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cultura

VISCO: RECUPEREMO 100 MILIARDI!

Visco: “Recupereremo 100 miliardi e ora possono scendere le tasse”

da Repubblica

GENOVA – “Siamo pronti a ridurre le tasse”. Così a Genova il viceministro dell’Economia Vincenzo Visco a margine di un convegno sui dieci anni dell’Agenzia delle Entrate. Il viceministro ha spiegato che “recuperare i 100 miliardi evasi è una questione solo di tempo, di volontà politica e di capacità organizzativa. Fin dall’inizio abbiamo detto che il recupero dell’evasione era finalizzato alla riduzione delle tasse. Adesso siamo in grado di cominciare a farlo, sempre che si contenga la spesa pubblica e si proceda al recupero dell’evasione”.

Sui tempi del’alleggerimento della pressione fiscale, il viceministro dell’Economia ha ribadito che “speriamo di cominciarlo a fare fin da subito. Prima abbiamo dovuto rimettere in equilibrio il bilancio devastato da cinque anni di malagestione”.

Il viceministro ha ricordato che gli strumenti ci sono per combattere il fenomeno diffuso dell’evasione. “Bisogna decidere – ha spiegato Visco – se si vuole fare il recupero: la cosa è possibile. Lo stiamo dimostrando con quello che è successo questo anno. Nello stesso tempo è evidente che essendo l’evasione un fenomeno di massa, l’opposizione al contrasto è fortissima”.

A Genova anche qualche contestazione. Una cinquantina di dipendenti del pubblico impiego ha fischiato il viceministro all’esterno della sede dell’Agenzia. Tra gli slogan mostrati dai manifestanti, alcuni portavano le scritte: “Non tagliare le pensioni ma recuperare le evasioni” e “Tasse: pagare meno, pagare tutti”. “Siamo preoccupati per la ventilata riforma delle pensioni – ha detto Pietro Andriani, rappresentante delle RdB – inoltre non ci sono state delle reali misure per contrastare l’evasione fiscale. Il rischio concreto è che alla fine paghino solo pensionati e lavoratori dipendenti”.

Sulla possibilità di ridurre l’imposta comunale sugli immobili, Visco ha risposto che “l’Ici è una imposta comunale, ci devono pensare i Comuni”.

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate Massimo Romano ha illustrato poi i risultati dei primi cinque mesi dell’attività dell’Agenzia. Secondo i dati ci sono stati più accertamenti sulle imposte dirette (Iva e Irap) che sono passate da 122.253 a 188.019. C’è stato anche un maggior numero di verifiche (da 3.824 a 4.230) e più accessi per il controllo degli obblighi fiscali (da 53.596 a 55.565).

Maggiori sono state anche le imposte accertate (da 2,6 mld a 3 mld) e gli importi riscossi a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza e conciliazione giudiziale (489 mln al 30 giugno contro 390, con un significativo +20,6%). Romano ha ricordato che nei sei mesi del 2007 è stato dimezzato lo stock dei rimborsi arretrati Irpef, passando da 1.974.000 a 958.000. Complessivamente sono stati erogati 1.365 mila rimborsi per un importo complessivo di 654 milioni di euro. Quanto ai servizi, nello stesso periodo sono stati erogati rimborsi per 6,6 miliardi, ovvero poco più della metà dei 12,5 mld previsti per l’intero anno.

La possibilità di ricorrere a sanzioni amministrative, compreso il licenziamento, nei confronti dei dipendenti corrotti, è stata annunciata dal direttore Massimo Romano nel presentare il piano strategico triennale di sviluppo dell’Agenzia. La sanzione prevista dal piano, ha detto Romano, è prevista “senza attendere l’esito del processo penale. L’Agenzia – ha spiegato il direttore – è tra le amministrazioni pubbliche quella che più direttamente deve farsi carico dell’onere di favorire la tax compliance, deve porsi il problema se non sia venuto il momento di cominciare a cambiare, intanto al proprio interno, regole che molto hanno contribuito a danneggiare la reputazione del lavoro pubblico per i comportamenti deteriori che hanno favorito e per gli effetti negativi che ne sono scaturiti sull’efficienza dei servizi”.

LA NUOVA RIVOLUZIONE: LA BICI

Il ritorno alla bicicletta: una “nuova” rivoluzione industriale?

di Massimo Preziuso

Sono ormai anni che il tema dell’ambiente e dell’inquinamento del Pianeta bussava alle nostre porte di cittadini.

Come al solito abbiamo fatto finta di nulla, dicendoci: “se la vedranno le prossime generazione!”

Ahinoi, o per fortuna, questo non sarà possibile, ed era immaginabile: il Problema del surriscaldamento globale impatta la vita di oggi, ed impatterà fortemente la nostra vita di anziani, adulti e giovani di domani!

Ogni giorno, a tutti i livelli, si parla di questo problema, un problema che poi può diventare i centro di una nuova Rivoluzione, la cosiddetta “Rivoluzione Ambientale”.

Tanti sono i temi che si incontrano (potenzialmente) nel Tema ambientale:

il Carbon Finance

– le Infrastrutture

– la mobilità

– l’inquinamento

il FUTURO, dunque.

Nei prossimi anni, obbligatoriamente, tutti noi dovremo cominciare a comportarci in maniera “ambientalista”.

Quello che anni fa sembrava un atteggiamento da snob diventerà per tutti un modus vivendi.

Vi parlo di un primo piccolo passo in avanti da cui cominciare: l’uso della bicicletta in città.

Voi direte: ma che centra? Io vi rispondo: da lì può passare la rivoluzione economica, sociale e politica a livello mondiale.

E’ degli ultimi giorni la nuova legge sulla ROTTAMAZIONE dei CICLOMOTORI  che, credo per la prima volta, prevede l’incentivo a comprare biciclette (e per questo va ringraziato il Ministro Pecoraro Scanio).
Bene, in maniera pratica, se tutti noi (io già l’ho fatto) invece di comprare ciclomotori (che inquinano, ci rendono incivili, arroganti, e ci fanno ingrassare!) comprassimo biciclette, daremmo un primo segnale alla politica e agli altri cittadini che vogliamo cambiare

Concludo dicendo che sarebbe ora di incentivare sempre più l’industria “verde” e finirla con gli incentivi all’automobile, che ormai si è visto riesce benissimo a fare da sola, se ha manager validi.
Che aspettiamo?

Rottamiamo i CICLOMOTORI, e compriamo BICICLETTE: ci cambieranno la vita!

PS: a giorni partirà un Gruppo di Lavoro nel Think Tank della Associazione per il Partito Democratico, che avrò l’onore e piacere di coordinare, che si chiamerà: “infrastrutture, mobilità, energia e ambiente”

Che dire: aspetto il contributo di MOLTI!

L’INTELLETTUALE CONTEMPORANEO

Intervista/colloquio con Amos Luzzatto
di LAURA TUSSI

Considerando la necessità di portare comunque nell’ambito della politica idee dettate dal sapere,  dalla cultura, da un pensiero positivo e costruttivo che finalmente prevalga sui ciarpami del mondo politico contemporaneo, vorrei rivolgerLe delle domande sul ruolo dell’intellettuale in questa congerie attuale, dove sembra smarrirsi il senso, non per forza ultimo, delle cose e della realtà: l’individuo è prigioniero della vacuità e della inanità delle sue azioni.
Argomenti di riflessione:
I concetti di libertà dell’uomo, della sua possibilità e l’importanza della domanda intorno al libero arbitrio potrebbero rievocare, in accezione moderna, “La ricerca di senso” e di significato della realtà da parte dell’individuo contemporaneo (Bruner). Quali sono i potenziali nessi tra questi argomenti?
Le occasioni per l’individuo contemporaneo di emancipazione, evoluzione, libertà da una condizione esistenziale o da un regime politico e di pensiero forte e radicato a livello di costume sono ricollegabili all’idea di salvezza sia in chiave escatologica che psicologica?
Partendo dal concetto di pensiero negativo (Schopenhauer), cosa significa “pensare” in un’epoca in cui la filosofia appare definitivamente specializzata in settori particolari?
I risvolti psicologici di tutti questi imprescindibili concetti possono costituire materia di approfondimento filosofico? Quanto filosofia e psicologia cooperano in vista della problematizzazione delle domande sostanziali e ultime che l’uomo si pone?
Come l’intellettuale militante contemporaneo, alla luce di queste considerazioni, deve porsi nell’agire politico?

LAURA TUSSI

Amos Luzzatto risponde complessivamente alle domande:

Comincerei dall’ultima domanda la quale mi offre la possibilità di distinguere fra due categorie di intellettuali: alla prima appartengono coloro che si dedicano allo studio e al ragionamento ma senza compromettersi con la società reale e con le forze che la governano. Una parte di loro lo fa per un banale opportunismo, ma molti altri perché pare loro che qualsiasi cosa che possa chiamarsi un ideale puro corra il rischio di venire corrotto dalla materialità e dagli interessi spietati delle contese di tutti i giorni. Ad esempio, si può tranquillamente parlare del pane, decantare il pane, persino suggerire la preparazione di un pane più profumato e croccante senza andare mai al mulino e sporcarsi con la farina.

Alla seconda categoria di intellettuali appartengono coloro che intendono correggere le storture della società reale. Questi possono essere definiti con l’aggettivo di impegnati, non ancora con quello di militanti. I militanti sono coloro i quali scelgono di appartenere a un preciso gruppo che intende agire per diffondere l’adesione a un modello di società desiderabile oltre a promuovere le azioni che dovrebbero conseguire questo obiettivo.
Il vantaggio dell’azione in gruppo consiste nella possibilità di diventare un nucleo di aggregazione, una forza effettiva nella società.
Di contro presenta lo svantaggio di costringere il singolo individuo a compromessi ideali, visto che una totale ed estesa condivisione di analisi, critiche e proposte è una chimera, tanto meno realizzabile quanto più consistente (e pertanto più forte) è il gruppo stesso.

Che cosa dovrebbe fare, dunque, l’intellettuale che è stretto fra i due corni di questo dilemma?
Temo che, così posta, la domanda resti senza una risposta utile.
E’ molto meglio cercare di rispondere a un’altra domanda: “Che cosa fa, che scelta opera di fatto, l’intellettuale di oggi, in questa società, con le forze che concretamente in essa operano?

Le forze che operano nelle nostre società sono di tre categorie principali: forze economiche e finanziarie, forze religiose, forze di contestazione.
L’elenco segue un ordine che vorrebbe rappresentare un gradiente di forze.

Le forze economiche e finanziarie che regolano i nostri bisogni di sopravvivenza possono essere divise in due categorie:
quelle che creano beni materiali o nuove forme organizzativa dalle quali deriva un benessere diffuso e dalle quali può derivare anche un utile a coloro che ne’assumono la progettazione e la gestione; le altre sono quelle che tendono a promuovere in primo luogo se stesse.  Naturalmente vi sono molte gradazioni intermedie.

Queste forze vanno assumendo i caratteri di una vera cultura che pervade i nostri sentimenti, le aspirazioni che noi crediamo nostre, in quanto sarebbero originali e spontanee ma che in realtà ci vengono indotte tanto da condizionare spesso persino i nostri sogni. A fronte di queste parlare di “libero” arbitrio, di salvezza e di emancipazione richiede un ammirevole atto di coraggio.
Da questo punto di vista le religioni che generalmente sono considerate sistemi non contradditori di fede trascendentale, si comportano come vere e proprie strutture sociali, capaci di esercitare un indiscutibile potere che, in quanto tale, può entrare in concorrenza o alternativamente in collaborazione con quelle economiche che abbiamo sopra descritto.

Gli stessi linguaggi che adoperano le forze economiche e quelle religiose possono avere elementi comuni quando scivolano dal riferimento ai problemi concreti, a concetti astratti, a “valori”, alla trascendenza. Ed allora, che si parli di libertà o che si parli di salvezza può comportare il medesimo effetto che è quello di evocare un senso di rispetto timoroso per qualcosa che sfugge ai nostri sensi, ma che proprio per questo promette molto, tanto più in quanto si colloca nella sfera di ciò che non si può verificare. Ne possono derivare clamorose contraddizioni che pervadono il mondo perlomeno degli ultimi due secoli.
Così ad esempio la deportazione di schiavi dalla pelle nera si concilia con la ricchezza del paese più libero al mondo. E così un ambizioso generale, responsabile della morte di intere generazioni giovani, può diventare un simbolo di gloria nazionale e di progresso: Napoleone.

“Occasioni di emancipazioni, libero arbitrio, libertà da un regime politico o di pensiero” sembrano caratterizzare sufficientemente le forze di contestazione. Esse non sono certamente solo formule vacue, ma obiettivi che, pur essendo sacrosanti, non possono essere però raggiunti usando i soli strumenti della conoscenza, della loro enunciazione, se disgiunti dalla capacità critica. E’ proprio questo il caso di Adamo ed Eva, i quali avevano imparato, grazie alla mela (e anche grazie al serpente!), che il bene e il male esistono. Ma poi, in assenza della capacità critica, ponevano il bene in una foglia di fico.

Che cosa possiamo conoscere? Che cosa dobbiamo fare? In che cosa possiamo sperare?

Queste tre domande kantiane restano ancor oggi di estrema attualità. Certo, possiamo cercare di conoscere quali siano le forme di potere nella società, spogliandole dei loro rivestimenti retorici.
Dobbiamo cercare di migliorare le condizioni umane, a cominciare da coloro che stanno peggio.
Infine, forse possiamo ancora sperare di arrestare la distruzione dell’ambiente, nel quale viviamo, quella distruzione che può tornare utile soltanto a pochi privilegiati, di arrestarla prima di assistere impotenti al declino irreversibile della nostra specie e, con esso,alla perdita del significato di tanti simboli che al giorno d’oggi parrebbero essere le sole cose che hanno senso.

L’ANTIPOLITICA

di Arianna Pani

Ed è alla luce dei nuovi e inquietanti scandali “tutti italiani” che riemerge sulla bocca di tutti i Parlamentari, la parola antipolitica.
E’ strano tuttavia osservare come l’argomento riesca a mettere d’accordo sia la destra che la sinistra, ma ancora più strano è ascoltare la diagnosi dal paziente malato piuttosto che dal medico.

L’antipolitica, intesa come l’atteggiamento di coloro che si oppongono alla politica come pratica di potere e quindi ai partiti e agli esponenti politici ritenuti dediti a interessi personali e non al bene comune è un idea piuttosto diffusa in Italia, a volte una giustificazione spesso e volentieri giustificata dal degrado delle nostre istituzioni.

Non c’è alcun dubbio, la politica italiana puzza di stantio e l’età media del nostro ceto politico è preoccupante, si pensi ad esempio che il neoeletto presidente della repubblica francese ha 52 anni, 16 in meno del nostro presidente del consiglio.
La politica italiana sta diventando una specie di gioco elettorale, dove l’unica cosa che ha importanza è il voto per il voto. Qualsiasi azione politica è perpetuata col fine di conquistare una maggiore porzione dell’elettorato e non per portare avanti un progetto lungimirante al base del quale si avverte un’ideologia forte (di qualsiasi genere essa sia).

Aristotele nelle “Politica” afferma che “il fine dell’uomo non è il vivere, mail vivere bene” ed è per questo che l’uomo in quanto essere socievole per natura si associa ad altri uomini e da vita alla polis, che non è solamente un agglomerato di case, ma qualcosa di ben più profondo. La politica è per l’appunto un qualcosa di ben più grande e nobile di quello che emerge dalle sedute in parlamento dove rappresentanti delle nostre istituzioni si permettono di occupare la Camera inveendo contro i ministri in carica, o da ciò che si evince dai programmi elettorali che assomigliano sempre di più ad un’accozzaglia di promesse incollate su un volantino volte a favorire, o meglio a non scontentare il maggior numero di elettori.

Antipolitica significa essere stanchi di dover andare a votare il candidato “meno peggio” oppure di leggere dell’ennesimo scandalo che coinvolge la nostra classe politica. Antipolitica significa non avere più intenzione di accettare i casi di presenza tra le alte sfere, di politici deliberatamente corrotti, che nonostante le varie condanne continuano ad occupare un sedile in Parlamento che non gli spetta. ”Il concetto di legalità si collega strettamente al rispetto delle istituzioni. In Parlamento siedono 25 parlamentari condannati in via definitiva. Tra di loro c’è anche uno che ha ucciso un agente di polizia penitenziaria ed ha fatto saltare un palazzo. Lo so perché ho seguito la vicenda da magistrato”. Lo ha detto l’ ex procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna.

Se fosse stato ancora vivo, Bobbio avrebbe detto che “la democrazia bisogna meritarsela o col darsene pensiero o tenendoci sopra le mani” ed è per questo che l’antipolitica non deve essere una scusante per giustificare le nostre negligenze nei confronti della società, bensì un atteggiamento di critica costruttiva volto alla trasformazione dello stato presente di cose, attraverso un duro percorso di rivalutazione e riscoperta dei valori della politica.

PUGLIA: DIRIGENTI CON DOTTORATO

L’ADI apprende che la Regione Puglia, nel concorso bandito per la copertura di complessivi 70 posizioni da dirigente, prevede tra i requisiti di ammissione, in alternativa all’anzianità di 5 anni di servizio, il solo possesso di “titolo di dottore di ricerca o altro titolo postuniversitario, riconducibile alle stesse aree culturali del diploma di laurea, conseguito al termine di corsi di durata almeno triennale, rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri e formalmente riconosciuto”.
Consideriamo questo atto della Regione Puglia, che recepisce appieno le indicazioni del decreto legislativo 387/98, un atto coraggioso e innovativo nella direzione del rilancio della Pubblica Amministrazione.
Pianificare l’ingresso alla dirigenza di personale esperto a fianco di soggetti che hanno recentemente conseguito il dottorato di ricerca, massimo titolo di studio rilasciato dall’Università Italiana, costituisce infatti da un lato un gesto di fiducia nei confronti delle competenze acquisite con la formazione alla ricerca, e dall’altro l’invito a tanti giovani formati alla ricerca a vedere nella Pubblica Amministrazione uno sbocco professionale promettente.
ADI riconosce alla Regione Puglia un primato in questa direzione, che si affianca all’altrettanto lodevole iniziativa dello scorso anno di destinare 39 milioni per la copertura di 800 borse di studio per i dottorandi senza borsa.
Dalla lettura del bando predisposto da codesta Regione abbiamo constatato che le due procedure di accesso alla dirigenza, presentate come alternative nell’art. 28 del vigente D.Lgs.165/2001, sono state coraggiosamente riunificate nello stesso bando di concorso. Come ADI esprimiamo pertanto la nostra soddisfazione nel vedere che la proposta da noi elaborata fin dai tempi dell’istituzione della commissione conoscitiva per la redazione dei decreti di attuazione delle “Leggi Bassanini” (D.M. 12/04/2000), e ancora ripresentata in data 8/11/2007 durante l’incontro tra il ministro Nicolais e la nostra associazione, è
stata ritenuta percorribile da un’importante Amministrazione Pubblica.
ADI chiede pertanto calorosamente al dott. Niki Vendola, in qualità di Presidente della Regione Puglia, di farsi promotore dello stesso spirito innovatore presso la Conferenza Stato-Regioni, impegnando i suoi colleghi presidenti ad adottare provvedimenti analoghi in tutte le Regioni.

ADI, Associazione dottorandi e Dottori di ricerca Italiani, 15 Giugno 2007

Per contatti:

Rosa Gini, Coordinatrice politiche ADI per il pubblico impiego
E-mail: rosa.gini@poste.it — Tel. 050 — 571119
Franca Moroni, Vicecoordinatrice politiche ADI per il pubblico impiego
E-mail: franca.moroni@gmail.com — Cell. 339 — 8907470

MA CI SEI O CI CE FAI

di Fernando Cancedda

“Ma ce sei o ce fai”? verrebbe da chiedere, alla romana, a più di un politico intervistato (si fa per dire) in tv, durante il quotidiano rosario di battute polemiche meglio definito come “panino”. Ma sì, è chiaro che “ce fanno”. A dir la verità, un po’ tutti, anche se nella corsa a chi la dice più grossa il campione assoluto resta sempre lui, Silvio Berlusconi. I giornalisti lo sanno e fanno di tutto per stuzzicarlo.

A chi poteva dare la colpa per la mancata visita a Trastevere del presidente americano? “E’ una cosa che mi addolora e la colpa è di questa sinistra antiamericana”. Insomma, responsabili di questo cambio di programma deciso all’ultimo momento dai servizi di sicurezza sarebbero i soliti Giordano e Diliberto, leaders di partiti al governo che manifestano contro la politica americana. “E’ una cosa inaccettabile, mi vergogno, torna l’Italietta”.

Sull’opportunità di quella manifestazione si può, e probabilmente si deve discutere, ma attribuire ad essa la mancata visita di Bush ai locali trasteverini della Comunità di Sant’Egidio a me pare francamente ridicolo. Abbiamo letto che a provocare quella decisione sarebbero state una simulazione al computer e un sopralluogo della CIA e dell’FBI a Trastevere (“Repubblica” del 9 giugno). Ma non ce n’era bisogno. Chiunque avesse assistito ai velocissimi passaggi del corteo presidenziale americano, non solo a Roma ma anche a Washington (a me è capitato) e avesse dato un’occhiata alle stradine vetuste del più popolare quartiere di Roma sarebbe rapidamente giunto alla medesima conclusione.

Allora perché Berlusconi “ce fa”? Semplice. Sa che nessuno riesce a “vendere ombrelli” meglio di lui. E soprattutto sa che ben difficilmente il giornalista che lo intervistava lo avrebbe smentito con la notizia delle difficoltà logistiche riscontrate dai servizi di sicurezza. Come è noto, nelle interviste dei telegiornali la replica è stata abolita da un pezzo.

“Ma ce sei o ce fai?”, veniva da chiedere anche a Piero Fassino quando, a “Ballarò”, ha provato a dare una spiegazione per la proposta di nomina a consigliere della Corte dei Conti al comandante della Guardia di Finanza, generale Speciale. Nel dibattito pubblico al Senato, non c’era stato oratore del centro destra che non avesse “inzuppato il pane” nella contraddizione tra quella proposta di nomina e le gravissime accuse formulate dal ministro dell’economia Padoa Schioppa all’indirizzo del generale. “E’ prassi che gli alti ufficiali e funzionari e magistrati concludano la carriera alla Corte dei Conti o al Consiglio di Stato”, ha detto Fassino.

Del resto, che altro poteva dire. L’Italia non è ancora un paese “normale”, come direbbe D’Alema. Si possono licenziare in tronco i giovani lavoratori precari o gli anziani in esubero, ma a chi è riuscito a salire ai vertici del potere statale – tanto più se avesse avuto a che fare con intercettatori e spie e segreti di stato – anche se fosse ritenuto colpevole di nefandezze, una poltrona o una sinecura o una superliquidazione non si può certo negare. Questa è la prassi, ci ha ricordato Fassino. Il quale, come venditore di ombrelli, non è mai stato un gran che. E nessuno ha applaudito.

AL VIA IL MERCATO ELETTRICO

da Repubblica

Mercato elettrico, via alla liberalizzazione – Da luglio si potrà scegliere l’operatore

ROMA – Via libera del consiglio dei ministri al decreto legge sulla liberalizzazione del mercato elettrico per i clienti residenziali. Ovvero le famiglie che dal primo luglio potranno scegliere da quale operatore rifornirsi.
In pratica tra due settimane sarà possibile cambiare fornitore di energia elettrica esattamente com’è possibile cambiare gestore telefonico. Con una semplice richiesta, anche on line, si riceverà a casa la nuova proposta di contratto e quindi si potrà comprare l’elettricità dal fornitore che offre condizioni migliori rispetto alle proprie esigenze. La partita si gioca sulle opzioni offerte dai gestori per risparmiare: tra le tariffe differenziate per fasce orarie, prezzo bloccato per due anni, buoni sconto sui carburanti o sconti in bolletta legati ai consumi. Il tutto, ovviamente, senza dover cambiare contatore, senza rischiare interruzioni nel servizio, e con la tutela delle attuali fasce sociali e delle tariffe differenziate per la prima casa. Anche in questa fase, infatti, i gestori devono rispettare i vincoli tariffari fissati dall’Autorità per l’energia che pone un tetto ai ricavi totali del distributore per tipologia di utenza e fissa un tetto al prezzo che può essere richiesto al singolo cliente.

Il decreto approvato oggi prevede in particolare “misure di tutela per fare in modo che chi vuole muoversi verso nuove offerte, possa farlo subito senza incorrere nel rischio di aumenti ingiustificati dei prezzi”.

Per le forniture ai clienti domestici elettrici che cambiano fornitore e per i clienti domestici del gas, “l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg) indicherà condizioni standard di erogazione e prezzi di riferimento nelle forniture di energia elettrica e del gas”. Per i clienti domestici e per le piccole e medie imprese che non scelgono un nuovo fornitore sul mercato libero, si prevede che possano “continuare a beneficiare delle attuali condizioni del servizio e, quindi, delle economie di scala derivanti dall’approvvigionamento tramite Acquirente Unico”.

Sono fatti salvi i poteri di vigilanza e di intervento ex post dell’Authority “a tutela dei diritti degli utenti, anche nei casi di verificati e ingiustificati aumento dei prezzi e alterazioni delle condizioni del servizio per i clienti che non hanno ancora esercitato il diritto di scelta”.

Agli altri clienti non domestici che non scelgono un nuovo fornitore di energia elettrica e a chi transitoriamente dovesse rimanere senza fornitore “è assicurato il servizio di salvaguardia, a tutela della continuità della fornitura”. Questo servizio, si precisa nel Dl, “sarà temporaneamente svolto dalle imprese di distribuzione o dalle loro società di vendita, ma al più presto il ministero dello Sviluppo economico individuerà i fornitori attraverso procedure concorsuali. I criteri di organizzazione del nuovo servizio saranno tali da incentivare le imprese a rientrare nel mercato in poco tempo, utilizzando, quindi la salvaguardia solo come servizio temporaneo”.

BLAIR E LA BELVA SELVAGGIA

di Fernando Cancedda

Dal “Manchester Guardian” il commento più appropriato: “Il sermone è giusto ma è sbagliato il predicatore”. Il sermone è quello pronunciato martedì 12 giugno dal primo ministro britannico Tony Blair al Reuters Building di Londra sul tema: “Stampa e politica”. (Il quotidiano “la Repubblica” lo ha pubblicato integralmente il giorno dopo col titolo “La stampa è una belva selvaggia”).

Blair dice subito di non prendersela con la stampa ma “con il modo col quale si parla di politica”. Costretti da una concorrenza sempre più serrata, i giornali hanno posto il sensazionalismo al di sopra di tutto fino a stravolgere la realtà. Una critica, osservo io, tutt’altro che nuova, anche se – come dice Blair – raramente è manifestata dai leaders politici, per lo più obbiettivamente complici di questo stato di cose. “Gli scandali e i contrasti di opinione – spiega – sbaragliano i normali reportage, le notizie di rado sono notizie, a meno che non provochino scalpore e attirino i riflettori”. E poiché i cattivi comportamenti hanno molto impatto sul pubblico, ecco che i media odierni “sono come una belva selvaggia, che fa a brandelli le persone e la loro reputazione”.

Insomma, secondo Blair, anche la tanto celebrata virtù del giornalismo anglosassone, prima la notizia poi il commento, è un ricordo d’altri tempi. Il commento vale quanto la notizia, se non di più. “Nelle interpretazioni ciò che conta non è tanto quello che i politici volevano dire, bensì ciò che hanno detto può significare, anche quando è abbastanza evidente che si tratta di un’interpretazione errata”:

Ma da che pulpito viene la predica, rispondono in coro i quotidiani britannici, dal “Financial Times” al “Guardian”, dal “Telegraph” al “Times”, dal “Sun” al “Mail” e agli altri tabloid popolari. E’ stato proprio Blair – accusano – a guidare una campagna sistematica di manipolazione politica dei media. Lo stesso primo ministro aveva ammesso nel suo discorso di avere avuto qualche responsabilità in questo senso. Ma se “il predicatore è sbagliato”, il sermone è giusto. Il problema è come uscire da quello che è considerato un fenomeno globale.

Secondo Blair non è vero che un’inversione di tendenza farebbe crollare le vendite. “Vi è un mercato per per chi fornisce notizie serie ed equilibrate. Vi è un desiderio di imparzialità…i media possono scegliere di fare ciò, invece che vederselo imporre dal governo”. Alternativa, quest’ultima, che potrebbe destare qualche preoccupazione, se a dissolverla non avesse provveduto lo stesso premier uscente escludendo intenzioni al riguardo.

Quel che è certo – ripeto ora una mia opinione qui espressa altre volte – è che i media non lo faranno finché il pubblico dei lettori, contraddicendosi, continuerà a dimostrare contemporaneamente ricerca del sensazionalismo e sfiducia nei giornalisti che lo praticano. A meno che la dignità e l’autodisciplina di chi intende l’informazione come servizio pubblico e non soltanto come merce abbiano finalmente la meglio sulle tendenze involutive del mercato. Ma è un’ipotesi su cui è difficile contare se perfino Bill Emmott, ex direttore del settimanale “The economist”, intervistato dichiara: “solo i lettori, ossia il mercato, possono decidere come devono essere fatti i giornali ed eventualmente punire l’ondata di sensazionalismo, premiando il giornalismo informato, serio, obbiettivo”. Pensa che questo succederà? domanda l’intervistatore. “No, purtroppo penso che non succederà” è la risposta. Quando i media che formano l’opinione pubblica inseguono solo i gusti del pubblico, la sua è una facile previsione. Ma questo è il mercato, bellezza.

5 REGOLE PER UN NUOVO PARTITO

di Francesco Grillo

Cinque regole per formare un nuovo partito (o per “fare entrare il futuro” in uno di quelli vecchi)

Sembra ormai evidente. La separazione tra politica e società non è mai stata così definitiva. Nel nord ad essere a “rischio di estinzione” (come ha efficacemente argomentato qualche padano) non è solo il centro sinistra, ma l’idea stessa che qualcuno da Roma abbia la legittimità di governare. E la questione del Nord è solo la più evidente di altri problemi che stanno uno dentro l’altro.

Sparisce la politica dalle regioni più produttive, ma sparisce anche, più in generale, tra i segmenti più evoluti. Un’analisi più fine dei risultati dice infatti che l’astensione e l’indifferenza, se non l’ostilità, appaiono correlate all’aumento del reddito e del livello di istruzione. E al diminuire dell’età.

La questione esplode al Nord dove appunto reddito, volontà di intraprendere, mobilità sono, comunque, superiori. Insomma, questo è un Paese che si sta staccando dalle proprie élite, e a costituire lo zoccolo neppure tanto duro della legittimazione di un sistema di potere rischiano di rimanere le fasce di popolazione meno dinamiche, più bisognose di protezione.

Antipolitica: non solo perché aumenta l’astensione, e chi governa viene regolarmente bastonato (come osserva il segretario dei DS). Ma anche perché ad affermarsi non è semplicemente l’opposizione. Ma tutto ciò che è più radicalmente contro. La Lega appunto, che pure pensavamo avesse esaurito il proprio ciclo. E dove vince il Centro Sinistra, vince spesso con la sua parte più radicale.

Insomma, quello che diventa davvero minoritario è l’ambito al quale avremmo naturalmente dovuto guardare: l’area di un riformismo spiazzato dalla propria incapacità di produrre riforme, cambiamenti credibili.

Esiste, è ovvio, uno spazio per un prodotto politico nuovo. Che abbia il coraggio di proporre riforme radicali, che sappia guidare una modernizzazione che non arriva, che proponga un rinnovamento forte di persone e contenuti. Ed è una partita che ci riguarda immediatamente, la cui leadership può solo essere in mano ad un segmento di persone tendenzialmente giovani, mobili, che vivono delle proprie competenze: un segmento che è incapace di proporsi. Per colpa dei vecchi, dicono molti. Per colpa nostra ribadiscono non a torto alcuni degli incumbents. Non è certamente questione di colpe, e tuttavia si può provare a capire a cosa dobbiamo definitivamente rinunciare, cosa immediatamente dobbiamo fare per acquisire leadership.

Dobbiamo evitare di continuare a farneticare che abbiamo diritto al potere perché siamo giovani. La questione generazionale è in sé, e nonostante il fatto che sia ragione stessa dell’esistenza di Vision, una trappola. Non possiamo immaginare di poter acquisire responsabilità di governo solo perché giovani. E non possiamo fare il sindacato di quelli che hanno meno di quaranta anni. Non ha senso. Non ha senso politico perché voler rappresentare i giovani tout court significa cadere nella micidiale trappola – appunto – di doversi mettere a rappresentare una generazione che al proprio interno ha, come qualcuno dice scherzosamente, “un terzo di figli di mamma, un terzo di figli di papà e un terzo di persone normali”.
Ma abbiamo anche un ’altra sindrome, ancora peggiore: quella dei “bravi ragazzi”. Educati, troppo educati per pretendere come avremmo dovuto quello che è naturale in qualsiasi società che voglia sopravvivere a sé stessa: il rinnovo del patrimonio di idee, di persone senza il quale una comunità incartapecorisce, muore. Bravi ragazzi, contenti di aspettare e, tutt’al più, di essere ascoltati. Ed invece la questione è adesso quella della sfida per la leadership. Una sfida da giocare tutta sul piano della capacità di leggere, di governare una società complessa.

La battaglia va interamente giocata sulla conoscenza. È su questo terreno che si può lanciare una sfida alla quale nessuno potrà davvero sottrarsi, sul quale sollevare la vera questione morale di questo Paese. Più grande di quella che si avverte quando si leggono i testi delle intercettazioni telefoniche. La questione morale di una classe dirigente della politica che, nel 2007, mentre il mondo celebra l’innovazione come unico fattore competitivo, continua a preferire – persino nelle sue componenti (anagraficamente) giovani – la fedeltà, la mancanza di rischio, l’inerzia alla ricerca della conoscenza.

E tuttavia non bastano le competenze. Non basta essere competenti. È molto più importante il talento, che è cosa completamente diversa. Le competenze possono essere sufficienti per una carriera in una banca d’affari, non per comunicare, coinvolgere. Perché le competenze riflettono strumenti che non sono più adeguati e non possono essere sufficienti per cominciare a costruire un’ideologia, una visione del mondo. Ed una visione nuova è necessaria, se la sfida vera è capire come la rivoluzione tecnologica che ha abbattuto i costi di accesso, elaborazione e trasmissione delle informazioni sta cambiando strutture e infrastrutture di una società che non è più quella industriale.
Se poi è così, se la sfida è quella di trovare una visione (ed è così a meno che non siamo interessati ad un’altra azione di comunicazione che dura una sola stagione) bisogna superare anche la vicenda italiana. Ormai non solo il cambiamento climatico o la questione dell’energia, ma anche questioni meno eclatanti come la tutela del risparmio o la protezione della privacy hanno senso solo se affrontati su scala globale. Hanno senso solo su scala globale perché è solo a livello internazionale che si può provare a costruire una soluzione. A meno che non siamo invece solo interessati a far finta di voler cambiare il mondo e siamo quindi rassegnati ad assomigliare a quelli che vogliamo sostituire. E quindi per un nuovo soggetto politico è indispensabile costruire reti con movimenti, think tank di altri paesi europei. Reti internazionali quelle che del resto, storicamente, si sono create ogni qual volta si è trattato di rinnovare il modo di governare paesi e rivoluzioni.

Per riuscire è indispensabile essere gruppo, magari semplicemente lobby, forse però bisognerebbe riconoscersi come classe o come élite. Classe che è termine marxiano (come ideologia), e tuttavia il concetto è ancora valido seppure sarà da re inventare completamente. Classe o almeno gruppo, perché condividiamo una condizione sociale, economica, politica: l’attitudine a vivere, a governare – almeno a livello individuale – una grande modernizzazione ed una quasi totale insignificanza politica. In qualsiasi caso se continuiamo ad essere individui, se non troveremo la forza di sconfiggere questa solitudine che segna la nostra generazione, non andremo da nessuna parte.

Infine, ed è forse la cosa più difficile, per costruire qualcosa che sia completamente nuovo sarà necessario fare leva su almeno una cosa che esiste già . Lo dimostra la storia del New Labour. O quella di Sarkozy. Non si può costruire una nuova prospettiva fuori o contro ciò che già c’è. E tuttavia la trasformazione da innescare è profonda. E per questo motivo che non necessariamente piacevole, ma importante, è l’occasione del Partito Democratico. O comunque uno degli altri veicoli di innovazione, forse persino un po’ disperata, che una politica in fortissima crisi di strategia continua a proporre.

ARRIVANO GIOVANI E DONNE

di Massimo Preziuso

In questi ultimi mesi, leggo molti quotidiani, seguo molti telegiornali, e leggo molto online.

Voi direte: e quindi?

Bene, in poco più di un anno, in questo Paese siamo passati da un Governo di Centro Destra che nemmeno parlava di Giovani e di Donne (almeno che io ricordi) all’attuale governo che, grazie all’occasione storica del costituendo PD, ne parla ogni giorno di più, e inizia (lentamente) ad essere fattivo a riguardo.

Allora, mi dico: ma vuoi vedere che questo è davvero UN momento storico per l’Italia?

Vuoi vedere che si sta automaticamente creando un cambiamento politico e sociale, a seguito della classica realizzazione di “Massa Critica” di Inputs informativi sulle problematiche delle Donne e delle nuove generazioni?

Io credo di sì.

Nemmeno un anno fa, come Innovatori Europei, siamo nati proprio così (come Giovani e Donne) e abbiamo lavorato molto per indicare nell’assenza di Giovani e Donne il vero problema del nostro Paese.

In un anno sembra che tutto il Paese si sia accorto di questo: non voglio dire che Innovatori Europei abbia fatto da apripista, ma in sincerità siamo stati tra i primi a muoverci attivamente in questa direzione (anche grazie alla possibilità che APD ci ha dato nella fase di realizzazione dei Gruppi Giovani).

Per concludere: a mio avviso, se questa massa critica esiste, e se tutti noi continueremo a partecipare fino ad Ottobre (anzi forse fino alla nascita del PD), davvero grandi novità sociali potranno arrivare.
Non parlo di semplici quote nello scenario politico, parlo invece di una ritrovata voglia di criticare e partecipare che, grazie a tanti di noi, e al supporto dei Media, sta tornando tra la gente.

Questo è il mio pensiero: continuiamo così, criticando e partecipando!

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