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Le lezioni su La7 di Romano Prodi: istruzioni per l’uso

Pubblichiamo con piacere questo ottimo articolo di Alessandro che ci spiega perchè il Professore – che è stato nei fatti il motore della nascita di Innovatori Europei nel 2006/7  – ha tanto da dare e da dire nel 2011 ad un’Italia carente di visione politica (e credibilità) internazionale.
 
 

prodi

E’ giunto il momento di aggiornare, brevemente, la parte dello Spazio della Politica dedicata alla “prodologia”, la disciplina che si occupa dello studio di Romano Prodi. Ne abbiamo parlato già a fine 2009, in un articolo in cui notavamo il suo attivismo nei rapporti internazionali e in particolare con la Cina, e a fine 2010 ne “L’eterno ritorno di Romano Prodi”, abbiamo esposto un punto di vista volutamente provocatorio sulla forza della sua leadership rispetto al resto del panorama politico-economico del Paese. Proprio in questi giorni, alla notizia della presenza televisiva di Prodi si è affiancata quella dell’uscita di un nuovo libretto, dal titolo “Futuro cercasi”. La dignità scientifica della prodologia può essere messa in discussione: perché Prodi? Perché ancora lui? Non è vecchio? Perché dobbiamo essere governati da Prodi e non da tanti Massimo Zedda?

A partire da questi presupposti, è interessante chiederci di che cosa parlerà Prodi nelle sue già celebrate lezioni su La7 e, soprattutto, perché è importante occuparcene, mantenendo un’attenzione sui temi, ancor più che sulla sua “campagna” per la presidenza della Repubblica. Ecco quindi un piccolo riassunto apocrifo dei suoi corsi.

1. Il mondo visto dalla Cina. Gli scritti sul Messaggero e  le conferenze degli ultimi anni (in gran parte consultabili qui) testimoniano un fatto: Prodi si è rimesso a studiare. I suoi studi si concentrano proprio su quella idea ambiziosa di “formazione globale” di cui tante volte su Lo Spazio della Politica abbiamo cercato di seguire le tracce. Perciò Prodi cercherà di raccontare ai suoi ascoltatori-studenti i cambiamenti e le contraddizioni del mondo, dalle opportunità e i rischi per l’Africa alla Cina, su cui come sappiamo Prodi ha accumulato un notevole capitale di conoscenza e di relazioni. Prodi cercherà di raccontare la Cina agli italiani attraverso piccole immagini efficaci per i cittadini e per le imprese, come questa di Wenzhou. Spiegherà che non dobbiamo avere paura di una “spartizione cinese dell’Europa”, ma dobbiamo pensare piuttosto a un “rinascimento cinese”, riprendendo la visione del suo collega alla CEIBS David Gosset, direttore dell’Academia Sinica Europea, nell’ultimo volume del rapporto Nomos & Khaos. L’attualità e la sua storia personale imporranno a Prodi una particolare attenzione per l’Europa: sugli squilibri attuali, sulle incertezze dell’ultimo decennio, sulle responsabilità della sua classe dirigente.

2. Il “capitalismo senza volto”. La raccolta di scritti pubblicata dal Mulino nel 1995 nella collana “Tendenze”, e intitolata “Il capitalismo ben temperato”, si apre con lo scritto del 1991 “Esiste un posto per l’Italia tra i due capitalismi?”. In esso Prodi si inserisce sul dibattito in corso sulle varietà dei capitalismi (richiama spesso che i suoi lavori risalgono allo stesso periodo di quelli di M. Albert), affrontando alcuni nodi irrisolti del caso italiano, quello appunto del “capitalismo senza volto”. Tra i saggi vi è anche un programmatico “La società istruita. Perché il futuro italiano si gioca in classe”. I temi affrontati dal Prodi studioso, e i nodi irrisolti del Prodi politico, saranno ripresi in un contesto, con la ripresa di una discussione sulle politiche industriali, che non può non considerare l’apporto dell’economia digitale. E ormai, quanti capitalismi esistono? Come abbiamo scritto in passato, il puzzle si è complicato. Mentre gli economisti si dividono, dobbiamo aggiungere il capitalismo brasiliano, il capitalismo turco e molti altri a una visione troppo ristretta. E Prodi aggiungerà: “Non pensate mica di poter dire ai cinesi che sono “renani”, perché si sentono piuttosto del “delta del fiume delle perle” o di quelle robe lì…”. Mentre si delibera sul modello perfetto o sui modelli meno imperfetti, sarà pur vero che qualcuno dovrà lavorare, competere, dare da mangiare ai propri figli, abbattere o accrescere il debito pubblico, portare rubinetti italiani in Estremo Oriente passando per Suez. Questo modo di ragionare resta prezioso: o ci appassioneremo alla realtà dell’Italia o non ce la caveremo affatto. In questo, Prodi può comunicare a una vasta platea la sua eredità fondamentale, che è stata colta una volta per tutte da Edmondo Berselli con queste parole:

Piuttosto che occuparsi dell’ultima impalpabile variazione della teoria sraffiana del valore, e della produzione di sofismi a mezzo di sofismi, valeva la pena di mettere sotto osservazione l’economia italiana nel suo aspetto fenomenologico. Ed ecco allora voluminose ricerche sull’industria delle calzature, sulla produzione di piastrelle del distretto ceramico di Sassuolo, sull’industrializzazione diffusa delle Marche, in sostanza sull’Italia osservata da vicino, e non fantastica o immaginaria.

3. Il futuro del welfare. Proprio Edmondo Berselli ha messo lo zampino anche nella terza grande questione di cui si occuperà Prodi: il futuro del welfare. Già durante la presentazione del libro postumo del suo amico, “L’economia giusta”, Prodi aveva sottolineato questo punto:

Ogni giorno viene tolto un pezzettino dello Stato sociale… Andiamo avanti in questa situazione di essere costretti ad arretrare nelle conquiste sociali o possiamo fare un salto in avanti tramite un discorso di solidarietà e riorganizzazione della nostra società? (…)

Nonostante la vorticosa crescita che dà un senso tutto opposto alla società cinese e indiana rispetto alla nostra, non di ritirata ma di grande avanzamento, però la differenza tra ricchi e poveri aumenta anche in queste società. (…)

È interessante, perché in tutte le analisi del mondo trovo in questo momento un solo Paese in cui per un periodo medio di un terzo di generazione la distanza è diminuita, ed è il Brasile. Questo in fondo social-liberal-mercat-cristianesimo che ha fatto Lula, in questa meravigliosa sintesi di una vita diversa da tutti gli altri, è uscito sconfitto in tre elezioni e a fare una sintesi di tutto. E a interpretare in modo notevole questi fatti. E riesce – in una situazione di sviluppo – eh eh, a non aumentare queste differenze che sono, come dice Edmondo, caratteristiche di una società puramente mercantile.

Riassunto delle puntate precedenti. Negli anni ’90, Bill Clinton, nella sua strada per i successi nell’abbattimento del debito pubblico degli Stati Uniti, ha affermato di voler chiudere la storia del “welfare come lo conosciamo”. Il punto è stato condiviso da Blair. Come sappiamo, nella spesa pubblica italiana le voci della pubblica amministrazione, della previdenza e della sanità hanno un peso determinante. Ma che cosa può esserci alla fine del welfare come lo conosciamo, concretamente? Se consideriamo la sua fine naturale, possono esserci gli effetti della crisi del debito europeo sulla lotta contro il cancro, che forniscono un’immagine del futuro possibile. Durante il congresso europeo di oncologia a Stoccolma, notevole attenzione è stata dedicata a uno studio sull’aumento dei costi delle cure, e un recente articolo pubblicato su “The Lancet Oncology” ha lanciato l’allarme della crisi del costi, in particolare nei Paesi che invecchiano. In Grecia, la Roche ha sospeso la fornitura di anti-tumorali ad alcuni ospedali greci fortemente indebitati.

Sintetizzando, la domanda “ci sarà una piazza Tahrir italiana in autunno?” (ne abbiamo parlato qui e qui) è ritenuta più interessante della domanda “ci saranno i soldi per i farmaci contro il cancro negli ospedali pubblici italiani in autunno?”. La seconda domanda è più farraginosa e parla di una cosa precisa: è prodiana. Ma parla di un futuro prossimo possibile dell’Europa e dell’Italia, e merita di essere considerata.

Come si vede da queste anticipazioni, con le lezioni di Prodi – magari la sua voce sonnecchiante, col bofonchiare imperturbabile in italo-bolognese, inglese o cinese, andrà intervallata da qualche servizio appassionante, chiedere per informazioni ad Al Jazeera e ai documentari di Niall Ferguson, astenersi CCTV – il nostro dibattito pubblico compirà qualche passo avanti. Gran parte del dibattito pubblico italiano, difatti, si avviluppa sul concetto di “informazione”. In realtà, seppur in un sistema televisivo anomalo, disponiamo di molta informazione. A volte ci manca la formazione. Per questo abbiamo ancora bisogno del vecchio Professore.

La pesante partita di Obama

obama

di Rocco Pellegrini

Obama sta giocando tutto il suo prestigio e la sua influenza per far passare la riforma sanitaria e la riforma dei mercati finanziari ma il Congresso, spinto dalle forti resistenze del paese reale, gli sta mettendo i bastoni tra le ruote. Cerchiamo di capire perché e cosa c’è in gioco.

Il 29 settembre scorso, “la commissione Finanze del Senato ha bocciato con 15 voti contro 8 la proposta di creazione di un ente pubblico che faccia concorrenza effettiva alle grandi assicurazioni. Una misura contenuta nel testo iniziale della riforma presentato da Obama, che comunque, di fronte alle enormi difficoltà che il progetto incontra, ha da tempo mostrato disponibilità ad accogliere un compromesso”.

Così si legge in un articolo del Corriere della Sera che racconta gli ultimi accadimenti del progetto di riforma sanitaria in discussione nelle assemblee elettive negli USA. Obama ha impegnato in questa partita, che è un cavallo di battaglia storico per i democratici anericani, tutta la sua autorevolezza come si capisce dall’intervento al Congresso del 10 settembre 2009.

A noi europei, e soprattutto a noi italiani abituati al sistema sanitario nazionale che garantisce assistenza pubblica gratuita per tutti, tanta resistenza ed avversità ad una legge che ci sembra naturale e che dovrebbe dare a 45 milioni di americani (oggi esclusi da qualsiasi forma di assistenza) la copertura sanitaria, appare largamente incomprensibile.

Bisogna, però, calarsi nella realtà americana e, soprattutto, nella cultura americana per capire le ragioni di uno scontro così duro, rispetto al quale anche una personalità carismatica e popolare, come è Barack Obama, appare in grande difficoltà.

Dal testo del suo discorso e da tante altre dichiarazioni, sia del presidente che del suo entourage, appare evidente che l’amministrazione democratica non vuole fare passi indietro ed è disposta a giocarsi “tutto” pur di non fare la fine che fece l’amministrazione Clinton quando provò a far passare la sua riforma sanitaria che pure era, senz’altro, meno ambiziosa di questa prodotta dal nuovo presidente.
La presa di posizione della Commissione Finanze del Senato non è un fulmine a ciel sereno perché durante tutta l’estate negli USA il dibattito sulla riforma è stato ampio e molto diffuso, e spesso ha assunto toni molto aspri perché la destra repubblicana, ridotta al lumicino dopo la dissoluzione dell’eredità della vecchia presidenza Bush, ha visto nella lotta contro questa riforma la tanto attesa occasione per recuperare un rapporto con una parte importante della pubblica opinione.

Sono voltate parole grosse, le solite accuse di socialismo, addirittura ci sono state campagne televisive ed in rete che hanno pargonato Obama ad Hitler perché, tramite la riforma sanitaria, lo Stato avrebbe voluto controllare la vita e la morte dei cittadini americani.

Mettendo da parte, però, simili eccessi cerchiamo di dare una risposta al perché di un simile scontro. Chi vincerà questa partita? Come sarà il probabile compromesso verso il quale le cose sembrano andare?
Solo un indovino particolarmente ferrato potrebbe rispondere a simili domande. Quel che serve a noi qui è capire lo scenario degli interessi in gioco, il resto è al di là della nostra portata.
In primo luogo sarà necessario fare due conti per capire la dimensione economica delle forze coinvolte. Usando Google Finance è possibile ricavare un insieme di oltre 6500 imprese attive sui mercati americani.

 

Diamo uno sguardo a questa tabella che, senz’altro, ci aiuterà a capire:

 

All Sectors       22.912  
Financial          4.897  21.37%
Services          4.166  18.18%
Energy            3.295  14.38%
Technology        2.920  12.74%
Healthcare        1.915   8.36%
Basic Materials    1.700   7.42%
Cons. Non-Cyclical 1.412   6.16%
Capital Goods     0.700   3.06%
Utilities           0.678   2.96%
Cons. Cyclical     0.570   2.49%
Conglomerates    0.339   1.48%
Transportation     0.320   1.40%

 

I valori sono in trilioni di dollari, cioè in migliaia di miliardi di dollari e si riferiscono ai mercati del 29 settembre scorso.

Il primo valore rappresenta la capitalizzazione complessiva del mercato. L’ordine dei settori è per importanza quantitativa. Il settore Healthcare rappresenta le case farmaceutiche e tutti quelli che operano nel settore medicale in senso più vasto, comprese case di cura ed ospedali.

E’ chiaro che è fortemente interessato alla riforma sanitaria. La Technology è a lei avversa. Come vedete, rappresenta quasi il 13% di tutto il mucchio. Ma gli interessi non finiscono qui. Dalla tabella evinciamo che il settore più importante in assoluto con più del 21% del totale è il settore finanziario, all’interno del quale un ruolo non indifferente è giocato dal sistema assicurativo.

La sanità americana è fatta tutta dal sistema delle assicurazioni private, tranne qualche ramo marginale di assistenza agli anziani, e come racconta Obama nel suo intervento, rappresenta oltre un sesto della spesa complessiva del sistema America.

E’ un sistema pieno di corruzione e molto costoso che è totalmente avverso alla riforma democratica. Si tratta di una lobby che si è presentata col cappello in mano di fronte al consumatore americano quando, qualche mese fa, la crisi sembrò travolgere tutto ma che oggi ha riacquistato forza ed in buona parte ha restituito i prestiti ricevuti dallo stato per riacquistare iniziativa senza controllo.

Proprio per tener sotto controllo questa parte della problematica, Obama ha deciso di abbinare al discorso sulla riforma sanitaria un altro importante discorso sulla riforma dei mercati finanziari parlando a Wall Street il 14 settembre 2009 per ragionare sulla crisi e sulle soluzioni che l’amministrazione americana vuol realizzare per stabilizzare i mercati finanziari ed evitare nuove e più drammatiche crisi nel futuro.
Per capire dai numeri come e quanto queste potenti forze economiche abbiano recuperato dai minimi della crisi sarà il caso di dare uno sguardo ai numeri del 3 marzo 2009 quando tutto sembrò crollare e lor signori chiesero l’intervento dei contribuenti di tutto il mondo:

 

All Sectors       14.150 
Services          2.939  20.77%
Financial          2.302  16.27%
Energy            2.220  15.69%
Technology        1.577  11.14%
Healthcare        1.523  10.76%
Cons. Non-Cyclical 0.967   6.83%
Basic Materials    0.966   6.83%
Utilities           0.500   3.53%
Capital Goods     0.381   2.69%
Cons. Cyclical     0.343   2.42%
Conglomerates    0.221   1.56%
Transportation     0.210   1.48%

 

Come potete notare il settore finanziario era sotto ad un treno ma le dimensioni della ripresa le capiamo meglio se compariamo con la terza ed ultima tabella i valori del 3 marzo con quelli del 29 settembre:

 

All Sectors         8.762  61.92%
Financial           2.595  112.73%
Services           1.227  41.75%
Energy             1.075  48.42%
Technology         1.343  85.16%
Healthcare         0.392  25.74%
Basic Materials     0.734  75.98%
Cons. Non-Cyclical  0.445  46.02%
Capital Goods      0.319  83.73%
Utilities             0.178  35.60%
Cons. Cyclical       0.227  66.18%
Conglomerates      0.118  53.39%
Transportation       0.110  52.38%

 

Guardate quanto ha recuperato il settore finanziario! Di fronte ad un recupero del 60% circa di tutto il mercato il settore finanziario supera abbondantemente il 110% ed è quasi doppio rispetto a tutti gli altri, tecnologia esclusa che pure ha buone performance benchè inferiori a quelle del settore finanziario.
Appare evidente da queste assai eloquenti cifre di come questo settore abbia rialzata la testa ed oggi rialza anche il bastone del comando. Nel nostro piccolo è notizia odiena che le due maggiori banche italiane hanno deciso di non usufruire dei cosiddetti Tremonto Bond prefendo rivolgersi al mercato. Tremonti le ha accusate di preparare la prossima crisi giocando alla finanza creativa nuovamente.

Indizzi di questi comportamenti vengono da tutto il mondo. Si capisce, dunque, tornando al nostro ragionamento quanto sia grande l’interesse e quanto forti le lobby che Obama sta sfidando. Ma ciò non basterebbe se ad esse non si aggiungesse una consumata visione americana che è contro l’assistenza pubblica e che vede nell’intervento dello stato il peggiore di tutti i mali.

L’idea che chi ha poco deve soffrire è un’idea molto forte nelle comunità 

protestanti americane e si è portati a pensare che chi non ce la fa a fare da solo è meglio che non sia aiutato perché ciò indurrebbe comportamenti parassitari.
 
Dunque la montagna che si para davanti ad Obama sembra assai difficile da scalare e tuttavia io penso che il presidente riuscirà ad avere un qualche risultato. In fondo questa ripresa economica è una ripresa senza occupazione ed i numeri staranno pur dalla parte della banche ma gli interessi delle persone? Forse, anzi sicuramente, non del tutto.

Olimpiadi 2016 e Green Revolution

lulaAlcune piccole riflessioni sulla vittoria di Rio De Janeiro su Chicago (USA), Madrid (Europa), Tokyo (Giappone) nella designazione della città sede dei Giochi Olimpici del 2016.

Questo è un qualcosa che, chiaramente, va aldila’ dello Sport: è ormai chiaro a tutti quanto questi Eventi mondiali rappresentino soprattutto “equilibri e dinamiche politiche”.

La designazione di Rio de Janeiro è un ulteriore e chiaro messaggio sul fatto che Europa, Stati Uniti e Giappone hanno aperto, in pochi anni, la Leadership Mondiale ai Paesi BRIC.

Sebbene questa possa essere letta come una bella notizia, in termini di re-distribuzione di ricchezza e potere verso i “Paesi Emergenti-BRIC”, la stessa ci dice che i “cittadini” delle cosiddette “Aree sviluppate”, ovvero Stati Uniti, Giappone ed Europa rischiano difficili decenni di descrescita (economia, politica, demografica).

In questo nuovo contesto, il settore in cui le “Aree Sviluppate” potranno giocare ancora da protagonisti è quello della Ricerca e Innovazione scientifica.

Ed oggi il primario binario di ricerca e innovazione passa per la “Green Revolution”: su questo tema ci si gioca il futuro, da qui alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Di questo l’Europa deve fare presto tema prioritario per lo sviluppo.

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