoriali del “sistema Italia” tradizionalmente presenti nel Mediterraneo.

L’ UpM, infatti, come accennato, presenta alcuni elementi in grado di costituire il quadro ideale per dare un nuovo e più deciso impulso all’azione italiana nel Mediterraneo, sia sul versante politico che su quello economico – commerciale.

In primo luogo, la connotazione prettamente tecnica e progettuale della nuova organizzazione, che individua gli ambiti prioritari di intervento in settori economici e sociali di particolare rilevanza strategica: l’ambiente, con particolare riferimento alla lotta all’inquinamento nel Mediterraneo; i trasporti; la protezione civile; le energie alternative, con il progetto di “Piano Solare Mediterraneo”; l’alta formazione e la ricerca, nel cui ambito è stata prevista l’istituzione di un’Università Euro-Mediterranea; lo sviluppo economico, sociale ed imprenditoriale dell’area mediterranea. In secondo luogo, la flessibilità regionale di tali progetti che potranno investire tutti o solo una parte dei partner, a seconda del loro grado di interesse e di coinvolgimento nello specifico settore di intervento. Questa sorta di “cooperazione a più velocità” nel Mediterraneo potrebbe consentire alle realtà italiane di porsi in prima fila nell’implementazione dei progetti con i paesi della sponda Sud. In terzo luogo, la decisa apertura, prevista nell’UpM, agli attori non statali, come le autorità locali, le imprese e le organizzazioni non governative, costituisce un quadro istituzionale di estremo interesse per l’Italia, in cui la forte crescita della cooperazione decentrata ha già permesso ad enti, istituzioni, autorità locali e organizzazioni della società civile di assumere una forte proiezione internazionale, spesso con il Mediterraneo come area di intervento privilegiata.

Per questi motivi, la Fondazione Mezzogiorno Europa, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, ha condotto una ricerca, di recente pubblicazione[6], volta a valutare, oltre che gli scenari internazionali aperti dalla costituzione dell’Unione per il Mediterraneo, le prospettive, le ricadute e i benefici che una piena realizzazione dell’ UpM potrà avere per il “sistema Italia” nel Mediterraneo.

Partendo dagli elementi costitutivi dell’UpM sopra descritti, la ricerca della Fondazione Mezzogiorno Europa ha cercato di fornire una mappatura delle principali iniziative in corso tra alcuni settori del mondo economico e produttivo del nostro paese e i Paesi del Mediterraneo, delle possibilità di ulteriori sviluppi di interesse bilaterale e delle aspettative riposte nella nascente Unione per il Mediterraneo. Pur avendo un’impostazione di ampio respiro, l’indagine si è concentrata soprattutto su alcuni settori di rilevanza strategica: l’energia, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili; l’agricoltura, soprattutto per quel che riguarda le pratiche innovative e gli scambi commerciali; le politiche di trasferimento tecnologico, in modo particolare la produzione industriale ad elevato valore aggiunto; il rapporto credito-impresa; l’innovazione tecnologica, di processo e di prodotto;  l’analisi dei criteri di managerialità; le politiche di cooperazione culturale multilaterale e bilaterale, soprattutto in riferimento agli scambi di docenti e studenti dei Paesi mediterranei.

L’indagine si è articolata attraverso tre quesiti che sono stati sottoposti alle principali realtà italiane operanti nel bacino mediterraneo. La prima domanda ha riguardato i progetti o gli accordi bilaterali in corso con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo; la seconda ha inteso rilevare le prospettive e le aspettative future di progetti, accordi e trattative con questi Paesi; la terza ha indagato le  attese e i vantaggi che l’ UpM potrebbe recare alle realtà interessate.

Per offrire una panoramica sufficientemente completa, pur senza alcuna pretesa statistica, delle realtà italiane operanti nel Mediterraneo, è stato individuato come destinatario delle interviste un campione rappresentativo composto da enti, istituzioni ed imprese particolarmente attivi nell’area mediterranea, alcuni con un forte radicamento territoriale[7], altri con una più accentuata proiezione internazionale[8].

L’insieme di questi enti ha permesso di fornire un quadro sufficientemente preciso sia delle relazioni esistenti tra alcune realtà economiche e sociali italiane e i paesi del Mediterraneo, sia del possibile impatto che l’ “Unione per il Mediterraneo” potrà avere su di esse. La raccolta di dati oggettivi, di pareri e punti di vista dei soggetti interessati, ha consentito di sviluppare un’ analisi ragionata dei fabbisogni e delle opportunità future che il che il sistema economico e produttivo italiano dovrà essere in grado di cogliere nei rapporti con la sponda meridionale del Mediterraneo. Per ovvie ragioni di opportunità ed affinità, lo studio si è focalizzato soprattutto su soggetti afferenti al contesto meridionale, senza però trascurare, visto il forte riscontro suscitato dall’ UpM a livello nazionale, altre realtà territoriali direttamente interessate ad un rafforzamento della dimensione mediterranea dell’Unione Europea.

L’elaborazione delle risposte fornite dagli enti ha offerto molteplici spunti di riflessione per i tre elementi dell’indagine.

Per quanto riguarda i progetti e gli accordi in corso con i Paesi della Sponda sud, è da registrare un gran numero di iniziative poste in essere in tutti i settori di riferimento.

Una posizione privilegiata spetta all’ambito culturale, oggetto di concrete forme di collaborazione, che prevedono, oltre allo stanziamento di borse di studio e alla realizzazione di corsi post – lauream congiunti, intense attività di scambio di docenti e di studenti, al fine di garantire un flusso continuo di conoscenze e di informazioni tra le due Sponde del Mediterraneo.

Altro ambito di grande interesse è il settore energetico, in particolare quello delle energie rinnovabili, strettamente connesso con l’attualissimo tema della tutela ambientale e paesaggistica. Uno degli elementi di maggiore affinità tra i paesi Mediterranei è infatti la grande valenza del patrimonio naturale, una ricchezza da difendere e da mettere a frutto nella maniera meno invasiva possibile. Non è un caso, infatti, che la principale richiesta dei Paesi del Maghreb, nell’ambito dei futuri progetti targati UpM, riguardi il trasferimento di tecnologia per la realizzazione di impianti fotovoltaici, eolici e geotermici. La produzione di energia “pulita” libererebbe molti di questi Paesi da una stringente dipendenza energetica, tanto più se si considerano le caratteristiche fisiche e climatiche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per le quali il sole e il vento costituiscono una “materia prima” a basso costo e a massimo rendimento. Per tali motivi, dunque, proprio sul settore energetico vertono i progetti futuri di molti enti, e anche l’Italia guarda con favore allo sviluppo delle energie rinnovabili, cercando di trarre giovamento dalla condivisione di conoscenze ed esperienze con la sponda Sud.

Per quanto concerne le prospettive future di progetti e accordi, l’indagine ha segnalato grandi possibilità di incremento degli scambi commerciali con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, soprattutto nell’ ottica della creazione della futura zona euro-mediterranea di libero scambio prevista dal Partenariato Euro-Mediterraneo. Tali paesi, infatti, sono stati oggetto, negli ultimi anni, di un progressivo e sorprendente aumento dell’ interscambio con il nostro Paese, fino a raggiungere livelli altissimi come nel caso dell’ Egitto.

Un altro elemento da tenere in debita considerazione, inoltre, come segnalato dalle nostre Ambasciate e dalle Associazioni di industriali presenti sul territorio, è la grande spinta di rinnovamento che da qualche anno coinvolge Paesi come il Marocco e la Tunisia, i cui Governi hanno recentemente iniziato a promuovere e favorire un vasto piano di riforme in vari ambiti, in primo luogo quelli della semplificazione amministrativa e dell’ottimizzazione dei sistemi di produzione. In quest’ultimo campo, soprattutto, le conoscenze scientifiche e tecnologiche dei paesi europei si rivelerebbero preziose, soprattutto se accompagnate da programmi di responsabilizzazione civile e sociale.

In tema di sviluppo, l’attività di cooperazione rivolta a contesti problematici come quelli che ancora permangono in molte zone del Nord Africa e del Medio Oriente potrà avere benefici effetti anche a livello politico- diplomatico. Da sempre infatti il nostro Paese si è distinto per il significativo contributo offerto nelle aree di crisi del Mediterraneo, e l’attività dei nostri connazionali è sempre stata accolta con grande favore in tutti i Paesi della Sponda Sud.

Per quanto riguarda, infine, le attese verso l’Unione per il Mediterraneo, la nuova “creatura” euro-mediterranea ha incontrato grande favore presso tutti i soggetti interpellati. In generale, è emersa con evidenza la convinzione della notevole opportunità che essa può rappresentare per gli interessi economici e sociali italiani. In particolare, l’indagine ha segnalato un consenso pressoché unanime nei confronti dell’ UpM, le cui ricadute positive potranno irradiarsi a vari livelli: dal piano economico per gli enti e i gruppi imprenditoriali coinvolti, a quello socio-culturale per la società civile, a quello politico con il ricollocamento del Mediterraneo al centro di un più ampio sistema di relazioni. Particolarmente apprezzata è risultata la dimensione tecnica e progettuale dell’UpM, così come la sua forte proiezione al coinvolgimento della società civile nelle sue molteplici articolazioni.

La ricerca, quindi, ha evidenziato con chiarezza un alto livello di attese dei settori italiani maggiormente dinamici nell’area mediterranea nei confronti dell’ UpM, le cui iniziative non dovranno porsi in concorrenza con quelle comunitarie, ma in supporto ad esse, per promuovere una più approfondita rete di relazioni tra i paesi delle due sponde del Mediterraneo.

Per tali motivi, è lecito formulare l’auspicio di un forte impegno italiano, nell’ambito dell’Unione Europea, nel delicato e complesso passaggio dalla fase delle dichiarazioni a quella operativa dell’UpM, al fine di contribuire a creare quel quadro rinnovato delle relazioni euro-mediterranee che potrà consentire al “sistema Italia” di dispiegare tutte le sue potenzialità nel Mediterraneo.

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* Responsabile Ufficio Progetti, Studi e Ricerche della Fondazione Mezzogiorno Europa. Fa parte del Gruppo Europa e Mediterraneo di Innovatori Europei. Ha curato e coordinato varie pubblicazioni in tema di energia, microcredito, europa e lavoro. Articolo pubblicato sul Numero di Novembre/Dicembre 2009 della Rivista Mezzogiorno Europa.

 


 NOTE

[1] Il PEM, lanciato alla Conferenza di Barcellona del novembre 1995, si proponeva di “trasformare il Mediterraneo in un’area di dialogo, scambio e cooperazione che garantisca pace, stabilità e prosperità” e stabiliva l’ambizioso obiettivo di realizzare un partenariato tra le due sponde fondato su tre pilastri: dialogo politico e di sicurezza; cooperazione economica e finanziaria;  partnership sociale, culturale ed umana.

[2] La PEV nacque allo scopo di costruire un quadro per il rafforzamento delle relazioni politiche ed economiche dell’UE con quei paesi che, con l’ingresso dei nuovi dieci membri nel 2004 e con la conseguente ridefinizione dei confini comunitari, erano destinati a diventare i “nuovi vicini” dell’Unione allargata: Ucraina, Bielorussia, Moldova, paesi del Caucaso e del Mediterraneo.

[3] Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto,  Giordania, Israele, Libano, Marocco, Mauritania (paese non mediterraneo), Monaco, Montenegro, Siria, Territori Palestinesi, Tunisia, Turchia. La Libia ha lo status di osservatore.

[4] Il primo progetto francese di ristrutturazione dei rapporti euro-mediterranei aveva la denominazione di Unione Mediterranea, in quanto destinata, nelle intenzioni di Sarkozy, a rimanere distinta dall’UE e limitata alla partecipazione dei soli paesi rivieraschi. Successivamente, il piano francese assunse la denominazione di Unione per il Mediterraneo, a sottolineare il suo pieno reintegro nel solco comunitario e il coinvolgimento di tutta l’Unione Europea nell’iniziativa promossa da Parigi.

[5] L’identificazione degli ambiti di intervento progettuale dell’UpM ha rappresentato il risultato di un processo lungo e complesso, parallelo alla faticosa evoluzione diplomatica che ha scandito il cammino dell’UpM.  Alla fine la Dichiarazione di Parigi del luglio del 2008 individuava i settori prioritari nei seguenti sei: il disinquinamento del Mediterraneo; la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare le fluidità del commercio fra le due Sponde; il rafforzamento della protezione civile; lo sviluppo di energie alternative e la creazione di un piano solare comune; gli incentivi all’alta formazione e alla ricerca, con la proposta di creazione di un’università euro- mediterranea; il sostegno alle piccole e medie imprese.

[6] M. Pizzigallo (a cura di), L’Italia e l’Unione per il Mediterraneo, Napoli, Fondazione Mezzogiorno Europa, 2009.

[7] Regione Campania, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Bari, Università degli Studi della Basilicata, Università della Calabria, Camera di Commercio di Potenza, Confindustria Brindisi, Confindustria Calabria, Confindustria Sicilia, Unione Industriali Napoli, Banca Monte dei Paschi di Siena, SDI Group, Gruppo Editoriale “Il Denaro”.

[8] Ambasciata d’Italia in Marocco, Ambasciata d’Italia in Tunisia, ICE – Tunisi,   Israel-Italy Chamber of Commerce and Industry , Camera di Commercio Italiana in Egitto, Camera di Commercio Italiana in Marocco, FORMEZ – C.A.I.M.E.D, MEDREC, Osservatorio EuroMediterraneo e del Mar Nero.

Enti locali e accesso ai fondi europei, proviamo a fare un pò di chiarezza

 (Di Fabio Travagliati)

Ho seguito con un certo interesse nei giorni scorsi, la questione relativa alla necessità da parte dell’Amministrazione comunale di Ancona di dotarsi di un consulente capace di intercettare fondi europei.

 

Occupandomi professionalmente di politiche comunitarie, ho sentito la necessità di scrivere questo post e di provare a dare un contributo utile a fare un po’ di chiarezza nei confronti di chi è interessato alla questione, approfittando anche di un recente studio dell’Università Bocconi di Milano (curato da V. Vecchi) in merito a come gli enti locali affrontano la questione dell’accesso ai fondi europei.

Va detto innanzitutto che è quanto mai singolare che tale vicenda assuma i contorni di una questione pregiudiziale ai fini della tenuta della maggioranza che governa la città, essendo un’attività, quella di intercettare sempre maggiori risorse finanziarie, che credo interessi tutte le parti politiche di qualsiasi ente si tratti. Il problema è se mai come ci si può organizzare al meglio per farlo, e su questo non esistono ricette che da sole garantiscano la riuscita.

Provo a descrivere di seguito l’ambito di intervento di cui trattasi e quelli che secondo me sono alcuni principi da tenere in considerazione.

I fondi messi a disposizione da parte dell’Unione Europea sono di due tipi: fondi strutturali e fondi settoriali o altrimenti chiamati a gestione diretta.

I fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR, Fondo sociale europeo – FSE e Fondi di Coesione) sono programmati ed erogati direttamente dai governi nazionali e regionali dei paesi membri; mentre i fondi a gestione diretta sono programmati ed erogati da parte delle direzioni generali della Commissione Europea.

I primi hanno come obiettivo quello di contribuire alla riduzione del divario esistente tra i pesi membri e supportare il loro sviluppo economico e sociale (attraverso il finanziamento delle infrastrutture, degli aiuti alle imprese, specie nel settore dell’innovazione tecnologica, e delle politiche sociali di inserimento lavorativo, occupabilità, adattabilità e pari opportunità).

I secondi hanno, invece, l’obiettivo di supportare la definizione e l’implementazione di politiche comuni in settori strategici, quali, a titolo d’esempio, la ricerca e l’innovazione tecnologica, l’ambiente, l’imprenditorialità, il life long learning. Primari destinatari dei fondi settoriali sono le amministrazioni e aziende pubbliche europee; anche se esistono fondi destinati a imprese private, università e centri di ricerca (quali il VII programma quadro per la ricerca e innovazione tecnologica) e ai soggetti del terzo settore. Accedono invece ai fondi strutturali tutti i soggetti economici di un territorio in relazione alla destinazione dei fondi.

I fondi strutturali sono programmati in relazione a tre obiettivi: (i) convergenza (destinati alle regioni europee con un PIL inferiore al 75% della media comunitaria – quattro sono le regioni italiane rientranti in questo obiettivo: Sicilia, Puglia, Calabria e Campania); (ii) competitività e occupazione (destinati a tutte le regioni non convergenza, che necessitano di un supporto per rafforzare i loro sistemi produttivi e sociali a fronte dell’evoluzione delle dinamiche competitive, che affliggono le economie più mature, tra cui la globalizzazione e la conseguente delocalizzazione); (iii) cooperazione (per stimolare la gestione di politiche e azioni di tipo transfrontaliero, transregionale e transnazionale). L’Italia riceve un ammontare di fondi strutturali (FESR e FSE) pari a € 13,5 miliardi, con un cofinanziamento nazionale pari a € 16,7 miliardi. Il totale delle risorse programmate nell’ambito della politica di coesione da parte del Governo e delle Regioni ammonta pertanto a circa € 30,2 miliardi. Oltre a queste risorse destinate all’Italia vi sono le risorse programmate nell’ambito dei programmi settoriali, che ammontano a circa € 161 miliardi, destinati a tutti i 27 paesi membri e talvolta, seppur in misura inferiore, ai paesi non membri.

Se l’utilizzo dei fondi strutturali è molto più semplice da parte delle amministrazioni pubbliche, in quanto segue logiche simili al trasferimento delle risorse di tipo ordinario, specie in relazione ai fondi gestiti dalle Regioni (nell’ambito dei programmi operativi regionali, che rappresentano la maggioranza), le difficoltà di accesso ai fondi settoriali sono sicuramente maggiori: si tratta di risorse programmate a un livello istituzionale più distante dai beneficiari, che richiedono l’attivazione di un partenariato europeo per essere utilizzate e una maggior qualità progettuale, considerato che l’arena competitiva è più ampia, visto che concorrono tutti i paesi membri.

Oltre a queste maggiori difficoltà vi è da notare che i fondi settoriali finanziano per lo più azioni di tipo immateriale, quali per esempio la creazione di gruppi di lavoro e network per la messa a punto di progetti e politiche e lo scambio di buone pratiche e l’ammontare medio per progetto è generalmente inferiore rispetto a quanto può essere garantito dai fondi strutturali. Questo aspetto mette in evidenza come sia difficile pensare al risanamento dei conti pubblici degli enti pensando di attingere dai soli fondi settoriali europei, più interessante per i bilanci degli enti sarebbe invece il riuscire ad attingere a risorse combinate di fondi strutturali e settoriali.

Si tratta, in ogni caso, di azioni di rilevante importanza per l’aggiornamento continuo delle risorse umane e per l’introduzione di innovazioni manageriali. Per tale motivo, nell’ambito della programmazione 2007 – 2013 dei fondi comunitari, la Commissione Europea ha raccomandato una programmazione e un utilizzo sinergico dei fondi strutturali e di quelli settoriali: con questi ultimi è, infatti, possibile finanziare la definizione di nuove politiche, programmi e progetti, la cui concreta implementazione può trovare finanziamento attraverso i fondi strutturali.

Lo studio Bocconi condotto su un campione di 27 enti locali (comuni capoluogo di provincia e province, localizzati in Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto) evidenzia che in media essi hanno costituito un ufficio politiche comunitarie per supportare la struttura amministrativa nell’accesso ai fondi circa 8 anni fa, parecchi anni dopo l’avvio della maggior parte dei fondi settoriali.

Esistono enti che sono invece attivi da oltre un decennio, come i comuni di Ferrara, Modena, Livorno, Pisa e Verona e le province di Bologna e Cuneo. La maggior parte delle attività svolte da questi uffici, sia nell’ambito dei comuni che delle province, è relativa al supporto alle strutture interne nella ricerca di fondi, nella predisposizione di richieste di finanziamento e nella costruzione di partnership internazionali; in misura molto limitata sono invece gestite le attività di lobbying internazionale (quali la verifica della coerenza delle proprie idee progettuali con la programmazione delle risorse e la costante presenza nei network internazionali attivi nelle attività di consultazione della commissione finalizzate alla predisposizione della programmazione dei fondi), che sono invece fondamentali per assicurare un flusso continuo di risorse e l’attività di supporto ai soggetti del territorio (enti locali, imprese e associazioni) che, data le limitate dimensioni e la carenza di risorse disponibili, hanno difficoltà nell’accesso a tali risorse.

Sarebbe invece auspicabile che gli enti locali esercitassero il ruolo di capofila, nell’ambito dei network e dei progetti finanziati dai fondi settoriali, di partenariati locali, per la sperimentazione e la progettazione di azioni congiunte (a titolo d’esempio, piani energetici, servizi reali per il supporto all’imprenditorialità, portale unico per le prenotazioni turistiche). La scarsa rilevanza data ai fondi settoriali è dimostrata anche dalla forma prevalente di accesso a queste risorse: prevale l’accesso di tipo “contingente”, quello cioè guidato dalla disponibilità di bandi aperti, rispetto all’accesso di tipo “strategico”, che prevede l’individuazione dei programmi più coerenti rispetto ai fabbisogni dell’ente.

L’utilizzo di un approccio di tipo contingente ai fondi è dimostrato dall’elevato coinvolgimento di consulenti esterni nella gestione delle attività degli uffici politiche comunitarie (il 73% dei comuni intervistati e il 92% delle province utilizza risorse esterne) e da un processo di accesso ai fondi che si basa sulla segnalazione dei bandi aperti alle direzioni dell’ente, rispetto a uno più virtuoso e strategico.

L’accesso contingente può essere molto rischioso, in quanto richiede un investimento iniziale rilevante (dovuto per esempio al coinvolgimento di consulenti esterni); la qualità della richiesta di finanziamento può essere di basso livello, data la finestra temporale limitata per l’invio dell’idea progettuale (il formulario) e vi è maggiore difficoltà nella definizione di un budget accurato, che permetta di sfruttare adeguatamente gli asset dell’ente come cofinanziamento economico al progetto, considerato che nella maggior parte dei casi i programmi comunitari richiedono una partecipazione finanziaria o economica del beneficiario per circa il 50% dei costi del progetto.

I rischi di una definizione poco accurata del budget sono rilevanti: se non si stima in modo puntuale il cofinanziamento economico, vi è la necessità di garantire un apporto finanziario di risorse che devono essere attinte dai bilanci sempre più limitati degli enti e gli effetti dell’anticipazione del pagamento delle spese rispetto all’incasso del finanziamento può generare tensioni di cassa difficili da gestire.

La capacità di passare da un approccio contingente a uno strategico sarà l’elemento che permetterà di incrementare l’attrazione di fondi europei a gestione diretta negli enti locali, migliorandone anche il tasso di successo, che nei comuni intervistati è il 50% delle richieste predisposte e il 65% nelle province.

Tale passaggio richiede una organizzazione interna all’ente che:

  1. introduca un’attività di formazione costante rivolta ai funzionari e dirigenti sulla conoscenza dei programmi UE e sulle tecniche di progettazione europea;
  2. adotti una programmazione pluriennale per l’accesso ai bandi di interesse;
  3. individui dei referenti nelle sedi europee per svolgere attività di lobbying;
  4. utilizzi strumenti informativi efficaci per la conoscenza in anticipo delle scadenze dei bandi europei;
  5. favorisca la partecipazione a network internazionali;
  6. sia in grado di organizzare a livello locale progetti di qualità, innovativi e partenariati autorevoli.

Personalmente non credo che la scelta del consulente esterno per i fondi europei sia la soluzione migliore, o quantomeno la soluzione che da sola consenta di accedere a risorse significative. Credo invece che principalmente serva orientare la struttura amministrativa nel suo complesso verso un modo di lavorare ‘per progetti’ anticipando quelli che sono i possibili canali di finanziamento, strutturando partenariati e reti locali di cui l’amministrazione si deve fare promotrice e protagonista.

Così facendo non solo si faciliterebbe il percorso di accesso ai fondi europei, ma si realizzerebbero le condizioni per sviluppare una progettazione idonea ad essere presentata ed eventualmente finanziata su tutte le opportunità e i bandi, a prescindere da chi li emana.

Trattato di Lisbona, per un’Europa più efficiente

Lisbona

Un’ Unione Europea piu’ efficiente e piu’ partecipata dai cittadini nelle sue decisioni e piu’ forte sulla scena mondiale: e’ questa la visione della nuova Europa contenuta nel trattato di Lisbona che entrera’ in vigore dal primo dicembre.

L’iter lungo e travagliato dell’adesione al trattato, per la comprensibile resistenza di molti Stati a cedere sovranita’ e a rinunciare a diritti di veto a favore delle istituzioni europee, e’ probabilmente la migliore testimonianza a favore della profondita’ dei cambiamenti che il nuovo patto porta con se’. Avvicinare la Ue ai cittadini e i cittadini alla Ue rafforzando, accanto all’intermediazione dei governi nazionali che sono stati finora i veri ‘’signori’’ dell’Unione politica, il ruolo dei parlamenti, e’ il primo obiettivo della riforma istituzionale che sta ridisegnando la governance di Bruxelles.

L’adozione di tutta la normativa europea, da cui deriva, e’ bene ricordarlo, il 75% del nostro corpus legislativo, sara’ soggetta d’ora in poi a un livello di controllo parlamentare che non ha riscontri in nessun’altra struttura sovranazionale o internazionale. Infatti tutta la legislazione europea richiedera’, con poche eccezioni, la duplice approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo. Inoltre scatta un importante coinvolgimento dei parlamentari nazionali nel processo decisionale. Ciascuno di essi infatti ricevera’ infatti tutte le proposte legislative dell’Unione, in tempo utile per discuterle con i suoi ministri prima che il Consiglio europeo adotti una posizione e avra’ anche il diritto di proporre un nuovo esame se ritiene che non sia rispettato il principio di sussidiarieta’, per il quale ogni decisione va presa al livello di governo piu’ vicino possibile al territorio.

Ma i cittadini stessi conteranno di piu’, perche’ avranno la possibilita’ di presentare direttamente iniziative legislative alle istituzioni europee. Secondo questa nuova disposizione di democrazia partecipativa, un milione di cittadini appartenenti a un numero significativo di Stati membri, puo’ invitare la Commissione a presentare una proposta su questioni per le quali ritiene necessario un atto giuridico ai fini dell’attuazione del trattato di Lisbona.

Anche la voce dell’Europa sulla scena mondiale potra’ essere piu’ forte se sara’ politicamente colta una delle principali novita’ del trattato. A rappresentare l’unicita’ della politica ‘’estera’’ dell’Ue sara’ una nuova carica istituzionale, nominata per la prima volta nei giorni scorsi dal Consiglio. La carta di Lisbona stabilisce principi e obiettivi comuni per l’azione esterna dell’Unione: democrazia, Stato di diritto, universalita’ ed inscindibilita’ dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, rispetto della dignita’ umana e dei principi di uguaglianza e solidarieta’.

Un’importante novita’ riguarda anche l’organismo di rappresentanza dei governi: la durata del mandato del presidente del Consiglio e’ stata prolungata, in modo da rafforzarne il suo potere di coordinamento. Inoltre il trattato estende il voto a maggioranza qualificata a nuovi ambiti politici per arrivare a processi decisionali piu’ snelli su questioni cruciali come il clima, la sicurezza energetica, gli aiuti umanitari, ambiti per i quali la carta prevede per la prima volta apposite sezioni. L’unanimita’ e’ stata mantenuta solo per la politica fiscale, estera, la difesa e la sicurezza sociale. Si chiude davvero un’epoca, spetta a tutti noi europei pretendere che se ne apra una nuova, forti del trattato di Lisbona.
Di Roberta Angelilli e Gianni Pittella
Vicepresidenti del Parlamento europeo

Aspettando Mr PESC, Massimo D’Alema

d'AlemaNon sono per nulla un politologo, ma sento di fare una piccola riflessione sul perche’ io credo che le probabilità che Massimo D’Alema diventi Mr PESC (super Ministro degli Esteri europeo), in una Europa normale, siano altissime.
 
Sembrerà un ragionamento elementare, e mi scuso se lo risulta, ma noto che molti non si rendano conto di due fatti essenziali:
 
– la differenza enorme di esperienza nelle istituzioni tra D’Alema e Miliband
 
– la differenza enorme nelle tradizioni (europeiste) dell’Italia e (euroscettiche) della Gran Bretagna
 
Onestamente, dover leggere che Tony Blair è candidato alla Presidenza dell’Unione Europa e, soprattutto, David Miliband (seppure politico di brillantissimo futuro)  a Mr PESC è  troppo (anche e soprattutto nel “vedere” oggi Londra, dopo anni di  esaltazione della superiorità della sua Sterlina ed economia, colpita più dell’Area Euro dalla crisi, correre in maniera affannosa direttamente verso i piu’ prestigiosi incarichi europei).
 
Ancora di più fa sorridere chi in Italia “tifa” per Miliband, oltre che per le ragioni di cui sopra, anche per quel senso di patriottismo che al nostro Paese non farebbe per niente male.
 
In bocca al lupo, Mr PESC.
 
Massimo Preziuso

Olimpiadi 2016 e Green Revolution

lulaAlcune piccole riflessioni sulla vittoria di Rio De Janeiro su Chicago (USA), Madrid (Europa), Tokyo (Giappone) nella designazione della città sede dei Giochi Olimpici del 2016.

Questo è un qualcosa che, chiaramente, va aldila’ dello Sport: è ormai chiaro a tutti quanto questi Eventi mondiali rappresentino soprattutto “equilibri e dinamiche politiche”.

La designazione di Rio de Janeiro è un ulteriore e chiaro messaggio sul fatto che Europa, Stati Uniti e Giappone hanno aperto, in pochi anni, la Leadership Mondiale ai Paesi BRIC.

Sebbene questa possa essere letta come una bella notizia, in termini di re-distribuzione di ricchezza e potere verso i “Paesi Emergenti-BRIC”, la stessa ci dice che i “cittadini” delle cosiddette “Aree sviluppate”, ovvero Stati Uniti, Giappone ed Europa rischiano difficili decenni di descrescita (economia, politica, demografica).

In questo nuovo contesto, il settore in cui le “Aree Sviluppate” potranno giocare ancora da protagonisti è quello della Ricerca e Innovazione scientifica.

Ed oggi il primario binario di ricerca e innovazione passa per la “Green Revolution”: su questo tema ci si gioca il futuro, da qui alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Di questo l’Europa deve fare presto tema prioritario per lo sviluppo.

Il Partito Democratico e la Visione di una “Green Economy and Society”

PDIeri ho partecipato al Convegno di presentazione della Candidatura di Pierluigi Bersani alla Segreteria del PD, ed andrò ad ascoltare Franceschini.

Ed ecco le mie prime e schiette riflessioni.

Bersani rappresenta, a mio avviso, il “giusto” Segretario del PD per questa Fase della politica italiana.

 E’ politico preparato, di forte esperienza (in particolare è stato un serio Ministro dello Sviluppo economico), viene da esperienze politiche forti nei territori (Presidente della Regione Emilia Romagna). 

Ha messo in piedi una squadra di altissimo livello, coordinata dall’ottimo Gianni Pittella, attorno alla quale si intravedono importanti figure di riferimento (come Massimo D’Alema, Enrico Letta, Rosy Bindi).

 Ottimi i riferimenti all’esperienza Ulivista, ed ottima la volontà di rendere il PD un Partito Popolare, ed ottimo il riferimento alla necessità di dare spazio ad una intera generazione politica che “già esiste” e che “va riconosciuta”. 

Non ho però sentito la definizione di un Tema Trainante che possa portare il PD ed il Paese fuori da questa lunga fase di stallo.

 Mi sarei infatti aspettato da Bersani un forte accento sulla necessità di impostare una “Rivoluzione Economica e Sociale” in Italia, coinvolgendo le nuove Generazioni nella definizione dei Nuovi Contenuti programmatici del Partito Democratico, e avrei sognato che Bersani ponesse al centro di questa Rivoluzione il Tema della “Green Economy and Society”, tema su cui ci battiamo da qualche anno, ma che ancora non riesce a prendere piede nel panorama politico italiano.

Eppure, i tempi sarebbero più che maturi per parlare dei “temi ambientali”, e metterli al centro dell’Agenda Politica, quando: al G8 dell’Aquila tra qualche giorno si parlerà della piattaforma globale di lotta al cambiamento climatico che verrà fuori e decisa a Dicembre a Copenhagen, la Francia di Sarkozy (dopo il successo dei Verdi alle elezioni europee) sta per trasformarsi in “economia verde”, la Germania – ormai Leader mondiale sta coordinando in ambito europeo l’enorme progetto “Solare” Desertec nel Mediterraneo (in cui l’Italia avrebbe dovuto giocare un ruolo naturale maggiore), la Cina ha deciso di entrare nella partita da protagonista (intuendo che i costi da supportate nel breve periodo saranno più che compensati dai benefici nel Medio-Lungo periodo), e gli Stati Uniti di Obama stanno avviando una vera e propria trasformazione culturale ed economica orientata al tema della “sostenibilità”.

Ma intanto l’Italia continua a guardare, mentre avrebbe tutte le carte in regola per entrare in questa “partita epocale”, potendolo fare a costi bassissimi (si parla di un investimento di 0,2-0,3% di PIL annuo per raggiungere gli obiettivi di -30% di emissioni nel 2020) a fronte di enormi benefici (basta solo pensare alla possibilità di creare un milione di posti di lavoro “verdi” in pochi anni).

Senza parlare, poi, dell’importanza che un “cambiamento di paradigma”avrebbe sull’entusiasmo di noi tutti, dopo un decennio in cui il Paese ha vissuto un lento ma costante “declino culturale ed economico”, forse senza nemmeno accorgersene.

In questa situazione, io credo che i “giovani” del PD, e tutti i movimenti ad esso vicini (come Innovatori Europei) dovrebbero OGGI unirsi sulla definizione di questi ed altri “Nuovi Contenuti” invece che sul sostegno ad uno dei Candidati Segretari, perchè vicino o lontano da qualcuno o qualcosa.

 E’ certo poi che sarebbe bello vedere Bersani o Franceschini lanciare una iniziativa politica incentrata sul Tema della “sostenibilità (ambientale)”, unico vero “motore” di una Rivoluzione culturale, economica e politica di cui l’Italia ha urgente bisogno. 

Speriamo che qualcosa accada a riguardo.

Massimo Preziuso

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