Significativamente Oltre

sud

LOCRI. Prodi: le Regioni del Sud spingano unite per un’Europa mediterranea

di CONSUELO NAVA* (su Zoom Sud)

Per l’idea di ricordare Franco Fortugno a 10 anni della sua scomparsa con una lectio magistralis di Romano Prodi su “Europa e Mediterraneo nella confusione totale”, va fatto un plauso a M.Grazia Laganà che a Locri, alla presenza di una affollatissima platea, ne ha voluto ricordare umanamente il legame personale con il congiunto e compianto uomo politico calabrese, prima che la condivisa esperienza politica. Paolo Pollichieni, direttore del Corriere della Calabria, ha saputo presentare la figura del professore Prodi, le sue esperienze negli anni, per le sue capacità predittive e fattive di questioni ancora oggi aperte per il paese e per il sud, sul tema dell’innovazione e delle riforme, ma anche delle responsabilità delle classi dirigenti, della necessità di liberarsi tanto dalla ‘ndrangheta quanto dalla malapolitica e di una speranza per un futuro possibile.

Di fatto R.Prodi nella sua lectio magistralis, dissertando sul ruolo del Mediterraneo nelle mutate politiche di un’Europa, “non più un piccolo condominio”, ha proposto un ragionamento sulla necessità di “interpretare il cambiamento con un’idea della politica che non sia solo un problema di forza assoluta”. E’ una citazione dell’incipit di R.Prodi relativamente alla mutazione dei rapporti di forza dello scenario politico Europeo, conteso tra populismi ed il ritorno di nuove forme di nazionalismo, ma che può restituire la traccia con cui il professore ha riferito sull’idea di possibile sviluppo per tutti i paesi del Sud e per il Mezzogiorno d’Italia. Una necessità che l’Europa torni “l’unione delle minoranze ed il Sud organizzi dinamicamente alleanze utili”.

Una politica Europea e Meridionale capace di costruire “poteri bilanciati” rispetto all’asse politico ed economico del Nord d’Europa e di un rilancio della “via della seta” della Cina, diventato punto di riferimento per misurare la stabilità economica mondiale. Questioni non lontane dalla comprensione di alcune vicende legate alla nostra economia, quella della Calabria, per es., che secondo quanto auspicato da Prodi, possa ancora aspirare ad uno sviluppo fatto “per poli, punti di forza ed avanzamento, per cui diventa urgente organizzare una strategia territoriale prodotta da alleanze tra le regioni del Sud”, che peraltro oggi demograficamente pesano pochissimo nell’economia umana e nella geografia politica del paese.

Prodi ammette che vi sia stata da sempre una difficoltà nel far cogliere lo scenario mediterraneo come il possibile spazio geografico ed economico di interesse per l’Europa anche ai tempi della sua presidenza alla comunità europea. Ma ne ravvisa ancora oggi la necessità alla luce delle nuove questioni delle guerre libiche e del terrorismo mediorientale. Il Professore attribuisce tali scenari alla carenza di una “politica estera della mediazione” che provoca, unitamente all’esplosione demografica delle popolazioni del sub-sahara, l’ondata della nuova migrazione nel nostro paese. Ricorda a tutti come la migrazione sia diventata questione “solo quando ha interessato anche il Nord Europa” e che la politica della Merkel sull’accoglienza siriana abbia comunque dimostrato come si possono mettere insieme “generosità ed interesse politico” alla luce di una convenienza a poter accogliere “una nuova economia con un popolo che ha il 40% dei laureati, il 50% dei diplomati e solo il 2% degli analfabeti”.

Su questo aspetto, di contro, nella sua lectio, continua a lanciare l’allarme per l’Italia, che in una sola generazione perderà 5 milioni di abitanti e rammenta al Sud che “non c’è futuro se una parte di popolazione emigra e l’altra è vittima”. In tal senso fa solo un riferimento alla necessità che anche in Calabria si possa “produrre cambiamento per costruire il nuovo con le nuove persone”, ma di ricorrere ad un forte dinamismo nelle decisioni da prendere, un atteggiamento che non sia pigro e scevro dalla coscienza di scenari di contesto e di visioni oltre l’Europa.

Così si riferisce alla questione del “porto di Gioia Tauro”, asserendo che c’è ancora un grande spazio all’interno della politica Euromediterranea, ma che occorre dirsi anche la verità, occorre conquistare questa economia e geografia con l’idea che a fermare il suo sviluppo non sia stato solo la carenza “delle infrastrutture e di fatti tecnici”, ma piuttosto il peso di un “controllo sociale” (così delicatamente il prof. Prodi parla di un porto interessato da fatti ambientali) che negli anni ha fermato gli investitori stranieri. Esorta a partire da questa consapevolezza e rilanciare in uno scenario mutato e continua “ve lo dico con il cuore… I cinesi hanno comprato metà del Pireo e c’è una lobby che dal Pireo va al Nord Europa, faranno ferrovie e strade, ma soprattutto libera economia”.

Le stesse alleanze che Prodi auspica per l’Europa, tra Francia, Italia, Spagna, le augura per l’Italia tra le regioni del Mezzogiorno, “occorre coordinare l’azione delle regioni meridionali, diventa urgente e vitale”. Il prof. non pensa ai fatti di emergenza, ma pensa ad una normalità per invertire la corrente, “solo così anche il Mediterraneo potrà divenire un serio riferimento per l’Europa”.

La platea del cine-teatro di Locri è stata attenta e in ascolto. La lectio magistralis priva della presunzione delle ricette e della consolazione di una sicura e riconosciuta esperienza sui temi, ha mostrato un Romano Prodi, che “sullo stato di confusione dell’Europa”, per fatti politici ed economici da seconda globalizzazione inoltrata, fonda la sua idea con un Sud protagonista, bisognoso di nuovo capitale umano prima che di altre risorse e di una politica delle scelte e non dei poteri assoluti, da affidare a chi è capace di “interpretare il cambiamento che comunque è già in atto”.

*ricercatrice universitaria

Comunicato Stampa: Innovatori Europei riunisce il Mezzogiorno protagonista al Nazareno (PD)

Venerdì 11 settembre, presso la sede nazionale del Partito Democratico, gli Innovatori Europei hanno incontrato le tante realtà del mezzogiorno con cui dialogano da tempo per realizzare un progetto di rilancio del Meridione e per un suo nuovo protagonismo tra Europa e Mediterraneo.

Al convegno annuale dal titolo “Per un Mezzogiorno protagonista tra Europa e Mediterraneo” presenti con gli IE amministratori, politici nazionali e locali, accademici, imprenditori, manager di aziende innovative. Si è discusso su come il Sud Italia possa ritrovare centralità nelle politiche del governo italiano ed in quelle europee.

Condivisa da tutti i presenti la necessità di un lavoro di cooperazione sulle risorse e i grandi progetti per lo sviluppo infrastrutturale immateriale e materiale ed il rilancio dell’imprenditorialità diffusa e di attrazione di nuovi talenti e investimenti, attorno allo sviluppo di nuovi poli economico – industriali e il supporto alle tante imprese innovative e forti che già operano nel Sud Italia.

Il Partito Democratico, condividendo la necessità di dare spazio a progettualità che nascono dal basso, supporta il percorso che gli Innovatori Europei promuovono da anni.

Anche grazie ai contributi che arriveranno dalle tante iniziative territoriali che si sono avviate in tutto il Mezzogiorno, il movimento Innovatori Europei affiancherà la riflessione che il Governo sta avviando sul tema.

Il fondatore degli IE Massimo Preziuso conclude con “un ringraziamento alle tante intelligenze venute oggi da tutto il Sud a Roma, con cui continueremo a costruire un cambiamento auspicato e non più procrastinabile”.

Roma, 11 settembre 2015 : “Per un Mezzogiorno protagonista tra Europa e Mediterraneo. La proposta degli Innovatori Europei”

Convegno Per un Mezzogiorno protagonista tra Europa e Mediterraneo, 11 Settembre 2015, Partito Democratico

Per scaricare agenda in PDF Clicca Qui

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Intervento di Sandro Gozi, Sottosegretario agli Affari Europei

Intervento di Roberto Speranza, parlamentare del Partito Democratico

Intervento di Valerio De Molli, AD di The European House – Ambrosetti

Comunicato Stampa finale: Innovatori Europei riunisce il Mezzogiorno protagonista al Nazareno (PD)

Michele Mezza: “Napoli e il Sud, il rosso e il nero dell’italianità…”

di Laura Bercioux

Memorabili le sue dirette per il funerale di Berlinguer, il processo dall’Aula Bunker con Falcone Borsellino, Gorbaciov a Mosca, 35 anni di notizie e di informazione: Michele Mezza, giornalista, scrittore, napoletano, trapiantato a Roma e vissuto a Milano, ha girato il mondo. Oggi si dedica al digitale. Il suo ultimo libro è “Avevamo la luna”,. A “Visti da Lontano”, la rubrica del nostro giornale dedicata ai meridionali lontani dal Meridione, Michele Mezza, racconta la sua Napoli.

Quale è il suo rapporto con Napoli e il Sud?

“Io sono nato a Napoli ma cresciuto a Milano e ora vivo a Roma. Una combinazione che  da una parte mi limita la mia percezione della città, e del sud in generale, anche se poi ho avuto l’opportunità di tornare e lavorare a Napoli in varie occasioni. Dall’altra mi aiuta a valutare le caratteristiche di Napoli e del Sud in termini comparativi. Per me Napoli e il Sud sono qualcosa in più o in meno delle altre città in cui ho vissuto come Milano e Roma. Il Sud è la mediterraneità, è l’Italianità più forte e sanguigna, e’ la crisi endemica delle sue terre. Napoli è il Sud al quadrato: mediterraneità, italianità, arretratezza all’ennesimo livello. Ma anche grande e continua contraddizione. Se devo  scegliere una sensazione su tutte, diciamo che Napoli è la città del ritmo che ha volte rimane in silenzio. Ecco questa immagine esprime il mio legame, il mio odio amore con la città, con la mia città, perchè Napoli  poi è sempre la città a cui torno con la mente quando cerco un rifugio”.

Cosa ricorda di bello e positivo?

“Napoli è tutto quello che il resto d’Italia non è:colore, arguzia, disperazione, teatro, musica,.occupandomi in particolare di relazioni digitali, mi pare più semplice leggere Napoli alla luce dei nuovi codici a rete. Napoli è la città di Internet, è la città della condivisione, dell’economia del vicolo, per antonomasia. E’ la città dell’open source, della continua imitazione e rielaborazione, come la sua musica dimostra. E’ la città del no copyright, non solo per l’attitudine al falso, ma sopratutto per la sua naturalità nel moltiplicare ogni simbolo del successo. Ecco Napoli come straordinaria macchina del tempo che combina e ibrida tradizione e futuro”.

Qual è la percezione della reputazione di Napoli nel suo ambiente di lavoro?

“Al di là dei luoghi comuni, delle vecchie tare della napoletanità, devo dire che nel campo della comunicazione Napoli è un brand di qualità, di competitività, di primato. Essere di Napoli, del Sud in particolare oggi è una prerogativa da curriculum, da esibire. Basta dare uno sguardo al top management dei grandi gruppi internazionali del lusso o della comunicazione: in larga parte i responsabili del marketing e delle relazioni esterne sono italiani, specificatamente meridionali, spesso proprio napoletani. Un motivo ci sarà”.

Attualmente qual è l’opera più simbolica?

“Al momento la cosa più tipica a Napoli, e nel sud  in generale, è una non opera, è il non operare, il non progettare. Da anni, da molti anni, nel sud  e a Napoli non si riesce a immaginare, a progettare e tanto meno a realizzare un’opera che possa assumere un valore simbolico. Tutto  si consuma ancora prima di diventare proposta. E quelle poche opere che arrivano a diventare cantiere  si tramutano in handicap. Se proprio devo indicare una realizzazione che è il simbolo del sud non operativo è forse il Crescent di Salerno. Un’opera invasiva, che riconfigura l’intero profilo della città, che poteva diventare un motore di sviluppo e identità a livello nazionale e internazionale, in una città che pure aveva dato dimostrazioni di dinamismo positivo. Ebbene tutto diventa carta bollata, pressappochismo, paralisi, ridicolo e dramma. Tutto diventa commedia. Amara”.

Qual è l’autore più rappresentativo?

“Uno del passato e uno contemporaneo. Per il passato direi Gianbattista Vico. Non era Napoletano ma lo diventò, lo volle essere e diede forma alla parte migliore della cultura Napoletana, temperando l’illuminismo e danno senso storico e forza dinamica all’improvvisazione e all’estemporaneità Napoletana. Un genio che diede lustro alla cultura Italiana da Napoli e con Napoli. Oggi direi Roberto Saviano che trasforma la degenerazione sociale della camorra in un linguaggio multimediale modernissimo proponendo materiali e supporti immaginari per neutralizzarne gli effetti corruttivi. Diciamo che Saviano, meglio il savianismo è il simbolo dell’autogenerazione possibile di Napoli.

Domenico Rea parlò di due Napoli che vivono fianco a fianco ma separate (la borghesia e i lazzari) e senza diventare popolo: Le sembra una chiave di lettura ancora attuale?

“Direi di no. Si è del tutto consunto quel ceto medio pre borghese che non è mai diventata borghesia occidentale. Tanto più in una fase dell’occidente che vede la middle class proletarizzarsi in maniera frustrata e rancorosa. Tipicamente  napoletana. Mentre i lazzari si espandono, e si diffondono. Diciamo che siamo nel tempo lazzaro. Guardiamo a cosa sta accadendo in Europa, dove l’opposizione alle tecnoburocrazie è tutta consegnata ad impasti di populismo metropolitano e di  rabbia post borghese. Napoli , il sud, potrebbe, proprio per aver già vissuto queste fasi, essere il laboratorio per la vaccinazione, per il superamento, per un laico rigetto del rigetto populista. E’ un’ennesima occasione per rifare di Napoli una capitale”.

Raffaele La Capria parla di ferita insanabile aperta nel 1799. Quando i lazzari presero i borghesi illuminati nelle loro case e li trucidarono sulla piazza completando l’opera del Cardinale Ruffo… Questa ferita ancora sanguina a suo avviso o è una enfatizzazione letteraria.

“A me è sempre sembrata un alibi autoreferenziale di un’intellettualità che doveva dare una ragione al proprio isolamento, alla propria incapacità di parlare al popolo, al territorio, alle città del sud. Ogni volta questa storia dei lazzari e della repubblica del 99. Ricordo una civettuola e snobbistica fondazione, chiamata appunto napoli99, che voleva riprendere quel filo interrotto. Io vedo piuttosto un altro vulnus, politico e culturale, quello del 44, quando Napoli fu sede  e motore di quella straordinaria operazione che Prima Togliatti, ma poi la stessa DC innestarono: aprire la strada per una vera rivoluzione democratica che portasse le masse popolari al centro dello stato borghese. Lì si poteva dare un senso al napoletanismo come categoria della repubblica. E invece fu l’ennesimo fallimento: dalla svolta di Salerno  si arrivò ad Achille Lauro. Anche questo caso Napoli anticipò la parabola italiana: dal compromesso storico al leghismo anti europeo. Perchè napoli anticipa? Perchè la crisi del sud non è figlia dell’arretratezza ma dell’ipermodernità? Io credo perchè Napoli e il Sud sono da tempo fuori dal paradigma fordista, fuori dalla cultura della fabbrica e  hanno già da decenni sperimentato l’economia della comunicazione e delle relazioni. Una nuova economia ma senza una politica adeguata, senza un gruppo dirigente, senza una società civile consapevole di questa novità”.

Cosa farebbe se fosse il sindaco di Napoli?

“Legherei tutto al progetto di Bagnoli: un grande polo del sapere e della qualità della vita. Metterei sul mercato internazionale il golfo più bello e metropolitano del mondo per  un grande progetto europeo: un campus europeo dei saperi relazionali. La città si adeguerebbe a questo motore”.

Cosa non farebbe mai se fosse il Sindaco di Napoli?

“Proclami o nomine”.

“Non solo fondi UE, al Sud serve un progetto”, la mia intervista per «Il Mattino»

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Intervista di Gianni Pittella per «Il Mattino»

Onorevole, qual è il significato di questa nuova visita del premier a Napoli e nel Mezzogiorno?

«Ha innanzitutto un grande valore simbolico – spiega Gianni Pittella, capogruppo del Pse a Strasburgo – perché vuole significare l’importanza che ha il Sud per Renzi e per il Governo, ma anche per l’Europa intera. Il Mezzogiorno è un’area che può diventare strategica per la crescita e per la ripresa economica nel continente. Aggiungo: so che Renzi visiterà anche delle aziende d’eccellenza. E questo è un altro motivo di questa visita: il premier viene a sottolineare le virtuosità di cui il Sud è ricco, viene a dare un segnale di fiducia e di incoraggiamento peri tanti attori dello sviluppo che nel Mezzogiorno fanno per intero la loro parte, a dispetto di chi critica soltanto».

A suo giudizio cosa fa e cosa potrà realizzare il governo Renzi per il Sud?

«Il governo ha saputo preparare l’avvio della nuova programmazione dei fondi comunitari. La parola d’ordine è concentrazione delle risorse: per evitare ritardi e ulteriori perdite di fondi. D’altronde solo l’ottimizzazione delle risorse può impedire la dispersione in mille rivoli, tipo quella dei 500mila progetti della vecchia programmazione. Un esempio: puntare tanto sulle infrastrutture, sia quelle fisiche come i porti, come l’Alta velocità, come l’Alta capacità, ma anche quelle immateriali, come la banda larga».

Si riferisce all’Agenzia per la coesione?

«Anche. Perché è importante che il governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Ecco, credo che sia questo il nuovo orizzonte: anziché fantasticare sulla macro -regione istituzionale credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare».

Sempre e solo fondi Ue: onorevole, ma al Sud non serve anche altro?

«Concordo: in questi anni è mancata una visione, un’attenzione. E non c’è stato nessuno sforzo serio di programmazione. Ma io credo che in questo senso Renzi possa dare una svolta».

Come?

«A mio avviso sono cinque i punti fondamentali. Delle Infrastrutture già ho detto. Poi penso all’istituzione di Zone Economiche Speciali, come in Polonia, dove un regime di fiscalità e la semplificazione amministrativa possano attrarre gli investimenti. Ancora: turismo e ambiente, con tutti gli sforzi che ne derivano per recuperare ad esempio il terreno perduto con la “terra dei fuochi”. Quindi, l’adozione dei progetti di studio Erasmus su scala mediterranea, per accrescere anche una coscienza più aperta: sarebbe un segnale anche dal punto di vista politico rispetto a quanto accade sulle altre coste del Mediterraneo. Infine la lotta alla criminalità: penso all’impiego delle nuove tecnologie, ma anche ad un’azione socio-culturale che coinvolga il volontariato e le associazioni, e ad un utilizzo più efficiente dei beni confiscati alle mafie».

Renzi potrà fare tutte queste cose o la crisi sarà l’alibi buono per rinviare ancora?

«Mi fido di Renzi e penso anche che tante di queste cose si possano realizzare senza particolari impegni finanziari. Poi non dimentichiamo che, al di là dei fondi comunitari, ci sono quei famosi 300 miliardi in 3 anni derivanti dal piano straordinario investimenti adottato da Juncker su nostro pressing: anche una quota di quelle risorse potrà andare a colmare lo storico divario Sud-Nord. L’importante è che tutti gli attori facciano la loro parte: anche le banche, perché non siano solo prestatori di danaro a fini di lucro, ma aiutino a creare una cultura nuova, aperta al cambiamento. Che senso ha chiedere ai giovani imprenditori garanzie che loro non possono dare?».

………………

Pittella in conversazione su suo post su Facebook aggiunge: “È fondamentale che il Governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Anziché fantasticare sulla macro-regione istituzionale, credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare. Farò di tutto perché questo avvenga. Anche grazie a una parte dei fondi che siamo riusciti ad ottenere.”

Commento di IE: “Ci sono tutte le condizioni ora per unire il Mezzogiorno per la sua infrastrutturazione che apra  Italia e l’Europa al Mediterraneo, di cui da anni parliamo fino alla proposta per il Semestre europeo a guida italiana dell’Osservatorio infrastrutture e logistica mediterranee”.

Speranza: «Il governo deve ripartire dal Sud più spesa e investimenti pubblici»

Intervista a Roberto Speranza di Nando Santonastaso – Il Mattino

Forse davvero la politica si sta accorgendo  del baratro in cui è finito il  Mezzogiorno. Perché dopo le devastanti  anticipazioni del rapporto  Svimez 2014 e la costituzione  dell`intergruppo Mezzogiorno, trasversale  alle forze parlamentari, è il  capogruppo Pd alla Camera Roberto  Speranza – che del nuovo organismo  fa parte – a provare a svegliare  il Palazzo. «Sono rimasto sconcertato  dal silenzio, dall`assenza di dibattito  e di confronto che ha accompagnato  i dati Svimez, contrariamente  a quanto di solito accade in politica  su temi magari anche meno importanti»,  dice Speranza, meridionale  di Potenza.

Silenzio da rassegnazione?

«Non lo so. Mi preoccuperei se si  fosse trattato di indifferenza. Ero  anch`io alla Camera alla  presentazione dei primi dati del  nuovo rapporto Svimez, in qualità  di capogruppo del Pd. E di fronte  alla gravità della situazione mi  sarei aspettato ben altre reazioni.  Sono anni ormai che ci  continuano a piovere addosso  statistiche e rapporti che  documentano quanto sta  accadendo nel Sud: ma non vedo  un dibattito consapevole di tutto  ciò».

Ma non tocca alla politica  assumere questa  responsabilità?  E non è proprio  il partito di  maggioranza  relativa a  doversene fare  carico più degli  altri?

«Intanto prima  ancora della  politica, che ha  certamente le sue  responsabilità,  mi pare che siamo di fronte a una  sorta di impotenza dell`opinione  pubblica, di indifferenza come  dicevo prima. Che è purtroppo un   elemento di novità rispetto al  passato. Perché di fronte a certi  dati è incredibile che non si apra  un dibattito nazionale sul  Mezzogiorno. Oltre tutto i dati del  Pil del secondo trimestre, con un  calo superiore al previsto,  impongono questa scelta: ma se  un Paese non riparte da un`area  che ha perso il 3,5% di Pil in un solo  anno, di cosa discutiamo?».

Già, ma ne è consapevole anche il  governo?

«L`ultima cosa che possiamo fare  su questo tema è dividerci tra di  noi. Io so, ne abbiamo parlato  spesso con Renzi, che il governo è  consapevole di questa situazione.  Io ho un`idea e penso che su di  essa si possa ragionare in termini  concreti. Penso cioè che se non c`è  un`inversione di tendenza rispetto  alla politica del rigore dell`Unione  europea, l`Italia rischia di non  uscirne viva e il Mezzogiorno di  non accorciare più il divario con il  centronord».

Per cui, cosa bisognerebbe fare a  suo giudizio?

«La battaglia del governo in  Europa perché siano superati in  vincoli del 3% del Patto di stabilità  abbia come obiettivo il  Mezzogiorno. Perché è in  quest`area che i danni prodotti da  una regola assurda si fanno sentire  in maniera drammaticamente  elevata. Ed è qui, di conseguenza,  che il cambio di passo avrebbe  risultati decisivi per la  crescita del Paese».

Si spieghi meglio: perché  abbattere il muro del 3%  favorirebbe un ritorno  economicamente  significativo al  Mezzogiorno?

«Perché svincolare gli  investimenti pubblici e  privati da quella soglia  significherebbe rimettere  in moto il Sud nei cui  confronti la spesa in conto  capitale, che è decisiva per le sorti  di un territorio, ha subìto un calo  incredibile. Lo ha rilevato proprio  la Svimez. I tagli agli investimenti   in infrastrutture, ad esempio: se  nel centronord si sono mantenuti i  livelli di spesa per opere pubbliche  di 40 anni fa, al Sud oggi si spende  un quinto di quanto si faceva negli  anni `70».

Sta dicendo insomma che se il  Paese non ripartirà veramente  dal Sud non riuscirà ad  agganciare la ripresa, se ci sarà,  del prossimo anno?

«Certo, ma questo – sia chiaro – non  vuol dire rimettere in  discussione la spending review o  gli impegni internazionali del  Paese. La battaglia che credo  andrà fatta dal governo è per  liberare gli investimenti, non per  altri obiettivi. Abbattere il tetto del  3% e rilanciare il Sud al pari degli  interventi per le scuole e contro la  povertà mi sembrano le priorità  assolute in questa fase. Un Paese  che ha appena dimostrato di  potere e sapere fare riforme  complesse, come quella del  Senato, può e deve ottenere  altrettanta disponibilità  dall`Europa».

Pensa che anche il suo partito  oltre che il governo condividerà  questa scelta?

«Io non ho dubbi anche perché è  arrivato il momento di mettere fine  alla vulgata secondo cui il Sud  avrebbe beneficiato di maggiori  investimenti pubblici. I dati  dimostrano esattamente il  contrario: sul fronte degli  investimenti delle imprese  pubbliche nazionali, cito ancora la  Svimez, al Sud nel 2012 sono  crollati de112,8% rispetto all`anno  precedente mentre al centronord  nello stesso periodo sono saliti del  2,9%».

Eppure la sensazione è che si  rinunci a investire nel Sud  perché in fondo non ne  varrebbe più la pena…

«Io penso che al netto di  chi racconta di un Sud  sommerso di risorse  pubbliche, esista al  contrario una realtà nella  quale i limiti della spesa  emergono in maniera  chiara. Ecco perché un piano di investimenti per il  Mezzogiorno che possa  liberarsi dal vincolo del 3%  può e dev`essere la strada da  percorrere».

Dopo due trimestri negativi, il Pil  meridionale sarà anche nel 2014  con il segno meno. E la Svimez è  pessimista pure nel 2015: non  sarebbe il caso di interventi-choc  per rilanciare questa parte del  Paese?

«Intanto mettiamo al centro della  crescita il Sud perchè la via dello  sviluppo non può che ripartire da  qui dove sono concentrate la  maggiore disoccupazione  giovanile del Paese e la quota più  bassa di occupazione femminile.  Anche per questo la questione  meridionale o come la si vuole  definire è una questione  nazionale. Le scelte per il Sud non  potranno che influenzare  positivamente tutto il Paese. Non  so se occorrerà un intervento choc:  di sicuro il governo ha già  imboccato la strada di assicurare al  Mezzogiorno un sostegno  prioritario nelle sue ultime  misure».

A cosa si riferisce?

«Al pacchetto approvato il 22 luglio  dal consiglio dei ministri che  destina alle regioni meridionali  l`80% di oltre un miliardo e 400  milioni stanziati per la crescita  attraverso i contratti di sviluppo.  Non è un segnale come altri  considerate le potenzialità  espansive del territorio  meridionale e ovviamente anche i  suoi enormi ritardi. Naturalmente  questo non può far dimenticare  che occorrono investimenti forti in  infrastrutture, turismo, reti  immateriali, logistica: e che  servono anche investimenti  privati».

Non abbiamo  parlato finora di  fondi europei,  spesso ritenuti  l`unica  medicina per  guarire  l`ammalato Sud:  è un caso?

«I fondi europei  sono importanti  a condizione che  siano spesi bene.  I ritardi del Sud  in questo specifico settore sono  evidenti: per questo credo che sia  giusta la decisione del governo di  monitorare attraverso l`Agenzia  per la Coesione il loro utilizzo».

Intanto però il governo ha  rinunciato al ministro per la  Coesione: lei ha condiviso questa  decisione?

«Ne ho preso atto e ho fiducia che il  lavoro del sottosegretario  Graziano Delrio sia proficuo e  all`altezza della sfida. Di sicuro sul  terreno dei fondi europei l`Italia si  gioca una partita decisiva. Noi  dobbiamo avere una visione  strategica convinta: perché sfidare  l`Ue sulla soglia del 3% per  investire al Sud vuol dire  naturalmente assumersi come  Paese la responsabilità di  spendere bene le risorse  comunitarie».

Il Sud sta morendo

di Francesco Grillo su Il Mattino

 Il Sud sta morendo. Potrebbe essere questa la sintesi del rapporto annuale della SVIMEZ presentato ieri a Roma. Sta morendo messo definitivamente nell’angolo dalla scarsa attenzione dei media e della politica, a Roma, così come a Napoli e a Bruxelles da una crisi più vasta che rischia di minacciare la stessa sopravvivenza del progetto europeo, così come di quello unitario. E, tuttavia, il rapporto – impietoso e condivisibile nelle analisi – appare non affrontare direttamente la questione delle classi dirigenti che è il nodo che ha strozzato qualsiasi prospettiva di sviluppo.

Più di quelle relative all’evoluzione del PIL, tra le molte cattive notizie che il rapporto fornisce, quella che colpisce di più riguarda il lavoro, i giovani, alla quantità e alla qualità di capitale umano che il Sud sta perdendo e, di conseguenza, a ciò che sta diventando la società meridionale.
La recessione nel Sud è, soprattutto, il crollo nel numero di occupati in un territorio che già prima della crisi vedeva le quattro grandi regioni del Sud collocate agli ultimi quattro posti tra le duecentocinquanta regioni europee.
Se tra il 2008 ed il 2010 in Italia si sono persi più di mezzo milione di posti di lavoro, ciò che impressiona è che il Sud – che rappresenta meno di un quarto dell’economia nazionale – ha assorbito più della metà di queste perdite. Ma ancora più eclatante è constatare che in effetti questa riduzione è interamente concentrata nella fascia di popolazione tra i quindici e i trentaquattro anni: in soli due anni gli occupati giovani si sono ridotti di una percentuale superiore al venti per cento. Questa ritirata in massa dei giovani dal mondo del lavoro nel Sud non è, peraltro, attenuata da un aumento del numero di persone che frequentano l’università: se nell’anno scolastico 2002 – 2003 il numero di diplomati che sceglieva di iscriversi ad un corso di laurea era simile nel Nord e nel Sud – e superiore al settantadue per cento – dieci anni dopo questo valore è crollato di dodici punti nelle regioni meridionali. Il risultato finale è l’incrementodei giovani che non sono né impegnati nello studio, né nel lavoro: i laureati con età inferiore a trentaquattro anni e che sono in una situazione di totale inattività sono centosettantamila ed il paradosso è che dovrebbero essere la punta più avanzata di una società che decidesse di voler essere normale.

La questione meridionale è, dunque, sempre di più questione generazionale. Del resto ai giovani del Sud rimane spesso solo l’opzione della fuga: seicentomila – buona parte laureati – si sono spostati verso il Centro Nord negli ultimi dieci anni lasciando progressivamente un Sud che – rispetto agli stereotipi – è semplicemente sempre più vecchio, sempre più assistito e soprattutto senza capacità di dare voce ad un progetto politico qualsiasi.

Il problema è ancora però quello delle classi dirigenti politiche ed amministrative che continuano a perdere un’occasione dietro l’altra e che hanno di fatto spezzato qualsiasi possibilità di ricambio lasciando a chi aveva competenza e talento solo la possibilità di andare via.

I dati, del resto, continuano a togliere qualsiasi legittimità alla lamentela sulla mancanza di fondi. È vero che la quota di spesa pubblica in conto capitale e, persino, quella corrente destinata al Mezzogiorno continua a scendere, come rivelano i dati della SVIMEZ. Tuttavia, è altrettanto vero che come dice la ragioneria generale dello Stato le regioni del Sud non riescono a spendere neanche i soldi dei fondi strutturali: a poco più di due anni dalla fine del periodo di programmazione 2007 – 2013 dei quarantaquattro miliardi di euro messi a disposizione dai programmi comunitari per lo sviluppo del mezzogiorno non ne sono stati spesi neanche cinque, laddove la peggiore prestazione è quella della Regione Campania che pure era una delle amministrazioni europee con la maggiore quantità di risorse a disposizione.

Non convince in questa situazione la creazione di nuove agenzie o di nuovi coordinamenti che rischiano di sommare tra di loro debolezze ed incapacità. Bisogna, invece, avere il coraggio di mettere pesantemente in discussione l’insostituibilità delle amministrazioni pubbliche.

Le idee che altre regioni che sono riuscite nel miracolo che solo alle regioni del Sud non riesce ci sono già: coinvolgimento di fondi di venture capital ai quali demandare l’individuazione e la condivisione del rischio di progetti innovativi; sostituzione di amministrazioni pubbliche incapaci – da individuare attraverso criteri oggettivi, semplici e trasparenti – con altre che si sono dimostrate migliori e che esistono anche al Sud a pochi chilometri di quelle inefficienti; distribuzione diretta ai giovani di parte delle risorse sotto formadi buoni con i quali comprare formazione o di incentivi fiscali per chi decida di tornare e di mettere a disposizione di un progetto il proprio talento; finanziamento di parte del capitale di cooperative di cittadini che accettino la sfida di far funzionare ciò – musei, siti archeologici – che lo Stato ha abbandonato.

Tutte queste misure partono però dal presupposto di porre concretamente la necessità di applicare concretamente il principio della sussidiarietà e dall’idea che nessuno possano usare risorse scarse senza darne conto e che ci sia, invece, nella società – anche in quella meridionale – l’energia per poter invertire declini che non sono mai irreversibili.

(pubblicato su Il Mattino il 28 settembre 2011)

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