Significativamente Oltre

cultura

LA RANA DALLA BOCCA LARGA

di Luigi Restaino

D’Alema la rana dalla bocca larga, i DS e l’Etica kantiana del giudizio.

Come scrive sapientemente oggi Ezio Mauro su “Repubblica”, dalle note relative alle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche depositate dai giudici, abbiamo evidenza di un rapporto molto intimo e dunque del tutto improprio tra il gruppo dirigente Ds e Consorte nel momento in cui Unipol è parte in causa in un’aperta contesa di mercato, con legami che portano fino a Fazio, Fiorani e ai “furbetti”.

Il rapporto quindi molto intimo e del tutto improprio.

Il Direttore di Repubblica lascia kantianamente sospeso qualsiasi Giudizio in merito, ma noi invece possiamo abbozzarlo e trarne le conseguenze dovute.

I legami che portano fino a Fazio, Fiorani e ai “furbetti” dell’attuale gruppo dirigente dei DS con certi ambienti sono un fatto, non contestabile. Ed è un fatto che la stragrande maggioranza degli italiani ed in particolare degli elettori del centrosinistra non comprende, non accetta, non riconosce coerente con le parole “di sinistra” (“dì qualcosa di sinistra” diceva Moretti proprio a D’Alema in una scena divenuta “cult” di un suo famoso film), non riconosce coerente con i valori che i DS oggi ed il PD domani devono rappresentare, anzi più che rappresentare devono vivere nella pratica quotidiana.

Vogliamo ritrovarci gli stessi uomini, le stesse contiguità, la medesima mentalità politica nel nuovo PD?

Se i valori della trasparenza, dell’etica come punto fermissimo dell’attività politica, economica, sociale, imposta con regole chiare e vissuta nei fatti dai singoli, dalle associazioni, dalle imprese, dai partiti, dalle istituzioni, non vengono incarnati dal PD e dalle persone chiamate a guidarlo allora avremo un fallimento certo, fallimento politico e sociale.

Un Partito ed una democrazia che aspira ad una partecipazione molto più profonda del semplice consenso istituzionale e procedurale esige una continuità stretta fra politica ed etica, ed una concordia sostanziale sui valori fondamentali di un’ etica laica.

Nessuno si è mai messo da parte da solo. Allora Diamoci da fare, svegliamoci per “aprire le finestre” e far entrare aria fresca nel “Palazzo”.

CHE SCHIFO!

di Aldo Perotti

Recensione del libro “LA CASTA. Così i politici italiani sono diventati intoccabili” di G. Antonio Stella e Sergio Rizzo

Ho letto il bel libro di Gianantonio Stella che sta letteralmente andando “a ruba” nelle librerie.
Il libro è una raccolta di fatti concreti, probabilmente si tratta di notizie già note agli addetti ai lavori, che però ordinate e sistematizzate colpiscono nel segno e lasciano al lettore essenzialmente una sensazione di assoluto disgusto. Lette le prime venti pagine si avverte una forte nausea ed il desiderio di vomitare tale è il fetore, in senso figurato ovviamente, che esala da quelle pagine.

Non sto a ricordare questo o quell’episodio citato ma voglio sintetizzare il chiaro messaggio che l’autore vuole trasmettere al lettore. La politica italiana è malata, gravemente malata. La febbre è altissima e la diffusione dell’infezione è forse ormai inarrestabile. Un terribile parassita, una sorta di verme solitario, si è insediato negli intestini del paese e la sua fame insaziabile condiziona gravemente il malato tanto da indirizzarne le scelte. Così la politica è costretta a mangiare e mangiare, a far lievitare le prebende, ad accaparrare e a distribuire incarichi, a drenare soldi pubblici in continuazione per sostenere se stessa ed il sistema di clientele ormai strutturato con una tale serie di intrecci da poter paragonare il malato ad un folle legato ad un letto di costrizione che si agita, si agita, ma poi resta li, solo con la sua malattia. In realtà il paese, come la classe politica, conosce bene la sua malattia, essa è ben conosciuta e delineata cosi come si può evincere nella lettura del libro. Essenzialmente tutto si riconduce ad un problema di moralità (la famigerata questione morale). La classe politica annovera al suo interno, nella sua “famiglia”, una serie di persone la cui moralità è assolutamente fuori discussione, ma nel contempo ne annovera molte la cui condotta, le cui scelte, sono da classificarsi senza dubbio “immorali” (anche senza arrivare ai reati). Il “sistema di valori” che deve caratterizzare gli uomini alla guida del paese deve tornare ad essere quello dei grandi del passato e non quello della volgarità e dell’arrivismo, del lusso e del piacere, propri delle aristocrazie e non delle democrazie. Eguaglianza, solidarietà, abnegazione, sacrificio per gli altri, disinteresse. Questo è quello che serve al paese.

Le “mele marce” devono essere immediatamente individuate ed allontanate in tutti i settori della vita pubblica. Allo stesso modo si deve rendere impossibile, assolutamente impossibile, che persone prive di capacità, attitudini, e della “moralità” necessaria, accedano a posizioni di potere o di responsabilità.

SVEGLIATEVI, BRAVA GENTE

di Massimo Preziuso

E’ arrivato, a mio avviso, il momento del “risveglio della Brava Gente”.
Per Brava Gente io intendo le tante famiglie, i tanti anziani, i tanti giovani, le tante donne, vittime di un Sistema “malato”.

Le famiglie che hanno sacrificato decenni della propria esistenza per vedere i propri figli laurearsi, per poi trovarli in grandi difficoltà nell’inserimento sociale.

I giovani “assenti” dalla scena politica e sociale, che a volte ne approfittano e tendono a scappare, in tutti i sensi, da un “duro” confronto con la realtà.

Le donne che hanno cercato in tutti i modi, e con scarsi risultati, di conciliare l’essere Donna con l’essere Femmina, con l’essere Lavoratrice, in una Società che continua ad essere maschilista.

Gli anziani che hanno assistito silenti a un cambiamento sociale così veloce, che li ha portati a trovarsi “soli e impauriti”.

Di contro, una Società pervasa da “Brutta Gente”, imbrutita, aggressiva, pronta sempre al conflitto.

Credo che oggi vi sia la possibilità di rilanciare questo Paese dalle sue fondamenta sociali: è nell’aria, da più parti, il cambiamento.

Questa fase di transizione, allora a mio avviso, deve servire soprattutto a fare uscire di casa e partecipare quella “Brava Gente” che negli ultimi 20 anni ha subito passivamente una Politica e una Società “governata” molte volte da “mediocre e brutta gente”.

La costruzione del Partito Democratico, e il cambiamento politico che avverrà anche nel Centro Destra, me lo auguro fortemente, dovrà essere il MOTORE di questa RIVOLUZIONE SILENZIOSA:  finalmente, una moltitudine di “brava gente” parteciperà attivamente alla politica, possibilmente diventando “ELETTORE PASSIVO” e quindi “ELETTO”.

Questo credo debba essere il sogno di ognuno di noi.

RIVELAZIONE E RIVOLUZIONE

L’umorismo nell’utopia. Recensione al libro di Moni Ovadia, Lavoratori di tutto il mondo ridete, Einaudi, Torino 2007

di Laura Tussi

“Utopia” è il termine che sottende la negazione di un’ubilocazione, di un dove concreto nel crollo delle ideologie, in quanto in “nessun luogo” si è realizzato il vangelo di Marx nel corso della historia universale. Una fede profonda nell’ironia delle “storielle” che riecheggia con esilarante sagacia, in un tripudio umoristico declinato in frizzi, lazzi, motti e citazioni sul Regime. Le storielle ebraiche traggono origine dall’ermeneutica talmudica in una weltanschauung umanistica dove l’utopia smarrisce i propri sogni e le promesse tanto da non riconoscere le esacerbate finzioni delatorie del dispotismo di regime. Il significato dell’utopia è l’instaurazione di una società ideale di libertà, fratellanza, giustizia e uguaglianza. L’uomo è complesso nella potenzialità della realizzazione di alti ideali con i valori della negazione di prevaricazione sul proprio simile, della giustizia sociale, dell’altruismo, dell’accettazione dell’altro e del diverso, dell’amore, della solidarietà, sentimenti non scontati nelle relazioni fra individui. Dunque non è lecito considerarli irrealizzabili e utopici nei rapporti fra soggetto e collettività. “Neanche l’URSS fu l’impero del male”, ma una federazione di repubbliche dell’epoca staliniana sotto l’egida di un totalitarismo perfetto, con tristissime note di drammaticità e terrore. La storia non è finita e la società socialista dovrà ancora realizzarsi nella libertà e nella democrazia, in un’utopia verificabile e immanente non riscontrabile in “nessun luogo”, ma che pervaderà l’intera globalità collettiva della società mondiale all’insegna del comunismo in un umanitarismo sociale che si contrapporrà ai simulacri del bieco capitalismo e delle dittature del novecento. Ogni rivelazione si tradurrà in rivoluzione rigenerante e rifondatrice di topofanie (rivelazioni di luoghi della memoria) contrapposte alle utopie, dove ogni manifestazione dei luoghi di benessere sociale e civile è realizzazione di società solidali e umanistiche, quali luoghi di un’olotopia, una nuova globalizzazione mondiale all’insegna di ideali e valori umanistici e umanitari, dove le rivelazioni del “bene sommo” trionferanno sui ciarpami di sistemi politici esacerbati in dispotismi conservatori. Le storielle dell’umorismo ebraico svelano con l’ironia le ottusità del regime dittatoriale del periodo staliniano, facendo crollare tabù e pregiudizi di un periodo oscurantista tramite l’umorismo ironico che fa partorire i fantasmi dalla mente di un sistema destinato al collasso, in plurime e poliedriche catarsi ermeneutiche di significato ironico sul senso dell’esistere.

 

GIOVANI DEMOCRATICI

di Vincenzo Girfatti

Giovani Democratici, è arrivato il momento di impegnarsi per far sentire la voce di chi, purtroppo, fino a questo momento non ha mai avuto la possibilità di parlare e di contare qualcosa. Il 68 è lontano, ma i problemi, purtroppo, ci sono e vanno affrontati in maniera seria. I giovani italiani rappresentano, a livello mondiale, l’emblema della precarietà e della disoccupazione. Eppure abbiamo un sistema universitario che, almeno fino a qualche anno fa, formava giovani professionisti con competenze e professionalità rilevanti. Continuando così finiremo per perdere queste professionalità. Continuando così correremo il rischio di avere una classe dirigente che dalla politica starà lontano. Allora di chi è la responsabilità? Purtroppo la responsabilità è di chi non ha permesso di camminare con lo stesso passo a politica ed impresa, ad università ed ordini professionali. In Europa questo non avviene. Giovani Democratici, per essere Europei dobbiamo iniziare ad uscire allo scoperto, cercando di motivare i nostri coetanei ad interessarsi seriamente, in modo responsabile e sereno, della nazione. ‘E l’Italia che ce lo chiede. Ci proviamo?

I “QUADRI” ANTICHI

di Salvatore Viglia

Sono troppi e non abbastanza decrepiti da lasciare il loro posto. Se penso, ad esempio, a quelli come Casini, mi viene la pelle d’oca. E’ sicuro che si occuperà di noi almeno per altri trent’anni.

Disarma la consapevolezza di dover sopportare la protervia di quanti si ostinano a non lasciare il posto ai giovani.

Basterebbe, la butto lì, limitare la possibilità a due legislature ed ecco che il ricambio sarebbe assicurato. Coatto. Nessuno dei veterani, bella scoperta, ha interesse a formare una nuova classe dirigente. Da destra come da sinistra, s’intende. Neanche in questo atteggiamento elementare ed eccezionalmente popolare, si distinguono i partiti tra loro. L’osso, questo osso, non si molla.

La figura del quadro, a questo punto antico, come si usa definire il dirigente apicale della struttura di partito, è un cult. Il suo profilo è quello classico. Lo si riconosce subito dall’ostentazione della conoscenza, dalla elaborazione ideologica dei fatti chiusa nel cassetto, nella mimica facciale abbottonata ed espressiva allo stesso tempo. Non si spreca a parlare con chi non è di pari levatura. Lo vedi, però, sempre pieno di carte, di faldoni, buste foglio intero. Ma soprattutto con un pacco di quotidiani stretto sotto l’ascella libera. Strano, lui è l’artefice della politica insieme ai suoi “simili”, lui fa la politica, lui detiene le “verità”, le strategie, gli organigrammi eppure non vede l’ora di leggere i giornali per informarsi. Praticamente di sé stesso,

Solo il comizio, la propaganda, giustifica il tempo dedicato ai profani. Tutto fa pensare che questo andazzo non sarà abbandonato. Non se ne parla nemmeno e, quando se ne parla non lo si fa.

Essi, dicono sempre, e lo dicono tutti, che la questione dell’età è secondaria e che i problemi cui fare fronte, sono altri. Certo, i problemi principali sono di non salirgli sui calli.

Forse, dico forse timidamente per paura d’essere fraintesi ci mancherebbe pure questo, i giovani in gamba, le leve che potrebbero impegnarsi nelle leadership, sono diventati degli estremisti. Questa non è una buona cosa. Non solo in Italia, lo è in generale. Anche la moderazione, quando è esasperata, diviene una forma di estremismo. Ed allora, c’è bisogno che questi estremisti della moderazione si facciano sentire. Non c’è niente di male. Una volta e due i “mammasantissima” gli rideranno in faccia, poi basta.

Il problema è avere nella testa le idee, la passione che occorre ed il coraggio di esporle anche con piglio. Nessuno è disposto a fare un passo indietro spontaneamente.
Teoricamente il processo è facilissimo: indicare semplicemente una strada, il percorso e discutere sulla segnaletica.

Bisogna crederci.

CERCASI REFERENTI TERRITORIALI

Innovatori Europei vuole radicarsi nei territori per poter poi avviare iniziative interessanti per il Partito Democratico e non solo.

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LE RIFORME DI PADOA SCHIOPPA

da Repubblica
“I sindacati lo devono capire. La riforma delle pensioni va fatta, è un’occasione da non perdere”. A poche ore dall’apertura del tavolo sul Welfare, Tommaso Padoa-Schioppa in un’intervista a Repubblica lancia il suo appello a Cgil, Cisl e Uil: “Capisco le loro difficoltà. Ma stavolta anche a Epifani, Bonanni e Angeletti chiedo di essere ambiziosi e coraggiosi, e di vincere la battaglia in casa loro, invece che di portarla sempre in casa d’altri”.
Il ministro del Tesoro è fiducioso. Ma alla sinistra sindacale dice: “Il negoziato non può durare in eterno, va chiuso in fretta”. E alla sinistra politica ripete: con il “tesoretto” evitiamo la manovra 2008, se lo sprecassimo oggi “saremmo scellerati”. Il risanamento dei conti è compiuto, la crescita economica supera le previsioni. Il ministro è soddisfatto: “Gradisce un caffè?”, chiede all’intervistatore. È il segnale che le cose, per il Belpaese, vanno meglio davvero. Fino a qualche mese fa, per risparmiare denaro pubblico, nell’ufficio che ospitò Quintino Sella avevano tagliato anche i caffè. Oggi si respira un clima più rilassato. Missione compiuta, in un solo anno? “Non me lo aspettavo, ma ci speravo – risponde – la congiuntura ci ha aiutato, ma la risposta del Paese c’è stata, ed è stata superiore alle aspettative. Le imprese hanno reagito, c’è un clima molto positivo e la lotta all’evasione sta dando buoni risultati. Ma queste risposte non le avremmo avute, se non ci fosse un governo che ispira fiducia”.
Ministro Padoa-Schioppa, non teme la solita, italica “sindrome da appagamento”?
“Questo è un rischio che mi preoccupa. L’anno scorso la prova più difficile era far sì che, dopo la campagna elettorale, ci si rendesse conto che occorreva una grande determinazione per il risanamento. Sembra una banalità, e invece allora non era affatto chiaro. Né per il governo uscente, né per la maggioranza vincente. In poco più di un mese, tra il giuramento del nuovo esecutivo e il Dpef, riuscimmo ad ottenere il pieno consenso della maggioranza. Oggi la sfida è diversa. Superata l’emergenza, l’incognita vera è verificare se nel Paese, nel governo, nella politica e nella società c’è un’ambizione che ci consenta di fare il vero salto di qualità”.
È dura, con una coalizione piena di disfattisti che dicono “il governo non dura quindi spendiamo tutto”, e di trionfalisti che dicono “abbiamo già vinto, quindi spendiamo tutto lo stesso”.
“Non possiamo cadere in questa deriva, accontentandoci di aver rimesso la testa fuori dall’acqua e fermandoci lì. Lo considero un errore esiziale. La grande prova è questa: se abbiamo l’ambizione di fare davvero il salto in avanti, dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dalla meta, e dobbiamo proporci obiettivi molti più importanti. Se non superiamo la prova, ci ripieghiamo su noi stessi. Non c’è più l’emergenza, c’è la mediocrità. Ma se invece superiamo la prova, allora succede davvero un fatto nuovo per questo Paese. Smettiamo di fare l’eterna rincorsa sui nostri partner internazionali, e cominciamo a fare con loro una vera e propria “gara di testa”. In tutti i campi: la crescita, la competitività, la ricerca e l’università, le infrastrutture, i tavoli di concertazione, lo Stato Sociale. Per riuscirci serve l’impegno di tutti: forze politiche, governo, parti sociali”.
Oggi comincia la trattativa su lavoro e previdenza. Cosa si aspetta da questo tavolo, finora assai improduttivo?
“Mi aspetto risposte all’altezza della sfida che ho appena descritto. Dobbiamo puntare ad un assetto del mercato del lavoro e delle relative tutele in cui si realizzi la piena accettazione della flessibilità, che è un dato ineludibile della tecnologia e del mercato globale, ma anche la fuoriuscita dalla precarietà, che invece è dannosa soprattutto per la generazione con meno di 40 anni. Vincere la sfida dell’eccellenza vuol dire proprio questo: porre il problema dei giovani al centro della questione del lavoro e della previdenza”.
Cosa le fa pensare che il sindacato accetterà l’aumento dell’età pensionabile e la revisione dei coefficienti?
“Non entro nel dettaglio di una trattativa che dobbiamo ancora concludere. Ma ci sono due principi, ai quali non possiamo derogare. Il primo è che vi sono ancora oggi, per molte persone, trattamenti pensionistici insufficienti. Il secondo è che ogni ipotesi di riforma previdenziale deve avvenire nel rigoroso rispetto degli equilibri finanziari del sistema vigente che, piaccia o no, contempla tanto la legge Dini del ’95, tanto la legge Maroni del 2005”.
Vuol dire che bisogna tener conto sia dell’impegno a rivedere i coefficienti, sia dello “scalone”?
“Questo è il quadro delle compatibilità normative. Ogni intervento di modifica deve essere “neutrale” dal punto di vista finanziario. D’altra parte, se lei va a rileggere il memorandum che firmammo con i sindacati nel settembre del 2006, troverà esattamente questi impegni, scritti nero su bianco”.
Ma Cgil, Cisl e Uil già minacciano lo sciopero generale. Come fa ad essere ottimista, con questi chiari di luna?
“Non mi piace il termine “ottimista”. Diciamo che sono fiducioso. Ho fiducia che le forze politiche e le organizzazioni sindacali capiscano che questa è un’occasione da non perdere. La perdemmo già una volta, nella legislatura 1996/2001, e il risultato fu la sconfitta elettorale e poi l’intervento della legge Maroni, compiuto in modo piuttosto rozzo e fortemente conflittuale. Ripetere oggi quella sequenza di errori sarebbe imperdonabile”.
Intanto la scadenza del 31 marzo 2007 è passata invano.
“Ha ragione, io per primo sono dispiaciuto per questo ritardo. Non è detto che i negoziati, anche quelli più difficili, debbano durare così a lungo. Gli accordi di Bretton Woods furono sottoscritti in due settimane e mezzo. La Costituzione americana fu redatta in sei settimane. Onestamente mi sembra che la trattativa sulla previdenza sia un po’ meno complessa. Non può durare in eterno”.
Cosa si sente di dire a Epifani, Bonanni e Angeletti?
“Li incoraggio ad essere, a loro volta, ambiziosi. Anche loro devono vincere sfide, al loro interno, esattamente come stiamo facendo noi. Capisco le tensioni tra le confederazioni, vedo il travaglio che attraversa la Cgil. Ma ognuno di noi deve fare in casa sua un pezzo della battaglia. Non può limitarsi a trasferirla nella casa degli altri”.
In questo momento la battaglia in casa vostra è sul “tesoretto”. Cosa risponde a chi vuole usarlo tutto e subito?
“Capisco che quando si è stati stretti a lungo in una morsa, appena si ha la sensazione che la morsa si allenti, prevalga l’istinto immediato a muoversi. Ma in realtà le divergenze interne al governo su come usare le risorse aggiuntive sono meno aspre di quel che sembra. Ci sono due limiti accettati da tutti. Il primo: nessuno pensa che si possa fare a settembre una manovra correttiva sul 2008, per correggere un uso smodato delle risorse aggiuntive effettuato prima. Il secondo: nessuno pensa che si possa rompere la disciplina imposta dal Patto di stabilità”.
Basta questo a renderla tranquillo? E non c’è forse un braccio di ferro tra voi su come impiegare queste risorse?
“C’è una discussione, che a volte si sviluppa in modo forse un po’ troppo dialettico. Questo è un problema: non vorrei che facessimo come nell’autunno scorso, quando sulla Finanziaria convenimmo tutti i principi di fondo, dall’ordine di grandezza della manovra ai tempi del risanamento concordati con la Ue, ma nonostante questo riuscimmo a dare al Paese la sensazione che tra noi vi fosse un dibattito caotico e inconcludente”.
A quanto ammonta questo “tesoretto”?
“Al momento possiamo contare su un miglioramento strutturale del nostro indebitamento netto pari a 8/10 miliardi di euro in più rispetto alle stime del settembre scorso. Secondo i patti con Bruxelles, siamo tenuti ad un aggiustamento strutturale di mezzo punto di Pil sul 2008. Questo vuol dire che, se vogliamo evitare una manovra correttiva nel prossimo autunno, 7,5 miliardi sono “ipotecati” per quell’obiettivo. Le risorse aggiuntive che restano ammontano a circa 2,5 miliardi di euro”.
E questo è quello che possiamo spendere?
“Direi di sì. La manovra correttiva per il 2008 l’abbiamo già fatta, e sta in quegli 8/10 miliardi di risorse aggiuntive. Saremmo scellerati se la disfacessimo ora, per poi doverla rifare fra tre mesi”.
Non c’è molta benzina nel motore. Come si fa correre l’Italia, in queste condizioni?
“Questo è un punto fondamentale. Il Paese ha bisogno di risorse complessive superiori ai 2,5 miliardi. Per le infrastrutture, per il sostegno ai redditi più bassi, per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Trovare queste risorse è possibile e necessario, a condizione di escludere due scorciatoie, entrambe improponibili. La prima: non si rompe il Patto di stabilità. La seconda: non si aumenta ancora la pressione fiscale”.
Quindi mai più nuove tasse?
“È così. Fissati questi due argini, la via possibile è una sola: incidere sulla spesa pubblica. Cioè spendere meglio e, a parità di servizi resi, spendere meno. Io sto cercando di farlo qui al Tesoro, dove ci proponiamo di chiudere nei prossimi mesi 40 uffici provinciali del ministero e 40 della Ragioneria. Ora il nostro obiettivo è convincere tutti i settori della pubbliche amministrazioni, centrali e locali, a muoversi sulla stessa linea di riforme e risparmi: dalla sicurezza ai tribunali, dalle infrastrutture alle università”.
Sono quegli sprechi che Prodi chiama “i costi della politica”?
“Chiamiamoli i costi delle funzioni pubbliche. Ho appena letto il gran bel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, “La casta”. Ciò che ora va fatto è tradurre questa eccellente inchiesta giornalistica in misure correttive. È il nostro vero “tesoro” nascosto. Si tratta solo di farlo emergere. Anche perché non bisogna alimentare un senso di ostilità nei confronti della politica, già troppo diffuso nell’opinione pubblica. Resto convinto che dalla cattiva politica si esca con la buona politica, e non con l’anti-politica”.
E nella disputa Prodi-Rutelli sull’Ici lei come si schiera?
“In nessun modo. Le questioni di compatibilità di bilancio competono al mio ministero, quelle di priorità degli interventi devono rientrare in una sfera collegiale. Quello che posso dirle, è che dobbiamo fare riferimento alle tre categorie già usate in Finanziaria: risanamento, crescita, equità. E dunque, se sul risanamento si tratta ormai di mantenere la rotta e non di correggerla, adesso dobbiamo concentrarci sulla crescita e sull’equità”.
Proprio la crescita resta il nostro tallone d’Achille: possiamo stare al traino della ripresa europea?
“Certo che no. Quest’anno cresceremo del 2%, secondo le nostre stime, e dell’1,9% secondo quelle della Ue. Sono livelli superiori alle stime, ma restano comunque inferiori alla media europea. Di nuovo: non possiamo accontentarci. Nei prossimi mesi dobbiamo perseguire tre grandi obiettivi. Il primo, appunto, è crescere stabilmente oltre il 2%. Il secondo è completare la riforma del nostro Stato Sociale, che è abbastanza avanzato per pensioni e sanità, ma ancora in parte inadeguato per la povertà e la disoccupazione.
Il terzo, lo ripeto, è scommettere tutto sull’eccellenza”.
“Vaste programme”, le avrebbe risposto De Gaulle. Come pensa di riuscire a realizzarlo?
“Io ho due bussole. Una bussola mi dice che dobbiamo allungare oltre l’orizzonte. Non ragionare più di anno in anno, ma su una prospettiva di 5, 10 o 15 anni. La Germania ha impiegato un lustro, per realizzare un formidabile recupero di competitività. Un’altra bussola mi suggerisce che, in tutti i campi, dobbiamo separare il grano dal loglio, come dice la parabola. Distinguere ciò che è produttivo da ciò che è rendita. Incentivare fortemente il primo, e penalizzare severamente la seconda. In altri termini, dobbiamo fare quello che in Italia non si è fatto mai abbastanza: riconoscere il merito, e premiarlo”.
Cominciate a farlo nei contratti pubblici, allora. Quello che avete firmato proprio qui al Tesoro ha sollevato enormi polemiche.
“Chi ha polemizzato lo ha fatto senza voler conoscere i fatti. Per il biennio 2005-2006 abbiamo più che dimezzato i premi, per il 2007 e per gli anni successivi abbiamo fissato dei tetti, il 30% delle risorse verrà distribuito in base ai risultati dei singoli uffici, i dipendenti con sanzioni disciplinari subiranno, per la prima volta qui dentro, delle decurtazioni. Mi sembrano passi avanti tutt’altro che irrilevanti”.
Un’altra polemica velenosa che le è piovuta addosso riguarda l’affare Telecom. Siete intervenuti pesantemente. Galeotta, quella sua telefonata a Bernheim…
“Non voglio riaccendere polemiche. Mi limito a questo: pensare che la politica economica e il mercato siano due realtà che devono astenersi dall’interagire, per conservare una specie di purezza incontaminata, è una visione sognante sia della politica sia dell’economia”.
Per concludere: cosa si devono aspettare gli italiani, sempre che questo governo duri? Altri sacrifici?
“Sacrifici non è la parola giusta. Meglio parlare di impegni e di sforzi che devono riguardare tutti. Il governo può creare un clima, ma poi la spinta vera deve venire dalla società, dalle classi dirigenti e dai cittadini. Non adagiamoci su ciò che si è fatto. Il Paese non si deve accontentare del poco. Se saremo poco ambiziosi, saremo sempre poco soddisfatti. È questa la sfida, per l’Italia di oggi”.

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INNOVATORI EUROPEI

INTERVISTA: ANDREA PEZZI

Intervista ad Andrea Pezzi, noto personaggio televisivo, e non solo

di Massimo Preziuso

1) Dalla TV-Giovane MTV (come Voice Jockey) alla Comunicazione (come esperto per Grandi Multinazionali) alla Televisione (tra le tante, il successo di TORNASOLE sulla Rai) alla scrittura di Libri (sulla “Globalizzazione” e sui nuovi scenari), Andrea: quali i momenti che ti hanno maggiormente arricchito come uomo e come professionista?

La mia crescita non è legata alle cose visibili che faccio, ma allo studio. Il lavoro è solo il banco di prova in cui gioco a mettere in pratica le conquiste interiori che raggiungo. Se in ogni caso dovessi dare un risposta comunque non esaustiva direi che gli ultimi 6 anni in cui ho avuto modo di viaggiare molto sono stati decisamente fortificanti. Il coraggio delle proprie idee e delle proprie ambizioni riesci a farlo crescere nella misura in cui ti rendi conto che il mondo è grande, che le idee sono tante, che gli stili di vita sono tanti… e che forse noi italiani non abbiamo sempre ragione.

2) Da giovane, come vedi questo momento storico , da un punto di vista politico e culturale, per l’ Italia e l’ Europa? C’è spazio concreo per la Innovazione?

L’innovazione non è mai stata e mai sarà  garantita dal sistema. L’innovazione nasce sempre e solo da uomini liberi che stanno fuori sistema, che vivono per la società  ma non le appartengono. La nostra cultura italiana in particolare però ha bisogno di essere rifondata da capo. La classe dei sedicenti intellettuali del nostro paese non è in grado di garantire nessun tipo di crescita e di valore per il nostro paese, e per questo sarebbe ora che si togliessero di mezzo. Ovviamente so che non lo faranno mai e tanto meno credo si debbano fare delle rivoluzioni. Ancora una volta è un problema di tipo individuale. Arrivare al potere in campo culturale e intellettuale significa avere una missione, sentire una responsabilità  profonda: un intellettuale è colui il quale sa vedere dentro la realtà  e sa dare risposte pratiche e concrete alla vita reale: le congetture servono solo a drogare il sistema.
Cercare il potere va bene ma prima, individualmente ognuno di noi deve cercare la propria eccellenza.

3) Cosa ne pensi del Progetto “INNOVATORI EUROPEI”?
Condividi sul fatto che le DONNE e i GIOVANI siano I VERI INNOVATORI delle nostre Società ?

Credo che essere pionieri oggi non sia più un atto eroico ma una necessità . I giovani sono sempre interessanti nella misura in cui la loro coscienza è ancora flessibile e quindi potenzialmente sono un ottimo serbatoio di novità  e crescita per tutta la società . Le donne invece, fatte alcune eccezioni, sono incapaci di prendersi la responsabilità  della loro vita. Dovrebbero smettere di dare il primato ai valori biologici della coppia e della maternità  per diventare davvero un faro per la società  del futuro.

Grazie.

Roma, 28 Gennaio 2007

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