Significativamente Oltre

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PUGLIA: DIRIGENTI CON DOTTORATO

L’ADI apprende che la Regione Puglia, nel concorso bandito per la copertura di complessivi 70 posizioni da dirigente, prevede tra i requisiti di ammissione, in alternativa all’anzianità di 5 anni di servizio, il solo possesso di “titolo di dottore di ricerca o altro titolo postuniversitario, riconducibile alle stesse aree culturali del diploma di laurea, conseguito al termine di corsi di durata almeno triennale, rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri e formalmente riconosciuto”.
Consideriamo questo atto della Regione Puglia, che recepisce appieno le indicazioni del decreto legislativo 387/98, un atto coraggioso e innovativo nella direzione del rilancio della Pubblica Amministrazione.
Pianificare l’ingresso alla dirigenza di personale esperto a fianco di soggetti che hanno recentemente conseguito il dottorato di ricerca, massimo titolo di studio rilasciato dall’Università Italiana, costituisce infatti da un lato un gesto di fiducia nei confronti delle competenze acquisite con la formazione alla ricerca, e dall’altro l’invito a tanti giovani formati alla ricerca a vedere nella Pubblica Amministrazione uno sbocco professionale promettente.
ADI riconosce alla Regione Puglia un primato in questa direzione, che si affianca all’altrettanto lodevole iniziativa dello scorso anno di destinare 39 milioni per la copertura di 800 borse di studio per i dottorandi senza borsa.
Dalla lettura del bando predisposto da codesta Regione abbiamo constatato che le due procedure di accesso alla dirigenza, presentate come alternative nell’art. 28 del vigente D.Lgs.165/2001, sono state coraggiosamente riunificate nello stesso bando di concorso. Come ADI esprimiamo pertanto la nostra soddisfazione nel vedere che la proposta da noi elaborata fin dai tempi dell’istituzione della commissione conoscitiva per la redazione dei decreti di attuazione delle “Leggi Bassanini” (D.M. 12/04/2000), e ancora ripresentata in data 8/11/2007 durante l’incontro tra il ministro Nicolais e la nostra associazione, è
stata ritenuta percorribile da un’importante Amministrazione Pubblica.
ADI chiede pertanto calorosamente al dott. Niki Vendola, in qualità di Presidente della Regione Puglia, di farsi promotore dello stesso spirito innovatore presso la Conferenza Stato-Regioni, impegnando i suoi colleghi presidenti ad adottare provvedimenti analoghi in tutte le Regioni.

ADI, Associazione dottorandi e Dottori di ricerca Italiani, 15 Giugno 2007

Per contatti:

Rosa Gini, Coordinatrice politiche ADI per il pubblico impiego
E-mail: rosa.gini@poste.it — Tel. 050 — 571119
Franca Moroni, Vicecoordinatrice politiche ADI per il pubblico impiego
E-mail: franca.moroni@gmail.com — Cell. 339 — 8907470

MA CI SEI O CI CE FAI

di Fernando Cancedda

“Ma ce sei o ce fai”? verrebbe da chiedere, alla romana, a più di un politico intervistato (si fa per dire) in tv, durante il quotidiano rosario di battute polemiche meglio definito come “panino”. Ma sì, è chiaro che “ce fanno”. A dir la verità, un po’ tutti, anche se nella corsa a chi la dice più grossa il campione assoluto resta sempre lui, Silvio Berlusconi. I giornalisti lo sanno e fanno di tutto per stuzzicarlo.

A chi poteva dare la colpa per la mancata visita a Trastevere del presidente americano? “E’ una cosa che mi addolora e la colpa è di questa sinistra antiamericana”. Insomma, responsabili di questo cambio di programma deciso all’ultimo momento dai servizi di sicurezza sarebbero i soliti Giordano e Diliberto, leaders di partiti al governo che manifestano contro la politica americana. “E’ una cosa inaccettabile, mi vergogno, torna l’Italietta”.

Sull’opportunità di quella manifestazione si può, e probabilmente si deve discutere, ma attribuire ad essa la mancata visita di Bush ai locali trasteverini della Comunità di Sant’Egidio a me pare francamente ridicolo. Abbiamo letto che a provocare quella decisione sarebbero state una simulazione al computer e un sopralluogo della CIA e dell’FBI a Trastevere (“Repubblica” del 9 giugno). Ma non ce n’era bisogno. Chiunque avesse assistito ai velocissimi passaggi del corteo presidenziale americano, non solo a Roma ma anche a Washington (a me è capitato) e avesse dato un’occhiata alle stradine vetuste del più popolare quartiere di Roma sarebbe rapidamente giunto alla medesima conclusione.

Allora perché Berlusconi “ce fa”? Semplice. Sa che nessuno riesce a “vendere ombrelli” meglio di lui. E soprattutto sa che ben difficilmente il giornalista che lo intervistava lo avrebbe smentito con la notizia delle difficoltà logistiche riscontrate dai servizi di sicurezza. Come è noto, nelle interviste dei telegiornali la replica è stata abolita da un pezzo.

“Ma ce sei o ce fai?”, veniva da chiedere anche a Piero Fassino quando, a “Ballarò”, ha provato a dare una spiegazione per la proposta di nomina a consigliere della Corte dei Conti al comandante della Guardia di Finanza, generale Speciale. Nel dibattito pubblico al Senato, non c’era stato oratore del centro destra che non avesse “inzuppato il pane” nella contraddizione tra quella proposta di nomina e le gravissime accuse formulate dal ministro dell’economia Padoa Schioppa all’indirizzo del generale. “E’ prassi che gli alti ufficiali e funzionari e magistrati concludano la carriera alla Corte dei Conti o al Consiglio di Stato”, ha detto Fassino.

Del resto, che altro poteva dire. L’Italia non è ancora un paese “normale”, come direbbe D’Alema. Si possono licenziare in tronco i giovani lavoratori precari o gli anziani in esubero, ma a chi è riuscito a salire ai vertici del potere statale – tanto più se avesse avuto a che fare con intercettatori e spie e segreti di stato – anche se fosse ritenuto colpevole di nefandezze, una poltrona o una sinecura o una superliquidazione non si può certo negare. Questa è la prassi, ci ha ricordato Fassino. Il quale, come venditore di ombrelli, non è mai stato un gran che. E nessuno ha applaudito.

AL VIA IL MERCATO ELETTRICO

da Repubblica

Mercato elettrico, via alla liberalizzazione – Da luglio si potrà scegliere l’operatore

ROMA – Via libera del consiglio dei ministri al decreto legge sulla liberalizzazione del mercato elettrico per i clienti residenziali. Ovvero le famiglie che dal primo luglio potranno scegliere da quale operatore rifornirsi.
In pratica tra due settimane sarà possibile cambiare fornitore di energia elettrica esattamente com’è possibile cambiare gestore telefonico. Con una semplice richiesta, anche on line, si riceverà a casa la nuova proposta di contratto e quindi si potrà comprare l’elettricità dal fornitore che offre condizioni migliori rispetto alle proprie esigenze. La partita si gioca sulle opzioni offerte dai gestori per risparmiare: tra le tariffe differenziate per fasce orarie, prezzo bloccato per due anni, buoni sconto sui carburanti o sconti in bolletta legati ai consumi. Il tutto, ovviamente, senza dover cambiare contatore, senza rischiare interruzioni nel servizio, e con la tutela delle attuali fasce sociali e delle tariffe differenziate per la prima casa. Anche in questa fase, infatti, i gestori devono rispettare i vincoli tariffari fissati dall’Autorità per l’energia che pone un tetto ai ricavi totali del distributore per tipologia di utenza e fissa un tetto al prezzo che può essere richiesto al singolo cliente.

Il decreto approvato oggi prevede in particolare “misure di tutela per fare in modo che chi vuole muoversi verso nuove offerte, possa farlo subito senza incorrere nel rischio di aumenti ingiustificati dei prezzi”.

Per le forniture ai clienti domestici elettrici che cambiano fornitore e per i clienti domestici del gas, “l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg) indicherà condizioni standard di erogazione e prezzi di riferimento nelle forniture di energia elettrica e del gas”. Per i clienti domestici e per le piccole e medie imprese che non scelgono un nuovo fornitore sul mercato libero, si prevede che possano “continuare a beneficiare delle attuali condizioni del servizio e, quindi, delle economie di scala derivanti dall’approvvigionamento tramite Acquirente Unico”.

Sono fatti salvi i poteri di vigilanza e di intervento ex post dell’Authority “a tutela dei diritti degli utenti, anche nei casi di verificati e ingiustificati aumento dei prezzi e alterazioni delle condizioni del servizio per i clienti che non hanno ancora esercitato il diritto di scelta”.

Agli altri clienti non domestici che non scelgono un nuovo fornitore di energia elettrica e a chi transitoriamente dovesse rimanere senza fornitore “è assicurato il servizio di salvaguardia, a tutela della continuità della fornitura”. Questo servizio, si precisa nel Dl, “sarà temporaneamente svolto dalle imprese di distribuzione o dalle loro società di vendita, ma al più presto il ministero dello Sviluppo economico individuerà i fornitori attraverso procedure concorsuali. I criteri di organizzazione del nuovo servizio saranno tali da incentivare le imprese a rientrare nel mercato in poco tempo, utilizzando, quindi la salvaguardia solo come servizio temporaneo”.

BLAIR E LA BELVA SELVAGGIA

di Fernando Cancedda

Dal “Manchester Guardian” il commento più appropriato: “Il sermone è giusto ma è sbagliato il predicatore”. Il sermone è quello pronunciato martedì 12 giugno dal primo ministro britannico Tony Blair al Reuters Building di Londra sul tema: “Stampa e politica”. (Il quotidiano “la Repubblica” lo ha pubblicato integralmente il giorno dopo col titolo “La stampa è una belva selvaggia”).

Blair dice subito di non prendersela con la stampa ma “con il modo col quale si parla di politica”. Costretti da una concorrenza sempre più serrata, i giornali hanno posto il sensazionalismo al di sopra di tutto fino a stravolgere la realtà. Una critica, osservo io, tutt’altro che nuova, anche se – come dice Blair – raramente è manifestata dai leaders politici, per lo più obbiettivamente complici di questo stato di cose. “Gli scandali e i contrasti di opinione – spiega – sbaragliano i normali reportage, le notizie di rado sono notizie, a meno che non provochino scalpore e attirino i riflettori”. E poiché i cattivi comportamenti hanno molto impatto sul pubblico, ecco che i media odierni “sono come una belva selvaggia, che fa a brandelli le persone e la loro reputazione”.

Insomma, secondo Blair, anche la tanto celebrata virtù del giornalismo anglosassone, prima la notizia poi il commento, è un ricordo d’altri tempi. Il commento vale quanto la notizia, se non di più. “Nelle interpretazioni ciò che conta non è tanto quello che i politici volevano dire, bensì ciò che hanno detto può significare, anche quando è abbastanza evidente che si tratta di un’interpretazione errata”:

Ma da che pulpito viene la predica, rispondono in coro i quotidiani britannici, dal “Financial Times” al “Guardian”, dal “Telegraph” al “Times”, dal “Sun” al “Mail” e agli altri tabloid popolari. E’ stato proprio Blair – accusano – a guidare una campagna sistematica di manipolazione politica dei media. Lo stesso primo ministro aveva ammesso nel suo discorso di avere avuto qualche responsabilità in questo senso. Ma se “il predicatore è sbagliato”, il sermone è giusto. Il problema è come uscire da quello che è considerato un fenomeno globale.

Secondo Blair non è vero che un’inversione di tendenza farebbe crollare le vendite. “Vi è un mercato per per chi fornisce notizie serie ed equilibrate. Vi è un desiderio di imparzialità…i media possono scegliere di fare ciò, invece che vederselo imporre dal governo”. Alternativa, quest’ultima, che potrebbe destare qualche preoccupazione, se a dissolverla non avesse provveduto lo stesso premier uscente escludendo intenzioni al riguardo.

Quel che è certo – ripeto ora una mia opinione qui espressa altre volte – è che i media non lo faranno finché il pubblico dei lettori, contraddicendosi, continuerà a dimostrare contemporaneamente ricerca del sensazionalismo e sfiducia nei giornalisti che lo praticano. A meno che la dignità e l’autodisciplina di chi intende l’informazione come servizio pubblico e non soltanto come merce abbiano finalmente la meglio sulle tendenze involutive del mercato. Ma è un’ipotesi su cui è difficile contare se perfino Bill Emmott, ex direttore del settimanale “The economist”, intervistato dichiara: “solo i lettori, ossia il mercato, possono decidere come devono essere fatti i giornali ed eventualmente punire l’ondata di sensazionalismo, premiando il giornalismo informato, serio, obbiettivo”. Pensa che questo succederà? domanda l’intervistatore. “No, purtroppo penso che non succederà” è la risposta. Quando i media che formano l’opinione pubblica inseguono solo i gusti del pubblico, la sua è una facile previsione. Ma questo è il mercato, bellezza.

5 REGOLE PER UN NUOVO PARTITO

di Francesco Grillo

Cinque regole per formare un nuovo partito (o per “fare entrare il futuro” in uno di quelli vecchi)

Sembra ormai evidente. La separazione tra politica e società non è mai stata così definitiva. Nel nord ad essere a “rischio di estinzione” (come ha efficacemente argomentato qualche padano) non è solo il centro sinistra, ma l’idea stessa che qualcuno da Roma abbia la legittimità di governare. E la questione del Nord è solo la più evidente di altri problemi che stanno uno dentro l’altro.

Sparisce la politica dalle regioni più produttive, ma sparisce anche, più in generale, tra i segmenti più evoluti. Un’analisi più fine dei risultati dice infatti che l’astensione e l’indifferenza, se non l’ostilità, appaiono correlate all’aumento del reddito e del livello di istruzione. E al diminuire dell’età.

La questione esplode al Nord dove appunto reddito, volontà di intraprendere, mobilità sono, comunque, superiori. Insomma, questo è un Paese che si sta staccando dalle proprie élite, e a costituire lo zoccolo neppure tanto duro della legittimazione di un sistema di potere rischiano di rimanere le fasce di popolazione meno dinamiche, più bisognose di protezione.

Antipolitica: non solo perché aumenta l’astensione, e chi governa viene regolarmente bastonato (come osserva il segretario dei DS). Ma anche perché ad affermarsi non è semplicemente l’opposizione. Ma tutto ciò che è più radicalmente contro. La Lega appunto, che pure pensavamo avesse esaurito il proprio ciclo. E dove vince il Centro Sinistra, vince spesso con la sua parte più radicale.

Insomma, quello che diventa davvero minoritario è l’ambito al quale avremmo naturalmente dovuto guardare: l’area di un riformismo spiazzato dalla propria incapacità di produrre riforme, cambiamenti credibili.

Esiste, è ovvio, uno spazio per un prodotto politico nuovo. Che abbia il coraggio di proporre riforme radicali, che sappia guidare una modernizzazione che non arriva, che proponga un rinnovamento forte di persone e contenuti. Ed è una partita che ci riguarda immediatamente, la cui leadership può solo essere in mano ad un segmento di persone tendenzialmente giovani, mobili, che vivono delle proprie competenze: un segmento che è incapace di proporsi. Per colpa dei vecchi, dicono molti. Per colpa nostra ribadiscono non a torto alcuni degli incumbents. Non è certamente questione di colpe, e tuttavia si può provare a capire a cosa dobbiamo definitivamente rinunciare, cosa immediatamente dobbiamo fare per acquisire leadership.

Dobbiamo evitare di continuare a farneticare che abbiamo diritto al potere perché siamo giovani. La questione generazionale è in sé, e nonostante il fatto che sia ragione stessa dell’esistenza di Vision, una trappola. Non possiamo immaginare di poter acquisire responsabilità di governo solo perché giovani. E non possiamo fare il sindacato di quelli che hanno meno di quaranta anni. Non ha senso. Non ha senso politico perché voler rappresentare i giovani tout court significa cadere nella micidiale trappola – appunto – di doversi mettere a rappresentare una generazione che al proprio interno ha, come qualcuno dice scherzosamente, “un terzo di figli di mamma, un terzo di figli di papà e un terzo di persone normali”.
Ma abbiamo anche un ’altra sindrome, ancora peggiore: quella dei “bravi ragazzi”. Educati, troppo educati per pretendere come avremmo dovuto quello che è naturale in qualsiasi società che voglia sopravvivere a sé stessa: il rinnovo del patrimonio di idee, di persone senza il quale una comunità incartapecorisce, muore. Bravi ragazzi, contenti di aspettare e, tutt’al più, di essere ascoltati. Ed invece la questione è adesso quella della sfida per la leadership. Una sfida da giocare tutta sul piano della capacità di leggere, di governare una società complessa.

La battaglia va interamente giocata sulla conoscenza. È su questo terreno che si può lanciare una sfida alla quale nessuno potrà davvero sottrarsi, sul quale sollevare la vera questione morale di questo Paese. Più grande di quella che si avverte quando si leggono i testi delle intercettazioni telefoniche. La questione morale di una classe dirigente della politica che, nel 2007, mentre il mondo celebra l’innovazione come unico fattore competitivo, continua a preferire – persino nelle sue componenti (anagraficamente) giovani – la fedeltà, la mancanza di rischio, l’inerzia alla ricerca della conoscenza.

E tuttavia non bastano le competenze. Non basta essere competenti. È molto più importante il talento, che è cosa completamente diversa. Le competenze possono essere sufficienti per una carriera in una banca d’affari, non per comunicare, coinvolgere. Perché le competenze riflettono strumenti che non sono più adeguati e non possono essere sufficienti per cominciare a costruire un’ideologia, una visione del mondo. Ed una visione nuova è necessaria, se la sfida vera è capire come la rivoluzione tecnologica che ha abbattuto i costi di accesso, elaborazione e trasmissione delle informazioni sta cambiando strutture e infrastrutture di una società che non è più quella industriale.
Se poi è così, se la sfida è quella di trovare una visione (ed è così a meno che non siamo interessati ad un’altra azione di comunicazione che dura una sola stagione) bisogna superare anche la vicenda italiana. Ormai non solo il cambiamento climatico o la questione dell’energia, ma anche questioni meno eclatanti come la tutela del risparmio o la protezione della privacy hanno senso solo se affrontati su scala globale. Hanno senso solo su scala globale perché è solo a livello internazionale che si può provare a costruire una soluzione. A meno che non siamo invece solo interessati a far finta di voler cambiare il mondo e siamo quindi rassegnati ad assomigliare a quelli che vogliamo sostituire. E quindi per un nuovo soggetto politico è indispensabile costruire reti con movimenti, think tank di altri paesi europei. Reti internazionali quelle che del resto, storicamente, si sono create ogni qual volta si è trattato di rinnovare il modo di governare paesi e rivoluzioni.

Per riuscire è indispensabile essere gruppo, magari semplicemente lobby, forse però bisognerebbe riconoscersi come classe o come élite. Classe che è termine marxiano (come ideologia), e tuttavia il concetto è ancora valido seppure sarà da re inventare completamente. Classe o almeno gruppo, perché condividiamo una condizione sociale, economica, politica: l’attitudine a vivere, a governare – almeno a livello individuale – una grande modernizzazione ed una quasi totale insignificanza politica. In qualsiasi caso se continuiamo ad essere individui, se non troveremo la forza di sconfiggere questa solitudine che segna la nostra generazione, non andremo da nessuna parte.

Infine, ed è forse la cosa più difficile, per costruire qualcosa che sia completamente nuovo sarà necessario fare leva su almeno una cosa che esiste già . Lo dimostra la storia del New Labour. O quella di Sarkozy. Non si può costruire una nuova prospettiva fuori o contro ciò che già c’è. E tuttavia la trasformazione da innescare è profonda. E per questo motivo che non necessariamente piacevole, ma importante, è l’occasione del Partito Democratico. O comunque uno degli altri veicoli di innovazione, forse persino un po’ disperata, che una politica in fortissima crisi di strategia continua a proporre.

ARRIVANO GIOVANI E DONNE

di Massimo Preziuso

In questi ultimi mesi, leggo molti quotidiani, seguo molti telegiornali, e leggo molto online.

Voi direte: e quindi?

Bene, in poco più di un anno, in questo Paese siamo passati da un Governo di Centro Destra che nemmeno parlava di Giovani e di Donne (almeno che io ricordi) all’attuale governo che, grazie all’occasione storica del costituendo PD, ne parla ogni giorno di più, e inizia (lentamente) ad essere fattivo a riguardo.

Allora, mi dico: ma vuoi vedere che questo è davvero UN momento storico per l’Italia?

Vuoi vedere che si sta automaticamente creando un cambiamento politico e sociale, a seguito della classica realizzazione di “Massa Critica” di Inputs informativi sulle problematiche delle Donne e delle nuove generazioni?

Io credo di sì.

Nemmeno un anno fa, come Innovatori Europei, siamo nati proprio così (come Giovani e Donne) e abbiamo lavorato molto per indicare nell’assenza di Giovani e Donne il vero problema del nostro Paese.

In un anno sembra che tutto il Paese si sia accorto di questo: non voglio dire che Innovatori Europei abbia fatto da apripista, ma in sincerità siamo stati tra i primi a muoverci attivamente in questa direzione (anche grazie alla possibilità che APD ci ha dato nella fase di realizzazione dei Gruppi Giovani).

Per concludere: a mio avviso, se questa massa critica esiste, e se tutti noi continueremo a partecipare fino ad Ottobre (anzi forse fino alla nascita del PD), davvero grandi novità sociali potranno arrivare.
Non parlo di semplici quote nello scenario politico, parlo invece di una ritrovata voglia di criticare e partecipare che, grazie a tanti di noi, e al supporto dei Media, sta tornando tra la gente.

Questo è il mio pensiero: continuiamo così, criticando e partecipando!

LA RANA DALLA BOCCA LARGA

di Luigi Restaino

D’Alema la rana dalla bocca larga, i DS e l’Etica kantiana del giudizio.

Come scrive sapientemente oggi Ezio Mauro su “Repubblica”, dalle note relative alle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche depositate dai giudici, abbiamo evidenza di un rapporto molto intimo e dunque del tutto improprio tra il gruppo dirigente Ds e Consorte nel momento in cui Unipol è parte in causa in un’aperta contesa di mercato, con legami che portano fino a Fazio, Fiorani e ai “furbetti”.

Il rapporto quindi molto intimo e del tutto improprio.

Il Direttore di Repubblica lascia kantianamente sospeso qualsiasi Giudizio in merito, ma noi invece possiamo abbozzarlo e trarne le conseguenze dovute.

I legami che portano fino a Fazio, Fiorani e ai “furbetti” dell’attuale gruppo dirigente dei DS con certi ambienti sono un fatto, non contestabile. Ed è un fatto che la stragrande maggioranza degli italiani ed in particolare degli elettori del centrosinistra non comprende, non accetta, non riconosce coerente con le parole “di sinistra” (“dì qualcosa di sinistra” diceva Moretti proprio a D’Alema in una scena divenuta “cult” di un suo famoso film), non riconosce coerente con i valori che i DS oggi ed il PD domani devono rappresentare, anzi più che rappresentare devono vivere nella pratica quotidiana.

Vogliamo ritrovarci gli stessi uomini, le stesse contiguità, la medesima mentalità politica nel nuovo PD?

Se i valori della trasparenza, dell’etica come punto fermissimo dell’attività politica, economica, sociale, imposta con regole chiare e vissuta nei fatti dai singoli, dalle associazioni, dalle imprese, dai partiti, dalle istituzioni, non vengono incarnati dal PD e dalle persone chiamate a guidarlo allora avremo un fallimento certo, fallimento politico e sociale.

Un Partito ed una democrazia che aspira ad una partecipazione molto più profonda del semplice consenso istituzionale e procedurale esige una continuità stretta fra politica ed etica, ed una concordia sostanziale sui valori fondamentali di un’ etica laica.

Nessuno si è mai messo da parte da solo. Allora Diamoci da fare, svegliamoci per “aprire le finestre” e far entrare aria fresca nel “Palazzo”.

CHE SCHIFO!

di Aldo Perotti

Recensione del libro “LA CASTA. Così i politici italiani sono diventati intoccabili” di G. Antonio Stella e Sergio Rizzo

Ho letto il bel libro di Gianantonio Stella che sta letteralmente andando “a ruba” nelle librerie.
Il libro è una raccolta di fatti concreti, probabilmente si tratta di notizie già note agli addetti ai lavori, che però ordinate e sistematizzate colpiscono nel segno e lasciano al lettore essenzialmente una sensazione di assoluto disgusto. Lette le prime venti pagine si avverte una forte nausea ed il desiderio di vomitare tale è il fetore, in senso figurato ovviamente, che esala da quelle pagine.

Non sto a ricordare questo o quell’episodio citato ma voglio sintetizzare il chiaro messaggio che l’autore vuole trasmettere al lettore. La politica italiana è malata, gravemente malata. La febbre è altissima e la diffusione dell’infezione è forse ormai inarrestabile. Un terribile parassita, una sorta di verme solitario, si è insediato negli intestini del paese e la sua fame insaziabile condiziona gravemente il malato tanto da indirizzarne le scelte. Così la politica è costretta a mangiare e mangiare, a far lievitare le prebende, ad accaparrare e a distribuire incarichi, a drenare soldi pubblici in continuazione per sostenere se stessa ed il sistema di clientele ormai strutturato con una tale serie di intrecci da poter paragonare il malato ad un folle legato ad un letto di costrizione che si agita, si agita, ma poi resta li, solo con la sua malattia. In realtà il paese, come la classe politica, conosce bene la sua malattia, essa è ben conosciuta e delineata cosi come si può evincere nella lettura del libro. Essenzialmente tutto si riconduce ad un problema di moralità (la famigerata questione morale). La classe politica annovera al suo interno, nella sua “famiglia”, una serie di persone la cui moralità è assolutamente fuori discussione, ma nel contempo ne annovera molte la cui condotta, le cui scelte, sono da classificarsi senza dubbio “immorali” (anche senza arrivare ai reati). Il “sistema di valori” che deve caratterizzare gli uomini alla guida del paese deve tornare ad essere quello dei grandi del passato e non quello della volgarità e dell’arrivismo, del lusso e del piacere, propri delle aristocrazie e non delle democrazie. Eguaglianza, solidarietà, abnegazione, sacrificio per gli altri, disinteresse. Questo è quello che serve al paese.

Le “mele marce” devono essere immediatamente individuate ed allontanate in tutti i settori della vita pubblica. Allo stesso modo si deve rendere impossibile, assolutamente impossibile, che persone prive di capacità, attitudini, e della “moralità” necessaria, accedano a posizioni di potere o di responsabilità.

SVEGLIATEVI, BRAVA GENTE

di Massimo Preziuso

E’ arrivato, a mio avviso, il momento del “risveglio della Brava Gente”.
Per Brava Gente io intendo le tante famiglie, i tanti anziani, i tanti giovani, le tante donne, vittime di un Sistema “malato”.

Le famiglie che hanno sacrificato decenni della propria esistenza per vedere i propri figli laurearsi, per poi trovarli in grandi difficoltà nell’inserimento sociale.

I giovani “assenti” dalla scena politica e sociale, che a volte ne approfittano e tendono a scappare, in tutti i sensi, da un “duro” confronto con la realtà.

Le donne che hanno cercato in tutti i modi, e con scarsi risultati, di conciliare l’essere Donna con l’essere Femmina, con l’essere Lavoratrice, in una Società che continua ad essere maschilista.

Gli anziani che hanno assistito silenti a un cambiamento sociale così veloce, che li ha portati a trovarsi “soli e impauriti”.

Di contro, una Società pervasa da “Brutta Gente”, imbrutita, aggressiva, pronta sempre al conflitto.

Credo che oggi vi sia la possibilità di rilanciare questo Paese dalle sue fondamenta sociali: è nell’aria, da più parti, il cambiamento.

Questa fase di transizione, allora a mio avviso, deve servire soprattutto a fare uscire di casa e partecipare quella “Brava Gente” che negli ultimi 20 anni ha subito passivamente una Politica e una Società “governata” molte volte da “mediocre e brutta gente”.

La costruzione del Partito Democratico, e il cambiamento politico che avverrà anche nel Centro Destra, me lo auguro fortemente, dovrà essere il MOTORE di questa RIVOLUZIONE SILENZIOSA:  finalmente, una moltitudine di “brava gente” parteciperà attivamente alla politica, possibilmente diventando “ELETTORE PASSIVO” e quindi “ELETTO”.

Questo credo debba essere il sogno di ognuno di noi.

RIVELAZIONE E RIVOLUZIONE

L’umorismo nell’utopia. Recensione al libro di Moni Ovadia, Lavoratori di tutto il mondo ridete, Einaudi, Torino 2007

di Laura Tussi

“Utopia” è il termine che sottende la negazione di un’ubilocazione, di un dove concreto nel crollo delle ideologie, in quanto in “nessun luogo” si è realizzato il vangelo di Marx nel corso della historia universale. Una fede profonda nell’ironia delle “storielle” che riecheggia con esilarante sagacia, in un tripudio umoristico declinato in frizzi, lazzi, motti e citazioni sul Regime. Le storielle ebraiche traggono origine dall’ermeneutica talmudica in una weltanschauung umanistica dove l’utopia smarrisce i propri sogni e le promesse tanto da non riconoscere le esacerbate finzioni delatorie del dispotismo di regime. Il significato dell’utopia è l’instaurazione di una società ideale di libertà, fratellanza, giustizia e uguaglianza. L’uomo è complesso nella potenzialità della realizzazione di alti ideali con i valori della negazione di prevaricazione sul proprio simile, della giustizia sociale, dell’altruismo, dell’accettazione dell’altro e del diverso, dell’amore, della solidarietà, sentimenti non scontati nelle relazioni fra individui. Dunque non è lecito considerarli irrealizzabili e utopici nei rapporti fra soggetto e collettività. “Neanche l’URSS fu l’impero del male”, ma una federazione di repubbliche dell’epoca staliniana sotto l’egida di un totalitarismo perfetto, con tristissime note di drammaticità e terrore. La storia non è finita e la società socialista dovrà ancora realizzarsi nella libertà e nella democrazia, in un’utopia verificabile e immanente non riscontrabile in “nessun luogo”, ma che pervaderà l’intera globalità collettiva della società mondiale all’insegna del comunismo in un umanitarismo sociale che si contrapporrà ai simulacri del bieco capitalismo e delle dittature del novecento. Ogni rivelazione si tradurrà in rivoluzione rigenerante e rifondatrice di topofanie (rivelazioni di luoghi della memoria) contrapposte alle utopie, dove ogni manifestazione dei luoghi di benessere sociale e civile è realizzazione di società solidali e umanistiche, quali luoghi di un’olotopia, una nuova globalizzazione mondiale all’insegna di ideali e valori umanistici e umanitari, dove le rivelazioni del “bene sommo” trionferanno sui ciarpami di sistemi politici esacerbati in dispotismi conservatori. Le storielle dell’umorismo ebraico svelano con l’ironia le ottusità del regime dittatoriale del periodo staliniano, facendo crollare tabù e pregiudizi di un periodo oscurantista tramite l’umorismo ironico che fa partorire i fantasmi dalla mente di un sistema destinato al collasso, in plurime e poliedriche catarsi ermeneutiche di significato ironico sul senso dell’esistere.

 

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