Significativamente Oltre

ambiente

Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità

di Pierluigi Sorti

Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi,  e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma,  e Matteo Renzi, a Firenze.

Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui,  specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono,  in massimo grado consapevoli.

Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd  e, ancor più,  degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.

Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge  chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con  tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni  di elettori.

E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,

Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.

Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.

Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?

Il dopo Durban: lavorare sulle metropoli

di Gaetano Buglisi e Michele Mezza

Dopo che tanto tuonò finalmente piovve.

Il crescendo di attesa sulla svolta ambientalista non pare vano.

A Durban si è faticosamernte delineata una vera frontiera per la politica planetaria: entro il 2015 organizzare un taglio radicale al sistema energetico fossile.

O di quà o di là.

L’Italia, con il ministro “tecnico ” Clini è stata in prima fila. Una scelta decisiva nel contesto della crisi.

Infatti molti paesi, sopratutto il fronte anglosassone, ha cercato di usare la congiuntura negativa per frenare ogni ambizione regolatrice.

Invece , sulla spinta del governo Italiano, si è fatta larga la strategia opposta: il cambio del modello energetico si profila come motore economico per uscire dalla crisi.

Una strategia che ha preso forma anche grazie alla furba adesione dell’esuberante Cina , che ha capito da tempo che quello del riequilibrio ambientale è la leva per conquistare non solo spazio economkico ma anche immagine ed egemonia politica sul pianeta.

250 miliardi in 5 anni è la somma che pechino mette sul piatto per ridurre drasticamente l’emissione di co2 e per diventare leader mondiale della Green Power, strappando il primato all’america di Obama.

Ma l’Italia ha fatto una mossa del cavallo che potrebbe dardci ulteriore spazio sul mercato: non solo densità di investimenti, ma anche un modello sociale diverso per guidare il riequilibrio energetico, grazie alla centralità delle città.

Proprio ieri a Firenze lo stesso Clini ha lanciato un appello alle comunità urbane del mondo: rispetto alla cecità degli stati, lavorare sul network delle metropoli.

le città, i loro sindaci, le comunità dei cittadini, sono i veri soggetti interessati, materialmente, quotidianamente, a migliorare l’ambiente dove si vive. Non solo, ma anche a rendere più attrattivo, e dunque anche economicamente più preioso, il territorio, per incrementare il valore aggiunto anche in termini catastali, con l’integrazione di sistemi energetici a basso impatto ambientale.

L’obbiettivo è quello di qarrivare ad un piano regolatore dell’energia entro il 2015 che riduce del 30% le emissioni di CO2 in 10.000 città nel mondo.

E’ una prospettiva politica concreta, che supera la vaga opzione antinuclearista, articolando sul territorio, materialmente, una nuova economia verde e sostenibile. Un’economia basata, bene lo ha spiegato ieri Clini, non solo sulla riduzione dell’inquinamento, ma anche sull’ottimizzazione dei consumi e sopratutto su un modello sociale basato sulle relazioni e gli scambi fra ogni cittadino: esattamente querllo che è la GRID energetica.

Siamo ad un passaggio epocale: questa strateghia deve trovare una base sociale, un movimento politico, un supporto economico, un’orizzonte strategico.

Il fotovoltaico può essere realmente il collante di una nuova mobilitazione di interessi che usino l’abbondanza ciome materia prima e non la miseria come spauracchio: abbondanza di sapere, di infrastrutture, di tecnologier, di soluzioni, di desideri.
Il manifesto sul cantiere rinnovabile lanciato proprio insieme agli Innovatori Europei potrebbe essere una traccia operativa. E anche la prospettiva politica che gli stessi Innovatori Europei stanno maturando in questi giorni sarebbe un utile esempio.

Sarebbe bene cominciare a chiederci come stare dentro questo movimento? come cittadini attivando canali locali che premano sull’amministrazione. Come imprese adattandosi ad una trasformazione che vede proprio i soggetti qaziendali avviare un processo di riorganizzazione dei modelli sociali.

Come associazione, nel caso di SOSRinnovabili, promuovendo realmente una territorializzazione dei progetti e delle proposte, con una proliferazione di 10,100, 1000 nuclei di sosrinnovabili nei comuni e nei quartieri.

Senza limiti di ambizione, e senza preclusione di obbiettivi.

Manifesto: Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili

Lo spread ci opprime. Ma il sole può salvarci

La crisi – ma anche la possibilità di afferrare la coda di una sorprendente fase tecnologica, economica, sociale e dunque tutta politica – è la molla che ci riporta in campo. Siamo una comunità di imprenditori, tecnici, scienziati, studiosi, professionisti e soprattutto di cittadini, che abitano il presente e vogliono esserne parte.

Vogliamo quindi credere che il nuovo governo ritenga utile confrontarsi anche con noi per rafforzare l’impegno a tirare fuori dalla crisi il nostro paese,  a partire da una valorizzazione esplicita delle energie rinnovabili. In questo ambito il Made in Italy può riversarsi nel Made in Europe per ritrovare un primato dentro le difficili sfide della globalizzazione. 

I tre grandi mercati energetici – Nord America, Europa e Asia Pacifico (India, Cina, Oceania) – consumano oggi il 78% del petrolio e dispongono solo del 10% delle riserve. Così per il gas, consumano il 61% e hanno l’85% delle riserve. Per  il carbone le percentuali sono l’88% ed il 35%.  In tutto ciò, mentre le emissioni di CO2 crescono del 1,2% annuo,  nei paesi in via di sviluppo la crescita è del 2,8%. Se la Cina e l’india avessero le emissioni pro capite del Giappone la concentrazione di CO2 nell’atmosfera aumenterebbe del 40%.

Bisogna cambiare,  ma nessuno sembra volerlo realmente.  Anzi, abbiamo assistito a scelte cervellotiche e autolesionistiche: si  è voluto, più che tagliare , rendere precaria e ingestibile l’intera politica degli incentivi  alle fonti energetiche rinnovabili, mettendo l’Italia in contrasto con gli indirizzi europei ed esponendo il paese a nuovi contenziosi e a prevedibili sanzioni.

Entro il 2020, in base al PAN (Piano di Azione Nazionale),  presentato dal Ministero dello sviluppo economico  nella primavera scorsa, dovremo produrre da fonti rinnovabili più di 105 miliardi di kWh/anno in energia elettrica, ma occorre tenere presente che nel 2005 ne abbiamo prodotti per soli 56 miliardi. Si prevede di triplicare la produzione di energia termica (caldo/freddo) e moltiplicare di sette volte la produzione di biocarburanti. Si prevede di contenere i nostri consumi di energia primaria ai livelli attuali, pari a 131 milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio).

Per arrivare a questi obiettivi, il settore richiede di rimuovere gli attuali ostacoli di tipo burocratico/autorizzativo e relativi allo sviluppo della rete elettrica, che impediscono la certezza e la stabilità delle prospettive di investimento nel settore.

Non vogliamo andare all’assalto di ipotetiche diligenze pubbliche. Chiediamo l’inverso: rigore e coerenza. Chiediamo al nuovo governo un Piano di Azione Nazionale coordinato ed efficace sia sotto l’aspetto normativo e fiscale, sia riguardo le azioni delle amministrazioni locali e delle Regioni nonché dell’Europa.

Dare  la giusta importanza alla filiera delle energie rinnovabili significa inoltre agire in contemporanea su molti settori produttivi (edilizia, impiantistica, componenti meccanici ed elettronici, materiali, tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e su molte tipologie di operatori (PMI e grandi imprese industriali, professionisti e tecnici, servizi finanziari, ricerca e sviluppo, cooperazione internazionale). Un programma di sviluppo deciso in questa direzione, ben coordinato e correttamente incentivato, porterebbe ad un coinvolgimento veramente pervasivo di tutti i fattori produttivi sul territorio.

Infine, vogliamo abbassare i costi finali di produzione ed incrementare l’efficienza. Vogliamo ripristinare il buon senso.  Ad esempio: se è vero che oggi la Germania produce dieci volte l’energia fotovoltaica che produciamo noi “Paese del Sole”  va detto che, in presenza di una competizione tra Sistemi Paese “normali”, essa non sarebbe in grado di reggere la competizione con paesi mediterranei come Portogallo, Spagna, Italia, Grecia. E invece oggi, non solo la regge, ma incredibilmente la domina.

La Germania ci mostra come si può pianificare la riconquista di un primato dopo aver, non senza travagli, maturato la drastica decisione di uscita dal nucleare, proprio grazie ad una azione mirata e concertata.

Alla luce degli enormi cambiamenti di scenario avvenuti in questo 2011, quale nuova funzione deve avere dunque la politica pubblica per abbracciare una auspicabile e vicina “terza rivoluzione industriale” centrata sulle rinnovabili? 

Noi suggeriamo alcune semplici, ma innovative ed equilibrate, proposte:

1) Superamento del Decreto Romani – con i suoi tagli lineari agli incentivi – e definizione di un nuovo  modello che porti il sostegno al fotovoltaico alle medie europee. 

2) Nuovo regime per i terreni agricoli,  che diversifichi il regime normativo tra  i terreni incolti e quelli sottratti a colture.

3) Nuovo regime agevolato per le serre agricole, che vanno considerate coperture.

4) Piano regolatore dell’energia nei grandi e medi comuni,  con l’istituzione di un assessorato all’energia che promuova e faciliti l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

5) Costituzione di un fondo per la valorizzazione del patrimonio immobiliare e culturale pubblico attraverso investimenti in efficienza energetica.

6) Istituzione di una conferenza nazionale dei servizi energetici dove far sedere i grandi monopolisti accanto a tutti gli attori del settore.

7) Certezza dei tempi sulle pratiche tecnico-amministrative riguardanti i sistemi fotovoltaici al fine di impedire ostruzionismi dei monopolisti, che assicuri in 30 giorni l’istruzione della pratica e in 60 giorni il tempo di rilascio delle autorizzazioni e degli allacci.

8 ) Destinazione di una percentuale dei fatturati di esercizio degli impianti di produzione di energia da fonte fossile a finanziare un fondo per la ricerca e sviluppo in tecnologie energetiche.

9)  Estendere ed incentivare la trasformazione a metano delle autovetture a trazione diesel e rendere obbligatoria la circolazione nelle grandi città solo per veicoli a trazione elettrica, ibrida GPL o Metano (o altro che verrà..).

10) Intervenire sul Monopolio ENEL che – con le proprie società – crea un conflitto di interesse macroscopico nella sue duplice veste di “controllore” e “controllato”.

11) Rendere tutte le proposte armoniosamente legate all’occupazione giovanile ed alla riqualificazione ed reinserimento di risorse umane in cerca di nuova occupazione, per ragioni di chiara opportunità per il Sistema Paese.

12) Sburocratizzare le procedure autorizzative attraverso un utilizzo maggiore dell’asseverazione.

Italia, 24/11/2011

Innovatori Europei e SOS Rinnovabili

www.innovatorieuropei.com

www.sosrinnovabili.net

 Facebook group: http://www.facebook.com/groups/246254908762267/

In Russia, cresce il movimento ambientalista

 

di Massimo Preziuso

Torno oggi da una intensa settimana passata in Russia, dove sono stato invitato a parlare di politiche energetiche sulle rinnovabili in Italia e in Europa.

Ne torno molto contento. Ho conosciuto una Russia cambiata e cresciuta da un punto di vista di “social awareness” e questo mi ha fatto molto piacere.

Ho parlato ad una platea di giovani studenti universitari e professionisti, impegnati nel mondo dell’ecologia e dell’ambiente con il movimento green ECA Planet (il cui motto è “Ambientalista – Bello –  Alternativo”), di Innovatori Europei e di quello che accade in Italia, facendone un caso di studio europeo, per concludere con alcuni suggerimenti alla Russia su quello che “non deve fare” per sviluppare, all’interno di un contesto molto diverso rispetto al nostro, una industria verde.

Ho voluto soprattutto comunicare il fatto che le politiche su settori in fase di crescita e carichi di innovazione – come quello energetico – vanno fatte con la piena approvazione della politica e della cittadinanza e che non possono permettersi “stop and go”.

Ovvero che è importante prima di tutto avere una cultura ambientalista, e che questa non nasce se non attraverso una formazione ambientalista. E’ questo che ho suggerito nella media conference internazionale ai giornalisti che ci chiedevano “come sviluppare l’industria green russa”. Ho detto che, “laddove un Paese fa degli utili provenienti dall’Oil & Gas una principale voce di bilancio, si puo’ diventare certamente green, ma nel lungo periodo, e partendo proprio dall’education e da movimenti come ECA”.

Nonostante il mio approccio critico, sono stato contento di ricevere diversi feedback e commenti, oltre a diverse richieste di collaborazione con l’Italia (ho parlato anche di un interessante Master, che si chiama Emerges, che Luiss Business School sta avviando, invitando giovani professionisti russi a parteciparvi).

Molti piccoli imprenditori green mi hanno detto di voler collaborare e crescere con le nostre aziende del settore. Alcuni producono ottima frutta organica, altri accumulatori di energia prodotta da solare termico residenziale o progetti immobiliari 100% ecologici.

Sono poi andato a visitare gli importanti progetti immobiliari che si stanno realizzando vicino Sochi – che sarà sede delle Olimpiadi invernali nel 2014 – e ho visto un’area che si sta trasformando e diventando rapidamente una bellissima località turistica di tipo europeo.

Differentemente da quello che molti europei possono immaginare, sembra proprio che la Russia guardi l’Europa quale modello di riferimento e migliore partner possibile per innovare il proprio Paese.

Non solo perché il nostro continente è patria di innovazione di frontiera su diverse tematiche (come quella ambientale) ma anche perché, nei fatti, ha moltissime similitudini con la Russia (basta girare per la regione del Caucaso per riconoscerne panorami, climi e cultura mediterranei).

Sarebbe allora bello vedere il nostro Paese accelerare nella collaborazione con le avanguardie culturali russe, come quello di ECA Planet.

Anche con iniziative politiche, oltre che di business. E anche perché da queste collaborazioni si potrebbe trarre anche lezioni interessanti.

Ad esempio, come si realizzano (in Russia) summer camps con centinaia di giovanissimi appassionati di ambiente e come si portano a termine in pochi mesi campagne per piantare 1 milione di alberi in tutto il paese grazie al lavoro di migliaia di scuole in tutto il Paese.

E allora, confrontiamoci con Paesi che sembrano diversi da noi – ma non lo sono – e cresciamo insieme a loro.

Gli autogoal del Governo sull’energia (e non solo)

di Massimo Preziuso

La situazione politica (e, di conseguenza, quella generale)  peggiora di giorno in giorno in Italia.

L’ultima uscita pubblica brianzola del ministro Romani  – che definisce “in malo modo” la sua collega ministra dell’ambiente e fa intendere che l’imprenditore medio italiano, eccetto quello lombardo, è “inaffidabile” – denota  totale assenza di una linea di Governo sui temi legati allo sviluppo del Paese, a cominciare da quello delicato dell’energia (rinnovabile, in queste ore), a cui è legata la gestione della crisi libica.

Nel breve, vi è da sperare che il ministro Prestigiacomo (che, va detto, in varie occasioni pubbliche ha dimostrato – unica nel suo Governo – una vera sensibilità verso il tema rinnovabili) faccia ora pesare il suo ruolo di ministro dell’ ambiente nel CdM di martedì prossimo.

Ma più in generale questo approccio di Governo non può continuare ad andare avanti. Così stiamo irreversibilmente massacrando un Paese.

Fortuna che alle elezioni amministrative di Maggio questo molto probabilmente si tradurrà in una grande debacle del PDL (e forse anche della Lega nord) a cominciare da Milano (dove Pisapia e Palmieri possono e devono unirsi, al ballottaggio, e vincere) e Napoli (dove il centro destra, più che il suo candidato, è inguardabile).

Ma, aldilà di questi “desiderata” che molto probabilmente si tradurranno in “fatti” a breve, speriamo che questa serie di autogoal politici finisca e che, a cominciare dalla firma del Decreto attuativo sulle rinnovabili (anche grazie all’intervento del Berlusconi industriale ed imprenditore), si inizi a legiferare per il bene del Paese, e non per quello di pochi ma grandi interessi.

Questo fondamentalmente perchè (basta girare un po’ per Roma o Milano per capirlo) il Paese è seriamente impoverito e demotivato, e non merita di esserlo ulteriormente.

Ed infine, auspichiamo tutti che la giustizia amministrativa (attenzione anche qui a non permettersi il lusso di fare diversamente) ridia – dopo anni – la parola agli elettori per il voto referendario del 12 e 13 Giugno sul ritorno al nucleare (ma anche sulla privatizzazione dell’acqua e sul legittimo impedimento), affinchè noi tutti potremo avere di nuovo il diritto di dire cosa ne pensiamo su temi così importanti per la nostra e le future generazioni, e piu’ in generale sulla linea politica di un Governo che ci continua a fare affondare.

Abbiamo tutti bisogno di tornare presto ad un minimo di normalità.

Gli scenari energetici nell’area EU – MENA

desertec

di Massimo Preziuso

Nei prossimi decenni, diversi sviluppi globali creeranno enormi sfide per l’umanità. Ci confronteremo con problemi quali il cambiamento climatico, la crescita demografica oltre i limiti della capacità del Pianeta, ed una crescita di domanda di energia ed acqua causata da battaglie per la prosperità e l’espansione.

In un mondo fortemente interconnesso nell’economia, nei commerci e nella politica, sfide come queste vanno affrontate in ambito globale.

In questo contesto, per l’Europa è al contempo naturale e fondamentale rivolgere lo sguardo alla sponda sud del mediterraneo, se vuole affrontare le criticità a cui ci avviciniamo.

In tal senso, l’Unione Europa, nel dimostrarsi ancora una volta quale principale promotore di innovazione politica del pianeta, ha fatto importanti passi verso la definizione di una piattaforma politica euro – mediterranea, coinvolgendo anche l’area medio orientale.

Le relazioni politiche ed economiche dell’Unione Europea (UE) con i paesi della sponda sud del mediterraneo (Med) hanno subito, negli ultimi anni, una profonda evoluzione.

Fra il 1995 e il 2003 la politica mediterranea dell’Unione Europea si è concretizzata soprattutto nel Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), noto anche come processo di Barcellona. Dopo l’allargamento dell’UE nel 2004, i paesi sud-mediterranei facenti parte del PEM sono stati inclusi nella nuova politica europea di vicinato (PEV) accanto a quelli dell’Europa orientale restati fuori dall’UE.

Nel dicembre 2007, in una conferenza stampa a Parigi, presenti i primi ministri di Italia e Spagna, il presidente Sarkozy ha annunciato la creazione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). I paesi che hanno firmato il documento istitutivo sono quarantatre: tutti i membri dell’Unione Europea e le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, ad eccezione della Libia che ha preferito partecipare come osservatore. Questo nuovo organismo, costituito a livello dei primi ministri delle nazioni aderenti, ha una doppia presidenza affidata a turno a due paesi, uno europeo e l’altro mediterraneo (attualmente Francia ed Egitto).

La sede dell’UpM, decisa in una riunione avvenuta a Marsiglia nel novembre 2008, è Barcellona.

Dal 2009 tutte le strutture logistiche dell’organizzazione sono operative, guidate da un segretariato generale, con l’incarico di gestire i fondi e di controllare lo stato di avanzamento dei progetti comuni che verranno intrapresi.

L’UpM può finanziare i suoi progetti utilizzando diverse fonti, dalla partecipazione del settore privato al prelievo dal budget europeo, dal contributo dei partners a quello della Banca europea di investimento.

A tutt’oggi però l’operatività di UpM è molto limitata per difficoltà politico-istituzionali non ancora superate.

L’UpM, nasce con l’idea che i settori economici siano trainanti per lo sviluppo delle relazioni tra le due sponde del mediterraneo, e per questo ha come compito prioritario la realizzazione di progetti regionali di grande impegno economico e i firmatari dell’accordo hanno convenuto di dare la priorità a sei iniziative fondamentali:

– il disinquinamento del Mediterraneo,

– la costruzione di autostrade marittime e terrestri tra le due sponde del Mediterraneo,

– il rafforzamento della protezione civile,

– la creazione di un piano solare mediterraneo,

– lo sviluppo di un’università euro-mediterranea

– un’iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese

 

In particolare, al suo interno, il tema energetico – ambientale ne rappresenta un motore trainante, nella constatazione del primario ruolo che le energie rinnovabili possono avere nel garantire un avvicinamento reale tra le due sponde del mediterraneo.

Secondo uno studio del 2009 della Fondazione Mezzogiorno Europa (M. Pizzigallo, L’Italia e l’Unione per il Mediterraneo, Napoli, Fondazione Mezzogiorno Europa, 2009) infatti “la principale richiesta dei Paesi del Maghreb, nell’ambito dei futuri progetti targati UpM, riguarda il trasferimento di tecnologia per la realizzazione di impianti fotovoltaici, eolici e geotermici. La produzione di energia “pulita” libererebbe molti di questi Paesi da una stringente dipendenza energetica, tanto più se si considerano le caratteristiche fisiche e climatiche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per le quali il sole e il vento costituiscono una “materia prima” a basso costo e a massimo rendimento. Per tali motivi, dunque, proprio sul settore energetico vertono i progetti futuri di molti enti, e anche l’Italia guarda con favore allo sviluppo delle energie rinnovabili, cercando di trarre giovamento dalla condivisione di conoscenze ed esperienze con la sponda Sud”.

Esempio concreto di attuazione dell’iniziativa in ambito energetico è dato dal “Piano solare mediterraneo” (PSM) inserito nell’UpM per l’integrazione dei mercati energetici e la promozione dello sviluppo sostenibile nell’area del mediterraneo. L′obiettivo principale del PSM è noto: installare 20 GigaWatt di capacità di energia rinnovabile nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente entro il 2020; in buona parte per soddisfare i bisogni locali, ma in parte anche per esportare elettricità nell′Ue, dove potrà essere utilizzata per contribuire al conseguimento dell′obiettivo di portare al 20% la quota di rinnovabili ne consumo totale di energia.

In questo contesto, su iniziativa del chapter tedesco del Club di Roma, nasce il progetto Desertec (che oggi raduna sedici primari partner tra cui Eon, Rwe, Deutsche Bank, First Solar, oltre all’italiana Enel Green Power) che propone una cooperazione tra Europa, Medio Oriente e Africa Settentrionale (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Obiettivo del progetto è di proporre e realizzare impianti solari ed eolici nei Paesi nord-africani e medio – orientali, al fine di coprire entro il 2050 il 15% della domanda elettrica dell’Europa e una porzione significativa di quella dei Paesi produttori, con investimenti stimati in circa 400 miliardi di euro.

Il trasporto avverrà grazie alla realizzazione di una rete di linee di trasmissione elettrica ad alta tensione con cavi sottomarini tra Africa ed Europa, denominata Transgreen, progetto di punta tra i sei previsti dalla UpM, presentato dalla francese Edf.
Sullo sfondo, la posta in gioco è molto alta. Si tratta di sviluppare l’interscambio di energia elettrica e di collegare le nuove fonti di generazione di energia rinnovabile alle reti tradizionali. E allo stesso tempo, rendendo disponibili grandi volumi di energia generata in località remote, consentire una maggiore apertura del mercato dell’elettricità tra stati, favorendo la riduzione dei prezzi al consumo e la spinta all’innovazione tecnologica. L’obiettivo finale è ridurre i costi per l’utente finale. Con un’incognita. I tempi sicuramente lunghi, e la necessità di un non sempre facile coordinamento politico tra stati.

L’accoppiata Desertec-Transgreen può diventare a sua volta complementare della “Supergrid” paneuropea, che si inquadra nell’ambito degli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e che prevede di rendere disponibili grandi volumi di energia generata in località remote da fonti rinnovabili. Un esempio tipico sono le centrali eoliche offshore del nord Europa, come quelle in corso di realizzazione in Gran Bretagna.
Attualmente nel Mediterraneo sono collegate con linee a corrente alternata le reti elettriche di Marocco e Spagna, via Gibilterra. Transgreen dovrebbe partire più a est, da Algeria o Tunisia. Molti i progetti allo studio, come il collegamento Balcani-Italia, Malta-Italia, Tunisia-Sicilia.

In conclusione, tornando ad UpM, per alcune sue caratteristiche, secondo lo studio di Mezzogiorno Europa, essa rappresenta una grande opportunità di crescita per l’Italia: “In primo luogo, la connotazione prettamente tecnica e progettuale della nuova organizzazione, che individua gli ambiti prioritari di intervento in settori economici e sociali di particolare rilevanza strategica: l’ambiente, con particolare riferimento alla lotta all’inquinamento nel Mediterraneo; i trasporti; la protezione civile; le energie alternative, con il progetto di “Piano Solare Mediterraneo”; l’alta formazione e la ricerca, nel cui ambito è stata prevista l’istituzione di un’Università Euro-Mediterranea; lo sviluppo economico, sociale ed imprenditoriale dell’area mediterranea. In secondo luogo, la flessibilità regionale di tali progetti che potranno investire tutti o solo una parte dei partner, a seconda del loro grado di interesse e di coinvolgimento nello specifico settore di intervento. Questa sorta di “cooperazione a più velocità” nel Mediterraneo potrebbe consentire alle realtà italiane di porsi in prima fila nell’implementazione dei progetti con i paesi della sponda Sud. In terzo luogo, la decisa apertura, prevista nell’UpM, agli attori non statali, come le autorità locali, le imprese e le organizzazioni non governative, costituisce un quadro istituzionale di estremo interesse per l’Italia, in cui la forte crescita della cooperazione decentrata ha già permesso ad enti, istituzioni, autorità locali e organizzazioni della società civile di assumere una forte proiezione internazionale, spesso con il Mediterraneo come area di intervento privilegiata.”

 

Per concludere, alcuni cenni su Europa ed Area Mena:

EUROPA

L’Unione Europea è una unione politica ed economica composta attualmente da 27 Stati membri. Con oltre 500 milioni di abitanti, è oggi l’area economica più ricca del mondo.

La Regione, riconosciuta da tutti quale leader nelle politiche energetiche – ambientali (in ultima il “pacchetto clima” varato nel 2008), con la costituzione di una UpM centrata sul tema dimostra una naturale capacità di guardare oltre e di fare innovazione politica.

Nonostante si trovi in una fase delicata della sua vita politica, alle prese con pesanti crisi proprio in alcuni dei paesi “mediterranei” (Grecia, Spagna e Portogallo), l’Unione sta dunque puntando fortemente sul tema energetico – ambientale quale occasione per il rilancio della sua iniziativa politica e della sua economia, oltre che necessità per il superamento di una dipendenza sostanziale da partners “difficili” come la Russia nell’approvigionamento di combustibili fossili, e la contestuale riduzione del gap di costo dell’energia che ne limita seriamente e da tempo la competitività di sistema.

Vi è da dire che all’interno della UE risiedono paesi riconosciuti quali leaders delle industrie delle energie pulite (si pensi alla Germania, ma anche alla Spagna e all’Italia, nella filiera della produzione di energia elettrica da rinnovabili) e della sostenibilità ambientale (si pensi al caso della Svezia o dell’Olanda, per le loro politiche ambientali).

Detto questo, la costituzione di un mercato europeo dell’energia è ancora lontano, viste le correnti differenze esistenti tra i singoli stati membri nella composizione della produzione energetica e quindi nei livelli di prezzi ed emissioni ad essa relative: vi è quindi ancora molto da lavorare.

Il settore è sede di enormi potenziali di crescita per l’intera Unione, ma necessita di un approccio più europeo di quello finora avuto (che vede essenzialmente la libertà per i singoli Paesi membri di definire le proprie politiche energetiche, all’interno di alcuni obiettivi europei di lungo periodo).

 AREA MENA 

Per area MENA si intende l’area del Nord Africa e del Medio Oriente, che parte dal Marocco – nord ovest dell’Africa – ed arriva all’Iran – sud est asiatico.

La Regione ha una popolazione simile a quella europea (circa 500 milioni di persone) ed è caratterizzata fortemente dalle sue vaste risorse petrolifere e di gas naturale, che la rendono decisiva per la stabilità economica del pianeta: secondo l’Oil and Gas Journal (Gennaio 2009), la Regione ha il 60% delle riserve di petrolio mondali (810.98 miliardi di barili) ed il 45% delle riserve di gas naturale (2868.886 trilioni di cubic feet).

Anche per questo l’area MENA nei prossimi anni vivrà seri problemi derivanti dalla presenza contestuale di un enorme aumento demografico e di seri impatti da cambiamento climatico.

Studi della Banca mondiale prevedono dal solo aumento della popolazione, da qui al 2050, il dimezzamento delle risorse acquifere per individuo. Nello stesso periodo di tempo, la temperatura  prevista in rialzo di 2°C comporterà severi danni e numerose morti. Nel contempo, l’area è caratterizzata da un livello di emissioni di CO2 di 60% superiore alla media dei paesi in via di sviluppo.

Detto questo, i paesi MENA hanno un enorme potenziale nelle energie rinnovabili. In particolare, essi condividono le migliori condizioni al mondo per l’energia solare: abbondante soleggiamento, basse precipitazioni, ed enormi distese di terreni non utilizzati vicini a reti viarie e di trasmissione. E fortunatamente, nell’intero bacino del mediterraneo la domanda per elettricità “verde” sta crescendo rapidamente.

I paesi produttori di petrolio dell’area, in particolare i paesi del Golfo, stanno prendendo la leadership tecnologica e finanziaria nello sviluppo di tecnologie low carbon, in particolare per quanto riguarda la carbon capture and storage (CCS). In questo ambito la regione potrebbe contribuire a portare tale tecnologia dalla fase attuale di testing a quella di commercializzazione su larga scala.

Vi è da aggiungere però che, laddove una crescita low carbon dell’economia potrebbe generare importanti benefits per le economie dei paesi MENA (aumenti di produttività e risparmi fiscali associati ad una migliorata efficienza nell’uso dell’energia, una migliorata qualità dell’aria, una ridotta congestione del traffico, etc), le barriere tecnologiche ed in particolare i bassi livelli di prezzo dell’energia presenti nella regione danno un basso incentivo – in assenza di supporto finanziario esterno – per uno sviluppo low carbon su larga scala.

L’Europa necessaria

di Massimo Preziuso (in “Synthesis” – Oseco)

europa

Con l’adozione del trattato di Lisbona, arrivata dopo una lunga e complessa fase di incertezza, si può di certo essere un po’ più felici in Europa: il processo di costruzione di una forte Unione Europea ha fatto un importante passo avanti.

Sembra dunque ormai chiaro a tutti che l’esistenza di una Unione Europea forte e coesa è fatto fondamentale, sia per gli stati europei, che per il mondo intero.

Vari fattori richiedono agli stati europei, soprattutto dopo l’attuale crisi economica internazionale, di unirsi sotto un unico cappello, e molti sono riconducibili al tema della competitività e dell’innovazione nel “secolo dei paesi emergenti e della sostenibilità energetico – ambientale”.

In questo nuovo contesto globale, che si va rapidamente delineando, i piccoli stati europei non hanno infatti più alcuna possibilità di gareggiare e rimanere a lungo nel gotha dell’economia mondiale, e questo fondamentalmente per problemi di scala (geografica, demografica ed economica): l’Unione Europea consente loro di diventare grandi ed affrontare con successo tali problemi, pur mantenendo le proprie diversità e specificità culturali, in accordo col principio di sussidiarietà che emerge centrale dal Trattato di Lisbona.

La tematica ambientale rappresenta poi il luogo in cui l’agire insieme, come Unione Europea, permette di sfruttare al massimo il potenziale insito nella variegata tradizione culturale e di innovazione che risiede nel vecchio continente, e nei suoi singoli paesi, che è oggi disperso nelle logiche e dispute nazionaliste, e altresì aiutare ad equilibrare l’annoso problema della sicurezza degli approvvigionamenti energetici che rappresenta, per un continente così povero di combustibili fossili, un serio problema per la propria stabilità economica e politica di medio periodo.

A Copenaghen si è tenuto il 15° vertice delle Nazioni Unite sul clima: nella trattativa per la definizione di un nuovo trattato internazionale ambientale sta emergendo il ruolo da protagonisti di Cina e Stati Uniti che, all’interno di un acceso dibattito sulle rispettive responsabilità passate e presenti, stanno così definendo il nuovo asse del potere mondiale, che vedrà al centro proprio le tematiche energetico – ambientali.

In questo scenario l’Unione Europea, protagonista fino ad oggi nell’attuazione del protocollo di Kyoto, e luogo di elaborazione della più ambiziosa e strutturata politica ambientale al mondo, rischia di perdere la propria leadership, proprio per l’incompletezza del processo di integrazione.

Ma, forte dell’approvazione del Trattato di Lisbona, è proprio da Copenaghen che il progetto europeo può trovare nuovo slancio, definendo un ancora più ambizioso e cadenzato programma di riduzione delle emissioni, anche in assenza di un accordo internazionale vincolante, rimettendosi così al centro delle future politiche ambientali ed economiche del pianeta.

Il continente europeo rappresenta una risorsa unica e fondamentale per gli equilibri dell’intero pianeta, perché sede di una storia unica di democrazia ed innovazione e perché unico possibile garante dello sviluppo armonico e condiviso del pianeta, di una “globalizzazione sostenibile”.

Anche per questo, l’Unione Europea può e deve diventare attore principale della nuova competizione globale, guidando e ri-definendo insieme ai due giganti – Stati Uniti e Cina – la nuova governance del pianeta.

Detto questo, risulta anche evidente che quello europeo rappresenta attualmente il progetto politico più complesso al mondo, e per questo richiede pazienza: al suo completarsi potrebbe infatti nascere l’attore politico più prospero dell’intero pianeta.

Il summit di Copenaghen sul clima: too big to fail

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Il Summit sul clima in corso a Copenaghen non potrà fallire, perche’ è “too big to fail”.

Non si arriverà alla definizione puntuale di un nuovo Trattato internazionale, come è normale che sia, ma credo che la giornata di domani sarà cruciale per lo sviluppo delle prime vere politiche globali, quelle sul clima appunto, che, va detto, rappresenteranno il primo vero “test” sugli effetti della globalizzazione e sulla stabilità delle nuove relazioni economiche e politiche del pianeta, in un mondo totalmente cambiato in un decennio o forse meno.

Detto questo, sull’argomento “clima” l’Italia risulta ancora impreparata.

Spero allora che, a breve, si cominci a prenderlo sul serio, definendo e strutturando competenze nuove nel Paese.

Mi riferisco, in particolare, alla necessità delle nostre piccole e medie aziende, così come delle piccole e medie amministrationi pubbliche, di vedere il “fattore ambientale” per quello che è: la piu’ importante leva di cambiamento ed innovazione per aziende, territori e sistemi-paese.

Spero, poi, a proposito di tariffe incentivanti alla diffusione di tecnologie verdi (Conto Energia et alia), che se ne rivedano i criteri di attribuzione anche in base a parametri di localizzazione e di sviluppo di attività imprenditoriali (e di lavoro), perchè altrimenti si rischia, come già oggi appare evidente, di trasformare una industria “labour intensive” – quella delle rinnovabili – in una industria “puramente finanziaria”, e questo sarebbe il più grave errore possibile.

Spero, infine, che anche i Partiti politici (in particolare il PD ) approfittino di questo “cambiamento di paradigma” per ripensare il modello “leggero” su cui stanno derivando (mi riferisco in particolare al nuovo PD di Bersani – che può e deve essere il Partito dell’ambiente e dell’ innovazione in Italia – che ha appena lanciato, in sostituzione dei classici “dipartimenti”, una serie di “forum tematici” su questi temi, denunciando una certa disattenzione) e trovare un nuovo baricentro di azione proprio attorno al nuovo corso della “sostenibilità”, ambientale e non solo, che sta inesorabilmente prendendo il centro della scena nel dibattito pubblico mondiale.

Ancora 24 ore e sapremo come va a finire – a Copenaghen – ma io sono ottimista, soprattutto per il dopo.

Massimo Preziuso

Da Copenaghen, a Dicembre, una grande spinta verso un futuro Low Carbon

Dope la forte apertura di Obama, appena comunicata dalla stampa (“Taglio alle emissioni di gas inquinanti del 17% dai livelli del 2005 entro il 2020, 30% entro il 2025 e 42% entro il 2030. Sono queste le cifre della proposta americana che il presidente Barack Obama porterà alla Conferenza Onu sul clima di Copenaghen”), perde forza la tesi dei tanti “scettici” che da qualche settimana dichiarano che il COP15 di Copenaghen sarà un fiasco.

Perche’ invece certamente non andrà cosi’, sebbene non ne uscirà un accordo globale vincolante, per il quale ci sarà tempo nel 2010.

La preparazione di questo appuntamento ha infatti permesso una seria ed approfondita riflessione sul tema “cambiamento climatico” al di fuori dell’Unione Europea, e i Paesi in via di sviluppo, la Cina e gli Stati Uniti hanno lavorato seriamente per trovare un compromesso tra le propie esigenze di crescita (aumentate da una crisi che ha segnato le economie mondiali) e sviluppo sostenibile.

L’annuncio di Obama ne è una prima prova chiara, e fa ben sperare che il “dopo Kyoto” comporterà, come previsto da tempo dagli “ottimisti”, la nascita di quell’auspicato Carbon Market globale che andrà lentamente ma certamente a ridisegnare lo sviluppo economico del pianeta e ad alleggerire quelle serie tensioni geopolitiche che arriveranno a breve dal mercato dei combustibili fossili – Petrolio e Gas, risolvendo insieme il problema ambientale e quello della sicurezza degli approvigionamenti energetici.

In questo percorso vi sarà poi la possibilità di cambiare, in meglio, quei modelli di consumo e culturali che hanno imperato negli ultimi 20 anni almeno, e che han fatto dimenticare a molti l’importanza di avere le radici nella cosiddetta economia reale.

In questo contesto rimane pero’ una nota dolente, e viene dall’Italia.

Nel nostro Paese, in questa legislatura, si continua ad osteggiare (e alla fine si resterà da soli in questo) questo cammino virtuoso di cambiamento: a proposito vi consiglio di leggere questo articolo dal titolo “Alla faccia di Copenaghen” che parla di alcuni emendamenti alla Finanziaria 2010 che cercano di azzoppare il mercato delle rinnovabili (proprio in una fase cosi’ delicata).

Massimo

L’Ambiente – il fianco scoperto di Bersani – e la necessità di accelerare

bersaniMolto interessante l’articolo di oggi di Europa (“L’ambiente – il fianco scoperto di Bersani”), che evidenzia la limitata “attenzione reale” del PD sui temi dell’Ambiente, soprattutto ora che l’Area Ecologista di Realacci è in “minoranza” e Rutelli è uscito dal Partito.
 
Ma sempre oggi, su Repubblica, si legge dell’effetto traino che il nuovo Segretario sta dando ai consensi del Pd (che sale sopra il 40% quasi al pari del Pdl).
 
Sarebbe allora un peccato non rendersi conto dell’importanza di accelerare – innovare oggi, mentre si è in “recupero”, in tal senso.
 
Ebbene, speriamo che il Segretario Bersani si dedichi presto a questo tema, a cominciare dalla strutturazione, all’ interno del Partito, di un nuovo Dipartimento Ambiente e Innovazione, che possa fare da “cabina di regia” per tutte quelle iniziative necessarie a sensibilizzare e sostenere gli attori del cambiamento (cittadini, imprese, mercato finanziario ed amminstratori pubblici) verso quella “Green Economy and Society” di cui tanto abbiamo scritto e dibattuto.
 
Su questi temi, l’opportunità politica per il PD è almeno grande quanto l’opportunità di cambiamento che ne trarrebbe il Paese.
Massimo Preziuso
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