Significativamente Oltre

Considerazioni sulla lettera del direttore Celli

pierluigicelli
Dopo aver “digerito” la lettera del Direttore della Luiss, Celli (che esorta -provocatoriamente – il figlio (ovvero i tanti giovani laureati italiani) a lasciare il nostro Paese, alla ricerca della normalità), ecco alcune mie considerazioni a riguardo.
 
– Vi è poco da dubitarne, e lo dico per esperienze che conosco, oggi un giovane italiano di medio talento (e lo sono in tanti), quando va all’estero (in Uk, Germania, Usa..) cresce e fa bene, e questo per almeno due ragioni:
 
1) il nostro Paese ha un sistema universitario che, mediamente, prepara i giovani con una seria impostazione “teorica”, che alla fine paga molto di piu’ della sommatoria di “Business cases” di cui oggi si articolano tanti corsi universitari d’oltralpe (e questa “teoria” diverrà un di piu’, soprattutto ora che è finita l’era della “rapidità delle decisioni” e si va verso quella della “sostenibilità delle azioni”)
 
2) in Italia i giovani continuano a crescere in un “contesto” che è sicuramente piu’ “sociale” che in molti altri Paesi, e questo si riflette in una innata capacità di “stare con gli altri” (che sarà un altro asset fondamentale per i prossimi anni) anche quando ci si trova all’Estero
 
(sebbene questi due “importanti vantaggi comparati”, in questi anni, abbiano subito un serio declino, che fortunatamente la crisi in atto dovrebbe automaticamente fermare).
 
– Vero anche il fatto che è arrivato seriamente il momento (si veda l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) di pensare all’Italia come una Regione di Europa, e che quindi per molti giovani debba essere oggi naturale pensare di andare a vivere o studiare (anche solo per un anno o due) in Inghilterra o in Francia, anche perche’, rispetto a soli 10 anni fa, oggi è molto piu’ facile (soprattutto grazie ad Internet, va detto) farlo.
 
– Vero anche che bisogna lavorare per provare a riportare in Italia i tanti giovani che sono riusciti a fare cose buone all’estero.
 
– E’, pero’, altrettanto fondamentale riflettere, per  il bene della maggioranza di giovani che restano (a soffrire) in Italia, sul fatto che in questo Paese, nella maggioranza dei casi, nella selezione di un candidato (e, poi, nella selezione di un progetto, etc. etc.), il “merito” e il “talento” vengano (da sempre?) spazzati via da “appartenenza” e “discrezionalità”.
 
E’ arrivato forse il momento di concentrarsi sul “collo di bottiglia”, il momento della selezione del lavoratore, definendone una nuova modalità, che assicuri trasparenza al momento decisionale?
O vogliamo continuare a sperare che le classi dirigenti si auto-riformino ed aprano improvvisamente al merito e al talento, trasformando di incanto tutta la società?
 
Non è piu’ pensabile che un Paese come il nostro continui a distruggere il proprio futuro attraverso la selezione di persone incompetenti.
 
Perche’, allora, non pensare a definire insieme, pubblico e privato, un NUOVO MODELLO DI SELEZIONE DEL LAVORATORE?
 
Che ne pensate?
 
Massimo Preziuso

11 risposte a Considerazioni sulla lettera del direttore Celli

  • Pierluigi Sorti scrive:

    Assecondo il tuo invito e cerco di chiosare la tua visione delle cose, muovendo da una non breve esprienza di lavoro in tecnostrutture e in un periodo di insegnamento universitario ( Napoli,Urbino e Roma ) per un periodo complessivo di dieci anni, come docente esterno.

    Seguo il tuo stesso percorso:

    1 ) La preparazione teorica offerta dalle nostre Università è disuguale. Non sarei così netto nella tua valutazione sul “cases method “. ( che tra l’ altro risale alla didattica latina, specie nello studio del diritto ) . Ciò che ho potuto riscontrare è la debolezza crescente della preparazione delle scuole medie, soprattutto negli elementi di base, sia in materie letterarie sia scientifiche. Rispetto a tempi precedenti il ’68 direi che la disponibilità al sacrificio è notevolmente diminuita e parimenti ( forese è un bene , forse no ) l’orgoglio nello studente. Le eccezioni ( lo riscontro tuttora nelle mie consuetudini con i giovani impegnati nell’ arena politica sono davvero molto poche.

    2 ) Spero di avere torto ma la ” vocazione sociale ” dei giovani oggi non è autenticata da una visione del nostr futuro che vada facilmente oltre le frontiere dei vantaggi inidividuali. Ripeto io mi richiemao ai molti giovani che incontro in politica ( dei quali ormai è facile cogliere una concezione prevalentemente strumentale della politica ) per gli altri è legittimo desumere che l’ interesse pubblico debba essere comunque prevalente ( senza escludere ovviamente eccezioni ).

    3 ) condivido la tua visione regionalistica degli stati ex sovrani, ma questo è una posizione anora teorica in quanto è innegabile una prevalenza di interessi nazionali non appena entrano in gioco ipotesi di conflittualità fra i membri della comunità.

    4 ) Giusto affrontare esperienze estere, anche di breve periodo, ma poi dopo i 30 anni, generalmente, tutto o quasi viene deciso in base alle situazioni individuali.

    Comunque, Massimo, è meritevole ogni sforzo, come appunto questo tuo, di invitare menti e coscienze a porsi quesi interrogativi.

    Un cordiale saluto a te e a tutti. pierluigi sorti

  • Massimo scrive:

    Ciao Pierluigi, Ciao Giusepper.

    Io forse pecco di ottimismo, ma credo che in Italia, se il Parlamento legiferasse sul tema del Merito, a cominciare dal tema della (troppa) discrezionalità nei processi di selezione (dall’Università, alla P.A., al mondo delle imprese), che comporta distorsioni (nell’assegnazione di incarichi a persone non qualificate a portarli avanti, nell’assegnazione di appalti ad imprese non virtuose, etc..), tante cose potrebbero cambiare (ed a catena cambierebbe l’approccio – a volte opportunistico ed individualista – dei giovani, che è un puro derivato dell’assenza di regole certe).

    Bisogna andare verso la “responsabilizzazione” delle decisioni, a cominciare proprio dall’ambito della “Selezione” nel mondo del lavoro.

    Questo è quello che credo.

    Massimo

  • Se non ho capito male proponi una legge che regoli il collocamento dei lavoratori ad alto livello di formazione.
    In un marasma generale come l’Italia di oggi può essere una riforma valida (sempre che si inserisse in un più ampio e serio panorama di riforme), ma non dovrebbe essere la solita leggina che lascia il mondo invariato, deve essere considerata alla stregua di una legge antimafia o per la liberalizzazione dei mercati. Una legge che abbia alle spalle fondi certi per finanziare controlli e verifiche, una sorta di procura nazionale anti-corruzione ed anti-raccomandazione/nepotismo con poteri efficaci e reali. Se il sistema sta funzionando contro la mafia (sebbene con i limiti del “terzo livello” intoccato ed intoccabile) potrebbe funzionare anche contro l’umiliazione della meritocrazia e secondo me anche in senso molto più ampio, cioè non circoscritto al primo impiego ma allargato ad una sorta di collocamento continuo che restituisca un ruolo anche agli anziani troppo frettolosamente rottamati a causa del pensionamento. Andrebbe tenuto anche in serio conto il rischio di inserire una nuova rigidità nel sistema italico già ampiamente bloccato.
    Grossomodo è quello che penso circa la tua proposta.
    Ciao
    Franco

  • Massimo scrive:

    Ciao Franco.

    Si, mi riferisco a un qualcosa del genere, la definizione e utilizzo di seri strumenti legislativi che “controllino e puniscano” comportamenti “non trasparenti” di coloro i quali decidono sulla assegnazione di posti di lavoro, finanziamenti etc.

    Io credo che se in Italia passasse una legge sulla “trasparenza nel collocamento del lavoratore” il Paese farebbe enormi passi avanti, che porterebbero cambiamenti a cascata.

    Per riportare “trasparenza” ci vuole prima un intervento legislativo del Parlamento, e poi tutta una serie di cambiamenti culturali (che di sicuro non avvengono da se’).

    Siamo un Paese totalmente carente di “trasparenza”, in cui chi ha potere decisionale (per delega di una Azienda, di una P.A. di una Università) su qualcosa (un contributo pubblico, un fondo per la ricerca, la selezione di un lavoratore, l’attribuzione di un finanziamento..) gestisce quel potere come un “potere personale”: è questo il problema che va combattuto, a mio avviso, ripeto, con un intervento legislativo.

    Massimo

  • Sono d’accordo sull’analisi della lettera di Celli, ma il modello di selezione dei lavoratori attuale in sé è anche buono, semplicemente andrebbe applicato!!!!
    Per esempio nell’azienda in cui lavoro da ormai 18 anni di tanto in tanto arrivano gruppetti di neolaureati: fra questi ci sono persone eccellenti e meno eccellenti, spesso selezionati da agenzie esterne e comunque sempre passano il filtro della direzione del personale. Noi tecnici “anziani” selezioniamo tra questi quelli che a nostro avviso ci serviranno meglio… Poi ci ritroviamo una piccolissima percentuale dei neoassunti da noi selezionati (il lavoro bisogna pure che qualcuno lo faccia!) mentre la maggior parte dei “nuovi” sono persone senza arte né parte che vengono al lavoro in SUV megagalattici e che PRETENDONO, pur essendo sommamente cafoni, di essere trattata con i guanti di velluto perché hanno la laurea!!!

    Quindi si ricade in quello che in Italia è il problema dei problemi: la moralizzazione della classe dirigente!
    Senza questa tutti gli altri discorsi sono vani.

    Un saluto a tutti

    Guglielmo Cinque

  • … e anche l’analisi di Guglielmo Cinque mi vede d’accordo, nel senso che alcune esperienze simili le ho avute (e le ho anche adesso).

    Alcuni giovani hanno delle aspettative assurde e ritengono la laurea una specie di “certificato di casta”… il colmo e’ che non si guardano intorno, tutti gli altri colleghi che si presentano infatti hanno la stessa identica laurea, eppure ognuno e’ convinto di essere depositario di un titolo esclusivo e “per pochi eletti”!!!

    Sulla moralizzazione della classe dirigente, ahime’ il buon Guglielmo tocca un tasto fondamentale e tristemente “al centro” di gran parte dei problemi. Anche li’ spesso c’e’ un effetto “casta” che toglie spesso le capacita’ di rapportarsi al prossimo. Ci sono capi e capetti che ritengono il loro ruolo paragonabile al “siede alla destra del padre” e purtroppo il berlusconismo peggiora ulteriormente l’effetto di atteggiamenti assolutamente da “reucci” se non proprio da piccoli boss….

    Ma, occorre dirlo, ci sono anche moltissimi esempi di giovani assolutamente consci della loro “debolezza professionale” (che non e’ un demerito, ci siamo passati tutti ed e’ semplicemente “l’inizio”), anzi, addirittura ce ne sono alcuni che non hanno remore ad una esagerata loro autodeclassazione… come pure ci sono tanti dirigenti che hanno una coscienza del loro ruolo, delle loro capacita’ e delle loro responsabilita’…. insomma… per fortuna, come nei migliori ristoranti, c’e’ un po’ di “misto-mare”….

  • Davide Gionco scrive:

    Io sono uno di questi.
    Non più giovanissimo, dato che ho 40 anni e famiglia.
    Mi sono trasferito in Svizzera lo scorso mese di agosto e devo dire che qui è tutta un’altra musica per gli ingegneri.

    In Italia avevo la mia partita IVA, con 4 dipendenti in partita IVA.
    Ero anche pieno di lavoro, operando negli impianti di climatizzazione e sul risparmio energetico.
    Ciò nonostante lavoravo in perdita.

    Caro Massimo, in Italia non è solo un problema di selezione.
    Io, mettendomi in proprio, sottostavo solo alla selezione del mercato e quella selezione l’avevo superata.
    Il problema è che lo Stato non sostiene, in realtà, chi lavora.
    La tassazione sul lavoro è altissima. Qui in Svizzera pago circa la metà, includendoci anche le assicurazioni private obbligatorie che in Italia sono comprese nelle tasse.
    La tassazione è solo in parte legata al reddito prodotto ed arriva, per i redditi medi, quando si lavora in partita IVA ad oltre il 55-60% ed arriva al 50-55% quando si lavora come dipendenti.
    Lo Stato non offre alcuna garanzia sui pagamenti.
    Io lavoravo in perdita semplicemente perché troppi clienti non pagavano e perché dovevo anticipare le tasse calcolate su redditi teorici e non sul reddito percepito.
    Dato che per vedersi riconosciuto un pagamento bisogna andare in causa civile e dato che le cause civili non hanno mai fine, non esiste sostanziale garanzia sul pagamento delle prestazioni professionali, in Italia.
    Qui in Svizzera se dopo un mese uno non ha pagato, scattano sanzioni certe e molto pesanti.

    Infine le valutazioni di merito.
    Un bravo ingegnere riesce a fatica a farsi spazio, ma il mercato italiano cerca soprattutto ingegneri che costino poco, mettendo in secondo piano le capacità.
    Quindi non è solo la classe dirigente italiana che non sa o non vuole selezionare sulla base del merito, ma è il popolo italiano che non è interessato ad avere persone capaci che lavorino.

    Qui In Svizzera, invece, ricercano le persone più capaci.
    Io ho trovato questo posto di lavoro a Losanna semplicemente inviando un curriculum via internet e superando i 3 colloqui di selezione.
    Ora sono contento io e sono contenti loro.
    Qui in Svizzera i lavoratori stranieri percepiscono uno stipendio medio più elevato degli svizzeri. Questo perché la Svizzera cerca all’estero i lavoratori più qualificati.
    In Italia, invece, arrivano solo i lavoratori stranieri meno qualificati, mentre i lavori qualificati, stranieri o italiani che siano, vanno a lavorare in altri paesi.

    Quindi, concludo, non è un problema di modello di selezione del lavoratore, ma innanzitutto un problema culturale.
    In realtà l’Italia NON VUOLE dei lavoratori qualificati, preferisce dei lavoratori che costano poco, anche se poco formati e poco qualificati.

  • Massimo scrive:

    Condivido quello che dici, Davide, sui problemi Fiscali di questo Paese (dove ci cosno professionisti che pagano tasse che arrivano al 60%, ed hanno difficoltà ad essere pagati, trovandosi in perdita, imprenditori e professionisti che letteralmente non pagano nulla, e poi vengono anche “corteggiati” – come se fosse una principessa – a riportare capitali evasi in Italia, cosi’ come nei tanti patteggiamenti del Fisco con grandi imprenditori, dove ormai ci si ritiene stra contenti se si riceve 1/5 della somma evasa), a cui si aggiungono problemi di applicazione delle leggi (nel civile e nel penale): sono due altri enormi macigni che pesano sull’Italia, piu’ che altrove.

    Ma il punto che io ponevo è un altro, e credo complementare e piu’ ampio ancora: io credo che sia arrivato il momento, in Italia, di “responsabilizzare chi sceglie”, attraverso la Legge (civile e penale), in generale, visto che da sempre, in Italia, tendiamo a scegliere e selezionare per il “nostro personale tornaconto” e non nell’interesse della collettività.

    E questo vale per la selezione “del lavoratore, del progetto, del finanziamento, etc..”

    Questa è la mia opinione.

    Massimo

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