Innovatori Europei

Significativamente Oltre

April 9-10-11th, Rome. 3rd Michelangelo Workshops: The Mediterranean is facing major challenges through its Youth

3rd Michelangelo Workshops

The Mediterranean is facing major challenges through its Youth

For a smart Mediterranean

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Thursday, April 9th

Location Rome: Università di Roma, La Sapienza

Facoltà d’Ingegneria, via Eudossiana 18

18:00 Welcome of partecipants and Festive event

Friday, April 10th

Location Rome: Aula Magna

Liceo Classico Statale Ennio Quirino VISCONTI, Piazza del Collegio Romano,4

9:00 Registration

9:30-10:00 Welcome addresses

10:00-10:10 Welcome by On. Gianni Pittella/Dott. Massimo Preziuso

10:10-10:30 Invited lecture by Ing. Massimo Calabresi

10:30-10:50 Dott. Dario Guarascio (School of economics, Università di Roma 1)

10:50-11:10 Prof. Enzo Siviero (IUAV)

11:10-11:40 Coffee break

11:40-13:00 Workshop session 1: Climate and sustainable development

13:00-13.45 Prof. Ingrid Rowland “The Ecstatic Journey: Athanasius Kircher in Baroque Rome”

Representatives of Università di Roma La Sapienza

Léo Vincent and Massimo Guarascio, Pdt and Vice-Pdt of RMEI

“The Foucault Pendulum at Collegi Romani” (Wunderkummer 2015)

“Cultural networking and success factors in RMEI activities”

“The Mediterranean is our land, bridging and networking”

Moderators: Olivier Boiron General director RMEI/Ecole Centrale Marseille,

Manel Abbes (ENISo)

Dhekra Rhaiem (ENIM Monastir) “Coupling of Photovoltaic thermal hybrid solar

collectors and Windmills with hydrogen chain for insular area”

Benjamin Luce, Yann SUREL (Ecole Centrale Marseille) “Weather station”

Imen Hajji, Manel Abbes, Anis Baklouti, Ali BelHaj Zahi, Mahdi Ben Abdallah,

Malek Ben Ali, Haythem Dabbabi (ENISo Sousse), “Weather station”

Souad Qalbi, Mohamed El Bouhali (ENIM Rabat) “Weather station”

Amjad Samara (Ann-Najah University) “Point of view on sutainable development”

Collegi Romani Museum of Athanasius Kircher

Following the official Kick-off meeting of the HOMERe Program

(Marseille, March 17th, 2015)

15:00-18:00Launching of the HOMERe consortium in Italy

On the occasion of the 3rd Michelangelo Workshops « Making the Mediterranean an employment area »

15:00-15:30 Opening ceremony: the challenge of improving employability of graduates

15:30- 15:50 Invited lecture by Ing. Nicola Monda, CNI: The Mediterranean Engineer

15:50-16:10 HOMERe, a new program for improving employability of Mediterranean Youth

16:10-16:30 Coffee break

16:30-17:30 Round Table on the added value of international internships

17:30-18:00 Structuration and challenges of the Consortium HOMERe Italy

Ing. Franco Terlizzese, Director of Ministry of Enterprise and Economic Development ,

Mme Jihen Boutiba Mrad, Secrétaire général Business Med

Ing. Nicola Monda, Responsible of International Affairs, CNI

Prof. Léo Vincent, President of RMEI, General Coordinator of the HOMERe program

Prof. Massimo Guarascio, 1st Vice-President of RMEI

Moderators: Prof. Gülsün Sağlamer CUM, Olivier Boiron RMEI

Paolo Antona, Consultant, Member of the HOMERe Wise Person Committee

Prof. Fabrizio Micari, Preside UNIPA

Prof. Alfonso Montella, UNINA

Responsibles of Italian companies

Nicola Monda, CNI

Paolo Antona, member of the HOMERe Wise Persons Committee

Massimo Guarascio, 1st President RMEI

Francesco Losurdo, Director of CUM

Marcello Scalisi, Director of UNIMED

Angelo Di Gregorio, UNIMIB

www.homere-med.org

18:00-19:00 Touristic walk to the church “San Pietro in Vincoli”

19:00-19:30 Cultural event dedicated to the Moses of Michelangelo at San Pietro in Vincoli

19:00-19:10 Angelica Pedatella “Seamed-Game relatively the intercultural world in prison and the relations with the external through culture”

19:10-19:25 Prof. Massimo Guarascio “Introduction in front of the statue”

19:25-20:00 Prof. Fabrizio Vestroni, Prof. Maurizio Quoiani “Computered

reproduction of Michelangelo’s Moses from a virtual marm block”

20:00 Official dinner in the XVI century cloister of the Church, at the Università di Roma

Saturday, April 11

Location: Civitavecchia, Town Hall

8:00 Departure by train from Termini Station to Civitavecchia

9:30-9:45: Welcome address by the Mayor of Civitavecchia

9:45-10:20 Workshop Session 2: Smart Cities

10:20-11:00 Workshop Session 3: Tourism and sustainability

11:00-11:45 Workshop Session 4: JEY; Jeunes entrepreneurs – Entrepreneurship for Youth

Moderators: Prof. Gino Bella (Unicaesano), Antonello Carlomagno

Valerio Baiocchi, Antonello Carlomagno, Gregorio Pirrò, Francesca Sciarretta and Nicolò Sciarretta (Doctors and students from Sapienza and IUAV Venice),

Gino Bella (Unicaesano), “smart cities”

Lourdes Salameh (Notre Dame University), “eco-friendly residential”

Mahmoud Kobbi, Maaha Massaabi (SupCom Tunis)

Moderators: Prof. Léo Vincent RMEI – Maïana Houssaye Ecole Centrale de Lyon

Elodie Courtois, Maïana Houssaye, Thomas Le Baron, Alexei Reiman, Valerian

Seuwin (Ecole Centrale Lyon) “Take the Med Jeunes, Defismed project”

Med Samoud (ENIM Monastir) “Renewable energy”

Moderator: Prof. Stefania Tinti, Sara Hassan Cairo University

Anais Guesne , Pauline Saussol, Jellil Yahya (Kedge Business School) “JEY”

Sara Hassan Cairo University “JEY in Egypt”

Souad Qalbi (ENIM Rabat) “When to Start Your Own Business? “

11:45-12:00 Walk Transfer to Aula Museale of Coast Guard inside Forte Michelangelo

Location: Civitavecchia, Forte Michelangelo

12:00-12:30 Capitaneria di Porto “Coast Guard mission innovations in the control of maritime

12:30-13:15 Visit of the exhibition of photos

13:15-14:15 Ceremony for the award of the Michelangelo prizes and election of the GAMe

14:15-15:00 Lunch, Conclusion and Brindisi

15:00-15:15 Walking transfer to Cittadella della Musica

15:15 Cultural visit of the Raffaello’s Frescoes in De Paoli’s Renaissance House

17:40 Return to Rome transports and Mediterranean protection”

Prof. Alvaro Ranzoni “Conference on Raffaello’s Frescoes”

Free evening in Rome

Event organized with the participation of UNIMED, BUSINESSMED

Frosinone piccola capitale torni a sorridere

Di GIUSEPPINA BONAVIRI

Per chi, come noi innovatori, crede che possa esistere una politica dove democrazia, diritti civili e valori sociali siano messi al centro del dibattito non si può accettare di rimettersi a logiche scissionistiche ( copioni rivisitati) o a contrapposizioni tra le diverse anime che aleggiano indisturbate nelle scatole partitiche omologate e che lavorano a spartizioni di poltrone subendo il fascino solo degli scambi di piacere. Crediamo fortemente che sia possibile ricreare uno spazio di ” garante istituzionale “ disposto ad offrire una politica di servizio che può insidiare il blocco di potere venuto a galla nella nostra nazione, una nazione conosciuta come degli affari sporchi. Galvanizzare buone energie oltrepassando gli abusi impropri dei nostri governanti partendo, come buona prassi vuole, dall’ utilizzare più il noi che l’io può significare far risorgere quella gente che quotidianamente fatica a portare a casa la pagnotta, dispersa nelle periferie del paese ed immobilizzata dalla povertà. La trasformazione passa dal desiderio di investire energie vitali sui temi della best practice, fuori dall’affarismo. Ma siano in Ciociaria, una terra purtroppo divenuta acefala negli anni perchè bene inserita nei gangli del potere che “spuzza”. Una classe dirigente compromessa non può eliminare le mafie e la criminalità. La credibilità di un posto, nel momento di assumere ruoli e responsabilità, dimostra che c’è bisogno innanzitutto di quelle energie migliori della società che tanti comportamenti virtuosi ha prodotto in questi anni sul terreno della legalità e dei diritti. Occorre un’assunzione ora di responsabilità da parte dei frusinati che può rivoluzionare l’ asfissia a cui siamo stati costretti. Di mezzo trasparenza e onestà sono le virtù civiche che riconosciamo nostre a differenza di chi, dal passato ad oggi, non ha fatto certo della legalità materia prioritaria per il buon governo del nostro territorio. La lista delle inadempienze, oltre ai provvedimenti impopolari dovuti ai cosidetti tagli di bilancio, non può occultare chi si continua a nasconde dietro proclami e regimi da semplice esecutore dell’ordine obbligato. Il marasma e l’avidità ostentata deve riconoscersi nel malgoverno amministrativo che, da destra a sinistra, ha regnato la Ciociaria e che ha creato gravi danni causando quel fenomeno che ha fatto della provincia ciociara -nella regione Lazio- quella più a rischio di povertà assoluta e a più alta percentuale di povertà relativa . In questo senso i nostri politici dovrebbero riconoscere i propri errori e che di “missione incompiuta” trattasi; questo anche per quella parte del Pd che si dichiara eticamente corretta. Se ciò avvenisse, l’ approccio alle prossime competizione elettorali locali assumerebbe altra valenza. Intendiamo mantenere vivo il dialogo con gli esponenti di area apprezzando- qualora ci fossero- i benefici derivanti da un equilibrio unitario? Ma questi stessi esponenti hanno voglia di mettersi seriamente in gioco e di aprire un sereno confronto? Intanto, però, mentre i cinesi comprano la Pirelli e l’Expo avanza nei nostri quartieri si continua a covare disagio sociale e degrado macro fenomeni, questi, che inducono alla fuga di tante e tanti compresi gli immigrati che ritornano nei luoghi da dove erano emigrati. Frosinone, da noi innovatori della Rete Indipendente, costruita come una Piccola Capitale appare al momento rimpicciolita, impietrita, impotente. Le dinamiche di separazione e di lotte interne ai partiti nelle metropoli stanno sollecitando i cittadini; questo potrà avvenire anche nella nostra città addormentata? Dobbiamo pensare al dopo con partecipazione e passione. Non lasciamo che altri lo facciamo per noi, sopra la vostre vite.

Rassegnatevi, l’innovazione devasterà il vostro modello di business

Ieri, leggendo di questa assurdità (clicca qui) pensavo -tra me e me- potesse trattarsi di uno scherzo: sinceramente, non avevo mai sentito parlare di forze dell’ordine intente a dar la caccia a quelli che di fatto sono i fattori produttivi di un servizio offerto tramite app (nel caso di specie i conducenti di autovetture del circuito UBER). UBER altro non è che uno dei tanti disruptors (devastatori) dei modelli di business -quello dei poveri tassisti nel caso dell’articolo di cui sopra- conosciuti sino ad oggi; una delle tante innovazioni che ha mandato in soffitta per sempre quel tipo di attività, quel modello organizzativo, quell’idea di servizio. E’ bene che tutti, dal fabbro al grande imprenditore che gestisce un’ attività con una storia pluridecennale, se ne facciano una ragione: tecnologie sempre più evolute continueranno a comparire sui e a scomparire dai mercati senza sosta, contribuendo a creare beni e servizi in grado di competere simultaneamente  su 3 livelli:
  • prezzo;
  • prestazioni;
  • personalizzazione.  
Sarà perfettamente inutile appellarsi al legislatore per ottenere la protezione giuridica (ben diversa da quella che solo l’apprezzamento segnalato dal mercato può offrire) di una supply chain superata dal corso degli eventi: l’imprenditore che non riesce a scorgere la nascita di disruptors prima dei suoi clienti è destinato al ridimensionamento e/o al fallimento. Siamo oltre l’era di Michael Porter, di Clayton Christensen e del suo “Innovator’s Dilemma”, di  W. Chan Kim e Renée Mauborgne e del loro “ Blue Ocean Strategy”; il tempo a noi contemporaneo è quello in cui i disruptors attaccano i mercati a livello tridirezionale, offrendo -grazie a crescita esponenziale e costi sempre più bassi delle nuove tecnologie- beni e servizi migliori, più economici e più personalizzati. Pensare di poter innovare selettivamente processi produttivi e prodotti mentre il resto del mercato resta immobile è semplicemente anacronistico. Pensiamo un attimo a come Google Maps Navigation abbia devastato i mercati di Garmin, Tom Tom e Magellan, offrendo agli utenti un servizio gratuito: 18 mesi dopo il lancio delle mappe del primo, i secondi avevano perso circa l’85% della capitalizzazione di mercato. I disruptors se ne fottono altamente delle tradizionali regole della concorrenza, non considerando gli incumbents (aziende mature) e i loro prodotti come concorrenti o modelli oggetto di studio. Entrano nel mercato e spazzano via le imprese esistenti alla velocità della luce: quando qualcuno se ne accorgerà non ci sarà tempo per organizzare una risposta competitiva efficace. Si tratta di diversità dimensionale, quasi fisica direi: mentre alcuni settori produttivi chiedono protezione ad una classe politica totalmente inadeguata, marcia ed incompetente, attraverso l’approvazione di leggi e provvedimenti paleozoici, i disruptors applicano alla legge del mercato (l’unica che conta) la legge di Moore in versione riveduta e corretta; nel caso dei taxi, anziché cercare di replicare -migliorandoli ulteriormente- i modelli di Lyft, SideCar ed Uber, vengono chieste multe e ritiri delle carte di circolazione, suscitando spesso le proteste dei consumatori poco disposti ad abbandonare servizi migliori e più economici. Mentre gli incumbents  italiani si affidano al parlamento dei Razzi, dei Scilipoti, dei Lupi, le aziende innovatrici si affidano agli hackatons, produttori di idee rivoluzionarie realizzate in pochissimo tempo – senza necessità di alcun approvazione dell’ufficio legale o del CEO- grazie all’ampia disponibilità di componenti off-the-shelf posti alla base di sistemi di produzione modulare, in grado di garantire economie di scala crescenti. Il marketing dei loro prodotti è trainato dai consumatori e non diffuso presso di loro; sfruttano i big data in grado di fornire loro informazioni di mercato quasi perfette. Applicano strategie indisciplinate in grado di garantire costi di creazione costantemente in calo; godono di crescita potenzialmente illimitata alimentata dai sempre più contenuti costi di sperimentazione (divenuti inferiori a quelli “da rimpianto”) di quelle idee coltivate tramite crowdsourcing, strutturalmente idonee a garantire returns on combines (ritorni sulle combinazioni) sempre più elevati, rispetto ai returns on designs (ritorni sulle progettazioni). La circostanza  che vede la devastazione dei modelli business generata da una serie di esperimenti quasi casuali, inerenti componenti apparentemente privi di qualsiasi nesso funzionale, produttivo, casuale, fornisce alle aziende incumbent il falso segnale di un’ assoluta quiete nel segmento di riferimento, disincentivandole a predisporre  una risposta competitiva. Negli anni ’80 il business dei flippers era enorme: nel 1992 la spesa sostenuta dagli americani per questo tipo di intrattenimento era pari alla metà di quella sostenuta per andare al cinema; nel 1993 i fabbricanti vendettero circa 130 mila nuovi flipper; nel 1994 la Sony lanciò la Play Station 1 con annessa celebrazione dei nuovi emotion engines. Dal 1994 al 1998 le vendite di flipper crollarono fino 15 mila unità all’anno, divenute meno di  10 mila nel 1999. Ma a crollare non fu solo l’industria dei flippers, vittima collaterale di un disruptor che non aveva neanche intenzione di competere con questo genere di prodotto, ma anche Sega nonché le decine di sale giochi presenti a New York, fra cui la Broadway Arcade, meta preferita dei VIP amanti dei videogames. Oggi il mercato dei flippers è limitato  al settore dell’arredamento, in un segmento -molto contenuto- composto da utenti domestici; chi pensa che questa sia la brutta fine di un’industria gloriosa, forse non sa che quella che aspetta a chi si ostina a chiedere aiuto al legislatore anziché concentrare risorse in ricerca e sviluppo, sarà ancor peggiore.

Papa Francesco, la semplicità di un innovatore

di Prof. Mario Raffa

VATICAN-POPE-AUDIENCE

Ecco la riflessione di questa settimana pubblicata su “Luci sull’innovazione”, la rubrica settimanale in edicola sul Denaro di sabato 21 marzo. Il giornale di economia esce in abbinata con Il sole 24 Ore.

Papa Francesco oggi sarà per le vie di Napoli. Un evento storico. Il Santo padre non starà fermo a dire messa, “ma girerà per la città” – fa sapere il sindaco – incontrerà la sua gente, conoscerà i suoi odori, i suoi sapori, entrerà nel suo ventre gioiso e martoriato.

img_14561Il Papa, si è letto in questi giorni, è una speranza, una scossa. È la massima autorità spirituale, la più potente, la più illuminante. Eppure, una delle caratteristiche di Francesco, una cosa che colpisce e che può fare da monito soprattutto ai giovani, è proprio l’uso di questa sua grandezza. La semplicità con cui la esibisce. La sobrietà che in genere è segno di una sostanza superiore alla forma. E a pensarci a fondo, per tutti quelli come noi che parlano di innovazione, di un domani diverso – in sostanza – c’è molto da imparare dal Papa. Soprattutto dal suo atteggiamento. In fondo anche lui è un uomo del Sud. Un argentino, per di più. E non è un caso, forse, che la nostra sia la prima metropoli del mezzogiorno d’Europa, che il Papa visita. Ringraziamolo, strappando lui i segreti della sua forza. Oltre la sua veste.

Il popolo sovrano al centro dell’innovazione della Rete

di Giuseppina Bonaviri

Tra Landini e Papa Francesco c’è il popolo sovrano che ritorna, un popolo che per noi della Rete  da sempre rappresenta lo Stato Innovatore. Da anni lavoriamo, in questa terra complessa e ostile, perché avvenga la trasformazione auspicata. Partiti, politici, rappresentanti eletti  continuano ad oscurare progettualità dal basso osteggiando la nostra gente e costringendola a convivere con malaffare e  microcriminalità, lontana  da un percorso innovativo condiviso su progetti e status sociale equo, lontana dal bene comune. Questo plotone di “ esecutori”  ha azzoppato merito e talento  penalizzando le eccelenze  per dare spazio solo a collusi e potentati. Cultura civica, identità, appartenenza sono stati azzerati  da chi detiene l’economia  ma non le idee, in un territorio martoriato e dissacrato dalla mala politica. La gente deve potersi riappropriare dell’agorà politica locale e giovarne come di un benessere normalizzatore. Una battaglia comune contro solitudine e personalismo, contro inadeguatezze e sottocultura obbligate da chi asservito, invece di assicurare spazi di democrazia partecipativa pulsante come cuore della coscienza critica di un luogo, custodisce veleni e tempeste distruttive senza contradditorio, su derive.

Siamo stanche-i di subire.  Una alternativa possibile c’è, anche nella nostra provincia: agire sul senso comune con forme solidaristiche e di aiuto reciproco lavorando a favore dei principi non negoziabili.  Lo stato sociale nacque da una alleanza tra ceti popolari e medi  che divenne paradigma di civiltà e progetto politico. Dopo anni  si ritorna a parlare di “misericordia” (meglio dire di come riconoscere il proprio e altrui  male) via maestra per  passare alla liberazione di chi, diventato schiavo di una non morale, necessita di azioni riformistiche sull’etica e sui diritti. L’economia uccide, la società esclude, la globalizzazione crea indifferenza  degli sfruttati e degli oppressi. Favorire un percorso preferenziale, una marcia dei diritti negati,  la caduta di frontiere mentali  per una reciproca accoglienza che vada oltre ogni forma di barriera, è obbligo morale per noi della Rete. Non permetteremo più  aggressioni  da parte di una classe politica inqualificabile che abbassa lo sguardo a danno di chi voce non ha.

Ecco allora che nasce la Piattaforma condivisa 2.0. Una dimensione sociale che va nella direzione di agevolare e far prendere coscienza del potere reale d’azione che il cittadino ha, al cittadino stesso  nel proprio contesto di appartenenza. Un progetto di analisi del rapporto tra territorio e collettività quale performance pubblica per la creazione di una nuova memoria. La Rete  intende proseguire il percorso, intrapreso da anni, sulle buone pratiche nella trasformazione del sociale diventando quel ricercatore sociale – un melting-pot di relazioni, appartenenze, esperienze, culture, tradizioni, saperi – che studia la Comunità. E’ possibile rispondere ai bisogni che vanno oltre le necessità materiali per contestualizzare nuove esigenze legate alla qualità del tempo libero, all’identità, alla libera espressione delle proprie capacità. Raffigurare le dinamiche interne ai gruppi, alle organizzazioni, alle istituzioni, ai cittadini cercando di interpretare i rispettivi bisogni ed aspettative è partecipazione. La Piattaforma da, così, il via alla creazione di un laboratorio sperimentale di metodi e processi corali partecipativi  all’interno della comunità locale. Gli strumenti utilizzati corrisponderanno ai metodi della ricerca di azione potenziati dalla attivazione all’unisono dei cittadini, unico mezzo di conoscenza e apprendimento delle pratiche di Innovazione sociale.  Dare forma alle idee permetterà di leggere da una nuova angolazione il contesto osservato.  Ne discuteremo insieme agendo sulle realtà locali a partire dal capoluogo.

Con una visione proiettata all’impegno e al sentimento di potere/possibilità percepita a partire dal singolo si promuoveranno cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti collettivi. Non ci sentiamo vittime predeterminate di una società liquida bensì i fruitori di questa nuova dimensione. Dimensione che consentirà, nell’immediato,  l’ evoluzione del Popolo a Stato Innovatore.

Il vento nuovo sugli investimenti (EFSI)

di Gianni Pittella su Il Sole 24 Ore

Il piano Juncker prende corpo e con esso le speranze che dall’Europa arrivi finalmente un forte impegno su crescita e investimenti capace di invertire la tendenza dopo anni di cieca austerità. La decisione del governo italiano di iniettare 8 miliardi di euro a sostegno del Fondo Europeo di investimenti strategici (Efsi), unita agli impegni annunciati da altri importanti governi europei – Francia, Germania in primis – segna una svolta per il Piano Juncker.

Non era scontato. Non è stato facile arrivare dove siamo oggi. Il braccio di ferro tra Commissione, governi nazionali e Parlamento europeo ha raggiunto livelli di tensione visti di rado dalle parti di Bruxelles. L’obiettivo era chiaro e il gruppo dei Socialisti e Democratici ha da subito indicato nel lancio di un consistente piano di investimenti la condizione decisiva per il sostegno alla Commissione Juncker. La nostra memoria è spesso corta. Ma dovremmo sforzarci di ricordare da dove siamo partiti. Fino a qualche mese fa, con Barroso, si parlava solo di stabilità. La crescita era scomparsa dal vocabolario europeo e con essa ogni ipotesi di interpretazione ‘intelligente’ della flessibilità. Ora il vento è cambiato a Bruxelles, grazie anche al lavoro negoziale portato avanti dal nostro gruppo e della presidenza italiana. Una vittoria per tutta l’Europa contro i sacerdoti della dottrina dell’austerità intransigente. Siamo di fronte ad una congiuntura eccezionale. Da una parte il piano Juncker con un rinnovato approccio alla flessibilità. Dall’altra, una Banca centrale europea che, grazie al Quantitative easing e alla lungimiranza di Mario Draghi, si è ormai trasformata in un solido fattore di crescita e stabilità dei mercati. I governi sono chiamati a fare la loro parte a livello di riforme. A noi come Socialisti e Parlamento europeo spetterà rafforzare e puntellare le basi del piano Juncker. Il Parlamento europeo sta ora esaminando la proposta legislativa della Commissione. Nell’incontro avuto con il presidente Juncker nel corso dell’ultima sessione del Parlamento a Strasburgo, il gruppo Socialista e Democratico ha ribadito l’impegno ad approvare il fondo prima di luglio. Un impegno però che passa dalla necessità di rafforzare i fondamenti del piano per renderlo uno strumento tangibile al servizio della crescita. Di fronte ai rischi di deflazione e stagnazione, con i movimenti euroscettici, xenofobi e populisti ovunque in crescita in Europa e di fronte ad una crisi sociale e economica lacerante, nessuno può permettersi il lusso di mancare questa occasione.

L’Efsi per andare veramente ad incidere deve potersi concentrare sulla qualità dei progetti di investimento e sul loro impatto sull’economia reale. In altre parole, la valutazione dei progetti non dovrà riguardare unicamente il progetto in sé ma dovrà prendere in considerazione la sua abilità a innescare ulteriori investimenti dal settore privato. La sfida, insomma, sarà puntare certamente alla crescita ma con un occhio speciale alla qualità degli investimenti, anche per ridurre la forbice tra le zone più e meno ricche del continente e d’Italia. Si dovrà quindi considerare come prioritari quei progetti che non riescono a finanziarsi direttamente sul mercato proprio alla luce del profilo di rischio più elevato. Ci si dovrà inoltre concentrare su settori decisivi per la crescita europea quali le infrastrutture, la banda larga e l’efficienza energetica. Fondamentale per consolidare il fondo sarà il ruolo – da rafforzare – delle piattaforme di investimento e delle banche nazionali di sviluppo. Realtà come la Cassa Depositi e Prestiti in Italia o la Caisse Depots et Consignations in Francia, per citarne solo alcune, devono diventare le protagoniste della nuova stagione d’investimenti inaugurata dal piano Juncker. Serve un legame tra questi attori e il nuovo fondo perché essi hanno capitale e le expertise necessarie che potranno servire le ambizioni dell’Efsi. È chiaro che gli Stati membri debbono essere incentivati a contribuire finanziariamente alle piattaforme di investimento e alle banche di sviluppo inserite nel sistema Efsi. E per fare questo i contributi degli Stati membri alle piattaforme e alle banche promozionali dovranno essere scomputati dal patto di stabilità e crescita, non considerati quindi come debito o deficit.

La creazione del Fondo europeo di investimenti strategici può diventare il laboratorio su cui sviluppare una nuova sinergia tra capitali pubblici e privati. Se vogliamo investire sul futuro dell’Europa c’è bisogno dello sforzo di tutti. La partita è iniziata. E non ci saranno tempi supplementari.

 

Confronti internazionali. Scongeliamo la foresta pietrificata degli statali

di Francesco Grillo

La trasformazione anche drastica della pubblica amministrazione si può fare. Può essere superata – come promette il ministro Madia – l’idea che i dirigenti siano inamovibili e che la carriera si svolga a prescindere dai risultati. Ed è possibile sciogliere il paradosso – di dover affidare l’attuazione del cambiamento a chi si è specializzato a resistervi – che ha prodotto il fallimento di vent’anni di riforme. Esiste una strada – pragmatica – per rimuovere i vincoli che finora hanno condannato l’amministrazione pubblica ad un declino progressivo e costretto qualsiasi “revisore della spesa” a partorire topolini.

È questo il messaggio che si coglie a leggere le storie del cambiamento nel settore pubblico negli altri Paesi europei in questi anni di crisi.  Un rapporto presentato a Dublino la settimana scorsa dall’Agenzia dell’Unione Europea che studia l’evoluzione dei mercati del lavoro, fornisce elementi di comparazione internazionale che mancano nei discorsi che si fanno sulla riforma dell’amministrazione pubblica italiana.

In generale, la crisi ha fatto più vittime nel settore privato che in quello pubblico. Se dal 2008 i ventotto Paesi dell’Unione hanno perso complessivamente 7 milioni di posti di lavoro, il numero di dipendenti nel settore pubblico è rimasto grossomodo lo stesso. Il risultato deriva dalla spinta di due forze che si muovono in direzione opposta: da una parte la necessità di dover far fronte a debiti pubblici fuori controllo che ha portato ad una riduzione nel numero di dipendenti negli uffici centrali; dall’altra l’esigenza, soprattutto in settori come quello della sanità e dell’educazione, di far fronte a bisogni più diffusi (ed anche questo è, paradossalmente, un effetto della crisi), ma anche nuovi rispetto a quelli tradizionali e diversificati.

Se, a livello europeo, le due tendenze si sono bilanciate, nei Paesi – Italia, Spagna, Grecia – più colpiti dalla necessità di correggere i conti pubblici, l’effetto combinato è stato una riduzione nell’incidenza complessiva della spesa per il personale pubblico rispetto al prodotto interno lordo (in Italia siamo passati dall’11,3 nel 2008 al 10,1 nel 2014). Tuttavia, è interessante notare come la necessità di contenere la spesa delle amministrazioni pubbliche è stata gestita nei diversi Paesi europei.

L’Italia è tra gli Stati che meno hanno fatto ricorso alla riduzione degli stipendi che è stata fatta digerire, ad esempio, ai dipendenti delle Regioni che in Spagna sono ben più autonome di quelle italiane (anche se i confronti dell’OECD continuano a dire che i dirigenti italiani di prima fascia sono quelli più pagati e meno valutati). D’altra parte, siamo anche uno dei Paesi che hanno maggiormente utilizzato il congelamento dei contratti per evitare ulteriori aumenti salariali. Si è preferito, insomma, contenere utilizzando l’inerzia come leva.

La pubblica amministrazione italiana è, poi, l’unica, includendo nell’analisi anche quelli che non dovevano fare i conti con la necessità brutale di un taglio, a non aver mai realizzato veri e propri interventi di ristrutturazione di interi comparti. Tra gli esempi più eclatanti ci sono quelli della Polonia che, nel 2012, ha ridotto di cinquemila unità il numero dei poliziotti per effetto di una fusione di diversi corpi e degli inglesi che hanno diminuito, nel 2010, di quasi quattro mila persone gli organici dell’agenzia dell’entrata dopo un progetto di informatizzazione.

I confronti europei dicono, infine, che siamo quelli che maggiormente hanno fatto ricorso alla “tecnica” della riduzione percentualmente uguale della spesa nei diversi comparti e che ha usato di più la scure del blocco del turn over. Abbiamo, oggi, meno dipendenti pubblici solo perché non ne abbiamo assunti di nuovi: il risultato è, però, che la metà di essi ha più di cinquant’anni (negli altri Paesi europei sono un terzo) e siccome le remunerazioni sono legate all’anzianità, essi costano mediamente di più che all’inizio della crisi.

Il fatto è che, come dimostra uno studio condotto dal think tank Vision insieme a ricercatori dell’Università di ADAPT – Centro studi sui temi del lavoro fondato da Marco Biagi, negli altri Paesi europei è minore la differenza tra regole che disciplinano il settore pubblico e quello privato. Non esistono veri e propri “concorsi pubblici” in Inghilterra e i dipartimenti delle Università più prestigiose d’Europa hanno processi di reclutamento e conferma dei professori universitari assolutamente autonomi, come chiede il ministro Stefania Giannini. In Germania e in Francia, le mansioni possono cambiare e ciò è fondamentale per rispondere a discontinuità tecnologiche che rendono obsolete intere filiere produttive (dal rilascio di molti certificati al controllo fisico del territorio). In Spagna bastano tre trimestri in rosso per autorizzare la mobilità di dipendenti che lavorano presso enti pubblici in difficoltà finanziaria.

In Italia domina, invece, il vincolo sancito dalla Costituzione (articolo 97) che vuole che l’organizzazione degli uffici sia disciplinata dalla legge e, dunque, uniforme su tutto il territorio. Ed è questo il nodo gordiano che dobbiamo recidere senza contrapposizioni frontali. La fine del sistema del “tutto garantito” arriverà da robuste e progressive iniezioni di flessibilità che fanno bene a tutti: incoraggiando, ad esempio, lo scambio tra pubblico e privato; favorendo l’accumulazione di quel capitale umano (ad esempio, attraverso esperienze in altri Paesi) che rende più forti le persone e le organizzazioni.

Del resto, la più importante opportunità che il “quantitative easing” offre all’Italia è affrontare la madre di tutte le riforme – quella dell’amministrazione pubblica che è pre-condizione di tutte le altre – senza la fastidiosa sensazione di essere, in maniera permanente, sull’orlo del precipizio del default. Senza essere schiacciati dalla logica del taglio immediato che finisce con l’essere, inevitabilmente, lineare. È una finestra di opportunità quella aperta da Draghi che ha, però, il difetto di durare fino al Settembre del prossimo anno, quando dovremo ricominciare a confrontarci con mercati che non hanno alcuna pazienza.

Ed è per questo motivo che diventa urgente che il ministro Madia apra un dibattito sulla grande trasformazione, simile a quello che c’è in questi giorni sulla Scuola che della riforma della PA costituisce un’anticipazione.

Usciamo dal fortino delle revisioni della spesa destinate a spostare montagne per partorire topolini; abbandoniamo la nozione di riforma come evento palingenetico e sostituiamola con la nozione di cambiamento continuo nel quale i risultati tangibili a breve sono importanti quanto la strategia di lungo periodo; investiamo l’ossigeno che ci è fornito dalla diminuzione dei tassi di interesse per premiare i migliori e comprare “consenso” alla valutazione. Coinvolgiamo, come succede in Irlanda e Germania, il sindacato che non può non sentire in questo momento di avere un problema di ridefinizione della propria “rappresentanza”, in un confronto che parta dall’ovvia constatazione che un settore pubblico condannato all’inerzia, fa male a tutti, agli altri lavoratori e alla stessa credibilità dello Stato. E, dopo aver spento la prima candelina del governo con il JOBS ACT, poniamoci subito come obiettivo del secondo anno lo scongelamento della foresta pietrificata dell’amministrazione pubblica.

 

 

Piano Juncker: i punti fissi su cui non arretriamo

di Gianni Pittella

Buone notizie dall’Europa? So che non è facile di questi tempi forare il muro di scetticismo e di indifferenza, se non di ostilità, nei riguardi di un’Europa considerata, a volte non senza ragione, un peso oneroso e istituzione incapace di affrontare e risolvere i guai dei suoi cittadini.

Ma in queste settimane si è lavorato sodo, e con costrutto, in tutte le sedi di decisione dell’Ue e un clima di ottimismo comincia a farsi strada. Vale la pena sottolineare quel che sta avvenendo, grazie anche alla non facile intesa politica raggiunta tra i governi in seno al Consiglio europeo, nel campo finanziario e monetario.

La Politica (la P maiuscola non è posta per un refuso) ha compiuto le sue scelte di indirizzo verso la crescita e per allontanare la pratica dell’austerità. I tanto odiati tecnici, in questo caso appartenenti alla Banca Centrale, hanno avviato un piano di azione che sta producendo risultati che si credevano insperati.

L’idea geniale di Mario Draghi del “quantitative easing” sta dimostrando, nella pratica, tutto il suo potenziale tanto da porre davvero solide basi per aiutare i governi ad uscire dalla lunga e disastrosa crisi per incamminarsi verso un’economia di crescita e di rilancio dell’occupazione.

Detto in italiano, il “quantitative easing” vuol dire che la Banca centrale ha deciso di stampare moneta “fresca” per aumentare la liquidità del sistema finamoghernziario in modo che essa arrivi all’economia reale. Questo “QE” spinge alla diminuzione dei tassi d’interesse e dei mutui.

Concetti – tassi di interessi e mutui – che i cittadini, specie gli italiani, comprendono perfettamente. Quest’azione europea va spiegata, dunque, nelle forme più semplici, nelle ricadute reali sulla vita di tutti noi cittadini.

Qualche giorno fa, a Strasburgo, il Gruppo parlamentare “Socialisti e Democratici” ha invitato ad un confronto non formale il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e alcuni commissari (tra loro, l’Alto Rappresentante Federica Mogherini). Riunioni che facciamo con una certa regolarità. Perché, innanzitutto, vogliamo verificare passo dopo passo, e non solo in Aula, come procede il programma che caratterizza la Commissione che, lo sottolineo, abbiamo votato a precise condizioni. Juncker ne è consapevole e con lui esiste un rapporto di reciproca fiducia ma anche di ferma volontà, da parte nostra, di non recedere da alcuni punti fissi. Il principale è, appunto, quello di procedere senza deviazioni con il “Piano di investimenti” e sulla flessibilità.

Abbiamo ottenuto un cambio di direzione verso la crescita, grazie anche al commissario Pierre Moscovici. Ora dobbiamo accelerare e rafforzarla, per non rendere vani gli sforzi che sono stati compiuti e che stanno dando già i primi frutti.

Abbiamo ribadito a Juncker che l’EFSI, cioè il Piano per gli Investimenti Strategici – che intende mobilitare ben 315 miliardi di euro – deve riuscire a finanziare anche progetti ad alto rischio capaci di avere un serio impatto sull’economia europea e sollecitare il cofinanziamento degli Stati Membri attraverso l´incoraggiamento a finanziare le banche di sviluppo e le piattaforme di investimento.

In questo quadro va salutata con grande soddisfazione la decisione del governo Renzi di mettere otto miliardi a disposizione del Fondo, cosa che è stata molto apprezzata da Juncker e dal presidente dell’Eurozona, Jeroen Dijsselbloem.

Come si vede, c’è un’Europa in movimento. E su molti terreni. Per fare un altro esempio, abbiamo di fronte l’impegnativo tema della fiscalità. Non si tratta di una questione astrusa, bensì di un aspetto delle politiche europee che hanno un diretto impatto sulla vita dei cittadini perché – è bene ricordarlo – le decisioni legislative che provengono dall’Ue costituiscono ormai una buona fetta delle scelte dei governi nazionali. Abbiamo chiesto che siano fermi due pilastri: il no alla competizione fiscale e il principio che le tasse si pagano laddove si conseguono i profitti. Ci batteremo per questi obiettivi, insieme alla riduzione delle pesanti diseguaglianze sociali e alla conquista di un lavoro decente per tutti. Noi siamo in prima fila. Detto senza retorica e pronti a rendere conto del nostro impegno.

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