Significativamente Oltre

Boschi

La leadership dell’Unione Europea nelle politiche climatiche

di Massimo Preziuso

Le analisi del World Energy Outlook sono sempre di notevole interesse.

L’ultima dal titolo “RedrawingEnergyClimateMap racconta, tra le pagine, qualcosa di molto importante per l’Europa, che va messo in evidenza.

Il documento in realtà si concentra su alcuni punti chiave:

1)      L’inefficacia delle politiche ambientali globali a tenere la direzione obiettivo dell’innalzamento di “soli” 2°C coincidente con le 450 ppm di CO2.

Ad oggi, la temperatura media del pianeta ha già superato lo +0.75% e, nello scenario as is, la tendenza è verso un innalzamento medio, rispetto al periodo pre-industriale, tra i 3.6 – 5.3°C.

Per evitare tutto questo, ed avere una chance sostanziale di raggiungere l’obiettivo dei 2°C, è richiesta un’intensa azione politica entro il 2020 – anno in cui il nuovo trattato internazionale dovrebbe essere in campo.

In tutto questo il settore energetico è baricentrico, in quanto “produce” i 2/3 delle emissioni nocive totali.

2)      Il contestuale aumento delle emissioni di CO2 legate al settore energetico (+1.4% nel 2012 a 31.6 Gt.)

All’aumentare delle emissioni globali si associa una spinta redistribuzione dei pesi emissivi tra paesi non OECD (che passano dal 45% al 60% del totale dal 2000 ad oggi) e OECD (dal 60% al 40% del totale).

Andando nel dettaglio troviamo:

a)      La Cina che aumenta del 3.8% (300 Mt) le proprie emissioni, ma con un tasso di crescita dimezzato rispetto al 2011, ed oggi emette il 25% della CO2 globale. In più l’intensità energetica dell’economia cinese cresce (3.8% nel 2012) in linea con la programmazione quinquennale (12th Plan), indicando enormi progressi nella diversificazione “green” dell’economia e nell’efficienza energetica.

b)      Gli USA che diminuiscono – fondamentalmente grazie ad uno switch spinto da carbone a gas (sulla spinta del nuovo mercato interno del “non convenzionale”) nella produzione elettrica – le emissioni del 3.8% arrivando ad una quota globale del 16%

c)       L’Unione Europea che continua lentamente a diminuire il proprio stock di emissioni (-1.4% con una quota di circa il 12% sul totale) a causa di una severa crisi economica che abbassa i consumi di energia elettrica (-0.3%), nonostante l’aumento di consumo di carbone (importato dagli USA principalmente) nella produzione elettrica, derivante dal crollo del prezzo dei certificati di emissione (per effetto di over supply di EU ETS, di cui abbiamo scritto qualche settimana fa).

L’inefficacia del carbon market europeo è evidente nel calo di solo 0.6% delle emissioni nei settori regolati contro un più importante calo del 5-8% nei settori industriali “liberi” come quello del cemento, del vetro e dell’acciaio.

3)      La proposta di 4 misure di policy – le “4-for-2°C Scenario” – per un rapido abbassamento delle emissioni

Tali azioni, che si basano su tecnologie esistenti, sono già state testate in alcuni paesi e non alterano la crescita economica, hanno un potenziale di riduzione di emissioni di circa 3 Gt al 2020:

a)      Adottare specifiche misure di efficienza energetica (circa il 49% del totale di riduzione)

b)      Stop alla costruzione di impianti a carbone ed utilizzo limitato di quelli esistenti meno efficienti (21% di riduzioni)

c)       Minimizzare le emissioni di metano derivanti dall’oil upstream e dalla produzione di gas (18% di riduzioni)

d)      Accelerare la riduzione dei sussidi alla produzione di fonti fossili per ridurre emissioni e accelerare politiche di efficienza energetica

4)      La necessità di politiche di adattamento agli effetti del cambiamento climatico che comunque ci saranno.

In particolare:

Il settore pubblico disegni nuovi quadri regolatori che incoraggiano un prudente adattamento del privato, che invece dovrebbe da subito inserire i rischi e gli impatti associati nelle sue decisioni di investimento

5)      L’opportunità di anticipare le politiche climatiche per farne una sorgente di vantaggio competitivo

Ed è proprio su questo che vale la pena concentrarsi e soffermarsi.

In particolare su un grafico presente nello studio, che merita l’attenzione di tutti, cittadini e istituzioni:

Esso sintetizza in un solo luogo gli avanzamenti delle politiche climatiche nei principali paesi del mondo, riferendosi al settore energetico (che è perfetta proxy per un confronto tra sistemi economici e politici), mettendo a confronto i principali attori economici mondiali sulle tre dimensioni di:

–          emissioni di CO2 per capita (tonnes per capita)

–          intensità emissiva di CO2 delle economie (tonnes per thousand dollars of GDP)

–          emissioni totali nei singoli paesi

 

Ebbene, da una rapida analisi del grafico risalta all’occhio la centralità dell’Unione Europea nelle politiche ambientali dal 1990 al 2012.

Tutte le altre economie infatti hanno “guardato” alla UE come punto di riferimento nelle traiettorie di sviluppo delle proprie economie.

Questo lo si vede dalla direzione (delle frecce) delle politiche ambientali dei singoli paesi indicati nello studio.

E allora mai come in questa immagine risulta chiara la direzione unica possibile delle politiche industriali, economiche e culturali del vecchio continente: quella che continua un tracciato pluridecennale di leadership nella sostenibilità ambientale (e non solo) dello sviluppo.

Ebbene, si parta da questa constatazione per (continuare a) disegnare il futuro del continente, senza aspettare – come dice il documento analizzato – il 2020, quando sarà tardi per tutto.

Pd/ Sabato a Roma l’iniziativa ‘Riprendiamoci il Pd’. Gli Innovatori Europei co-organizzatori

Assemblea pubblica al Nazareno ‘per un centrosinistra che vince’

“Ripartire con franchezza da ciò che è andato storto, per voltare pagina tutti insieme e preparare, a partire dal Congresso, un futuro vincente per il Partito democratico e per tutto il centrosinistra”.

È questo lo scopo di ‘Insieme Riprendiamoci il Pd’, assemblea pubblica di incontro e di ascolto, che è stata convocata da Insieme per il PD presso la sede nazionale del Partito (22 giugno, dalle 10 e 30 alle 16 e 15) per dare un impulso del tutto nuovo alla formazione politica

“C’è la consapevolezza – è scritto nell’invito- che le vicende degli ultimi mesi (in particolare ciò che ha preceduto le elezioni e il caso del Presidente della Repubblica, dalla proposta di Marini alla clamorosa bocciatura di Romano Prodi, “padre fondatore” del Pd) hanno creato disagio, malessere e molta delusione tra gli iscritti e gli elettori democratici, aumentando drammaticamente la distanza tra i vertici nazionali e la base”.

Hanno aderito e sostengono iniziativa alcune delle realtà di base più rilevanti: Oltre a Insieme per il Pd, FutureDem, OccupyPD Roma, Open PD Adesso!, Innovatori Europei, END,-Adesso Donne 3.0. BigBang NetDem.

All’evento interverranno esponenti di molte di queste realtà (hanno confermato, la loro presenza oltre a Giuseppe Rotondo per Insieme per il PD, Giulio del Balzo per FutureDem, Patrizia Cini per OccupyPd, Carlo d’Aloisio Mayo per Open PD, Adesso!, Massimo Preziuso per Innovatori Europei, Alessandro Camiz, per END, Luigi Montano per Big Bang NetDem), ma si sono registrati da tutta Italia per partecipare e prenotare intervento, che dovrà durare al massimo 3 minuti.

Interverranno Sandro Gozi, Michela Marzano, Sandra Zampa, Stefano Boeri. Aderiscono all’iniziativa Pippo Civati, Gianni Pittella, Laura Puppato, Walter Tocci, Patrizia Prestipino e Gennaro Migliore (SEL); parteciperà anche Mario Staderini di Radicali Italiani.

“Gli organizzatori dell’evento — spiega il coordinatore nazionale di insieme per il PD, Giuseppe Rotondo — sono convinti che occorra una nuova fase costituente del Pd e che questa debba passare per il Congresso, come tappa di un cambiamento reale e inizio di una fase politica che rompa con quanto è avvenuto finora e sia un riferimento per l’intero centrosinistra. Ci si può riuscire partendo dalle difficoltà (dalla mancata attuazione dello Statuto del PD), dai malesseri che devono trovare una risposta e dalle idee che possono permettere di costruire un partito e un centrosinistra in grado di proporsi agli elettori e vincere.

L’Assemblea “INSIEME riPRENDIAMOci il PD” vuole rappresentare la prima testimonianza concreta di espressione partecipata ed aperta, capace di far incontrare e mettere a confronto le diverse e preziose risorse umane, spontaneamente organizzate nel territorio e/o nella rete – costituite da iscritti, da amministratori locali, da militanti, da simpatizzanti, da elettori, da ex elettori, da potenziali elettori – che comunque si muovono, o potranno esserne attratte, intorno all’arcipelago “democratico”.

Le tecnologie del futuro e le città intelligenti

di Massimo Preziuso

Nei giorni scorsi McKinsey ha pubblicato un interessante report dal titolo “Disruptive technologies: Advances that will transform life, business, and the global economy”. Il documento descrive le 12 tecnologie a maggiore impatto potenziale sull’economia mondiale nel 2025, selezionate in un campione di più di 100 potenziali.

Tabella: Stima del potenziale impatto economico delle nuove tecnologie nel 2025 (in migliaia di miliardi di dollari)

Tabella

Fonte McKinsey (Maggio 2013)

Secondo McKinsey la rivoluzione tecnologica in corso da qui al 2025 sarà fortemente centrata sul “digitale” che permetterà – tra le altre cose – di creare business tramite “l’internet mobile” e la analisi dei “big data”, di automatizzare enormi volumi di lavoro manuale ed intellettuale tramite “robot”, di virtualizzare processi reali spostandoli dall’hardware alla “nuvola internet”, di portare la fabbrica in ogni casa con la “stampa 3D” e di connettere “internet” agli “oggetti” trasformandoli in fornitori di servizi.

La tecnologia digitale sta portando inoltre enormi innovazioni nel campo della genomica, con conseguenze potenzialmente illimitate sulla salute e la longevità degli individui.

Queste innovazioni tecnologiche renderanno obsolete grandi parti dell’industria tradizionale e larghe fette di lavoro manuale ed intellettuale, mentre creeranno nuovi business e nuovi lavori, altamente specializzati.

Il trasferimento di enormi potenze di calcolo nella “nuvola”, messe in rete con la pervasività del “mobile internet”, l’intelligenza presente negli oggetti, la presenza di aziende altamente automatizzate  la diffusione di auto a guida automatica, alimentate da potenti “batterie” e da fonti rinnovabili, renderanno la città un ambiente dotato di elevata densità di informazioni, know – how, qualità della vita e creatività. In cui il lavoro si svolgerà in luoghi diversi e in modalità nuove e flessibili.

Un esempio viene dagli Stati Uniti, dove l’effetto dirompente del movimento dei makers è stato riconosciuto dal visionario presidente Barack Obama, che ha annunciato un piano di 3 miliardi di dollari per la creazione di istituti per l’innovazione, i FabLab nati al MIT dal lavoro di Neil Gershenfeld. Laboratori digitali e tecnologici “low cost” in cui si progettano e già si realizzano nuovi modelli di produzione manifatturiera. Dotati di competenze iper specialistiche messe in rete grazie al digitale, saranno questi i luoghi che porteranno alla nascita delle cosiddette “micro – multinationals” (“Race against the machine”, 2011), aziende a struttura operativa micro ma dotate di mercati di riferimento e fatturati di una multinazionale.

Il futuro vive già oggi nelle città intelligenti. Ma per trarne vantaggi netti, esso va compreso prima che arrivi. Soprattutto in paesi come l’Italia, dotati per storia di intelligenza e imprenditoria diffusa, che va finalmente messa a sistema. Grazie alle tecnologie dirompenti.

Che il PD apra il congresso al “popolo delle primarie”

Il montismo come pensiero debole del Pdpubblicato anche su L’Unità

Nelle scorse settimane si è discusso molto sulla presidenza della repubblica e sul tipo di governo possibile (o meno)  per il Paese, visti i risultati elettorali.

Ma sembra passato in secondo piano il fatto che in autunno si terrà il congresso del Partito Democratico.

Un congresso storico per il futuro del partito e del Paese.

Si parla soprattutto poco della necessità che ad esso partecipi tutto il Popolo delle Primarie, e non solo quello dei “pochi” tesserati.

Questo è a nostro avviso un tema cruciale.

Comprensibile che vi siano parti del PD che vogliano chiudersi nel recinto del partito per provare a conservare equilibri di forza sedimentati, anche se ormai non produttivi ed inefficaci.

Ma con questa scelta si cancellerebbe nei fatti il percorso di innovazione politica fatto negli anni passati e, in particolare, nell’ultimo anno. Quello che porta a un partito aperto, permeabile alla società civile.

Noi crediamo non sia proprio il caso di vanificare il lavoro fatto per un “nuovo” PD, aperto a contributi esterni, con le primarie per la leadership e per la scelta dei parlamentari.

Noi invece crediamo si debba andare oltre. Verso un Partito ancora più aperto alla cittadinanza diffusa, quella senza tessere né appartenenze. E crediamo che la base vada maggiormente coinvolta sulle scelte programmatiche e politiche, e non solo quando si tratta di votare la leadership.

E’ giusto allora che gli “innovatori” che vogliono un congresso aperto che avvii un ridisegno e una ricostruzione seria e sostenibile del Partito Democratico si uniscano e chiedano ad alta voce una discussione e un cambiamento in tal senso.

Cambiamento necessario se non si vuole vedere il PD scendere a livelli di consenso elettorale che lo porterebbero ad uscire dalla scena principale. 

Questo il nostro auspicio.

Massimo Preziuso

Paolo Sinigaglia

Antonio Diomede

Francesca Dionisi

Valeria Dionisi

Per firmare o per informazioni: infoinnovatorieuropei@gmail.com

Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per la Green Economy and Society in Italia (4 anni dopo)

Sono passati quasi 4 anni, la situazione economica e politica si è ulteriormente deteriorata. Ma il tema dello sviluppo sostenibile è oggi più attuale. La nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile ha fatto parte degli 8 punti della proposta politica di governo di Pierluigi Bersani. Un eventuale governo guidato da Enrico Letta dovrebbe farla sua. Lanciando un super ministero, il MISS, che ponga il tema della sostenibilità quale motore della rinascita culturale, economica ed industriale italiana. Riporto la proposta che feci nel 2009 nel dibattito congressuale del PD.

di Massimo Preziuso

svilupposostenibile

Se si vuole essere protagonisti nella nuova epoca della Sostenibilità, questo è il tempo delle grandi innovazioni, soprattutto in Italia.

Tante sono le cose da fare, nel settore pubblico ed in quello privato, nei mondi della scuola, della ricerca, dell’industria, dei media, della finanza ed altri ancora.

Ma la prima cosa di cui un Paese come il nostro ha bisogno oggi è la nascita di una struttura di Governo che attui e coordini tutto il complesso di “politiche pubbliche” necessarie all’avvio di un percorso che ci porti ad una Green Economy and Society.

Una soluzione in tal senso è la nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (MISS), che accorpi in sé il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).

In tal modo, il MISS si doterebbe della forte capacità di impatto sul mondo industriale dell’attuale MSE (che è l’amministrazione di riferimento per i settori portanti dell’economia italiana) e dell’esperienza e competenza in tema ambientale del MATTM (che è l’amministrazione preposta all’attuazione della politica ambientale), migliorando efficacia e efficienza della spesa pubblica.

Il Ministero per lo Sviluppo Sostenibile diverrebbe così, insieme al Ministero dell’Economia, il motore delle politiche di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni in Italia.

Una proposta come questa, oggi, è chiaramente una provocazione, ma un Paese moderno, perché possa cambiare davvero, ha il dovere di discutere anche di provocazioni.

Enrico Letta premier. Un bel goal, all’ultimo minuto, per il PD

Sembra che Enrico Letta sarà il nuovo Presidente del Consiglio.
Enrico è persona seria, preparata e fortemente europeista.
E nei fatti la continuazione – evoluzione politica di Romano Prodi e Pierluigi Bersani.
Con lui il Paese potrà ritrovare centralità nel dibattito di Brussels.
Soprattutto se porterà con sé al governo competenze di livello riconosciuto.
Poche ore e tutto si saprà.
In bocca al lupo da tutti noi.
 
Massimo Preziuso

Seminario: Opportunità per le imprese innovative europee negli USA

Innovatori-Europei-def

OPPORTUNITA’ PER LE IMPRESE INNOVATIVE EUROPEE NEGLI USA

27 marzo 2013, Roma – ore 10.30 – 13.00

Ufficio di Rappresentanza del Parlamento europeo a Roma

Via IV Novembre 149, Roma – Sala delle Bandiere

PROGRAMMA

10.30 – INTRO

Massimo Preziuso, Innovatori Europei: Le attività del nostro Think Tank per lo sviluppo europeo”

10.45 – INTERVENTI

Ing. Paolo Marenco, Direttore AIZOON, Silicon valley Study Tour, Rappresentante in Italia di Silicon Valley Italian Executive Council: “Fare impresa innovativa con gli USA: il bridge tra Italia e Silicon Valley”

Avv. Marco Rossi, avvocato internazionale, managing partner di Marco Q Rossi & Associati PLLC, studio legale e fiscale internazionale Italia-USA: Sbarcare negli USA: pratiche legali, societarie e fiscali”

Avv. Mark Santo, socio, Marco Q. Rossi & Associati, studio legale e fiscale internazionale Italia-USA: Accesso ai mercati di capitali e modalità di finanziamento di start up innovative negli USA”

Prof. Carlo Alberto Pratesi, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla facoltà di Economia dell’Università Roma Tre, fondatore di InnovAction Lab: “Come nascono le idee di business: l’esperienza di InnovAction Lab”

 Altri interventi

12.00 – DIBATTITO APERTO CON I PRESENTI

Quali sinergie tra creatività e finanza di rischio per fare impresa innovativa?”

Con Massimo Preziuso, Paolo Marenco, Marco Rossi, Mark Santo, Carlo Alberto Pratesi, Luisa Pezone, Ruggero Arico, Salvatore Viglia, Susi Billingsley, Mario Sforza, Giuseppe Spanto e altri.

Modera: Giuseppina Bonaviri, Innovatori Europei

Evento su Facebook: https://www.facebook.com/events/153459321484420/

Per informazioni: infoinnovatorieuropei@gmail.com o eprincipato@lawrossi.com

 

Taranto Sostenibile

di Massimo Daniele Sapienza – Innovatori Europei

(con questo contributo, presentato alla assemblea di IE di febbraio scorso, diamo il via alla nostra riflessione su “Taranto Sostenibile”)

Vorrei affrontare una delle questioni chiave e più calde del dibattito ambientalista italiano non con una prospettiva locale ma inquadrando il caso Taranto nel suo contesto più generale globale e storico. 
Taranto può essere vista come la madre di moltissime battaglie ambientaliste perché rappresenta molto bene lo scontro fra due diverse e antitetiche concezione della storia: innovazione contro conservazione.
Per cercare di spiegare meglio si può dare un’occhiata ai numeri: il mercato mondiale dell’acciaio è cresciuto triplicandosi dal 1995 al 2012 con un tasso medio di crescita pari a circa il 4,5% all’anno. 
Questa crescita però non è stata omogenea su tutti i mercati, ma anzi al contrario abbiamo assistito ad una fortissima migrazione delle produzioni verso i mercati asiatici e in particolare quello cinese. L’acciaio con tutti i suoi costi ambientali e sociali tende a spostarsi dai paesi ricchi a quelli in corso di accelerato sviluppo anche perché in quei paesi è maggiore la domanda per evidenti ragioni: espansione del settore infrastrutture e manifatturiero in primis.
Se guardiamo all’Unione Europea notiamo che la produzione in Europa è scesa per circa il 3% all’anno mediamente. Anche il dato dell’Unione Europea, come quello del mercato globale, va letto in una prospettiva duale: da un lato Germania e Italia, che hanno un modello di sviluppo basato su settori tradizionali e, in particolare per l’Italia, sulla produzione di macchinari, hanno cercato di tenere le proprie quote di produzione (Germania -0,1% e Italia -0,3% all’anno fra il 2005 e il 2011); dall’altro paesi che hanno diversa vocazione industriale e che stanno abbandonando velocemente la produzione di acciaio (Gran Bretagna -5%, Francia -4% e Spagna -3,5% all’anno fra il 2005 e il 2011). 
Il primo fatto saliente che vorrei sottolineare e quindi la scelta complessivamente molto tradizionalista e conservatrice del nostro paese: in un mondo che sta delocalizzando e spostando le produzioni di acciaio verso altre geografie l’Italia cerca di resistere contrapponendo un modello di sviluppo industriale tradizionale basato sulla tenuta dell’acciaio. 
Parliamo adesso un po’ più specificatamente di Taranto e dell’Ilva. L’impianto creato negli anni 60 ha raggiunto il suo picco di occupazione e di produzione nel 1975. In quell’anno lavoravano all’Ilva 25.000 persone. Da allora il livello occupazionale ha cominciato a declinare. Dopo quasi 40 anni di deriva oggi lavorano all’Ilva circa 12.000 persone, la metà del picco. A Taranto si produce il 30% dell’acciaio italiano. 
Con quali prospettive?
I lavori di bonifica previsti dall’AIA imporrebbero un onere stimato in circa 2,5 miliardi di Euro, chiaramente un’enormità, e soprattutto insostenibile se commisurati agli utili totali realizzati dall’azienda negli ultimi 15 anni (3 miliardi di Euro).
Nella sostanza non è necessaria una laurea in economia per comprendere la realtà: nessun privato investirebbe mai una somma pari ai suoi utili degli scorsi 15 anni per ambientalizzare un impianto che produce un prodotto, il cui mercato, secondo tutte le analisi di tendenza è destinato a ridursi considerevolmente nel breve, medio e lungo periodo. Aggiungo infine, perché non è un elemento di poco conto, che il costo dell’acciaio prodotto a Taranto crescerebbe molto a valle delle ambientalizzazioni rendendolo di fatto fuori mercato anche al di là del trend più generale al quale abbiamo fatto riferimento in precedenza. 
La notizia tragica della richiesta di cassa integrazione per 6.000 dei 12.000 dipendenti di Taranto ha 2 chiavi di lettura. La prima appare squallida e legata al ricatto occupazionale nel quadro della lotta con la magistratura per ottenere il dissequestro delle somme provenienti dalla vendita dei prodotti realizzati durante il semestre di sequestro degli impianti. 
La seconda, ugualmente grave, è invece legata all’assoluta mancanza di prospettive per uno stabilimento e per una produzione che ormai è fuori mercato e fuori dal tempo.
Torno quindi al dilemma che ponevo all’inizio del mio intervento, ossia il confronto fra innovatori e conservatori.
Il governo italiano con i decreti salva Ilva ha fatto una scelta di vera e totale conservazione. Si è rifiutato di prendere atto della semplice verità che Ilva non può costituire un’opzione di sviluppo e occupazione per Taranto e ha cercato di tutelare lo status quo a danno della salute dei tarantini, della giustizia e del progresso. Il governo ha messo al primo posto le esigenze delle banche creditrici del gruppo Riva piuttosto che il diritto del popolo italiano in questa, come in mille altre situazioni, a migliorare, innovare e progredire. 
Sia bene inteso l’origine del problema è molto più profonda. Il Salva Ilva è solo l’epifenomeno, la punta dell’iceberg. Come abbiamo scritto prima sono 20 anni che è in corso un mutamento nell’economia globale che sposta le produzioni di acciaio. Questo semplice fenomeno economico andavo studiato, compreso e elaborato. Sarebbe stato necessario inventare un’alternativa per Taranto già 10 anni fa probabilmente. 
La subalternità dell’innovazione rispetto alla conservazione ci ha condotti nella situazione critica nella quale ci troviamo adesso. 
Nell’emergenza sono necessarie misure eccezionali e sacrifici che si aggiungono ai lutti e agli inqualificabili soprusi patiti dalla popolazione di Taranto in questi 40 anni. Si noti che non ho mai fatto riferimento nella mia trattazione ai dati ambientali e sanitari. L’ho fatto di proposito. Non perché non siano importanti, tutt’altro, sono evidentemente e indiscutibilmente capitali. Ho voluto mantenere il filo del mio discorso confinato strettamente entro i sentieri del ragionamento economico per mostrare quanto la conservazione sia stata perdente sull’innovazione anche nel suo terreno elettivo. 
Se si fosse creata una no-tax zone quanti investimenti alternativi si sarebbero potuti attrarre a Taranto? Se si fosse puntato sulle energie rinnovabili che in Italia hanno dato lavoro a quasi 150.000 persone quanti posti di lavoro si potevano creare a Taranto? Non dimentichiamoci che la Puglia è stato nel biennio 2009-2010 il faro della green economy italiana. Si sarebbe potuto fare di Taranto la capitale di questo modello di sviluppo. Si sarebbe potuto dare un’alternativa di lavoro e di salute ai tarantini. 
Mi piace collegare la vicenda di Taranto alla Fiat e a quanto è avvenuto nel mondo delle rinnovabili. 
Come molti sapranno recentemente la Germania si è data l’obiettivo di 1 milione di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Cosa accadrebbe se l’Italia adottasse una misura simile?
A spanne per produrre tutti quegli autoveicoli elettrici ci vorrebbero circa 85.000 lavoratori (pari a 7 volte quelli occupati dall’Ilva) e non sto considerando l’indotto quale ad esempio la produzione e l’installazione delle colonnine di ricarica che probabilmente porterebbe a raddoppiare questi numeri. Se poi decidessimo di alimentare con tutta energia rinnovabile questa nuova flotta di auto elettriche sarebbe necessario installare ulteriori 1.700 MW fotovoltaici (pari al 10% del parco solare attualmente in esercizio in Italia) con tutta l’occupazione che ne deriverebbe. 
Vi sembrano sogni? A me sembra innovazione e sviluppo sostenibile. Mi sembra occupazione su una scala prossima a 15 volte quella attualmente in essere presso l’Ilva. Mi sembra salute e ambiente. Mi sembra un modo assai più saggio e consapevole per spendere i 2,5 miliardi di Euro previsti dall’AIA dell’Ilva.
Nella sfida fra innovazione e conservazione, io ho già scelto.

Oggi a Città della Scienza per il futuro di Napoli

di Massimo Preziuso

Stamane siamo stati a Città della Scienza, dove si sono incontrati – insieme alle istituzioni e ai rappresentanti della Fondazione – associazioni come Innovatori Europei, ricercatori e società civile.

Abbiamo fatto il primo passo per un progetto di lungo periodo che si potrebbe chiamare “Stanford in Bagnoli”.

Al fine di aprire la discussione alla cittadinanza e alla rete, abbiamo insieme proposto a Città della Scienza – che ha accettato – di dare vita ad un Osservatorio Open sullo sviluppo di Bagnoli, in modo da poter ricostruire mentre si avvia il ridisegno del futuro di quell’area (e di Napoli).

Siamo in attesa della data di convocazione di una riunione operativa da cui avviare formalmente questo entusiasmante progetto collettivo di innovazione territoriale e progettuale.

News da Twitter
News da Facebook