Significativamente Oltre

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DEDICATO A VELTRONI

Dedicato a Veltroni.

Ho seguito tutti i suoi interventi ed ho analizzato quanto mi può suggerire la bandiera del Pd così come è stata realizzata. Sarebbe ora che un politico di vertice rompa quel falso europeismo che trasuda di becero, superato, masochistico e velleitario nazionalismo e che naviga ancora nell’ambiente politico europeo configurando un quadro di scarsissima qualità. Quella bandiera non rompe ancora quello schema provincialotto che sta nella testa dei nostri politici. Essa meriterebbe , proprio perché il partito si chiama Partito Democratico e suggerisce qualcosa che non è più necessariamente legato ad uno staterello italiano in una Europa frazionata, qualcosa che significa un pensiero ed un respiro più ampio e che suggerisce un collocamento a pieno titolo in una Europa autenticamente federata.

Insomma quella bandiera ha un estremo bisogno di essere completata con le stelle dell’Europa.

Solo così può suggerire che in Italia vi è sul serio un rinnovamento che si adegua ad una realtà geografica economica e politica che vuole evincersi dal nanismo in un mondo di giganti. Occorre prendere atto che il grado di sviluppo del mondo produttivo ha superato il quadro istituzionale nazionale e non ha più sede in piccoli stati velleitari e ridicoli. Se non ci si adegua, si condanna al fallimento qualsiasi ipotesi sia essa liberale o socialista o di altra natura.

Se Lei riprenderà con costanza l’opera iniziata (e poi tradita dai politici che seguirono) dai padri fondatori dell’Europa, solo allora potremo dire che abbiamo realizzato un partito nuovo e moderno non superato dalla storia già in partenza. Le assicuro che questo salto di qualità porterebbe un consenso enorme da parte della massa silenziosa, finora delusa ed ormai lontana dalla classe politica e che avverte da tempo di essere continuamente tradita nel percorso della pace reale che si può ottenere solo con l’integrazione effettiva ed istituzionale dei cittadini europei.

Ma non solo, perché è ben cosciente in maggioranza che questa è pure la via per una conquista economica e sociale che ci tolga da una situazione di pigmei nel mondo in tali settori !!!

Ma non solo, perché è pure l’unica possibilità per influenzare positivamente gli avvenimenti, ora orchestrati da quel complesso di stati giganti multipolare che è il vero direttore dell’orchestra nel mondo e che ha messo in un cantuccio noi ormai impotenti europei, seduti sulle nostre glorie medioevali !!!

Non prenda superficialmente ciò che Le scrivo perché il vero realismo in politica non è quello di adagiarsi e non fare nulla con la scusa che la partita europea è difficile ma è quello che avverte in profondità il problema ed agisce ! Solo così la storia ci ricorda. Vada più avanti Veltroni, non ci tolga la speranza e con Lei saremo in tanti !!!!!!!!! A sua disposizione invio cordiali saluti.

Riccardo Sani – Innovatori Europei Trento

(ex vicesindaco di Trento e consigliere di amministrazione del Mediocredito-Investitionbank- Trentino-Südtirol)

LA LUNGA CODA DEL PD

di Rocco Pellegrini

Il fatto che Forza Italia ed Alleanza Nazionale stiano prendendo in seria considerazione il rinunciare alle liste identitarie per
unificarsi nel partito delle libertà è un’altra delle grandi novità che la nascita del partito democratico sta realizzando nel panorama
politco italiano.

Di fatto per la prima volta dal tempo della DC, PCI ma in una forma molto più compiuta ed inclusiva, gli italiani potranno scegliere tra
due grandi forze che lotteranno per il governo del paese.
Senza la formazione del PD questa cosa non sarebbe stata nemmeno pensabile ed ancora una volta si può constatare come, quale che sia la legge elettorale ed il quadro formale in cui si realizza l’azione politica, quel che conta è l’iniziativa politica, la determinazione a
cambiare il proprio comportamento, cosa che alla fine cambia anche il comportamento altrui.

Ecco perchè siamo di fronte a grosse novità e questa elezione appare molto più matura della precedente, quasi fossero passati secoli.

Paolo Mieli, oggi nell’editoriale del Corriere della Sera http://www.corriere.it/editoriali/08_febbraio_08/mieli_PD_390732c6-d60d-11dc-88e3-0003ba99c667.shtml  esamina la storicità di quel che sta succedendo nel panorama politico italiano e trovo che il suo ragionamento sia davvero interessante.

Il coraggio di chi ha fatto il PD sta cambiando il paese e, forse, presto si potrà sperare di diventare un paese normale che abbandona la
vergognosa storia dei guelfi e dei ghibellini che viene da un medioevo di lotte fratricide che hanno rovinato, da sempre, il bel paese.

TERREMOTO NELLA POLITICA

di MASSIMO GIANNINI – La Repubblica
Financial Times: l’Inferno di Dante è la metafora migliore della politica italiana. Wall Street Journal: in Italia il caos è la normalità politica. I giudizi caustici e sarcastici della grande stampa internazionale, formulati in questi giorni sulla solita crisi di governo dei soliti spaghetti-boys, meritano una postilla critica.
Se di caos si tratta, non è certo “caos calmo”. Stavolta si può parlare di “caos creativo”. La campagna elettorale appena cominciata si apre con un autentico, e speriamo palingenetico terremoto. L’epicentro del sisma è il Partito democratico. La decisione di Veltroni di presentarsi da solo al voto del 13 aprile, ieri confermata all’unanimità dall’intero vertice del Pd, si è rivelata un formidabile moltiplicatore di semplificazione e di innovazione dell’intero sistema politico. A sinistra, il consolidamento della “vocazione maggioritaria” ha prodotto, con geometria quasi gramsciana, un immediato sovvertimento dei rapporti di forza. Non è più l’avanguardia riformista a dover subire gli impedimenti tattici e i condizionamenti programmatici della retroguardia radicale o della vecchia guardia centrista, come è successo in questi tormentatissimi due anni di governo Prodi. Stavolta è Rifondazione a dover inseguire ipotesi di accordo “tecnico” al Senato, e sono il Pdci e i Verdi a dover accelerare sulla Cosa Rossa per non sparire dal panorama della rappresentanza nazionale. Stavolta, mentre Mastella e Dini trasmigrano allegramente sull’altra sponda senza lasciare il briciolo di un rimpianto, sono Di Pietro e Boselli a dover immaginare punti di convergenza sulla piattaforma dei “democrats”. È un cambio di fase straordinario. Appariva impensabile fino a poche settimane fa. E invece ora esiste, nella realizzazioni pratiche del “nuovo” centrosinistra e non solo nelle proiezioni oniriche di qualche suo leader.
Ma la svolta autonomista del Pd non ha terremotato solo la sinistra. Da ieri, il sisma attraversa con la stessa intensità anche l’altra metà campo del centrodestra. Anche qui si verifica un’inversione di ruoli mai vista prima. Stavolta è Berlusconi che deve inseguire, e non più tirare la volata. La discussione su una possibile lista unitaria dei tre partiti maggiori della ex Cdl, Forza Italia, An e Udc, federati con la Lega, apre anche a destra scenari inediti e promettenti. Costringe il Cavaliere a tornare a far politica, e a riprendere in mano, con una variante più realistica, la marinettiana “rivoluzione del predellino” che aveva inventato due mesi fa a Piazza San Babila. Stavolta, chiedendo ai suoi alleati ritrovati di fare oggi quello che Ds e Margherita avevano fatto oltre due anni fa. Non si tratta ancora di fondare un partito unico, ma di avviare intanto un processo di convergenza, che semplifica il quadro elettorale e avvicina le forze moderate più affini sul piano culturale.
Non sappiamo ancora se il tentativo berlusconiano sarà coronato dal successo: come dimostrano i tumultuosi quindici anni della sua biografia politica e personale, l’uomo cambia idea quasi ogni giorno, e Casini si conferma un figliol prodigo straordinariamente generoso, ma anche particolarmente geloso del suo “marchio”. Allo stesso modo, non sappiamo affatto se il tentativo veltroniano sarà coronato dal successo: i sondaggi premiano il cammino “solitario” avviato dal Pd, ma la distanza da colmare è ancora molta, e soprattutto si fa fatica a credere che il nuovo partito, non coalizzato a sinistra, possa raggiungere la maggioranza dei consensi contro un’alleanza di destra comunque coalizzata.
Ma intanto una cosa è sicura. Grazie alla scelta quasi temeraria di Veltroni, alle elezioni del 13 aprile gli italiani potrebbero trovare nell’urna una scheda che offre da una parte un unico partito riformista che si candida a governare da solo, dall’altra una lista unica moderata che riunisce tre simboli diversi. È un grande passo avanti. Una prima risposta, autoprodotta dal sistema politico, contro i suoi stessi vizi consolidati in questi decenni: la frammentazione partitocratica, la partenogenesi delle nomenklature, la conflittualità permanente tra le coalizioni, la ricerca di visibilità dei singoli.
Il processo è solo agli inizi. Ma al di là dei sondaggi, quello che sta accadendo è già sufficiente a considerare una felice intuizione il progetto del Partito democratico. È già sufficiente a giudicare lungimirante la strategia di chi lo ha lanciato più di tre anni fa, cioè Prodi e D’Alema, e di chi lo ha realizzato oggi, cioè Veltroni. Il verdetto elettorale sarà quello che sarà. Ma una nuova storia è già cominciata. “Si può fare”: e stavolta non è solo vuota retorica.
(8 febbraio 2008)

LA COSTRIZIONE PREVIDENZIALE

di Paolo Mieli – Corriere della Sera

La scelta del Partito democratico di presentarsi da solo alle prossime elezioni politiche non va tenuta nel conto di un espediente. È un fatto, certo, che se la coalizione di centrosinistra si fosse riproposta tal quale si era presentata nel 2006, l’esito sarebbe stato per lei disastroso. E questa catastrofe, va detto, si sarebbe avuta non già per la prova del governo Prodi che, anzi, nelle condizioni date ha offerto una prestazione di tutto rispetto. L’esito per il centrosinistra sarebbe stato molto negativo proprio per le «condizioni date» e cioè per la conclamata indisponibilità di micropartiti e piccole correnti a farsi carico della logica di coalizione, ovvero del rispetto del principio di maggioranza all’interno della coalizione stessa. Walter Veltroni, dunque, non poteva presentarsi alla guida di un partito legato a soci indisciplinati oltreché inaffidabili ed è costretto, sì costretto a correre in solitudine.
Ma, a questo punto della storia della sinistra italiana, si tratta di una costrizione provvidenziale che lo obbliga a tagliare con un colpo netto un nodo che altrimenti sarebbe rimasto ancora a lungo aggrovigliato. Di che cosa stiamo parlando? Dal 1861, dalla formazione del nostro Stato unitario, anche prima della nascita e dell’affermazione del Partito socialista, in Italia la sinistra di governo fu quella di ex adepti del movimento garibaldino e mazziniano (adepti di rango: Agostino Depretis, Giovanni Nicotera, Francesco Crispi) che lasciavano dietro di sé nel territorio di provenienza, un campo antisistema, parte consistente della loro legittimazione. L’identità forte restava appannaggio dei loro compagni rimasti sul terreno della radicalità: ai transfughi rimaneva un’ identità dimidiata, la necessità di attestare di continuo una qualche fedeltà agli ideali di un tempo, l’obbligo morale di proporre misure in cui credevano poco, solo per dimostrare al loro elettorato potenziale rimasto fuori dal sistema di appartenere ancora a una stessa famiglia. E per avere libertà di manovra nella complicata arte del governo toccò loro, alla sinistra storica, persino di elevare a dottrina il trasformismo (1882).
Le questioni legate alla figura del transfuga che si stacca dal ceppo d’origine si proposero anche fuori dai nostri confini, ad esempio per Alexandre Millerand, il primo socialista francese che nel 1899 entrò nel governo di difesa repubblicana presieduto da Waldeck-Rousseau. Ma presto i socialisti di Francia vennero a capo di questo problema, dopo appena quindici anni, allorché nel corso della prima guerra mondiale — con Jules Guesde e Marcel Sebat in rappresentanza dell’intero partito — entrarono nel governo (di grande coalizione) presieduto da Viviani. In quegli stessi giorni i laburisti inglesi facevano il loro ingresso nei gabinetti (anche questi di coalizione) di Asquith e Lloyd George. E subito dopo la Grande guerra i socialdemocratici tedeschi Ebert e Scheidemann guidarono i primi governi della Repubblica di Weimar. In altre parole i socialisti dell’Europa più avanzata già all’inizio del Novecento, prima o a ridosso della Rivoluzione d’ottobre, si addossarono responsabilità ministeriali dandosi — in conformità all’occasione — una salda identità via via sempre più riformista.
Da noi le cose andarono diversamente. I primi socialisti che andarono al governo, Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi nel 1916, lo fecero anche loro da transfughi alla guida di una piccola formazione scissionista che si era staccata dal Psi quattro anni prima. E dopo il conflitto Filippo Turati, pur avendo capito fino in fondo che cosa si dovesse fare, non riuscì a divincolarsi per portare il suo partito in un gabinetto che grazie alla forza dei socialisti avrebbe potuto sbarrare la strada al movimento mussoliniano. Poi fu il ventennio dei fascismi e della stringente logica per cui i socialisti europei furono costretti ad aderire ai fronti popolari, cioè all’alleanza con i comunisti. Ma, finita la seconda guerra mondiale, i laburisti inglesi di Attlee, i socialisti francesi di Guy Mollet e Ramadier, quelli tedeschi di Schumacher ruppero subito con i comunisti staliniani riprendendo con ciò la loro identità originaria e con essa la via del governo. In Italia no. I socialisti nostrani ancorché (particolare non irrilevante) nel 1946 fossero il primo partito della sinistra italiana restarono, unici nell’Europa democratica, avvinghiati al Pci in un legame frontista. Si staccò, è vero, nel 1947 Giuseppe Saragat ma il suo piccolo partito socialdemocratico, come già era stato per Bonomi e Bissolati, portò con sé una parte infinitesimale della sinistra che pressoché al completo rimase egemonizzata dal Pci nel campo della radicalità antisistema. E quando negli Anni Sessanta i socialisti di Pietro Nenni andarono finalmente al governo, il grosso dell’elettorato (con annessa l’identità vera della sinistra italiana) restò con il Pci all’opposizione. Insomma qui in Italia non è mai accaduto che il principale partito della sinistra si mettesse nelle condizioni di candidarsi davvero a governare— con un programma coerente di riforme coraggiose sì ma compatibili —al riparo da veti e intrusioni da parte di entità politiche collocate su posizioni estreme. Mai.
L’unità nazionale (1976-1979) fu altra cosa e neanche l’Ulivo prodiano — che pure è stato il progenitore del Partito democratico — può essere considerato qualcosa di simile ai confratelli socialisti europei che dall’inizio del secolo scorso hanno avuto (ed esercitato in prima persona) responsabilità di governo. Se non altro perché l’Ulivo non si è mai candidato a governare libero da ipoteche di sinistra. Oggi, per la prima volta dopo centoquarantasette anni, questo accade anche da noi. E grazie al fatto che Rifondazione mostra di aver ben compreso — pur non facendolo proprio — il senso di questa evoluzione, il divorzio della sinistra riformista da quella massimalista e rivoluzionaria avviene in un clima che si può definire di separazione consensuale.
Quello che sta accadendo al Partito democratico (sempre che Veltroni riesca a tenere duro al cospetto delle irragionevoli obiezioni di alcuni dei suoi) è qualcosa che va al di là di ciò che si deciderà il 13 e 14 aprile. Se il suo partito uscirà consacrato da un risultato abbondantemente superiore al 30 per cento, anche in caso di sconfitta potrà dispiegare una politica potente in grado di dare frutti molto prima di quanto si pensi. È vero che la Casa delle libertà al nastro di partenza per la corsa del 13 aprile ha maggiori e non immeritate chances di vittoria ma è vero altresì che la coalizione berlusconiana è in grande ritardo sulla via della formazione di un partito unico. E questo, agli occhi di chi come noi ha a cuore la stabilità e la funzionalità del sistema politico italiano, peserà. Silvio Berlusconi è ancora in tempo per dare un’accelerazione a questo progetto che ha sempre dichiarato essere il suo. Se lo facesse questa sarebbe una seconda positiva sorpresa che darebbe un carattere storico a questa campagna elettorale.
08 febbraio 2008

LA RETE TERRITORIALE DI INNOVATORI EUROPEI

Ciao a tutti.

Come ho già avuto molto di scrivere a tutti i referenti territoriali che finora ci hanno supportato, abbiamo adesso bisogno di fare un check up della situazione, e capire chi realmente vuole contribuire a far crescere Innovatori Europei nei territori.

Speriamo di avere una vostra disponibilità nel collaborare con noi, in modo da poter poi ristrutturare la sezione Organizzazione del Sito.

Vi ringrazio.

Massimo

PD: SPLENDORI DELLO STATUTO

di Pierluigi Sorti

Quella trascorsa è una settimana che sarà ricordata . Oltre agli accadimenti internazionali, di non poco rilievo, primarie in Usa e recrudescenza terroristica in M.O., abbiamo registrato, con il tentativo mancato della riforma elettorale, il dissolvimento definitivo della coalizione di centro sinistra, lo scioglimento delle camere e un nuovo primato assoluto di brevità della legislatura.
Una concomitanza di eventi che, forse, ha posto fine alla seconda repubblica.

Tutto questo è avvenuto senza che vi sia stato un preciso disegno in tal senso da parte di forze politiche identificabili: un giudice di S.Maria di Capuavetere, ha provocato la valanga finale.
Il che fa pensare che il nostro paese è davvero in declino se la sua storia viene fissata da un incrocio casuale di situazioni che sfuggono vistosamente alle capacità di controllo delle sue classi dirigenti.

Ed è con amarezza che diciamo questo. Con diverso e più ottimistico stato d’ animo avremmo voluto, nei limiti del nostro osservatorio romano, come aderente e appassionato spettatore del processo di formazione del Pd, sottolineare due circostanze che, a nostro parere, avrebbero meritato un’ attenzione meno distratta da tutto il sistema mediatico del paese.

La prima di esse, concerne la esecuzione, anche nel Lazio della scelta dei gruppi direttivi nei “circoli”, che, ricordiamo, sono l’ unità territoriale di base del nuovo partito. L’ importanza dell’ evento risiede infatti nell’ elevato tasso di democrazia delle regole con cui sono state organizzate, seppure con rischi connessi, ma inevitabili, di operazioni di inquinamento da parte di gruppi territorialmente organizzati.

Esse erano infatti aperte al pubblico che poteva, con l’ unica condizione di ammissibilità alle operazioni sulla base della propria residenza, essere contemporaneamente elettore attivo e passivo. Almeno nelle sue teoriche potenzialità, la prassi seguita rappresenta o dovrebbe significare “in nuce” , i processi formativi della futura dirigenza di una formazione politica che si pone come protagonista della futura storia italiana.

A corroborare questa speranza il secondo evento del processo di formazione del Partito Democratico. Nei primi due giorni del corrente mese è stato infatti licenziato il testo definitivo dello Statuto del partito: i cui capisaldi fondamentali , contenuti nell’ art. 1, richiamano, con sobria e preliminare solennità, i principi sanciti dagli articoli 2, 49 e 51 della Costituzione.

Se ce ne sarà concessa l’ opportunità, esamineremo in dettaglio i principi contenuti nei 51 articoli di questa carta statutaria del partito democratico. Per ora, resi prudenti da troppe delusioni seguite da 60 anni di dichiarazioni di principio, poi regolarmente disattese, ci sembra di poter manifestare un consenso e una speranza che troveranno conferma se quei principi sapranno essere veritieri nei fatti e nei comportamenti. E da subito.

05/02/08:DISTRUZIONE CREATIVA

di Massimo Preziuso

Sta per finire questa lunga giornata, e mi viene da chiedermi: ma per caso oggi, 5 Febbraio 2008, è IL giorno della Distruzione Creativa?

Mi spiego. Nella stessa giornata di oggi abbiamo avuto tantissime notizie, a prima vista molto spiacevoli.

Da un punto di vista di politica interna oggi è il giorno di caduta di un importante Governo, quello di Prodi, che ci porterà ad elezioni anticipate ad Aprile, e della conseguente apertura di uno scenario politico imprevedibile ed interessante, di cui già si notano i primi effetti.

Da un punto di vista di politica internazionale, ieri notte ascoltavo una intervista del giovane Bin Laden che chiedeva al padre Osama di avviare una tregua al terrorismo internazionale, e oggi è il giorno in cui si incoronerà il futuro candidato democratico (Obama o Hillary?) americano, che di sicuro porterà innovazione culturale ed economica negli Stati Uniti, e nel mondo.

Sempre oggi è il giorno in cui, in tutta evidenza, è scoppiata quella crisi recessiva derivante da anni di Finanza speculativa incontrollata, che tutti, in fondo in fondo, ci aspettavamo, e che ci ha resi, un po’ tutti, più poveri di come eravamo 10 anni fa.

Stasera infine uno dei maggiori economisti americani affermava che ormai è evidente che lo sviluppo avverrà nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” e nelle cosiddette “tecnologie verdi”.

Tutto questo ci potrebbe far dire: “siamo davvero nei guai”.

Ma ci può anche far dire: “siamo all’inizio di una nuova Fase, di Innovazione Politica e di Sviluppo Sostenibile”.

Distruzione creativa, appunto.

LETTORI PER IL CLIMA

Lettori per il Clima è una bella iniziativa educativa di Repubblica.

Ecco il LINK

Il tema dell’iniziativa è la riduzione dell’emissione di CO2 individuale, la sensibilizzazione dell’utente e della comunità (condominio / scuola). L’obiettivo è invogliare il lettore ad impegnarsi in piccoli gesti per ridurre l’emissione del CO2 e salvare il pianeta. Eco-premi in palio per i partecipanti

Un ottimo esempio di come il Web2.0 può essere driver di sviluppo (sostenibile in questo caso).

INFLAZIONE AI MASSIMI DAL 2001

L’aumento dei prezzi al 2,9% contro il 2,6% di dicembre. Su base mensile l’incremento è stato dello 0,4%
ROMA – Corrono i prezzi. Il tasso di inflazione, a gennaio, è salito al 2,9% rispetto allo stesso mese del 2007. Su base mensile, l’aumento congiunturale è stato invece dello 0,4% rispetto a dicembre. Lo rileva l’Istat nella stima preliminare, aggiungendo che si tratta del dato tendenziale più elevato dal luglio 2001, mese in cui si registrò lo stesso aumento (+2,9%).
AUMENTI – La nuova accelerazione dell’indice, spiega l’Istat, è dovuta a spinte inflazionistiche diffuse, dovute soprattutto al comparto alimentari e a quello energetico. Il prezzo del pane, ad esempio, è aumentato del 12,5% su base annua, quello della pasta del 10%. I prodotti energetici regolamentati (le tariffe) segnano un incremento del 3,9% su base mensile e del 2,1% su base annuale. Le tariffe elettriche, in particolare, sono aumentate del 3,4% su mese e del 5,3% su anno, quelle del gas del 3,9% rispetto a dicembre e dello 0,7% in termini tendenziali.
Corriere.it – 05 febbraio 2008

IL RIGASSIFICATORE

di Riccardo Sani – Trento

Il rigassificatore e l’ambientalismo degenerato per effetto di una propaganda verde degenerata !!!

Ho avuto il dispiacere di partecipare tempo fa, prima della caduta del governo, ad una riunione in provincia di Trieste, su invito di un amico del luogo, ad un incontro tra i cittadini e rappresentanti di Gas Natural a riguardo del rigassificatore progettato in zona.

Dico “dispiacere” perché coloro che, come il sottoscritto, si attendevano domande tecniche o di impatto ambientale o di valutazione strategiche sulla liberalizzazione del gas, si sono trovati accerchiati da una terrificante accozzaglia di luoghi comuni dove un ammasso di cittadini, in modo scomposto e disordinato tirava fuori il peggio di sé.

Insomma, si è parlato di bombe, di territorio inquinato, di articoli di giornale (scritti male e letti peggio), di politici corrotti e corruttori, di kamikaze e bazooka. In definitiva un incontro con la popolazione dove le poche e confuse idee che regnavano in platea erano il peggio che si possa immaginare in termini di opinioni concepite irrazionalmente per partito preso e che impedivano una valutazione critica obiettiva e serena sul tema in oggetto.

Dopo una breve e tutto sommato chiara esposizione di cos’è e come funziona un rigassificatore e degli elementi di sicurezza intrinseci alla tecnologia che hanno, il dibattito si apre improvvisamente con un signore che dal fondo della sala chiede, vociando, a quante bombe atomiche equivale una metaniera che viaggia per il nostro golfo. Questa domanda che all’apparenza potrebbe risultare anche buffa, o quanto meno spassosa, in realtà aizza una non comune reazione a catena dove si è sentito in pochi secondi di tutto e di più.

I rappresentanti di Gas Natural si sono trovati di sorpresa accerchiati da una platea fondamentalista, affascinata dalle proprie tesi a deriva ambientalista: una platea di persone che in cinque minuti erano disposti a distruggere anni di studi e che mostravano uno spirito inquisitore degno di un profondo medioevo.

Mi chiedo come sia possibile che persone singole delle quali magari conosci un comportamento normalmente civile, quando poi si trovano in un gruppo “presunto ambientalista” si manifestano invece al livello più basso possibile anche di educazione nell’interdizione del pensiero altrui e svillaneggiano con foga ideologica, ergendosi a novelli pianificatori capaci di usare solo i propri preconcetti e di credere di usare la conoscenza altrui meglio di chi ne è titolare.

Uno spettacolo obbrobrioso. Uno spettacolo di esercizio di una ignoranza infinita.

A turno e pazientemente gli ingegneri di Gas Natural hanno comunque risposto come potevano alle bizzarre domande che una platea arrogante e illiberale faceva loro. Ad ogni risposta chiara e documentata, seguiva dal fondo della sala i soliti scuotimenti della testa e una serie di improperi irriferibili. Non c’era niente da fare.

Ormai il popolo ambientalista, nazionalsocialista o fascista, aveva deciso che quelli della Gas Natural erano i rappresentanti del male e che venivano come terroristi travestiti da ingegneri a metterci le bombe sotto il sedere. E magari volevano anche guadagnarci dall’operazione. Probabilmente i tre filibustieri erano anche d’accordo con alcuni loschi politici locali per spartirsi la torta di tangenti a spese della salute dei nostri figli! Neppure ebbero miglior sorte le considerazioni sul fatto che siamo legati mani e piedi a solo due fornitori monopolisti, l’Algeria e la Russia, e che nessun altro paese di Europa è così indifeso di fronte alle proprie carenze energetiche e quindi è doveroso prendere provvedimenti.
Non c’è stato niente da fare !!! La popolazione, rinforzata da alcuni “no- global”, si era barricata con lo scolapasta in testa e la cosidetta sindrome del nimby (non nel mio giardino) aveva preso il sopravvento.

Siccome di fronte alle esaurienti risposte tecniche dei tre di Gas Natural, non si può argomentare perchè magari si rischia di fare brutta figura, i portatori del pensiero ambientalista unico con spirito di setta e volontà di chiudere ogni tipo di discussione, incominciarono a vociare: “perché non si mette il rigassificatore a Bibione?”, “o a Rimini”. Qualcuno gridò “a Portofino!”, e poi qualcun altro “in Sardegna”.

In pochi istanti si screditava il progetto senza alcuna argomentazione non dico scientifica ma almeno logica. E la cosa peggiore è che ciò accadeva con un consenso generalizzato da fare invidia anche alle maggioranze bulgare.

La credenza popolare era talmente forte e radicata che era impossibile convincere la gente con qualsiasi obiettivo ragionamento portato avanti da alcuni presenti inorriditi da tanta demagogia. E’ evidente che il pubblico era ormai definitivamente plagiato da una folle cultura terroristica da parte di forze politiche come i verdi ed i comunisti.

Mi sono cadute le braccia. E’ proprio vero che l’imbecillità ha una sua consistenza biologica e da essa non sfuggono neppure professori ed intellettuali.

Purtroppo andando avanti di questo passo e la cosa sta purtroppo dilagando, supportata da un fanatismo ignorante e perseguita dalla irresponsabilità delle forze politiche di estrema sinistra e verdi , scarsamente contrastata dalle forze più responsabili, potrebbe portarci fra non molto davanti alla cruda realtà di una società italiana in pieno decadimento economico e sociale.

Ma anche a porci la domanda del perché non abbiamo fatto nulla davanti a questa degradazione della nostra società mentre l’Europa cammina su tutt’altra strada.

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