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“Non solo fondi UE, al Sud serve un progetto”, la mia intervista per «Il Mattino»

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Intervista di Gianni Pittella per «Il Mattino»

Onorevole, qual è il significato di questa nuova visita del premier a Napoli e nel Mezzogiorno?

«Ha innanzitutto un grande valore simbolico – spiega Gianni Pittella, capogruppo del Pse a Strasburgo – perché vuole significare l’importanza che ha il Sud per Renzi e per il Governo, ma anche per l’Europa intera. Il Mezzogiorno è un’area che può diventare strategica per la crescita e per la ripresa economica nel continente. Aggiungo: so che Renzi visiterà anche delle aziende d’eccellenza. E questo è un altro motivo di questa visita: il premier viene a sottolineare le virtuosità di cui il Sud è ricco, viene a dare un segnale di fiducia e di incoraggiamento peri tanti attori dello sviluppo che nel Mezzogiorno fanno per intero la loro parte, a dispetto di chi critica soltanto».

A suo giudizio cosa fa e cosa potrà realizzare il governo Renzi per il Sud?

«Il governo ha saputo preparare l’avvio della nuova programmazione dei fondi comunitari. La parola d’ordine è concentrazione delle risorse: per evitare ritardi e ulteriori perdite di fondi. D’altronde solo l’ottimizzazione delle risorse può impedire la dispersione in mille rivoli, tipo quella dei 500mila progetti della vecchia programmazione. Un esempio: puntare tanto sulle infrastrutture, sia quelle fisiche come i porti, come l’Alta velocità, come l’Alta capacità, ma anche quelle immateriali, come la banda larga».

Si riferisce all’Agenzia per la coesione?

«Anche. Perché è importante che il governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Ecco, credo che sia questo il nuovo orizzonte: anziché fantasticare sulla macro -regione istituzionale credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare».

Sempre e solo fondi Ue: onorevole, ma al Sud non serve anche altro?

«Concordo: in questi anni è mancata una visione, un’attenzione. E non c’è stato nessuno sforzo serio di programmazione. Ma io credo che in questo senso Renzi possa dare una svolta».

Come?

«A mio avviso sono cinque i punti fondamentali. Delle Infrastrutture già ho detto. Poi penso all’istituzione di Zone Economiche Speciali, come in Polonia, dove un regime di fiscalità e la semplificazione amministrativa possano attrarre gli investimenti. Ancora: turismo e ambiente, con tutti gli sforzi che ne derivano per recuperare ad esempio il terreno perduto con la “terra dei fuochi”. Quindi, l’adozione dei progetti di studio Erasmus su scala mediterranea, per accrescere anche una coscienza più aperta: sarebbe un segnale anche dal punto di vista politico rispetto a quanto accade sulle altre coste del Mediterraneo. Infine la lotta alla criminalità: penso all’impiego delle nuove tecnologie, ma anche ad un’azione socio-culturale che coinvolga il volontariato e le associazioni, e ad un utilizzo più efficiente dei beni confiscati alle mafie».

Renzi potrà fare tutte queste cose o la crisi sarà l’alibi buono per rinviare ancora?

«Mi fido di Renzi e penso anche che tante di queste cose si possano realizzare senza particolari impegni finanziari. Poi non dimentichiamo che, al di là dei fondi comunitari, ci sono quei famosi 300 miliardi in 3 anni derivanti dal piano straordinario investimenti adottato da Juncker su nostro pressing: anche una quota di quelle risorse potrà andare a colmare lo storico divario Sud-Nord. L’importante è che tutti gli attori facciano la loro parte: anche le banche, perché non siano solo prestatori di danaro a fini di lucro, ma aiutino a creare una cultura nuova, aperta al cambiamento. Che senso ha chiedere ai giovani imprenditori garanzie che loro non possono dare?».

………………

Pittella in conversazione su suo post su Facebook aggiunge: “È fondamentale che il Governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Anziché fantasticare sulla macro-regione istituzionale, credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare. Farò di tutto perché questo avvenga. Anche grazie a una parte dei fondi che siamo riusciti ad ottenere.”

Commento di IE: “Ci sono tutte le condizioni ora per unire il Mezzogiorno per la sua infrastrutturazione che apra  Italia e l’Europa al Mediterraneo, di cui da anni parliamo fino alla proposta per il Semestre europeo a guida italiana dell’Osservatorio infrastrutture e logistica mediterranee”.

Cosa ci dice l’evasione fiscale nel nostro territorio

immagine di Giuseppina Bonaviri

 “Il Sole” ha pubblicato la stima dell’evasione fiscale nelle 103 province italiane elaborata dal Centro Studi Sintesi. Il Centro ha incrociato i dati, relativi al 2011, del reddito disponibile pro-capite, con il benessere effettivo delle famiglie ed ha ricavato una graduatoria, in cui tanto più alta è la differenza fra i due dati, tanto maggiore è stimato l’ammontare del reddito che è sfuggito al fisco. La provincia di Milano è considerata con 152 punti quella con il minore tasso d’evasione;  quella di Ragusa, con 52 punti, la meno virtuosa. Nel Lazio, la provincia di Roma occupa l’11° posto,con 123 punti; le altre quattro, sono nella parte finale della graduatoria: Frosinone è all’86° posto, Rieti e Latina all’94°, Viterbo al 98°.  

 Fanno riflettere le stime dell’evasione fiscale, nel 2011, nelle province italiane pubblicate dal quotidiano economico della Confindustria, sia per i livelli di evasione stimati paragonabili a quelli delle province meridionali maggiormente in ritardo nello sviluppo sia per l’arretramento  della situazione socio-economica, nel 2012 e nel 2013, come più volte denunciato anche da Confcommercio, Confindustria Lazio e da Cgil, Cisl, e Uil.

Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che un maggiore benessere potesse essere conseguito allentando “lacci e lacciuoli”: liberare le risorse morali e culturali della società civile ed i vincoli della Pubblica Amministrazione, per inseguire le migliori opportunità, sperando che questo condizioni fossero sufficienti ad una crescita complessiva. Ciò non si è verificato e la crisi mondiale ha ulteriormente aumentato le disuguaglianze e gli squilibri esistenti nel nostro territorio e fra questo ed il resto della regione, in particolare con la Capitale.

Eppure per quanto grave dovremmo evitare di soffermarci sul riflesso economico ed osservare le conseguenze che un così elevato tasso di evasione fiscale produce nella sottostante situazione sociale e della convivenza civile.

Una prima considerazione è che le dimensioni dell’evasione nel nostro territorio è tipica di economie locali in cui situazioni di eccellenza sopravvivono in un contesto di sottosviluppo. Assumerne consapevolezza significa intervenire in quell’indispensabile potenziamento del territorio che l’accordo di programma di 80 milioni di euro, dovrebbe iniziare a rendere possibile, per invertire la tendenza. Il secondo elemento di questa strategia è recuperare un’autonomia fiscale a livello comunale in grado d’essere meno gravosa sulle attività produttive e con l’auspicio di far emergere, con accordi sugli oneri sociali ed i contratti, le attività economiche in nero. Un’esigenza questa di cui si dovrebbe farsi carico anche la Regione Lazio.

Una seconda considerazione che scaturisce dalla stima dell’evasione fiscale è che il reddito sottratto al fisco attraverso l’economia sommersa e il lavoro nero, chiama in causa un’emergenza economica e sociale più vasta: i finanziamenti al consumo e alla produzione al di fuori dei circuiti legali. Non è questa una novità per la provincia di Frosinone: la Rete La Fenice e Libera denunciarono già nel dibattito pubblico avvenuto a Frosinone nel dicembre 2012 -in occasione della prima conferenza tematica “ Per una Regione libera dalle mafie e dalla corruzione”- le dimensioni gigantesche del fenomeno e l’inquinamento che produce nella vita collettiva: Cassino e Frosinone- secondo le stime  2011/2012 dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della nostra Regione- si trovavano ai primi posti tra i comuni dell’intera Regione come il paradigma negativo di quello che succede in una regione amministrata male. Infatti il lavoro senza tutele e l’immissione illegale di capitali che non di rado sconfina nell’usura e nell’espropriazione di proprietà ed attività economiche per quanti non  sono in grado di assolvere agli impegni assunti, sono forme di subalternità fisica e psicologica delle persone di cui occorre avere piena consapevolezza nell’interesse di tutti.

C’è infine un aspetto nell’evasione fiscale che sembra essere divenuto retorico ma che, invece, non lo è affatto: il venir meno del rispetto della legalità. La trasgressione dell’obbligo fiscale è una insidia per il più generale rispetto delle leggi e dell’autorità dello Stato. Deve inquietare in pari misura i responsabili della cosa pubblica ed i cittadini: i primi per la delegittimazione del proprio operato, i cittadini per il venir meno della consapevolezza d’esser essi stessi parte di una unica comunità. L’intreccio sempre più stretto tra corruttela e criminalità e non soltanto quella organizzata, favorisce un clima opaco e lesivo del libero svolgimento delle attività istituzionali ed imprenditoriali, alimentando l’incertezza del diritto, minando la sensibilità e la coscienza morale del paese con un sentimento diffuso di sfiducia che, di per sé, è nocivo allo sviluppo dell’intera Nazione.

 

 

 

Regione e petrolio, ultima chiamata (per la Basilicata)

Sarebbe interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere

di MASSIMO PREZIUSO su Il Quotidiano della Basilicata

IN QUESTI giorni mi è capitato di leggere una serie di notizie che riguardano il tema del petrolio della Basilicata, terra da molto tempo paragonata ad una sorta di Arabia Saudita di cui ad oggi, forse, in pochissimi, hanno potuto constatare i tratti positivi. E’ di qualche giorno fa la bocciatura da parte del Consiglio di Stato del cosiddetto “bonus benzina”, con il rischio per i cittadini lucani del rimborso delle somme già percepite.

In molti ritennero quella iniziativa poco pertinente, in quanto sembrava voler risolvere la normale e forte tensione legata alla intensa estrazione petrolifera in una Regione – in questo caso poi riconosciuta per la sua formidabile qualità “ambientale” – con un contributo economico di qualche centinaia di euro per abitante, per di più vincolato all’acquisto di una benzina più cara che nel resto della penisola.

Aldilà della beffa per i cittadini, è bene che questa strana forma di compensazione ambientale termini e ceda il passo ad una visione strategica della royalty petrolifera quale moltiplicatrice di sviluppo (tema su cui ricercatori ed industria energetica studiano da tempo).

Nel contempo si legge di 2 miliardi di euro che il governo dovrebbe trasferire alla Basilicata, forse già a partire da settembre, tramite una cabina di regia nazionale, che accompagni finalmente all’operatività quel   piano di sviluppo infrastrutturale ed occupazionale, di cui si parla da tempo, anche nel memorandum di intesa Stato – Regione del 2011.

Dal 2011, va poi detto, la Regione risulta ancora più centrale nei piani di sviluppo (energetici) nazionali ed euro – mediterranei (si legga la Strategia Energetica Nazionale approvata quest’anno).

Volendo allora essere ottimisti ed ipotizzando che queste risorse arriveranno davvero, si può affermare che questa sia l’ultima chiamata per il rilancio di una strategia di sviluppo legata alla attività estrattiva, in una Regione che esce fortemente provata (tra le altre, nell’ordine del 10% di ricchezza regionale prodotta), da una crisi iniziata nel 2007, oggi arrivata alla sua durissima coda finale, che ha colpito ancora maggiormente quel Mezzogiorno troppo poco presente, per limiti culturali e logistici, sui mercati internazionali.

Se a questi fatti si aggiunge che molti dei leaders politici lucani, soprattutto del centrosinistra, oggi ricoprono incarichi di primissimo piano nel governo e nelle istituzioni, vi è spazio affinché questa opportunità venga colta pienamente: cominciando da subito, con un lavoro da svolgere a Roma, per far sì che la Cabina di regia nazionale, che dovrebbe gestire la allocazione ottimale di queste importanti risorse aggiuntive (2 miliardi di euro equivalgono 20-25% del PIL regionale, per intendersi), e più in generale il tema delle royalties, sia composta da un mix perfetto di personalità e professionalità (europee, nazionali e locali) che possano lavorare insieme per segnare almeno un goal concreto in tempi accettabili.

Uno tra questi goal può riguardare la realizzazione di quella grande infrastruttura di alta velocità ferroviaria Taranto – Potenza – Salerno, su cui anche il sottoscritto e gli Innovatori Europei dibattono da tempo (anche partecipando alla Viggiano Sustainable Development School e su questo giornale, con un contributo dal titolo “L’alta velocità ferroviaria per il rilancio della Basilicata”, pubblicato ad ottobre 2012), che potrebbe finalmente dare il senso di una voglia di “futuro connesso” ad una Regione che da decenni vive culturalmente e fisicamente isolata, rischiando di scomparire, prima o poi, dalla mappa geografica.

Una infrastruttura ferroviaria, questa, che colleghi rapidamente tre regioni meridionali (la Puglia, la Basilicata e la Campania) così fortemente complementari, e che permetta a persone e cose di dialogare pienamente, finalmente, con l’Italia, con l’Europa e un domani molto prossimo con l’area mediterranea e asiatica (tramite le strategiche “porte” di Napoli e di Taranto).

Su questo tema, se si vuole cominciare con passo deciso, e viste le imminenti elezioni regionali, sarebbe altresì interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere.

Che sia quello ferroviario, aeroportuale o legato ad una piattaforma di rilancio industriale o turistico, alla fine, poco importa: basta che sia uno solo e sostanziale.

Sarà così la popolazione a scegliere, insieme alle istituzioni – locali, nazionali ed europee – in quale direzione vuole andare.

E’ finita la recessione?

di Francesco Grillo su Il Messaggero

Periodicamente ai malcapitati premier che provano a guidare l’Italia attraverso la crisi economica più lunga e brutale dalla seconda Guerra mondiale, capita di dover vedere segnali di ripresa per iniettare nel sistema le dosi di fiducia che sono necessarie per reagire. Esattamente un anno fa, a Monti parve di vedere la luce alla fine del tunnel. Dopo un altro anno di recessione, è il Ministro dell’Economia a invocare stabilità per consolidare l’inversione del ciclo economico che, secondo Saccomanni, dovrebbe consolidarsi subito dopo l’estate.

Tuttavia, stavolta c’è il rischio che la luce sia, davvero, quella di un Tir,  di un ulteriore aggravamento della congiuntura che si sta avvicinando ad un Paese già fortemente debilitato: infatti, proprio nella stessa settimana nella quale in Italia  si annuncia la fine della crisi, l’Economist dichiara, sulla base dei dati macro che arrivano da mesi da tutto il mondo,  esaurita la grande spinta propulsiva che le economie di Cina, India, Brasile e Russia sono riuscite ad imprimere per vent’anni all’economia mondiale e iniziata la “grande decelerazione” che rischia di penalizzare ulteriormente chi per vent’anni è rimasto fermo.

Se così fosse entreremmo in una fase successiva a quella genericamente chiamata della “globalizzazione”: utilizzare i mercati emergenti come possibile sbocco delle esportazioni non basterà più e i margini di crescita del benessere di una qualsiasi società, e ancora di più per quella italiana, verranno interamente giocati nella partita della innovazione. E ancora di più risulterà indispensabile, sciogliere quei nodi strutturali che ancorano – aldilà di eventuali rimbalzi tecnici –  l’economia italiana ad un trend di lungo periodo che continua ad essere fortemente negativo.

È comprensibile, quindi, invocare stabilità politica per poter trasformare un piccolo aumento di fiducia in aspettative; sarebbe un errore tragico incoraggiare l’idea che, forse, ce la potremmo fare – ancora una volta – senza completare quei cambiamenti che gli ultimi due governi hanno solo cominciato. Del resto è lo stesso Enrico Letta a ricordare che la stabilità stessa è un valore solo se serve ad affrontare le questioni sulle quali ci giochiamo il futuro.

In un contesto sempre più dominato dall’investimento in competenze e talento, come farà a sopravvivere un Paese che spende, dopo vent’anni di interventi marginali, in pensioni quattro volte di più di quello che spende in educazione, dagli asili alle università? Come possiamo sperare di ridurre e qualificare la spesa pubblica se non stabiliamo – aldilà della battaglia infinita sul tetto agli stipendi dei manager – criteri oggettivi per valutare le prestazioni di chi gestisce i soldi dei contribuenti e vi leghiamo la remunerazione e la conferma? Come si può pensare di attrarre investimenti esteri in Italia, se secondo le classifiche della Banca Mondiale ci collochiamo per la capacità di far rispettare i contratti nei tribunali, al centosessantesimo posto nel mondo, dopo il Madagascar e lontanissimi dalla Grecia? E con quali argomenti possiamo trattenere le imprese italiane che trasferiscono – una dopo l’altra – la sede all’estero, se non mettiamo mano ad un ridisegno globale dei meccanismi di distribuzione, definizione e accertamento delle imposte che vada aldilà del gioco a somma zero su IVA e IMU?

Sono queste le sfide da vincere per crescere davvero: avere il coraggio di discutere dei tabù dei diritti acquisiti e della intoccabilità del posto pubblico; proporre una vera strategia di cambiamento sulla giustizia e sul fisco che superi la logica delle guerre di posizione che hanno congelato tutto per decenni; trovare le parole per convincere anche i privilegiati che conviene mettersi in discussione.

All’ISTAT nelle stesse ore dell’annuncio di Saccomanni, è toccato certificare la serie negativa più lunga che l’Istituto abbia mai registrato nella sua storia di misurazioni: da ieri siamo all’ottavo trimestre consecutivo di contrazione del Prodotto Interno Lordo.

Per uscire dal tunnel è necessaria la fiducia nei nostri mezzi. Ma anche la consapevolezza che non può finire a tarallucci e vino. Che dalla crisi si esce cambiando. Spostando, cioè, risorse dalla conservazione di privilegi non più sostenibili a utilizzi che siano funzionali a farci trovare un ruolo in un contesto di competizione globale che è assai diverso da quello dal quale siamo praticamente usciti circa vent’anni fa.

Se gli italiani hanno dato il cervello all’ammasso, prepariamoci al peggio

di Arnaldo De Porti

Non riesco proprio a capire :

Primo:     perché si parli ancora tanto di Berlusconi, quando il suo destino è pesantemente segnato;

Secondo:  perché i giornalisti continuino ad invitare nei vari talk show personaggi squallidi che, a mio avviso, non meritano nemmeno di essere chiamati per nome ed appartenere a questa nostra, per quanto sindacabile, società;

Terzo :     perché gli Italiani continuino a non capire, dopo essere stati ingannati per un lungo ventennio, che il berlusconismo è un cancro per il Paese, e non già la giustizia come dice il condannato dalla Cassazione in data primo agosto 2013;

Quarto:    perché non interviene UE dicendo che un condannato che, per 20 anni, ha frodato il fisco ed ingannato l’Italia (ma anche l’Europa) possa stare ancora dentro ancora all’Unione, atteso che non ci sarebbero gli estremi della ingerenza degli affari di un altro paese, ma un fatto di delinquenza che contamina  e far svergognare anche tutti i Paese dell’Unione Europea;

Quinto:     perché, anziché adire alla giustizia europea come hanno pensato di fare i difensori di un delinquente, non è l’Italia a farlo nell’interesse proprio  di UE ?

Sesto :      perché qualcuno pensa di dare “agibilità politica” o peggio ancora, trovare un salvacondotto ?  Solo pensando a questo, dovremmo dire che siamo tutti delinquenti e che  pertanto cerchiamo di salvarci fra noi.

Settimo : perché, come si fa per i mafiosi, non si mettono sotto commissariamento i mezzi personali di questo soggetto di Arcore, in modo che non abbia a nuocere  ulteriormente al Paese, comprando tutto e tutti ?

Ottavo : ma gli Italiani si rendono conto che da venti anni stiamo parlando solo di lui e delle sue vertenze giudiziarie senza fare un passo avanti, ma cento indietro a danno soprattutto delle fasce deboli ?

Nono : perché non si prendono provvedimenti verso coloro, mass-media in primis, che lo difendono dicendo che il nero è un colore bianco…? Non è consentito  neanche alla stampa di dire menzogne !!!

Decimo : se il problema non verrà risolto nel breve termine, ciò starà a significare che il cervello non c’è più e che gli Italiani si sono fatti fregare anche quello, dandolo all’ammasso, come si faceva una volta, e forse anche ora, con i Consorzi Agrari per le patate, il mais  ed altre merci 

 

Italiani svegliatevi perché siamo vicini ad una guerra civile, non già quella evocata da Bondi, operaio ben pagato (senza far niente) da Berlusconi, ma perché saranno le fasce serie ed oneste ad opporsi, dopo essere state massacrate per un ventennio ed ora ridotte alla fame.

Distretto Turistico dell’isola verde: una speranza per una rivoluzione culturale ed un rinnovamento politico

di Giuseppe Mazzella  

Organizzeremo a settembre come Osservatorio sui fenomeni socio-economici dell’ isola d’ Ischia presieduto da Franco Borgogna in collaborazione con la Banca  per le Risorse Immateriali coordinata da Osvaldo Cammarota , del Distretto Turistico Isola Verde promosso da Benedetto Valentino  e del Magazine Ischianews & Eventi, un seminario nazionale riservato  agli amministratori  comunali, agli operatori sociali ed agli imprenditori locali sul tema della “ Coesione e lo Sviluppo- le opportunità del Distretto Turistico dei fondi europei 2014-2002”.

L’ occasione ci è offerta dal libro di Carlo Borgomeo,  meridionalista di lungo corso, già Presidente di Sviluppo Italia e promotore della legge 44 sull’ Imprenditoria Giovanile ed attualmente Presidente della Fondazione Con il Sud, “  L’ equivoco del Sud-sviluppo e coesione sociale”, che sarà presente al seminario.

Il libro di Borgomeo farà da apripista  per un dibattito contenutistico sulle strategie che in questo tempo di drammatica crisi politica, a tutti i livelli, e di  evidente recessione economica e finanziaria a livello nazionale e locale, bisogna mettere in atto  qui nella nostra isola d’ Ischia, la più importante località turistica della Regione Campania per  consistenza della sua ricettività ( almeno 40mila posti-letto) e del suo armamentario economico e sociale  costituito da 3mila imprese e da 13mila iscritti al Centro per l’ Impiego ex-collocamento. Sarà necessaria una presenza al seminario di un autorevole esponente della Giunta Regionale della Campania, per il ruolo fondamentale al quale è chiamato l’ Istituto Regionale, per approvare formalmente con i sei sindaci e gli amministratori locali, per il ruolo imprescindibile che i Comuni hanno nel Governo dei Sistemi Locali di Sviluppo, un documento di indirizzo  sul quale impostare una “ strada Maestra” per incamminarci, soprattutto nell’ interesse delle nuove generazioni, verso la ripresa economica, politica, culturale della nostra isola ancora divisa in sei Comuni nonostante ormai da anni sia evidente un unico sistema economico comprensoriale , impostato sui “ turismi” e  non più sul solo “ turismo balneare e termale”.

Questi “ turismi” sono resi evidenti dal nostro Magazine “ Ischianews” con la nostra cartina topografica  della “ strada del vino e dei prodotti tipici” con 22 aziende agricole aderenti, con l’ indicazione di 24 sentieri arricchita con la carta nautica dell’area marina protetta  del “ Regno di Notturno” per presentare in estrema sintesi ed evidenza un’isola da vivere e godere da terra e da mare. Questi “ turismi” sono  presentati negli aspetti “ commerciali” delle segnalazioni delle nostre eccellenze  della nostra  industria alberghiera e termale e della ristorazione e dei servizi.

Insomma presentiamo ogni mese – con l’ indicazione degli Eventi non solo di colore locale ma anche di rilievo internazionale e con alcuni reportage – un’ isola di straordinario interesse che è viva nella sua consapevolezza del suo patrimonio ambientale e nella sua espansione economica e sociale.

Logicamente quest’isola  NON è il “ Paradiso dell’ Eden”, che non esiste sul pianeta terreste, né è l’ “ isola di Utopia”  di Tommaso Moro. Ci sono “ ferite” nella sua difesa  naturale e nella sua organizzazione civile. Ed è su come vogliamo curare queste “ ferite” che intendiamo avviare un dibattito per agire non per fare accademia.

A 60 anni esatti dalla grande trasformazione urbana di Lacco Ameno avviata nel 1953 dagli investimenti di  Angelo Rizzoli ( 1888-1970) sui progetti dell’ arch. Ignazio Gardella l’ isola d’ Ischia ci appare come un caso paradigmatico dell’ opportuno  “ sviluppo sostenibile” avviato in un’ area del Mezzogiorno. Così ci pare scritta per noi ischitani l’ epigrafe scelta da Borgomeo per il suo libro tratta da un lavoro  di Giorgio Ceriani Sebregondi ( 1916-1958): “… evitare di cadere nell’ errore di chi, trovandosi di fronte ad un albero che da pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’ albero, provvedesse ad appendere dei frutti sui suoi rami”.

Noi dobbiamo consolidare i “ turismi” dell’ isola d’ Ischia e “ curare” la malattia dell’ albero.

Per curare le ferite del nostro sistema economico ci pare  necessaria una “ Legge Speciale” che superi il vetusto  e non applicato “ vincolismo” delle leggi del 1939 e del piano urbanistico territoriale ministeriale del 1995 e che unifichi amministrativamente l’ isola in una sola unità amministrativa nel quadro del sistema dei poteri locali che  dovrà essere determinato con l’ abolizione della Provincia e l’ istituzione della Città Metropolitana di Napoli alla quale, in qualche modo, l’ isola dovrà rimanere legata per geografia e storia. L’ unità amministrativa ci pare indispensabile per una seria e praticabile Pianificazione Territoriale e per una realistica Programmazione Economica ambedue necessarie per una politica di Coesione.

Ma nelle more dei tempi lunghi ed imprecisati delle Riforme Costituzionali bisogna agire ed avviare con il consenso dei sei Comuni gli interventi strutturali ed infrastrutturali capaci di guarire le “ ferite”. Il caso di Casamicciola è significativo perché bisogna recuperare al sistema produttivo una superficie coperta di circa 100mila mc. fra i quali giganteggia il recupero del monumentale complesso del Pio Monte della Misericordia con un approdo turistico attrezzato ed il recupero del bacino idrotermale di La Rita.

Il Distretto Turistico può essere lo strumento di Coesione dell’ isola perché può essere visto come la stanza di compensazione dei sei campanili, come un ente nato dalla volontà dei sei Comuni, come  strumento di concertazione tra interventi pubblici e privati. Non si tratta di creare l’ ennesimo nuovo ente sovra comunale  o una specie di nuovo proclama della marina borbonica del “ facite ammuina” di cui accennava il prof. Mariano D’ Antonio nel suo intervento su “ La Repubblica” di domenica 4 agosto. Si tratta di un ente “ capace di far fare agli altri ciò che dovrebbero fare” e cioè utilizzare a pieno le grandi opportunità dei fondi europei del programma 2014-2020 con interventi giuridicamente agibili resi tali dai Comuni.

Questo Grande Progetto per il quale occorrono almeno 100milioni di euro può prevedere anche una Società di Trasformazione Urbana ai sensi dell’ art.120 del Testo Unico degli Enti Locali capace di espropriare gli immobili dismessi di proprietà privata e di ristrutturarli per le nuove esigenze e soprattutto di gestirli perché anche questo è una questione di estrema importanza che il prof. D’ Antonio ha rimarcato nel suo intervento.

Il seminario dovrà delineare un quadro opposto al “ facite ammuina” della marina borbonica capace di mettere ciascuno al suo posto, di far fare ad ognuno la sua parte, nell’ interesse dei Giovani che debbono riscoprire il gusto di progettare il futuro.

Se in democrazia la forma è sostanza

“Intrighi poco democratici: Pd impegnato a mantenere reami e facce immutabili”
di Giuseppina Bonaviri

Ho provato ad immaginare quale sarebbe l’esito dei congressi nei comuni della provincia di Frosinone se venissero confermate le proposte dell’ultima Direzione del Partito Democratico di far votare solo gli iscritti e mi riesce d…ifficile immaginare che, a livello provinciale, non si possa evitare un salto all’indietro rispetto al tentativo di rinnovamento avviato con l’esperimento dei giovani al governo dei territori locali del partito.
Nel nostro territorio ci si è ritrovati, infatti, davanti ad un partito che fa del “picchettaggio” delle nostre terre la sua prima e grande preoccupazione. Non si capisce come possa un congresso in provincia frusinate essere occasione di discontinuità se chi tenta di proporre una linea politica, che parte dai reali problemi, viene considerato un idealista e i tanti segnali di crisi che emergono vengono decodificati come eventi fra loro separati ed indipendenti dalla volontà dei partiti stessi.
Cambiare stile rimane una priorità anche per attrarre l’elettorato antistituzionale e che da tempo non vota. Inoltre si contribuirebbe a sostenere una sana linea innovativa rivitalizzante l’intera galassia della politica ( trait d’union tra progetti europeisti socio politici moderni) ma anche si aiuterebbe a superare la recessione con lo smottamento delle filiere d’interessi, non legittimando più spartizioni nella pubbliche amministrazioni e rendite di posizione del sistema.
Invece nulla si muove in un Pd che continua ad avere la pretesa di essere forza nuova ed organizzatrice, sede del dibattito propulsivo e dell’incontro politico democratico. Purtroppo esso stesso, e nella nostra provincia ancor più, si dimostra subalterno ad una concezione verticale-verticistica della politica aggregando maggiorenti anche dei partiti tutti sempre più in affanno e preoccupati solo di garantirsi assetti e stabilità personale. Personaggi, questi, che non riescono ad essere più credibili per nessuno. Se si considera poi l’impossibilità ad attestarsi su una linea orizzontale di superamento dei soli assi di potere si capisce come l’attuale crisi economica e sociale ci divori. Viene naturale chiedersi quali siano i confini, morali e politici, che distanziano il Pd dagli altri partiti se pur mai ve ne fossero rimasti.
Dire, allora, che siano le primarie il metodo di selezione del gruppo dirigente può essere condizione preliminare allo svecchiamento ma come non comprendere che esse, per quell’aggrovigliamento che attualizza gli assetti interni del partito, rischiano di portare al voto solo gli amici degli amici meglio, gli amici della “cucchiarella” svuotando il progetto dei buoni propositi e contenuti etici? Ci si domanda, così, come i prossimi consensi potranno essere intercettati dal partito, che tutto preso dal mantenere presidi e reami, non pratica quei valori che ne avevano motivato la nascita e che rimanevano prerogativa del rapporto con elettorato smarrito e disaffezionato.
Ne abbiamo avuto prova anche nelle scorse amministrative comunali locali che, a tutela di quei nominati che non trovarono posto nel partito, vennero candidati in fittizie liste civiche con il solo scopo di consentirne la loro elezione (anche a costo di un passaggio da uno schieramento all’altro) con buona pace della coalizione, cosa che ancor più ci fa sentire orfani della cosa pubblica.
Questa modalità rimane la prima causa della crisi identitaria del Pd: la sua disponibilità ad accogliere il trasformismo, mantenendo a galla una classe di politici immutabile ed immobile che ha dimostrato di non saperci rappresentare e di cui l’elettorato ormai conosce tutti i limiti, non può essere più tollerata.
Gli incarichi di sottogoverno che in queste ultime ore sono emersi e da noi precedentemente denunciate a mercimonio dei più recenti rimpasti di giunta non fanno che aumentare il distacco della politica dai cittadini. Ciò ci fa credere che sia vicina la fine di questa epoca, di quella lunga transizione dove partiti personali e mediatici hanno bandito la grande partecipazione di massa. Quella sorta di pensiero debole, che poi è tattica di sopravvivenza di tutte le istituzioni degenerate, non potrà farci sorvolare sulle nobili ragioni di partecipazione, di rappresentanza, forma partiti che rimangono i pilastri del processo sociale del cambiamento che auspichiamo.
E se in democrazia forma e contenuti sono inseparabili, il percorso alternativo che guardi alle concrete ragioni delle comunità, come noi della Rete La Fenice proponiamo, non potrà che essere l’orizzonte verso il quale approderanno le tante donne e i tanti uomini non rassegnati e non sottoposti alla malaffare ma in cerca di un avvenire migliore

L’incredibile Pd

“L’operazione Ceccano del Pd buona sola per riaffermare lo status quo”

di Giuseppina Bonaviri su L’Inchiesta

Non ce la contano giusta i sostenitori del rimpasto di giunta a Ceccano.
Vi sono tre indizi che divengono una prova accertata- come sa chiunque s’interessa d’indagini- che sia andata diversamente da come è stata presentata: il mancato coinvolgimento del circolo del Pd di Ceccano, temendo che non sarebbe passata indenne la decisione del rimpasto dimostra quanto contraddittoria fosse l’operazione rispetto a quello che, invece, si andava affermando in campagna elettorale; l’opulenza di autorità a sostegno dell’operazione (il parlamentare europeo De Angelis e il consigliere regionale Buschini) esibito in una conferenza stampa, per proporre scontate promesse di buona amministrazione; il commento della segretaria del Pd provinciale Battisti che con coraggio ha rubricato questo ed altri comportamenti di esponenti del partito di Frosinone nel novero degli insuccessi di un tentativo di rinnovamento ed apertura all’esterno, non dimenticando l’impegno dei giovani democratici e Occupy Pd.
Un vero peccato perché c’è tanto bisogno, invece, di riavvicinare i cittadini ai partiti. L’unico modo per farlo sarebbe iniziare a restituire quel diritto di scelta, tanto gravemente violato con la legge elettorale del Porcellum e con atti di imperio e di autorità, che sviliscono l’attività dei circoli e dei militanti, privandoli di quel potere decisionale su questioni appartenenti squisitamente al loro entroterra. Ferisce ancor più, poi, che le vittime della dura riaffermazione dello status quo siano i giovani e che il danno avvenga per ferire il sano protagonismo delle nuove generazioni, a cui andrebbe tramandato e trasmesso il senso di appartenenza e di identità culturale politica.
A voler trovare una spiegazione, nella vicenda di Ceccano, si deve pensare ad un atto che pone le basi per un ulteriore presidio del territorio a future battaglie; la natura di questa competizione può essere certo quella elettorale ma anche, come ben sappiamo, la consueta divisione degli incarichi esterni alle giunte, operazione che consente di continuare ad alimentare la catena del consenso più misero: quell’essere “attaccati alla mammella dello Stato” ritenuto, a ragione, da Fabrizio Barca, il male pernicioso della perdita di rappresentatività dei partiti, per inconsistenza di risultati e soddisfazione dei così detti comitati pseudo elettorali.
Quanto questo costume sia deleterio per il nostro paese, non solo per la Ciociaria, è confermato da ripetute indagini, che ci dicono che nella società italiana si è determinata una frattura nell’etica pubblica proprio per il prevalere dell’ideologia dell’autonomia e dell’indipendenza di ciascuno, fino a sostituire, addirittura, il buon senso civico con “l’arte di arrangiarsi” in ogni campo e situazione.
A ragione di questa mutazione che appare illimitata, è chiamata in causa la frustrazione dei cittadini che, per gli impedimenti che incontrano nello svolgimento di attività -causa anche una legislazione troppo ridondante- reagiscono con la ricerca di espedienti che aggirano i vincoli di quella pubblica amministrazione sentita ormai lontana e dell’attuale ed insostenibile onerosità della tassazione. Su questa generica denuncia d’inefficienza fanno leva vecchi e nuovi populismi che, poggiando sullo scarso senso dello Stato, chiedo rivoluzione politica e burocratica. Con il messaggio politico berlusconiano e antipolitico abbiamo avuto il solo esito di giustificare, nell’attesa, comportamenti trasgressivi fino ad essere, per molte parti del territorio nazionale come laziale, collusivi con la malavita.
Si continua a non cogliere, da parte di chi ha responsabilità politiche, quanto sia necessaria -perché l’Italia possa uscire dalla crisi- la riscoperta di un etica pubblica e la conseguente abolizione delle clientele. Ciò sarà possibile solo esponendosi al confronto con i cittadini, nei luoghi dove essi vivono e dove, solitamente, sarebbe coerente intrattenersi nelle questioni della res pubblica.
Certo il lavoro è faticoso ma come credere, altrimenti, che il sistema democratico si possa alimentare? Solo nel momento della competizione elettorale?
Oggi restituire un senso alla politica vuol significare, anche, iniziare a nutrire aspirazioni e disponibilità rispondendo ai bisogni e alle necessità, se pur nella ristrettezza del momento storico. I cittadini chiedono accesso all’ascolto e al dialogo. I partiti, “ case di cristallo”, devono saper cogliere con umiltà e rispondere autenticamente e questo, in particolare, lo deve il Pd alla sua gente per quella sua naturale capacità di potere essere tale.

La linea di Maginot di Letta sui finanziamenti pubblici ai partiti

maginotdi Francesco Grillo

È finalmente uno scatto di orgoglio quello del Presidente del Consiglio Enrico Letta sulla questione del finanziamento pubblico ai partiti. Giusto fissare su questa questione – così come su quella gemella dell’abolizione dell’attuale legge elettorale – la linea Maginot di un qualsiasi Governo che voglia tentare la missione impossibile di far ripartire un Paese in gravissima crisi, non solo economica ma anche morale. È giusto perché il superamento della vergogna dei rimborsi elettorali e quella delle liste bloccate, è una precondizione per ricostruire quel rapporto di fiducia minima tra cittadini e politica, senza il quale qualsiasi progetto di cambiamento soffrirebbe di una carenza di legittimazione che lo condannerebbe all’insuccesso.
Del resto, è proprio sulla frattura che attraversa il PD ed il PDL, tra chi vuole voltare pagina e chi – per ragione di sopravvivenza minima – vuole conservare il sistema esistente, che Letta – ancora di più che sulle sentenze della Cassazione e la quadratura del cerchio sull’IMU e sull’IVA – si gioca i suoi margini di autonomia e il suo futuro. È una battaglia campale e, forse, può valere la pena provare a vincerla, trasformando la provocazione dei centocinquanta emendamenti al disegno di legge, in una opportunità per migliorare ulteriormente le nuove regole.
È una riforma dura quella proposta dal disegno di legge che il Governo pone, adesso, all’attenzione del Parlamento. Una durezza resa inevitabile dalla sordità di Partiti che, per anni, hanno preferito aggiustare, invece che cambiare drasticamente registro. È, tuttavia, la proposta non cancella il finanziamento pubblico e non porta, come dice qualcuno, l’Italia fuori dal contesto delle democrazie occidentali, laddove tutti i Paesi europei prevedono che il costo della politica sia, almeno, in parte a carico dello Stato. Non abolisce questa legge il finanziamento pubblico, anche se sostituisce progressivamente i fantomatici rimborsi elettorali con un costo per lo Stato sotto forma di minori entrate tributariegenerate dalla detrazione parziale delle donazioni ai Partiti e l’eventuale destinazione ad essi del due per mille delle imposte sul reddito.
È una riforma radicale, però, perché avvicina l’Italia agli Stati Uniti e ai Paesi anglosassoni più che alle altre democrazie dell’Europa continentale. La novità vera è che, con questa legge, introduciamo un utile ulteriore livello di democrazia: i cittadini non esprimono più la propria preferenza tra offerte politiche concorrenti solo attraverso il voto ogni cinque anni; ma lo fanno ogni anno usando denaro proprio o decidendo di finanziare la politica con una parte dei denari che sarebbero andati al Fisco. Potendo scegliere sia l’entità del trasferimento (che può essere pari a zero nel caso in cui un contribuente rifiuti in blocco l’offerta politica attuale), sia il Partito che ne beneficia. Si introducono, peraltro, anche le imprese tra i soggetti che possono finanziare e ottenere detrazioni, riconoscendone, di fatto, il ruolo di soggetti politici che sono, quasi, sullo stesso piano degli elettori. La legge prevede, peraltro, che i Partiti si dotino – per potersi qualificare come possibili destinatari dei finanziamenti – di regole finalmente trasparenti che ne assicurino la democrazia interna e che, in maniera altrettanto trasparente, pubblichino l’elenco di tutti i propri finanziatori.
Il sistema italiano potenzialmente passa di colpo dall’essere uno dei più arretrati ed opachi ad uno di quelli piùvicini all’ideale liberale di Partiti che sono, invece, costretti a conquistarsi giorno dopo giorno il consenso dei cittadini.
L’operazione ha, ovviamente, dei rischi.
Il primo e più ovvio è che nessuno decida di aderire al sistema delle donazioni volontarie. Scenario persino peggiore è quello di un sistema nel quale sopravvivono solo le sponsorizzazioni da parte delle imprese e dei soggetti economicamente più forti e la proposta del PDL di garantire l’anonimato ai “benefattori” della politica renderebbe un risultato di questo genere ancora più pericoloso. Entrambe le ipotesi sono, in questo momento di ostilità nei confronti di tutto ciò che ha a che fare con la politica, assolutamente possibili e dimostrano come quanto sia delicato mettere mano ai meccanismi della democrazia.
Un finanziamento – più piccolo di quello attuale – potrebbe, però, anche continuare ad esistere ma in una forma completamente rinnovata: il suo ammontare complessivo dovrebbe essere legato ai voti espressi e non al numero di iscritti alle liste elettorali in maniera da dare un valore (economico) all’astensione ed un incentivo all’offerta politica nel suo complesso a migliorare il suo rapporto con i cittadini risolvendo i problemi; la distribuzione tra i partiti potrebbe avvenire fornendo (come succede in Inghilterra) una preferenza per chi è all’opposizione che, presumibilmente, ha maggiore difficoltà a garantirsi un supporto da parte dei privati. Infine, un’ipotesi potrebbe essere quella di “scambiare” il mantenimento in vita di un finanziamento della vita dei Partiti – comunque ridimensionato e rinnovato nelle sue forme – con una rinuncia – questa sì molto importante – da parte di chi faccia il funzionario di Partito della possibilità di ricoprire una qualsiasi carica in società e aziende controllate da Enti pubblici per un certo numero di anni (come propone Fabrizio Barca per il PD): ciò stroncherebbe un meccanismo di finanziamento della politica ancora più perverso e dannoso per l’economia italiana.
La legge è un’ottima legge e, forse, proprio per il suo livello di ambizione comporta alcuni rischi che potrebbero essere ridotti da una serie di meccanismi di salvaguardia. Anzi, si potrebbe pensare di disegnare sin da adesso dei meccanismi che possano essere introdotti nel caso in cui si verifichino – sulla base di indicatori predefiniti – risultati non voluti.
Tuttavia rimane giusta l’idea che non c’è futuro, non c’è la possibilità di un nuovo patto sociale e di riforme, se non modifichiamo profondamente i meccanismi attraverso i quali i Partiti selezionano la propria classe dirigente, aggregano consenso attorno ai propri progetti e competono.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 24 Luglio

La politica è anche un Gran Torino

di Michele Mezza

Siamo alla pausa estiva. L’Italia è alla vigilia di un rimbalzo che potrebbe essere non marginale, anzi potrebbe richiamare le suggestioni che propongo nel mio libro Avevamo la Luna.
da dove ricavo questo auspicio? da un’infinità di segnali deboli , di cui è costellata l’attualità economica e culturale. Ve ne propongo qui uno solo, l’ultimo in ordine di tempo.

Leggiamo da giorni le notizie da Detroit.
La città simbolo dell’impero americano dell’auto è in sfacelo: si riduce drasticamente la popolazione e decade la struttura urbana e civile. Cade letteralmente a pezzi. In pochi anni gli addetti al ciclo dell’auto sono passati da 180.000 a poco più di 20.000 nell’area metropolitana.Auto e comunità simul stabunt simul cadent.
Nessuna altra risorsa ha frenato il rapido declino.
Torino che per molti versi è sempre stata accostata a Detroit, vive invece una parabola completamente diversa. In pochi anni gli addetti all’industria automobilistica a Mirafiori sono passati da 65 mila e solo 8 mila, eppure la città ha imboccato una strada luminosissima che la sta proponendo come una delle città turistiche più attraenti del paese.

Dall’auto siamo passati al ciclo della telefonia mobile, del software e dell’industria audiovisiva.Nulla decade a Torino. Lo stesso si può dire a Terni a a Sesto S Giovanni, e credo che la stessa Taranto sia alla cigilia di imboccare un itinerario certo rischioso e non indolore ma forse ancora più sorprendente.

Come mai quello che inesorabilmente accade nella vitalissima America, in Italia invece non succede? perchè le comunità territoriali sono centri di autoprogettazione del proprio futuro? Credo che la risposta stia proprio nella tipicità del modello italiano.
Non tanto quello riassunto dal facile slogan piccolo è bello, ma quello che si riassumeva nell’idea che il territorio era una fabbrica di per sè.
Un territorio dove si continua a progettare soluzioni e produzioni sulla base della sempre più pregiata materia prima che sono le relazioni: relazioni umane, isitituzionale, scientifiche culturali. Quel fenomeno che assume i colori del puro folk che sono i festival che ormai in ogni abitato italiano attivano competenze e saperi, ne sono l’emblema:l’immaginazione è la macchina produttiva più potente, come ricorda oggi su Repubblica Maurizio Ferraris. Sopratutto le mille forme di implementazione della rete, con il suo indotto collaborativo, sta sbloccando il sistema italia, liberandolo dai lacci e lacciuoli tipici del rigido modello fordista. Quel miracolo sfiorato di 50 anni fa, con la coincidenza di personaggi come Adriano Olivetti, Buzzati Traverso, Luigi Broglio, Felice Ippolito, aveva alle spalle la straordinaria esperienza nell’uso della potenza di calcolo dei ragazzi di via Panisperna guidati da Enrico Fermi. Ma quell’esperienza divenne uno straordinario artigianaqto creativo.

Come allora anche oggi a guidare il processo di innovazione sono proprio le comunità locali:comuni, regioni, consorzi, fondazioni. nel 53 fu la provincia di Pisa, insieme a Lucca e Livorno ad inventare il progetto di sincrotone che poi si tramutò nella base per il computer Olivetti, dopo che Fermi disse: fate una calcolatrice.

Oggi sono ancora i mille cespugli territoriali a guidare di slancio la ripresa: l’Italia nel suo peggio semestre è stato il paese che ha esportato di più in Giappone +28%. E nei prossimi anni si attende l’esplosione di India, Indonesia e dell’Africa australe.

Oggi alle spalle del pulviscolo di creatività che sta producendo un milione di app digitali, o sta remportando nel nostro paese i laboratorio di sviluppo software, c’è l’attitudine ha trasformare un idea in una cultura, un oggetto in una relazione,l un sistema commerciale in un dialogo.

Ovviamente siamo ancora ai podromi di questo possibile nuovo miracolo, ma qualcosa di importante si sta muovendo. E la politica come al solito segue e si adegua: PD e PDL sono ormai ai rantoli dei precedenti modelli. Berlusconi da una parte e l’ingabbiante cultura del PCI dall’altra si stanno biologicamente esaurendo.Siamo ad un giro di Boa. Società civile e rappresentanza politica stanno mutando insieme.

Non a caso, spiegava Aldo Schiavone, l’Italia è stato l’unico paese europeo ha vedere riorganizzata completamente la sua struttura politica con l’avvento della rete: in 20 anni partiti ed istituzioni sono cambiate radicalmente. A volte in bene, molte volte in male. Ma il paziente reagisce e mostra temperamento. Il Gran Torino ne è un esempio.

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