Significativamente Oltre

sostenibilità

2009 -> 2016 -> 2017: Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile e il PD diventi il Partito dei Progetti o non reggeremo la modernità

pd

di Massimo Preziuso

Si ha una strana sensazione quando si scopre di aver visto giusto negli anni ma di non essere stati ascoltati. E’ quello che ci capita in questi giorni in cui il nostro Belpaese soffre pesantemente, per ragioni di inefficacia ed inefficienza politica, l’adattamento ad un clima ormai drammaticamente e profondamente cambiato.

Ebbene, nel 2009 il nostro Comitato Green Economy and Society della Mozione Bersani presentò una proposta di istituzione del MISS – Ministero per lo Sviluppo Sostenibile che anticipasse e provasse a reagire ai forti problemi che il cambiamento climatico stava per portare ai nostri territori e al nostro sistema economico. Nessuno ci ascoltò e il Paese perse una occasione enorme di porsi da leader in un continente protagonista sul tema su questi temi di frontiera culturale, tecnologica ed economica.

Nel 2016 tornammo a scrivere al Partito Democratico e al Governo Renzi chiedendo una riflessione attenta sul tema ambientale e di sviluppo sostenibile del Paese (con la istituzione del solito MISS, per fusione tra Ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente) e sulla necessità di una nuova Forma Partito (di cui discutemmo nella apposita Commissione nazionale) che si incentrasse sui “Progetti per il Paese” (con la istituzione di un “Dipartimento Progetti” e della “Filiera Progettuale” proposta da Fabrizio Barca) per provare a riavvicinare la periferia del Paese al suo centro tramite idee e iniziative concrete. Ed evitare un ulteriore distacco elettorale a pochi mesi dalle amministrative che poi, come ipotizzato, si tradussero in una sconfitta netta.

E’ passato un altro anno da allora, in cui il PD ha pure perso il Referendum Costituzionale (a mio avviso anche per ragioni di organizzazione) e le ultime amministrative di quest’anno.

E, soprattutto, il Paese ha dimostrato a tutto il Mondo la propria fragilità geografica fino alla severa siccità delle ultime settimane, che andrà sicuramente a peggiorare ad Agosto.

E allora lo chiediamo per la terza volta:

si abbia il coraggio di porre il tema dello Sviluppo Sostenibile di un Paese così delicato al centro delle riforme governative. Il presidente Gentiloni dia il via al MISS – Ministero per lo Sviluppo Sostenibile, mettendo insieme  Sviluppo Economico e Ambiente per costruire il futuro del Paese . 

E il PD abbia la voglia di diventare finalmente il “Partito dei Progetti” utilizzando la naturale matrice delle competenze composta dai nuovi Dipartimenti (verticali) e la Segreteria (orizzontale) nazionali per sviluppare iniziative di cambiamento con il supporto di un forte luogo di elaborazione di proposte innovative diffuse nei territori. Il neonato gruppo “Italia 2020” (composto da Maria Elena Boschi, Sergio Chiamparino, Graziano Delrio, Michele Emiliano, Tommaso Nannicini, Andrea Orlando) che organizzerà la Conferenza Programmatica di Ottobre dovrebbe operare in questa direzione.

Speriamo che qualcosa accada presto o il Paese e il Partito Democratico non riusciranno a gestire la complessità di questa modernità che ci accelera contro.

 

Il 17 aprile vota SI al Referendum

Innovatori Europei – membro del Comitato nazionale per il SI con Legambiente Onlus e tantissime associazioni e comitati – vota SI ‪#‎Referendum17aprile‬ . Perché occasione unica e irripetibile per dare un segnale forte, all’interno del Paese e a livello internazionale, sul fatto che l’Italia vuole finalmente tornare ad essere protagonista nel settore della Green Economy / Sostenibilità Ambientale, che è già oggi il baricentro del nuovo paradigma di sviluppo mondiale.

E perché crediamo il Referendum sia una occasione formidabile per le stesse compagnie petrolifere, a cominciare dalla nostra Eni, per accelerare su questo cammino, insieme ad un governo Matteo Renzi che faccia finalmente il “pioniere” dell’innovazione tecnologica e non solo il “later adopter”.

Le tecnologie del futuro e le città intelligenti

di Massimo Preziuso

Nei giorni scorsi McKinsey ha pubblicato un interessante report dal titolo “Disruptive technologies: Advances that will transform life, business, and the global economy”. Il documento descrive le 12 tecnologie a maggiore impatto potenziale sull’economia mondiale nel 2025, selezionate in un campione di più di 100 potenziali.

Tabella: Stima del potenziale impatto economico delle nuove tecnologie nel 2025 (in migliaia di miliardi di dollari)

Tabella

Fonte McKinsey (Maggio 2013)

Secondo McKinsey la rivoluzione tecnologica in corso da qui al 2025 sarà fortemente centrata sul “digitale” che permetterà – tra le altre cose – di creare business tramite “l’internet mobile” e la analisi dei “big data”, di automatizzare enormi volumi di lavoro manuale ed intellettuale tramite “robot”, di virtualizzare processi reali spostandoli dall’hardware alla “nuvola internet”, di portare la fabbrica in ogni casa con la “stampa 3D” e di connettere “internet” agli “oggetti” trasformandoli in fornitori di servizi.

La tecnologia digitale sta portando inoltre enormi innovazioni nel campo della genomica, con conseguenze potenzialmente illimitate sulla salute e la longevità degli individui.

Queste innovazioni tecnologiche renderanno obsolete grandi parti dell’industria tradizionale e larghe fette di lavoro manuale ed intellettuale, mentre creeranno nuovi business e nuovi lavori, altamente specializzati.

Il trasferimento di enormi potenze di calcolo nella “nuvola”, messe in rete con la pervasività del “mobile internet”, l’intelligenza presente negli oggetti, la presenza di aziende altamente automatizzate  la diffusione di auto a guida automatica, alimentate da potenti “batterie” e da fonti rinnovabili, renderanno la città un ambiente dotato di elevata densità di informazioni, know – how, qualità della vita e creatività. In cui il lavoro si svolgerà in luoghi diversi e in modalità nuove e flessibili.

Un esempio viene dagli Stati Uniti, dove l’effetto dirompente del movimento dei makers è stato riconosciuto dal visionario presidente Barack Obama, che ha annunciato un piano di 3 miliardi di dollari per la creazione di istituti per l’innovazione, i FabLab nati al MIT dal lavoro di Neil Gershenfeld. Laboratori digitali e tecnologici “low cost” in cui si progettano e già si realizzano nuovi modelli di produzione manifatturiera. Dotati di competenze iper specialistiche messe in rete grazie al digitale, saranno questi i luoghi che porteranno alla nascita delle cosiddette “micro – multinationals” (“Race against the machine”, 2011), aziende a struttura operativa micro ma dotate di mercati di riferimento e fatturati di una multinazionale.

Il futuro vive già oggi nelle città intelligenti. Ma per trarne vantaggi netti, esso va compreso prima che arrivi. Soprattutto in paesi come l’Italia, dotati per storia di intelligenza e imprenditoria diffusa, che va finalmente messa a sistema. Grazie alle tecnologie dirompenti.

Taranto Sostenibile

di Massimo Daniele Sapienza – Innovatori Europei

(con questo contributo, presentato alla assemblea di IE di febbraio scorso, diamo il via alla nostra riflessione su “Taranto Sostenibile”)

Vorrei affrontare una delle questioni chiave e più calde del dibattito ambientalista italiano non con una prospettiva locale ma inquadrando il caso Taranto nel suo contesto più generale globale e storico. 
Taranto può essere vista come la madre di moltissime battaglie ambientaliste perché rappresenta molto bene lo scontro fra due diverse e antitetiche concezione della storia: innovazione contro conservazione.
Per cercare di spiegare meglio si può dare un’occhiata ai numeri: il mercato mondiale dell’acciaio è cresciuto triplicandosi dal 1995 al 2012 con un tasso medio di crescita pari a circa il 4,5% all’anno. 
Questa crescita però non è stata omogenea su tutti i mercati, ma anzi al contrario abbiamo assistito ad una fortissima migrazione delle produzioni verso i mercati asiatici e in particolare quello cinese. L’acciaio con tutti i suoi costi ambientali e sociali tende a spostarsi dai paesi ricchi a quelli in corso di accelerato sviluppo anche perché in quei paesi è maggiore la domanda per evidenti ragioni: espansione del settore infrastrutture e manifatturiero in primis.
Se guardiamo all’Unione Europea notiamo che la produzione in Europa è scesa per circa il 3% all’anno mediamente. Anche il dato dell’Unione Europea, come quello del mercato globale, va letto in una prospettiva duale: da un lato Germania e Italia, che hanno un modello di sviluppo basato su settori tradizionali e, in particolare per l’Italia, sulla produzione di macchinari, hanno cercato di tenere le proprie quote di produzione (Germania -0,1% e Italia -0,3% all’anno fra il 2005 e il 2011); dall’altro paesi che hanno diversa vocazione industriale e che stanno abbandonando velocemente la produzione di acciaio (Gran Bretagna -5%, Francia -4% e Spagna -3,5% all’anno fra il 2005 e il 2011). 
Il primo fatto saliente che vorrei sottolineare e quindi la scelta complessivamente molto tradizionalista e conservatrice del nostro paese: in un mondo che sta delocalizzando e spostando le produzioni di acciaio verso altre geografie l’Italia cerca di resistere contrapponendo un modello di sviluppo industriale tradizionale basato sulla tenuta dell’acciaio. 
Parliamo adesso un po’ più specificatamente di Taranto e dell’Ilva. L’impianto creato negli anni 60 ha raggiunto il suo picco di occupazione e di produzione nel 1975. In quell’anno lavoravano all’Ilva 25.000 persone. Da allora il livello occupazionale ha cominciato a declinare. Dopo quasi 40 anni di deriva oggi lavorano all’Ilva circa 12.000 persone, la metà del picco. A Taranto si produce il 30% dell’acciaio italiano. 
Con quali prospettive?
I lavori di bonifica previsti dall’AIA imporrebbero un onere stimato in circa 2,5 miliardi di Euro, chiaramente un’enormità, e soprattutto insostenibile se commisurati agli utili totali realizzati dall’azienda negli ultimi 15 anni (3 miliardi di Euro).
Nella sostanza non è necessaria una laurea in economia per comprendere la realtà: nessun privato investirebbe mai una somma pari ai suoi utili degli scorsi 15 anni per ambientalizzare un impianto che produce un prodotto, il cui mercato, secondo tutte le analisi di tendenza è destinato a ridursi considerevolmente nel breve, medio e lungo periodo. Aggiungo infine, perché non è un elemento di poco conto, che il costo dell’acciaio prodotto a Taranto crescerebbe molto a valle delle ambientalizzazioni rendendolo di fatto fuori mercato anche al di là del trend più generale al quale abbiamo fatto riferimento in precedenza. 
La notizia tragica della richiesta di cassa integrazione per 6.000 dei 12.000 dipendenti di Taranto ha 2 chiavi di lettura. La prima appare squallida e legata al ricatto occupazionale nel quadro della lotta con la magistratura per ottenere il dissequestro delle somme provenienti dalla vendita dei prodotti realizzati durante il semestre di sequestro degli impianti. 
La seconda, ugualmente grave, è invece legata all’assoluta mancanza di prospettive per uno stabilimento e per una produzione che ormai è fuori mercato e fuori dal tempo.
Torno quindi al dilemma che ponevo all’inizio del mio intervento, ossia il confronto fra innovatori e conservatori.
Il governo italiano con i decreti salva Ilva ha fatto una scelta di vera e totale conservazione. Si è rifiutato di prendere atto della semplice verità che Ilva non può costituire un’opzione di sviluppo e occupazione per Taranto e ha cercato di tutelare lo status quo a danno della salute dei tarantini, della giustizia e del progresso. Il governo ha messo al primo posto le esigenze delle banche creditrici del gruppo Riva piuttosto che il diritto del popolo italiano in questa, come in mille altre situazioni, a migliorare, innovare e progredire. 
Sia bene inteso l’origine del problema è molto più profonda. Il Salva Ilva è solo l’epifenomeno, la punta dell’iceberg. Come abbiamo scritto prima sono 20 anni che è in corso un mutamento nell’economia globale che sposta le produzioni di acciaio. Questo semplice fenomeno economico andavo studiato, compreso e elaborato. Sarebbe stato necessario inventare un’alternativa per Taranto già 10 anni fa probabilmente. 
La subalternità dell’innovazione rispetto alla conservazione ci ha condotti nella situazione critica nella quale ci troviamo adesso. 
Nell’emergenza sono necessarie misure eccezionali e sacrifici che si aggiungono ai lutti e agli inqualificabili soprusi patiti dalla popolazione di Taranto in questi 40 anni. Si noti che non ho mai fatto riferimento nella mia trattazione ai dati ambientali e sanitari. L’ho fatto di proposito. Non perché non siano importanti, tutt’altro, sono evidentemente e indiscutibilmente capitali. Ho voluto mantenere il filo del mio discorso confinato strettamente entro i sentieri del ragionamento economico per mostrare quanto la conservazione sia stata perdente sull’innovazione anche nel suo terreno elettivo. 
Se si fosse creata una no-tax zone quanti investimenti alternativi si sarebbero potuti attrarre a Taranto? Se si fosse puntato sulle energie rinnovabili che in Italia hanno dato lavoro a quasi 150.000 persone quanti posti di lavoro si potevano creare a Taranto? Non dimentichiamoci che la Puglia è stato nel biennio 2009-2010 il faro della green economy italiana. Si sarebbe potuto fare di Taranto la capitale di questo modello di sviluppo. Si sarebbe potuto dare un’alternativa di lavoro e di salute ai tarantini. 
Mi piace collegare la vicenda di Taranto alla Fiat e a quanto è avvenuto nel mondo delle rinnovabili. 
Come molti sapranno recentemente la Germania si è data l’obiettivo di 1 milione di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Cosa accadrebbe se l’Italia adottasse una misura simile?
A spanne per produrre tutti quegli autoveicoli elettrici ci vorrebbero circa 85.000 lavoratori (pari a 7 volte quelli occupati dall’Ilva) e non sto considerando l’indotto quale ad esempio la produzione e l’installazione delle colonnine di ricarica che probabilmente porterebbe a raddoppiare questi numeri. Se poi decidessimo di alimentare con tutta energia rinnovabile questa nuova flotta di auto elettriche sarebbe necessario installare ulteriori 1.700 MW fotovoltaici (pari al 10% del parco solare attualmente in esercizio in Italia) con tutta l’occupazione che ne deriverebbe. 
Vi sembrano sogni? A me sembra innovazione e sviluppo sostenibile. Mi sembra occupazione su una scala prossima a 15 volte quella attualmente in essere presso l’Ilva. Mi sembra salute e ambiente. Mi sembra un modo assai più saggio e consapevole per spendere i 2,5 miliardi di Euro previsti dall’AIA dell’Ilva.
Nella sfida fra innovazione e conservazione, io ho già scelto.

Rio 20 anni dopo

di Giuseppe Ciarlero (pubblicato su Gli Euros)

Dal 1972 a oggi i governi di tutto il mondo hanno organizzato eventi al fine di migliorare le condizioni dell’ambiente in cui viviamo aumentando la consapevolezza che il pianeta sul quale viviamo è l’unico che abbiamo e che le risorse a nostra disposizione sono limitate.

I leader mondiali hanno sottoscritto nel corso delle precedenti conferenze delle Nazioni Unite alcune importanti dichiarazioni sullo sviluppo sostenibile : la Dichiarazione di Stoccolma (1972), la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo (1992), la Dichiarazione di Johannesburg (2002), e hanno adottato alcuni importanti documenti programmatici : l’Agenda 21 di Rio de Janeiro (1992) e Il Piano d’azione di Johannesburg (2002).

Sviluppo sostenibile : questo sconosciuto

Per definire lo sviluppo sostenibile ci sono utili le parole di Gro Harlem Bundtland, contenute nell’omonimo rapporto elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile, che definisce lo stesso come “processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”Nel documento vengono enfatizzati gli obiettivi di miglioramento non solo ambientale, ma anche economico e sociale. Questi aspetti vanno implementati sia a livello locale che globale, nel rispetto di tutti gli individui e cercando di assicurare loro migliori condizioni di vita.  Il fine di Bruntland e della Commssione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile era quello di avviare al discussione e creare i presupposti per la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali soddisfacendo i bisogni delle attuali generazione ma non compromettendo le capacità di quelle future. Nascevano in questo modo i diritti umani di terza generazione che vogliono tutelare anche coloro che oggi data la loro assenza non possono partecipare al processo decisionale garantendo l’eguaglianza intergenerazionale e la sostenibilità ambientale. Rio+20.

Rio+20

Con la Risoluzione RES/64/236 del 23 dicembre 2009, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito di organizzare nel 2012 la conferenza sullo sviluppo sostenibile (UNCSD), denominata anche Rio+20, in quanto cade a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro UNCED del 1992.

 

La conferenza, che si svolge in questi giorni (20 al 22 giugno) a Rio de Janeiro, ha l’obiettivo di promuovere nuovi traguardi, considerare i progressi raggiunti e valutare le lacune per poter poi affrontare le nuove sfide in linea con le raccomandazioni emerse in passato dai vertici sullo sviluppo sostenibile.  La Conferenza si concentra su due temi principali. Il primo tema cardine ripropone una definitiva conciliazione tra crescita e rispetto dell’ambiente, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Questi ultimi potrebbero essere i maggiori beneficiari di un definitivo spostamento verso una “economia verde”. Durante la discussione del secondo tema verrà invece discussa una razionalizzazione e una maggiore organizzazione delle organizzazione ambientali e delle regolamentazioni a livello globale e locale.

Un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e riduzione della povertà.

A livello macroeconomico questa transizione comporta l’attuazione di riforme e la creazione di incentivi per la tutela delle risorse naturali, il potenziamento delle infrastrutture per l’ambiente, l’introduzione di eco-tecnologie, la creazione di investimenti e l’eliminazione di sussidi dannosi per l’ambiente. Grazie a questa politica economica il settore privato riuscirebbe ad incrementare gli investimenti per l’innovazione per sfruttare le opportunità derivanti da un’economia verde. Oggi, più che ieri, si è consapevoli che il rispetto dell’ambiente non inibisce la creazione di ricchezza né deprime l’opportunità di occupazione. Al contrario, i settori più fiorenti sono molto spesso i settori “verdi” che quindi offrono crescita e occupazione.  Affinché avvenga tutto ciò la transizione deve investire la totalità degli gli attori di governo e dei soggetti operanti sul territorio (imprese, parti sociali, cittadini). Bisogna proporre nuove misure economiche, legislative, tecnologiche e di educazione che abbiano come obiettivo il rispetto dell’ambiente.  Il dibattito teorico sta lasciando progressivamente spazio alla sperimentazione e all’attuazione di specifiche misure che possano facilitare e velocizzare l’azione dei governi.  In tal senso alla conferenza Rio+20 saranno presentati un Global Green New Deal (GGND) e la Green Economy Initiative.  I maggiori beneficiare di queste misure e dell’applicazione di questi nuovi paradigmi dovrebbero essere proprio coloro che oggi non vivono nelle condizioni di vita più fortunate ma che non avendo mai distrutto il loro legame con l’ambiente possono oggi essere i primi a trarre i benefici di questa rivoluzione culturale e tecnologica.

Un quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile

Il sedondo tema principlae della conferenza sarà la riorganizzazione del quadro istituzionale dello sviluppo sostenibile. Una reale e concreta implementazione delle politiche di sviluppo ha un disperato bisogno di approccio istituzionale che sia unitario e organizzato.  Per questo motivo ai tre pilastri principali dello sviluppo sostenibile (ambiente, economia e società) a Rio sarà chiesto di rivedere e rafforzare le strutture esistenti e di considerare il settore istituzionale come il quarto pilastro dello sviluppo sostenibile. Da queste premesse nasce il concetto di Governance dello sviluppo sostenibile che comprende l’analisi e la riorganizzazione sia delle strutture istituzionali che si occupano di ambiente sia di quelle operanti nelle aree economiche e sociali. Uno dei punti centrali del dibattito avviato a livello internazionale riguarda la possibilità di riformare l’attuale architettura istituzionale delle Nazioni Unite i cui organismi, programmi e risorse non sembrano più adeguati alle sfide contemporanee. Molto probabilmente sarà avanzata l’ipotesi di trasformazione dell’UNEP (United Nations Environment Programme) in un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che lo collochi sullo stesso livello di organismi quali la FAO, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il nuovo organismo avrà il compito di ridurre la frammentarietà che caratterizza il sistema internazionale di tutela dell’ambiente, suddiviso in più di 500 accordi internazionali e regionali.  L’Italia e l’Unione Europea sostengono in tal senso già dal 2005, la creazione di un’Organizzazione Mondiale sull’Ambiente (UNEO).

“Non siete qui per curare la vostra immagine, ma per fare un mondo migliore”

La conferenza rappresenta una sfida importante che mira, attraverso uno sforzo congiunto da parte dei governi e della società civile, a raggiungere obiettivi comuni e tutelare gli equilibri del pianeta, verso un nuovo assetto per lo sviluppo sostenibile globale e per l’umanità. Una nutrita parte della comunità internazionale e soprattutto le associazioni e la società civile da anni impegnati nella lotta per l’ambiente chiedono che si faccia di più, più in fretta e in modo più esplicito.  Il futuro del nostro pianeta non è retoricamente in pericolo e come ha detto Britney Trifford (17/enne della Nuova Zelanda) ai leader presenti all’apertura vertice in Brasile “l’orologio è scattato “e loro non sono lì “per curare la loro immagine, ma per fare un mondo migliore”.

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