Europa e Mediterraneo
Grillo tiene per le palle il PD che si avvia alla disfatta. Un gruppo di balene spiaggiate
di Salvatore Viglia su Politicamente Corretto
Il PD si avvia alla disfatta totale ed alla fine politica certa.
L’atteggiamento autodistruttivo dei suoi dirigenti dimostra chiaramente che questo partito non solo non è in grado di governare ma neanche di uscire dal pantano ideologico nel quale sguazza. Lo abbiamo visto con il famoso listino di Bersani nel quale avrebbe cooptato gente della società civile.
Società civile, che significa? Cioè cittadinanza. Neanche il coraggio ed il buon senso di parlare di cittadini. Ed ora che i cittadini sono in Parlamento, si scandalizza e si preoccupa delle loro competenze perché le responsabilità, il paese esige ecc.
Lo vediamo anche oggi che si votano i presidenti di Camera e Senato. Perché il PD non ha votato Fico e la faceva finita dimostrando di fare un primo passo di avvicinamento? Le responsabilità del PD diventano ogni giorno che passa sempre più pesanti e gravose.
Eppure, al M5S non interessa affatto la presidenza della Camera o del Senato. Questi ancora non hanno capito che il movimento non mira a transazioni di incarichi anche se tra i più istituzionali sulla piazza.
Letta, Franceschini, Migliavacca, Bindi, la stessa Finocchiaro si aggirano per le aule parlamentari come balene spiaggiate. I ragazzi del M5S, sanno che è semplice governare se alla base si pongono principi etici irrinunciabili.
Messico, un ‘Pacto’ per lo sviluppo sostenibile e le energie rinnovabili
di Paolo Salerno (pubblicato su Canalenergia)
Lo scorso dicembre, il nuovo presidente degli Stati Uniti del Messico, Enrique Peña Nieto, ha stipulato un patto per la crescita, insieme a tutte le più importanti forze politiche del Paese.
Uno dei punti principali, il 2.4, parla della necessità di favorire una politica che abbia come obiettivo principale la riduzione della produzione energetica da fonti fossili, puntando allo sviluppo delle energie rinnovabili. Per discutere di questi temi, sono state organizzate una Conferenza presso l’Universidad Iberoamericada del DF e un seminario di Medio Ambiente della Universidad de San Luis Potosí, dove si analizzeranno la giovane legislazione in materia, datata 2008, e di come il modello europeo possa suggerire degli spunti di riflessione per migliorarla.
Per ció che riguarda le energie rinnovabili, in particolare, risaltano alcuni aspetti interessanti. Innanzitutto, in Messico non godono di un regime giuridico speciale, come per esempio in Spagna, e non godono, a livello fiscale, delle tariffe incentivanti. Questa situazione comporta un rallentamento nella crescita del settore che, però, allo stesso tempo ha un potenziale tale da stimolare le Istituzioni a riflettere su questi aspetti e cercare le situazioni più efficaci per lo sviluppo. Questa condizione è dettata soprattutto dal fatto che non esiste un mercato elettrico aperto, visto che l’impresa statale CFE (che sarebbe la corrispondente della nostra ‘vecchia’ ENEL), ha il monopolio.
Nonostante questa situazione la LEARFTE, che è la legge per la promozione delle energie rinnovabili, permette che in alcuni casi i privati possano produrre energia per l’autoconsumo, normalmente dopo che la Segreteria dell’energia abbia dato la concessione. Questo sistema permette non solo ai piccoli proprietari, ma anche alle imprese piccole e medie di produrre la ‘propria’ energia.
Guardando questa giovane regolazione, riformata già una volta a fine 2012, si può dire che per una diffusione maggiore dovrebbero adottarsi, in linea con il modello europeo, degli incentivi tanto fiscali quanto infrastrutturali. Inoltre sarebbe altamente raccomandabile che venisse introdotta una tassa speciale sulla produzione elettrica da idrocarburi e che la stessa venisse investita nel mercato delle energie rinnovabili. Va da sè che un paese come il Messico, tanto per estenzione, come per risorse ha un potenziale enorme di produzione energetica rinnovabile. Basti pensare che il fotovoltaico e il termoelettrico sono praticamente ancora da lanciare e rappresentano un mercato attraente anche per molte imprese europee.
Il più grande vantaggio del Messico, rispetto all’Europa, è quello di essere un unico Stato e pertanto la legislazione centrale gli consente di poter programmare e sviluppare progetti su tutto il territorio senza dover far conto con i mercati regionali o nazionali. Bisogna anche tener presente, però, il dato che indica una produzione di energia per una quota superiore al 70% da materiali fossili, come carbone e petrolio. La grande disponibilità di queste risorse, e quindi i bassi costi, non fa considerare per il momento come urgente la crescita del mercato elettrico rinnovabile.
In conclusione, Messico ha bisogno di migliorare la sua regolazione, ma allo stesso tempo può essere considerato come uno dei Paesi con più potenzialitá di crescita in questo settore, elemento che lo rende molto attraente per gli investimenti esteri.
Paolo Salerno, Innovatore Europeo, avvocato e ricercatore dell’Universidad Complutense de Madrid
Il Terzo Stato in Parlamento. La rivoluzione francese di Grillo è un processo distruttivo divenuta malattia autoimmune per i partiti
di Salvatore Viglia – Politicamente Corretto
Il Terzo Stato, prima della rivoluzione francese, veniva subito dopo la nobiltà ed il clero. Praticamente fuori dal potere perché macchina da lavoro e nulla più. Marmaglia che faceva numero, la popolazione, fuori dalle logiche decisionali e di potere. In Italia, finalmente proiettata nella seconda e tanto sospirata Repubblica, è successo che il Terzo Stato, sempre fuori dalle decisioni, è entrato nei palazzi del potere. Ecco perché i suoi componenti sembrano fuori luogo, fuori dai quei luoghi finti solenni. Grillo sta portando a termine la rivoluzione francese italiana senza ghigliottine per il completo azzeramento di tutta la classe politica esistente. Si tratterà di resistere ai richiami ammaliatori di quanti hanno saputo “gestire” per interessi di bottega, tutto il paese per oltre 60 anni. Il Terzo Stato in Parlamento e se questa non è una rivoluzione… Nessuna alleanza, nessuna condivisione di progetti per il classico “bene del paese”. Grillo è venuto oggi ed ha il diritto, nonché il dovere dato il seguito di cui gode, di stare a guardare la prima mossa dello scacchiere avendone già programmate dieci in anticipo ed in risposta. Il processo rivoluzionario è oramai ad un punto di non ritorno per aver minato le difese immunitarie del sistema politico italiano alla base. Lo scacco matto al Re è questione di tempo. Pochissimo tempo ancora. Grillo deve portare a termine e favorire con ogni mezzo i moti rivoluzionari in atto ed arrivare ad una maggioranza decisa ed inattaccabile. Deve praticamente contaminare gli ambienti della politica col virus della “Tabula rasa”. Deve, (perché ormai, se lasciasse, nessuno gli perdonerebbe l’errore per i secoli dei secoli), poi attuare tutto quello che prevede il suo programma. Uno dopo l’altro, in serie, approvare quei provvedimenti decisivi e cambiare l’assetto politico del paese ristabilendo al centro di tutto e dalla sua base, finalmente l’etica.
Riflessioni in pillole
di Giuseppina Bonaviri
–La politica poco democratica di questi anni ha marginalizzato la sana partecipazione dal basso impedendo ogni forma di controllo sull’eletto e sulle amministrazioni. Il legame fra i cittadini e i loro rappresentanti si è spezzato al punto che appare difficile orientare, ora, correttamente scelte politiche e progetti di coesione territoriale. In questa prospettiva tutti i tentativi di reintegrare forme di partecipazione popolare capaci di sbloccare la democrazia inceppata vanno premiati.
-Le leggi di iniziativa popolare non hanno alcun seguito in Italia. La scorsa legislatura si è chiusa con 27 proposte, di cui una sola discussa, le altre arenate nelle commissioni o addirittura mai assegnate. I cittadini hanno raccolto 50 mila firme per ciascuna di queste proposte che nessuno, ai piani alti, ha seriamente considerato.
Eppure, le proposte popolari portate avanti in questi anni in Italia, hanno toccano punti strategici del bene comune: acqua pubblica, riduzione dei costi della politica, inefficacia delle Province, reddito minimo garantito. Una campagna d’opinione che può esprimersi liberamente, ciò avviene in rete, stimola il dibattito tenendone viva la memoria.
-Le proposte dal basso spesso si associano a referendum propositivi che, nel mondo reale delle nostre città, non si usano. Qui si innesca il problema centrale del fallimento.
Il referendum abrogativo ha forti limiti, funziona solo tra due opzioni estremamente chiare. Quello propositivo può essere, invece, maggiormente concretizzabile. Un esempio: nel 2005 la Provincia autonoma di Bolzano ha introdotto la proposta referendaria vincolante: se non viene tradotta in legge dal Consiglio entro 180 giorni, si va al referendum e se il risultato è favorevole all’emanazione della legge il Presidente della Provincia la promulga. Un meccanismo sicuramente efficace.
-Le selezioni online dei candidati non sono pericolose e sminuenti.
A dire il vero il rischio è altro. Di molti candidati che vanno in Parlamento non sappiamo nulla. Basterebbe il rispetto dell’articolo 54 della Costituzione che impone a chi esercita pubbliche funzioni disciplina e onore.
-Le drammatiche scadenze della crisi economica e dai vincoli europei.
Già alla fine di aprile 2013 i vincoli del pareggio di bilancio in Costituzione, che nessuna delle attuali forze parlamentari ha ritenuto di dovere mettere in agenda o alla discussione, faranno sentire il loro carico devastante. Vincoli questi che ormai fanno parte di quelle “servitù economiche” contenute nel fiscal compact europeo e che in Italia è stato sottoscritto nel più totale vuoto di informazione da parte dell’ opinione pubblica. Le autorità europee dalla prossima primavera avranno il potere di controllare le nostre decisioni mentre dall’autunno prossimo potranno addirittura correggere il nostro bilancio “se non sufficientemente austero e rigoroso” esautorando le forze parlamentari. La nostra democrazia è stata commissariata, le decisioni più importanti prese al di là di chiunque vada a governare. L’Europa civile e sociale è stata cancellata dai cosiddetti poteri forti.
–Si corre dietro le notizie fantasma e quelle reali scompaiono dalla scena pubblica. Ci si continua a nascondere dietro alibi collettivi per proteggere il potentato di mandati esplorativi che la base, invece, ha fatto fallire ancor prima del loro nascere.
–Puntare sulla competenza è l’unica proposta credibile di questi tempi: quello che bisogna declassare davvero è il sottobosco di burocrati e fiduciari radicati nella macchina del potere. Austerità, dilettantismo e demagogia hanno indotto già troppi danni. Serve una seria proposta innovativa che varchi i limiti di contenitori ormai deteriorati.
Gli errori di “Innovatori Europei”
di Salvatore Viglia su Politicamente Corretto
IE ha la parossistica ossessione di proporre soluzioni governative. La voglia, si capisce, di contribuire al superamento dell’empasse politico, eccita le deduzioni. Ma, a ben vedere, si tratta in fin dei conti di mere previsioni le cui prospettive di attuazione ineriscono la sfera del probabile e, qualche volta, addirittura prive di osservazione attenta dei fatti. E’ il problema di IE. Eppure esiste in concreto una impalcatura solida ed autonoma di IE che vivrebbe di luce propria in prospettiva. Lo dimostra, per esempio, la sua appetibilità. Molti, infatti, si insinuano, lo si vede chiaramente, sul ponte di comando della nave IE cercando di piantare guidoni indicativi e personalistici.
Per ritornare alla ossessione deduttiva e propositiva delle soluzioni politiche da parte di IE prima offerte e quasi subito dopo ritirate al cospetto delle evidenze, il problema mina alla base ed affossa, impantanandola, la verve innovatrice che lo connota. L’errore cronicizza la tendenza che oramai è divenuta fervida speranza, della rinascita del Partito Democratico. Se è per il passato “remoto” della storia pregressa di IE all’interno del PD, allora rinnegherebbe sé stesso nell’arcaico incatenamento a ciò che fu, non fu neanche risolutivo e che oggi risulta addirittura incomprensibile. Se è per il programma del PD deludente a partire dai protagonisti che lo propinano, allora IE si accontenta laddove invece, per postulato, esula e prescinde perché “significativamente oltre”. Se è invece per mire personalistiche, allora IE dovrebbe rivedere l’organico con una innovativa presa di coscienza che rappresenti la costituenda rifondazione del suo assetto.
Tavolo tecnico per 500 milioni di euro – l’AGCOM ha accettato di invertire la rotta
Il Tavolo tecnico di ieri, 7 marzo 2013, sulle indagini di ascolto radiofoniche, istituito dall’Autorità a seguito del fallimento di Audiradio, del quale fanno parte RAI, Reti nazionali e Associazioni delle radio locali ha preso atto della legittimità della richiesta della REA mirata ad affrontare con carattere di urgenza l’esigenza di istituire un Protocollo tecnico che certifichi le indagini CATI (telefoniche). La presa d’atto è stata accettata a seguito all’intervento della Direzione Multimediale AGCOM dopo la pressione della REA per indire una consultazione pubblica che determini le regole dell’indagine alle quali le società rilevatrici dovranno attenersi a beneficio del mercato della pubblicità, degli inserzionisti investitori del consumatore e delle emittenti che fanno ascolti reali non manipolabili come è ieri accaduto con Audiradio e come oggi accade con Eurisko. La proposta della REA si articola su cinque punti: 1) ampliamento (anche on line) del campionamento a 210 mila soggetti per consentire il rilevamento delle emittenti, piccole, medie e grandi; 2) interviste non superiore a 5/7 minuti per non stancare l’intervistato; 3) accesso trasparente alle iscrizioni; 4) chiare modalità di pubblicazione dei dati; 5) assegnazione diretta della pubblicità (agenzia-emittente) con pubblicazione delle relative quote al fine di stroncare alla radice l’intermediazione parassitaria. Il tutto in libera concorrenza tra le società rilevatrici ai fini della richiesta economica e delle modalità di pagamento con proposta di defiscalizzazione della spesa dell’indagine a carico dell’emittente e della pubblicità commissionata dagli inserzionisti. Pertanto il Presidente della REA, ha inviato al Presidente AGCOM, Angelo Cardani, una lettera in cui sollecita la Consultazione pubblica alla quale, ovviamente, potranno partecipare anche le associazioni dei consumatori e gli inserzionisti indipendenti nazionali e locali.
Roma, 08 marzo 2013
REA – Radiotelevisioni Europee Associate
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ll silenzio digitale di Grillo e Casaleggio
di Michele Mezza
mediasenzamediatori.org
Ma la rete di Grillo e Casaleggio è la stessa dei socialnetwork?
Domanda più che lecita se, non facendosi abbagliare dai roboanti e minacciosi proclami del duo a 5 stelle, si guardi più da vicino questo strano mondo del grillismo digitale.
Cosa c’è nella pancia digitale della conventicola che guida il movimento?
Ad ogni uscita dei 5Stelle nessuno si è preoccupato di capire che tipo di infrastruttura ospiti quel rinascimentale flusso di partecipazione che Casaleggio e Grillo sostengono di aver evocato.
Sia in occasione delle cosi dette parlamentarie, sia per la presentazione in streaming dei gruppi parlamentari, si è visto solo un rudimentale accrocco di video streaming a bassa ricettività, e di un banale gioco di caselle mail, che non lascia intravvedere alcuna relazione interattiva fra i singoli soci o aderenti.
Siamo sempre ad una logica verticale, dove il blog sostituisce, ma non trascende, il modello leaderistico del partito che dispensa la linea. La rete, spiegano i grandi guru digitali è una listen technology, non una speaking technology.
Il valore delle comunità digitale è quello di ascoltare e rielaborare in modalità collettive, non quello di pontificare dall’alto. Il top down è già stato inventato più di mezzo secolo fa e si chiama broadcasting.
L’alternativa del broadcasting non è, simmetricamente il multicasting, ma è il browsing, ossia la navigazione libera e la partecipazione volontaria e occasionale su singoli punti d’interesse.
L’attacco di Grillo ai giornali e alle TV appare singolare, se non paradossale, quando viene da chi fino ad ora non ha mai praticato un modello alternativo al broadcasting, o alla verticalità del messaggio giornalistico, ma ha solo contestato il ruolo di protagonista del messaggio, rivendicandolo per sé.
E’ chiaro che la forza materiale del grillismo stia innanzitutto in quel movimento anti elitario, quel comune sentire di massa,che Grillo ha potuto intercettare e veicolare grazie alla attiva collaborazione dei partiti tradizionali. Grillo è stato un grande megafono, questo non è in discussione. Quello che è ampiamente discutibile sono i valori e le pratiche del predicatore. E soprattutto gli obbiettivi del suo ispiratore digitale.
Rivendicare trasparenza e rimanere nella grotta multimediale di Casaleggio non appare un segno tranquillizzante. Contestare la violenza dei media di regime, e requisire le forme di comunicazione interne al movimento non è certo un segnale di coerenza. Attaccare i poteri economici nell’economia tradizionale e ignorare le nuove forme di monopolio e di rendita digitale è una visibile contraddizione.
Soprattutto quest’ultimo punto, quello dei nuovi poteri predominanti nell’economia digitale dovrebbe suscitare curiosità in chi si trova a contrapporsi all’ondata grillina per cercare di capire cosa ci sia al di là del muro dell’inventiva.
La rete, a differenza del mondo degli atomi, non consente scissioni fra forme e contenuti, fra fini e mezzi, fra strumenti e valori . Nel digitale ogni singola soluzione o applicazione implica un assetto concettuale, un modello di linguaggio, una tipologia di relazione che, a sua volta, predetermina il contenuto e i contenuti della comunicazione. Non esistono mezzi neutri. Se si adottano standard di un certo tipo è perchè si vuole un certo tipo di relazione o di contenuti.
Nel caso specifico, non si può usare una vecchia piattaforma di 12 anni fa, come continua a fare Casaleggio per il suo movimento, a differenza di quelle che invece adotta per i suoi clienti, e sostenere che si vuole promuovere trasparenza e partecipazione.
Se si rimane al modello del blog, nell’epoca del web 3.0, allora vuol dire che si vuole, per infinite considerazioni, privilegiare la selettività degli accessi e la gerarchia nell”abilitazione dei singoli soggetti a discutere. Infatti ancora non c’è traccia della mitica piattaforma che dovrebbe promuovere, e certificare, i pronunciamenti on line della community del movimento.
Tutto rimane convogliato sulle pagine del sito di Beppe Grillo, dove uno parla e gli altri prendono appunti. Di conseguenza, come hanno rilevato Pier Giorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini nel loro saggio Il Partito di Grillo, i candidati del M5S sono molto meno attivi sul web dei loro colleghi del PD o dello stesso PDL. Solo il 42% dei grillini presenti nelle liste al parlamento nell’ultima consultazione sono presenti su almeno tre dei principali socialnetwork, rispetto al 92% dei candidati del PD e il 75% del PDL. Un dato che ci fa intendere anche come siano stati selezionati questi candidati e da quale area sociale provengano.
Se consideriamo le loro identità professionali, le loro esperienze, le dinamiche che li hanno portati al movimento, notiamo come prevalga la figura di carattere esecutivo, di scarsa intraprendenza digitale. I dati ci dicono che la grande maggioranza sono impiegati o insegnanti, neofiti della rete, accanto ad informatici applicativi, identità versate a replicare le soluzioni più che a ricrearle. Potremmo dire che Grillo e Casaleggio abbiano selezionato un popolo da blog e non da socialnetwork, una moltitudine di replicanti digitali, più che di partner o interlocutori paritari.
Una realtà che parla della rete ma riproduce la TV. Infatti mentre non affollano i socialnetwork, e si tengono distanti da Facebook e da Twitter, sembrano più propensi all’uso dei video, alla frequentazione di Youtube. Negoziare con la TV.
Ma anche in questo caso, le immagini vengono dall’alto, e devono essere solo rilanciate .Non si lavora per abbondanza, per contributi virali, ma per fonti certificate, come Salvochannel5puntozero, il canale di Salvo Mandarà, l’ingegnere siciliano che ha accompagnato Grillo, insieme all’autista del Costa Rica, per le sue peregrinazioni, con il mandato di produrre le immagini ufficiali del movimento.
Ma il vero buco nero, come abbiamo accennato riguarda i punti di attacco del movimento e i punti di distrazione. Mentre sui temi delle energie rinnovabili, del mercato finanziario, e, ovviamente dei costi della casta politica, Grillo e Casaleggio sono prodighi di critiche e contro proposte rispetto ai poteri prevalenti, risulta assordante il silenzio sui nuovi poteri digitali.
Non sono certo i soli. Pd e Pdl non hanno certo elaborazioni sul tema. Per il Pd, come confermano le posizioni degli opinion makers del partito, come il responsabile economico Fassina, il digitale è un mondo ambiguo e ostile, che non presenta sfaccettature e che al momento è percepito come largamente ostile alla sinistra. Per il Pdl, partito azienda del monopolio della TV generalista, la rete è una vera insidia da esorcizzare.
Ma Grillo e Casaleggio sono gli aedi del digitale, lo sbandierano ad ogni piè sospinto, lo usano come una clava per dimostrare l’inadeguatezza del mondo politico che vogliono rottamare. Come possono proprio loro tacere sui nuovi pericoli per gli individui, per i cittadini e per l’intera comunità nazionale, rappresentati dalla pervasività dei monitoraggi comportamentali delle grandi potenze virali, come Facebook, Google, o Twitter? Come è possibile che chi conosce il settore non introduca nei suoi programmi proposte o misure nei confronti degli squilibri che i sistemi proprietari digitali stanno introducendo nel mercato del sapere? Perfino il regno del liberismo, come sono gli Stati Uniti, stanno procedendo ad una regolamentazione pubblica del mercato dei servizi digitali. Nelle scorse settimane lo stesso Obama ha deciso di considerare prioritario l’elaborazione di un Bill of Right a tutela dei comportamenti individuali e collettivi in rete. Siamo, su questo fronte, già sull’orlo di una vera emergenza, che minaccia la sovranità nazionale degli stati e la trasparenza delle nostre stesse relazioni sociali. Ogni nostra navigazione su Twitter o su Facebook, ormai prassi obbligata per reggere il processo di connessione con i flussi professionali e cognitivi, viene monitorata e rivenduta a decine e decine di soggetti economici. Non si tratta solo delle forme di advertising comportamentale, in cui aziende usano la tracciabilità dei nostri gusti per indirizzarci messaggi mirati. Si tratta anche di una prevaricazione dei nostri diritti personali, e del controllo delle nostre relazioni, se ad esempio una banca ci discrimina, se viene informata delle nostre frequentazioni su siti di scommesse, o se una scuola ci rifiuta l’iscrizione in base alla partecipazione a forum o ad una determinata community. Inoltre ci sono le questioni della contendibilità dei diritti di uso e di proprietà dei beni comuni, come ad esempio immagini e simboli culturali nazionali, come il patrimonio storico e archeologico del nostro paese, o la reciprocità nell’uso di contenuti informativi o giornalistici, che Google usa per le sue rassegne, ma poi ne impedisce la condivisione a cittadini o a enti pubblici che vogliono usufruire di un flusso automatico di aggiornamenti.
Insomma il punto è la casta digitale. Il problema nasce dalla timidezza, direi un vero silenzio subalterno, che la terza forza politica nazionale mostra nei confronti dei poteri tecnologici. Un silenzio che attraversa tutto il movimento, anzi che lo organizza e lo performa. Un silenzio che sembra troppo organizzato. Soprattutto se proviene da addetti ai lavori, da chi con questi poteri lavora e tratta. Che intende fare Casaleggio per tutelare il consumatore italiano sul mercato digitale. Che interessi la sua azienda sta intessendo con questi fornitori di intelligenza?
Da qui bisogna partire per poter gridare il Re è nudo.
Taranto Sostenibile
di Massimo Daniele Sapienza – Innovatori Europei
(con questo contributo, presentato alla assemblea di IE di febbraio scorso, diamo il via alla nostra riflessione su “Taranto Sostenibile”)
Vorrei affrontare una delle questioni chiave e più calde del dibattito ambientalista italiano non con una prospettiva locale ma inquadrando il caso Taranto nel suo contesto più generale globale e storico.
Taranto può essere vista come la madre di moltissime battaglie ambientaliste perché rappresenta molto bene lo scontro fra due diverse e antitetiche concezione della storia: innovazione contro conservazione.
Per cercare di spiegare meglio si può dare un’occhiata ai numeri: il mercato mondiale dell’acciaio è cresciuto triplicandosi dal 1995 al 2012 con un tasso medio di crescita pari a circa il 4,5% all’anno.
Questa crescita però non è stata omogenea su tutti i mercati, ma anzi al contrario abbiamo assistito ad una fortissima migrazione delle produzioni verso i mercati asiatici e in particolare quello cinese. L’acciaio con tutti i suoi costi ambientali e sociali tende a spostarsi dai paesi ricchi a quelli in corso di accelerato sviluppo anche perché in quei paesi è maggiore la domanda per evidenti ragioni: espansione del settore infrastrutture e manifatturiero in primis.
Se guardiamo all’Unione Europea notiamo che la produzione in Europa è scesa per circa il 3% all’anno mediamente. Anche il dato dell’Unione Europea, come quello del mercato globale, va letto in una prospettiva duale: da un lato Germania e Italia, che hanno un modello di sviluppo basato su settori tradizionali e, in particolare per l’Italia, sulla produzione di macchinari, hanno cercato di tenere le proprie quote di produzione (Germania -0,1% e Italia -0,3% all’anno fra il 2005 e il 2011); dall’altro paesi che hanno diversa vocazione industriale e che stanno abbandonando velocemente la produzione di acciaio (Gran Bretagna -5%, Francia -4% e Spagna -3,5% all’anno fra il 2005 e il 2011).
Il primo fatto saliente che vorrei sottolineare e quindi la scelta complessivamente molto tradizionalista e conservatrice del nostro paese: in un mondo che sta delocalizzando e spostando le produzioni di acciaio verso altre geografie l’Italia cerca di resistere contrapponendo un modello di sviluppo industriale tradizionale basato sulla tenuta dell’acciaio.
Parliamo adesso un po’ più specificatamente di Taranto e dell’Ilva. L’impianto creato negli anni 60 ha raggiunto il suo picco di occupazione e di produzione nel 1975. In quell’anno lavoravano all’Ilva 25.000 persone. Da allora il livello occupazionale ha cominciato a declinare. Dopo quasi 40 anni di deriva oggi lavorano all’Ilva circa 12.000 persone, la metà del picco. A Taranto si produce il 30% dell’acciaio italiano.
Con quali prospettive?
I lavori di bonifica previsti dall’AIA imporrebbero un onere stimato in circa 2,5 miliardi di Euro, chiaramente un’enormità, e soprattutto insostenibile se commisurati agli utili totali realizzati dall’azienda negli ultimi 15 anni (3 miliardi di Euro).
Nella sostanza non è necessaria una laurea in economia per comprendere la realtà: nessun privato investirebbe mai una somma pari ai suoi utili degli scorsi 15 anni per ambientalizzare un impianto che produce un prodotto, il cui mercato, secondo tutte le analisi di tendenza è destinato a ridursi considerevolmente nel breve, medio e lungo periodo. Aggiungo infine, perché non è un elemento di poco conto, che il costo dell’acciaio prodotto a Taranto crescerebbe molto a valle delle ambientalizzazioni rendendolo di fatto fuori mercato anche al di là del trend più generale al quale abbiamo fatto riferimento in precedenza.
La notizia tragica della richiesta di cassa integrazione per 6.000 dei 12.000 dipendenti di Taranto ha 2 chiavi di lettura. La prima appare squallida e legata al ricatto occupazionale nel quadro della lotta con la magistratura per ottenere il dissequestro delle somme provenienti dalla vendita dei prodotti realizzati durante il semestre di sequestro degli impianti.
La seconda, ugualmente grave, è invece legata all’assoluta mancanza di prospettive per uno stabilimento e per una produzione che ormai è fuori mercato e fuori dal tempo.
Torno quindi al dilemma che ponevo all’inizio del mio intervento, ossia il confronto fra innovatori e conservatori.
Il governo italiano con i decreti salva Ilva ha fatto una scelta di vera e totale conservazione. Si è rifiutato di prendere atto della semplice verità che Ilva non può costituire un’opzione di sviluppo e occupazione per Taranto e ha cercato di tutelare lo status quo a danno della salute dei tarantini, della giustizia e del progresso. Il governo ha messo al primo posto le esigenze delle banche creditrici del gruppo Riva piuttosto che il diritto del popolo italiano in questa, come in mille altre situazioni, a migliorare, innovare e progredire.
Sia bene inteso l’origine del problema è molto più profonda. Il Salva Ilva è solo l’epifenomeno, la punta dell’iceberg. Come abbiamo scritto prima sono 20 anni che è in corso un mutamento nell’economia globale che sposta le produzioni di acciaio. Questo semplice fenomeno economico andavo studiato, compreso e elaborato. Sarebbe stato necessario inventare un’alternativa per Taranto già 10 anni fa probabilmente.
La subalternità dell’innovazione rispetto alla conservazione ci ha condotti nella situazione critica nella quale ci troviamo adesso.
Nell’emergenza sono necessarie misure eccezionali e sacrifici che si aggiungono ai lutti e agli inqualificabili soprusi patiti dalla popolazione di Taranto in questi 40 anni. Si noti che non ho mai fatto riferimento nella mia trattazione ai dati ambientali e sanitari. L’ho fatto di proposito. Non perché non siano importanti, tutt’altro, sono evidentemente e indiscutibilmente capitali. Ho voluto mantenere il filo del mio discorso confinato strettamente entro i sentieri del ragionamento economico per mostrare quanto la conservazione sia stata perdente sull’innovazione anche nel suo terreno elettivo.
Se si fosse creata una no-tax zone quanti investimenti alternativi si sarebbero potuti attrarre a Taranto? Se si fosse puntato sulle energie rinnovabili che in Italia hanno dato lavoro a quasi 150.000 persone quanti posti di lavoro si potevano creare a Taranto? Non dimentichiamoci che la Puglia è stato nel biennio 2009-2010 il faro della green economy italiana. Si sarebbe potuto fare di Taranto la capitale di questo modello di sviluppo. Si sarebbe potuto dare un’alternativa di lavoro e di salute ai tarantini.
Mi piace collegare la vicenda di Taranto alla Fiat e a quanto è avvenuto nel mondo delle rinnovabili.
Come molti sapranno recentemente la Germania si è data l’obiettivo di 1 milione di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Cosa accadrebbe se l’Italia adottasse una misura simile?
A spanne per produrre tutti quegli autoveicoli elettrici ci vorrebbero circa 85.000 lavoratori (pari a 7 volte quelli occupati dall’Ilva) e non sto considerando l’indotto quale ad esempio la produzione e l’installazione delle colonnine di ricarica che probabilmente porterebbe a raddoppiare questi numeri. Se poi decidessimo di alimentare con tutta energia rinnovabile questa nuova flotta di auto elettriche sarebbe necessario installare ulteriori 1.700 MW fotovoltaici (pari al 10% del parco solare attualmente in esercizio in Italia) con tutta l’occupazione che ne deriverebbe.
Vi sembrano sogni? A me sembra innovazione e sviluppo sostenibile. Mi sembra occupazione su una scala prossima a 15 volte quella attualmente in essere presso l’Ilva. Mi sembra salute e ambiente. Mi sembra un modo assai più saggio e consapevole per spendere i 2,5 miliardi di Euro previsti dall’AIA dell’Ilva.
Nella sfida fra innovazione e conservazione, io ho già scelto.
Oggi a Città della Scienza per il futuro di Napoli
di Massimo Preziuso
Stamane siamo stati a Città della Scienza, dove si sono incontrati – insieme alle istituzioni e ai rappresentanti della Fondazione – associazioni come Innovatori Europei, ricercatori e società civile.
Abbiamo fatto il primo passo per un progetto di lungo periodo che si potrebbe chiamare “Stanford in Bagnoli”.
Al fine di aprire la discussione alla cittadinanza e alla rete, abbiamo insieme proposto a Città della Scienza – che ha accettato – di dare vita ad un Osservatorio Open sullo sviluppo di Bagnoli, in modo da poter ricostruire mentre si avvia il ridisegno del futuro di quell’area (e di Napoli).
Siamo in attesa della data di convocazione di una riunione operativa da cui avviare formalmente questo entusiasmante progetto collettivo di innovazione territoriale e progettuale.
Donne e Scienza a Bagnoli
DONNE E SCIENZA A BAGNOLI
Dedicato alle donne, a tutte quelle donne di Bagnoli che oggi subiscono un ulteriore danno. Siamo universi paralleli chiediamo per questo che la Città della Scienza, ricostruita, diventi concretamente luogo di modernità culturale e scientifica declinato innovativamente al femminile.
Donna e scienza sembrano fondare sulle medesime basi la loro potenza generatrice di vita e di sapere. Si laureano nelle materie scientifiche più dei colleghi maschi ma faticano ad emergere. Tante le ricercatrici ma poche ai vertici. Ieri e oggi il femminile è negato nella scienza anche se noi donne, nelle facoltà scientifiche, siamo ormai numericamente superiori agli uomini. Pochissime, però, hanno accesso ai ruoli di vertice nelle Università come nei centri di ricerca.
E questa è una situazione emergente in tutto il pianeta in cui l’Italia rimane ancora più arretrata. Attraverso i secoli non si incontrano che rarissime eccezioni. Pensiamo ad Ipazia da Alessandria nel IV Secolo, matematica ed astronoma che pagò col martirio la sua libertà di pensiero. Ciò che limita o impedisce il cambiamento in direzione di una eguaglianza effettiva tra uomini e donne nella scienza più che altrove rimane lo stereotipo di una discriminazione che ha radici antiche. Con l’obiettivo di promuovere e sostenere i cambiamenti strutturali e allo scopo di superare questi limiti, sulla base di piani di sviluppo realizzati in modo da permettere di ottenere un approccio corretto verso i talenti femminili per il riconoscimento di abilità e competenze, nel 2011 nasce il progetto Genis Lab Europeo. L’ approccio integrato su più livelli organizzativo, socio-ambientale e transnazionale europeo appare necessario per uno scambio di esperienze e per l’avvio di nuove pratiche organizzative. Il progetto conta sul coinvolgimento di tutti gli operatori, a vari livelli istituzionali, tale che si possa elaborare un piano di azione individuale e contemporaneamente un lavoro in rete per la condivisione degli strumenti adottati e dei risultati ottenuti. L’attesa è che un ambito di lavoro storicamente maschile – e organizzato con tale visione – superi le barriere che producono la progressiva esclusione delle donne man mano che si sale nella scala gerarchica. Noi donne siamo da sempre vittime di un pregiudizio subdolo che è diventato, nel tempo, autocensura. I principi della Strategia Europea 2020 per una crescita intelligente e sostenibile si propongono, proprio per questi motivi, di far si che l’economia basata sulla conoscenza diventi sempre più competitiva valorizzando creatività, empowerment. Ma viene spontaneo chiedersi come possono le donne contribuire a definire le strategie di politica della ricerca in Europa e come le questioni legate alle differenze di genere se non sono tra coloro che decidono in merito. Sebbene oltre la metà della popolazione studentesca dell’UE e il 45% dei titolari di dottorato siano donne le donne che riescono ad intraprendere una carriera da ricercatrice rappresentano solo un terzo del totale. Chi ha veramente a cuore il bene comune non può che sedersi ad un tavolo, anche se il confronto appare lacerante, per definirne, in una visione aperta e paritetica, i limiti.
Questa mattina, 8 marzo 2013, giorno dedicato alla donna Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Idis-Città della Scienza ha dato il via alla costituzione del Comitato dei Garanti per la ricostruzione della Citta della Scienza: tutti maschi!
Questo l’elenco:
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Giuseppe Ferraro, professore ordinario di Diritto del Lavoro, Università di Napoli Federico II
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Adriano Giannola, professore ordinario di Economia politica, Università di Napoli Federico II e presidente dell’Istituto Banco di Napoli – Fondazione
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Fiorenzo Liguori, professore ordinario di Diritto Amministrativo, Università di Napoli Federico II
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Gaetano Manfredi, professore ordinario di Tecnica delle costruzioni e Prorettore, Università di Napoli Federico II
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Paolo Pollice, professore ordinario di Diritto Privato, Università di Napoli Federico II
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Giuseppe Pompeo Russo, già professore ordinario di Ingegneria Aeronautica, Università di Napoli Federico II
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Gianfranco Sava, Dottore Commercialista e componente di Sezione presso la Commissione Tributaria
Provinciale di Roma
Al Consiglio di amministrazione della Fondazione e ai membri del Comitato va il mio appello: le donne possono e devono potere dare il loro contributo. Fare spazio, dunque, a loro paritariamente nelle attività decisionali anche della suddetta Commissione per la ricostruzione della Città della Scienza è un gesto nobile, di progresso, di civiltà che onora tutta la comunità scientifica italiana e l’intera città di Napoli per “Una Stanford a Bagnoli”.
Giuseppina Bonaviri – Innovatori Europei – www.innovatorieuropei.com