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E adesso l’Italia agli ingegneri!

 di Massimo Preziuso (pubblicato su Lo Spazio della Politica)

Da giovane ingegnere mi è tornata alla mente una cosa che penso da tempo. Ovvero che, da quando in questo Paese il ruolo degli ingegneri è diventato sempre più marginale nelle imprese pubbliche e private, ma più in generale nella società, il Paese è pian piano diventato incapace di programmare ed attuare progetti ed investimenti di medio – lungo periodo. In questo senso, il caso della repentina e brusca approvazione da parte del governo del Decreto Rinnovabili è di scuola.

Qui si è visto all’opera l’approccio di una classe dirigente culturalmente indifferente alla programmazione, che non capisce che lo sviluppo di un Paese è semplicemente frutto del completamento di un insieme variegato di progetti e programmi possibilmente basati su tecnologie innovative, e che la realizzazione di questi richiede fondamentalmente il poter operare in scenari regolamentari il più possibile certi. Con la approvazione di un Decreto che vuole sostanzialmente annientare l’unica industria in crescita, in maniera anti ciclica, nel nostro paese – quella delle rinnovabili – risulta così ancora di più evidente l’assenza di un approccio manageriale – sistemico (proprio della cultura ingegneristica) allo sviluppo del Paese. Ed è per questo che l’Italia dei talenti imprenditoriali degli ingegneri Olivetti e Mattei è ormai un luogo lontano.

L’assenza dell’ingegnere dalla scena pubblica e privata comincia dalle Università. Basti guardare l’andamento delle iscrizioni negli ultimi venti anni: i giovani – assecondando i messaggi di una società che diceva loro che quel che conta davvero sono le cosiddette “soft skills” e non quelle “hard” – hanno pian piano abbandonato gli studi ingegneristici e si sono diretti verso le facoltà umanistiche (o al massimo ad Economia e Commercio).

Continua nel mondo delle imprese, oggi governate principalmente da professionisti con profili giuridici – economici, che portano con sé nella gestione societaria una logica manageriale di tipo amministrativo e burocratico, proprio oggi che una società complessa, sempre più basata su paradigmi tecnologici di breve durata e rapidissima intensità di crescita, dovrebbe svilupparsi attorno alle competenze tecniche e alla “cultura di progetto”, che un ingegnere più di tutti detiene, per formazione e forma-mentis.

Infine è presente nella politica. Mentre in Cina il potere politico è gestito da ingegneri (tra gli altri, Premier e Vice Premier lo sono) – e forse anche grazie a ciò quell’enorme e complesso Paese è riuscito a pianificare con un programma pluridecennale la crescita di quella che a breve diventerà la prima potenza economica del pianeta – in Italia esso è principalmente gestito da personalità di formazione giuridico – umanistica (il Premier è laureato in legge, il nostro Ministro dell’economia è un commercialista, il Ministro dello Sviluppo Economico ha la licenza liceale).

E’ per tutto questo che auspico a noi tutti che “l’Italia torni agli ingegneri e presto”, pena la fine di questo Paese.

Nota: L’articolo è chiaramente provocatorio, ma vuole mettere in risalto un fatto concreto: l’assenza dalla scena di quelle professionalità di formazione scientifica – che l’ingegnere rappresenta – che potrebbero invece far decollare il Sistema Italia.

Considerazioni sulla lettera del direttore Celli

pierluigicelli
Dopo aver “digerito” la lettera del Direttore della Luiss, Celli (che esorta -provocatoriamente – il figlio (ovvero i tanti giovani laureati italiani) a lasciare il nostro Paese, alla ricerca della normalità), ecco alcune mie considerazioni a riguardo.
 
– Vi è poco da dubitarne, e lo dico per esperienze che conosco, oggi un giovane italiano di medio talento (e lo sono in tanti), quando va all’estero (in Uk, Germania, Usa..) cresce e fa bene, e questo per almeno due ragioni:
 
1) il nostro Paese ha un sistema universitario che, mediamente, prepara i giovani con una seria impostazione “teorica”, che alla fine paga molto di piu’ della sommatoria di “Business cases” di cui oggi si articolano tanti corsi universitari d’oltralpe (e questa “teoria” diverrà un di piu’, soprattutto ora che è finita l’era della “rapidità delle decisioni” e si va verso quella della “sostenibilità delle azioni”)
 
2) in Italia i giovani continuano a crescere in un “contesto” che è sicuramente piu’ “sociale” che in molti altri Paesi, e questo si riflette in una innata capacità di “stare con gli altri” (che sarà un altro asset fondamentale per i prossimi anni) anche quando ci si trova all’Estero
 
(sebbene questi due “importanti vantaggi comparati”, in questi anni, abbiano subito un serio declino, che fortunatamente la crisi in atto dovrebbe automaticamente fermare).
 
– Vero anche il fatto che è arrivato seriamente il momento (si veda l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) di pensare all’Italia come una Regione di Europa, e che quindi per molti giovani debba essere oggi naturale pensare di andare a vivere o studiare (anche solo per un anno o due) in Inghilterra o in Francia, anche perche’, rispetto a soli 10 anni fa, oggi è molto piu’ facile (soprattutto grazie ad Internet, va detto) farlo.
 
– Vero anche che bisogna lavorare per provare a riportare in Italia i tanti giovani che sono riusciti a fare cose buone all’estero.
 
– E’, pero’, altrettanto fondamentale riflettere, per  il bene della maggioranza di giovani che restano (a soffrire) in Italia, sul fatto che in questo Paese, nella maggioranza dei casi, nella selezione di un candidato (e, poi, nella selezione di un progetto, etc. etc.), il “merito” e il “talento” vengano (da sempre?) spazzati via da “appartenenza” e “discrezionalità”.
 
E’ arrivato forse il momento di concentrarsi sul “collo di bottiglia”, il momento della selezione del lavoratore, definendone una nuova modalità, che assicuri trasparenza al momento decisionale?
O vogliamo continuare a sperare che le classi dirigenti si auto-riformino ed aprano improvvisamente al merito e al talento, trasformando di incanto tutta la società?
 
Non è piu’ pensabile che un Paese come il nostro continui a distruggere il proprio futuro attraverso la selezione di persone incompetenti.
 
Perche’, allora, non pensare a definire insieme, pubblico e privato, un NUOVO MODELLO DI SELEZIONE DEL LAVORATORE?
 
Che ne pensate?
 
Massimo Preziuso
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