Significativamente Oltre

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Un Tris di Progetti per il rilancio della Campania

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Un Tris di Progetti per il rilancio della Campania

Con Mario Raffa Consigliere Regionale per Vincenzo De Luca Presidente 

Domenica – oltre che in Puglia, Umbria, Marche, Toscana, Liguria e Veneto – si vota nella più importante regione del Mezzogiorno, la Campania. Tutti noi dobbiamo contribuire a restituirle quella centralità che negli ultimi decenni non ha avuto ma che ora è indispensabile per il Paese tutto. Perché è solo da Sud che può partire una vera accelerazione per lo sviluppo e la crescita italiana. E se l’Europa vuole cambiare e rinforzarsi deve guardare proprio al Mezzogiorno d’Italia e da lì al Mediterraneo. Con Vincenzo De Luca Presidente si potrà infine rilanciare la città di Napoli quale naturale capitale del Mezzogiorno.

Per farlo occorrerà concentrarsi su un tre aree principali: Cultura, Economia e Turismo, Ricerca e innovazione. Con tre grandi progetti, già in parte presenti nel programma di De Luca.

Per la Cultura si parta dall’idea patrocinata tra gli altri da Massimo Bray per trasformare Palazzo Fuga nel piu’ grande museo di Europa. Poi si rilanci il Porto di Napoli quale volano dell’economia campana nel mondo e per l’attrazione di un turismo di qualità che essa merita. Infine si punti sulla ricchezza potenziale di Bagnoli, con la realizzazione di un distretto multi – tecnologico e industriale costruito attorno ad un nuovo Politecnico, che metta a sistema la potenza unica di ricerca del sistema campano, per farne una Stanford dell’Euro Mediterraneo a Bagnoli.

Siamo sicuri che Vincenzo De Luca si impegnerà con il supporto di tante intelligenze diffuse, coordinate dal Prof. Mario Raffa, candidato innovatore nella lista civica “De Luca Presidente”, a realizzare questo percorso di innovazione strategica.

A noi tutti, allora, l’augurio di un quinquennio di successi per la Campania, per il Mezzogiorno e per l’Europa nel Mediterraneo.

Gli Innovatori Europei

Il vento nuovo sugli investimenti (EFSI)

di Gianni Pittella su Il Sole 24 Ore

Il piano Juncker prende corpo e con esso le speranze che dall’Europa arrivi finalmente un forte impegno su crescita e investimenti capace di invertire la tendenza dopo anni di cieca austerità. La decisione del governo italiano di iniettare 8 miliardi di euro a sostegno del Fondo Europeo di investimenti strategici (Efsi), unita agli impegni annunciati da altri importanti governi europei – Francia, Germania in primis – segna una svolta per il Piano Juncker.

Non era scontato. Non è stato facile arrivare dove siamo oggi. Il braccio di ferro tra Commissione, governi nazionali e Parlamento europeo ha raggiunto livelli di tensione visti di rado dalle parti di Bruxelles. L’obiettivo era chiaro e il gruppo dei Socialisti e Democratici ha da subito indicato nel lancio di un consistente piano di investimenti la condizione decisiva per il sostegno alla Commissione Juncker. La nostra memoria è spesso corta. Ma dovremmo sforzarci di ricordare da dove siamo partiti. Fino a qualche mese fa, con Barroso, si parlava solo di stabilità. La crescita era scomparsa dal vocabolario europeo e con essa ogni ipotesi di interpretazione ‘intelligente’ della flessibilità. Ora il vento è cambiato a Bruxelles, grazie anche al lavoro negoziale portato avanti dal nostro gruppo e della presidenza italiana. Una vittoria per tutta l’Europa contro i sacerdoti della dottrina dell’austerità intransigente. Siamo di fronte ad una congiuntura eccezionale. Da una parte il piano Juncker con un rinnovato approccio alla flessibilità. Dall’altra, una Banca centrale europea che, grazie al Quantitative easing e alla lungimiranza di Mario Draghi, si è ormai trasformata in un solido fattore di crescita e stabilità dei mercati. I governi sono chiamati a fare la loro parte a livello di riforme. A noi come Socialisti e Parlamento europeo spetterà rafforzare e puntellare le basi del piano Juncker. Il Parlamento europeo sta ora esaminando la proposta legislativa della Commissione. Nell’incontro avuto con il presidente Juncker nel corso dell’ultima sessione del Parlamento a Strasburgo, il gruppo Socialista e Democratico ha ribadito l’impegno ad approvare il fondo prima di luglio. Un impegno però che passa dalla necessità di rafforzare i fondamenti del piano per renderlo uno strumento tangibile al servizio della crescita. Di fronte ai rischi di deflazione e stagnazione, con i movimenti euroscettici, xenofobi e populisti ovunque in crescita in Europa e di fronte ad una crisi sociale e economica lacerante, nessuno può permettersi il lusso di mancare questa occasione.

L’Efsi per andare veramente ad incidere deve potersi concentrare sulla qualità dei progetti di investimento e sul loro impatto sull’economia reale. In altre parole, la valutazione dei progetti non dovrà riguardare unicamente il progetto in sé ma dovrà prendere in considerazione la sua abilità a innescare ulteriori investimenti dal settore privato. La sfida, insomma, sarà puntare certamente alla crescita ma con un occhio speciale alla qualità degli investimenti, anche per ridurre la forbice tra le zone più e meno ricche del continente e d’Italia. Si dovrà quindi considerare come prioritari quei progetti che non riescono a finanziarsi direttamente sul mercato proprio alla luce del profilo di rischio più elevato. Ci si dovrà inoltre concentrare su settori decisivi per la crescita europea quali le infrastrutture, la banda larga e l’efficienza energetica. Fondamentale per consolidare il fondo sarà il ruolo – da rafforzare – delle piattaforme di investimento e delle banche nazionali di sviluppo. Realtà come la Cassa Depositi e Prestiti in Italia o la Caisse Depots et Consignations in Francia, per citarne solo alcune, devono diventare le protagoniste della nuova stagione d’investimenti inaugurata dal piano Juncker. Serve un legame tra questi attori e il nuovo fondo perché essi hanno capitale e le expertise necessarie che potranno servire le ambizioni dell’Efsi. È chiaro che gli Stati membri debbono essere incentivati a contribuire finanziariamente alle piattaforme di investimento e alle banche di sviluppo inserite nel sistema Efsi. E per fare questo i contributi degli Stati membri alle piattaforme e alle banche promozionali dovranno essere scomputati dal patto di stabilità e crescita, non considerati quindi come debito o deficit.

La creazione del Fondo europeo di investimenti strategici può diventare il laboratorio su cui sviluppare una nuova sinergia tra capitali pubblici e privati. Se vogliamo investire sul futuro dell’Europa c’è bisogno dello sforzo di tutti. La partita è iniziata. E non ci saranno tempi supplementari.

 

La Troika va superata – Intervista di Milano Finanza a Gianni Pittella

Gianni Pittella

intervista di Francesco Ninfole – “Milano Finanza” a Gianni Pittella – 10 febbraio 2015

Domani i ministri delle Finanze dell’Eurozona si confronteranno sul piano greco e sulle richieste del premier Alexis Tsipras. Gianni Pittella, presidente dei socialisti e democratici europei, si schiera a favore di possibili concessioni ad Atene e chiede di superare la Troika.

Domanda. Presidente Pittella, Tsipras non vuole cambiare il programma elettorale e la Germania non vuole fare troppe concessioni ad Atene. Che cosa si aspetta dal prossimo Eurogruppo?

Risposta. Dobbiamo sforzarci di trovare un accordo con Atene. Noto con piacere che il governo Tsipras sembra avere rinunciato all’idea di un taglio del valore nominale del debito. Noi siamo sempre stati chiari: gli obblighi assunti vanno rispettati. Poi possiamo ragionare sul come. Certo, alcune dichiarazioni di certi ministri greci non aiutano affatto. Bisogna gettare acqua sul fuoco.

D. Quale soluzione crede sarà raggiunta alla fine sulla Grecia? Che cosa potrà ottenere Tsipras e a che cosa invece dovrebbe rinunciare?

R. L’urgenza ora è quella di trovare le risorse per far andare avanti la Grecia e coprire i vuoti di bilancio per i prossimi mesi. Nel lungo periodo credo si debba lavorare lungo due strade: un riscadenzamento e una riduzione ulteriore degli interessi. Si può inoltre pensare ad un periodo di moratorio per quanto riguarda il rimborso del debito.

D. Che cosa pensa della mossa Bce di non accettare più i titoli greci come collaterale per i rifinanziamenti alla banca centrale?

R. Di certo non mi convince chi cerca di tirare Draghi per la giacchetta: alcuni ritengono che sia troppo morbido con la Grecia, altri troppo duro. La Bce non è un’istituzione politica e quindi le sue mosse non vanno interpretate in maniera abusiva. Il sistema bancario greco ha bisogno di liquidità ed è fondamentale che la Bce continui a sostenerlo. Ora lo fa soltanto attraverso la liquidità di emergenza. Mi auguro che in futuro la Bce accetti nuovamente i titoli di Stato greci come collaterale. Sarebbe un gesto utile per l’economia greca.

 D. Vede un rischio di uscita dall’euro della Grecia?

R. La penso come Draghi: l’euro è irreversibile; una volta che si aderisce, non si può più tornare indietro. Innanzitutto perché non converrebbe ai greci tornare alla dracma. La Grecia è e resterà nell’euro. Non esistono piani B.

D. Fa bene Tsipras a chiedere meno austerità? I leader socialisti Ue, tra cui Renzi, si sono mostrati comprensivi ma anche attenti a non avvicinarsi troppo alle posizioni del leader greco. 

R. Siamo stati i primi a chiedere con forza il superamento dell’austerità. Per anni abbiamo combattuto contro le politiche di rigore cieco. Finalmente ora iniziamo a vedere i frutti, per esempio con la nuova intonazione della politica monetaria della Bce e con il piano d’investimenti da 315 miliardi di euro. Un piano da migliorare ma che costituisce un importante passo in avanti.

D. Quale ruolo dovrà avere la Troika (Fmi-Bce-Ue) nelle trattative con la Grecia e in futuro?

R. La Troika va superata. La sua cura ha fallito in Grecia anche perché lo strumento della Troika non funziona. Non è abbastanza democratico e trasparente. Tra le condizioni del nostro sostegno alla Commissione Juncker c’era anche quella di superare la troika con un nuovo meccanismo incentrato sul Consiglio, la Commissione e sotto il controllo del Parlamento. È ora di mettere in pratica questo nuovo meccanismo. La trattativa tra Atene e Bruxelles deve essere condotta dalle istituzioni europee, Commissione e Parlamento in primis.

D. È soddisfatto delle nuove linee guida Ue sulla flessibilità in materia di deficit strutturale?

R. Le linee guida sulla flessibilità rendono il Patto di stabilità meno stupido. Per la prima volta si introduce una clausola delle riforme strutturali che permetterà ai Paesi che fanno riforme di avere più margine di manovra di bilancio. Abbiamo inoltre ottenuto una nuova clausola degli investimenti, grazie alla quale i Paesi come l’Italia che hanno un deficit sotto al 3% potranno scomputare dal Patto di stabilità il cofinanziamento dei fondi strutturali e di coesione. Solo per l’Italia questo potrebbe liberare 5 miliardi aggiuntivi di risorse per gli investimenti. Per la prima volta si riesce ad infrangere il tabù dell’inviolabilità del Patto di stabilità. È un punto di svolta.

D. Lei è stato a Washington nei giorni scorsi per il Tttip, l’accordo di libero scambio in negoziazione tra Ue e Usa. Quali sono i nodi? È vero che ci sono divergenze di opinione, con Renzi e il Pd che spingerebbero in maniera più decisa per un’intesa rispetto a quanto vorrebbero i socialisti europei?

R. La nostra posizione sul Ttip è costruttiva, come quella del governo italiano. Un accordo ambizioso sul Ttip potrebbe portare a enormi e reciproci benefici per le pmi, non solo per le multinazionali, e per lavoratori e consumatori. È chiaro però che ci sono ancora nodi da sciogliere, su cui manterremo l’attenzione, perché non basta avere un accordo, serve un buon accordo che promuova e innalzi gli standard dei lavoratori, ambientali e della sicurezza alimentare. Sintetizzando con uno slogan potremmo dire: no agli Ogm o carni agli ormoni, preferiamo tenerci la nostra dieta mediterranea.

D. All’interno del Ttip qual è la sua posizione sull’Isds, il meccanismo di risoluzione delle controversie tra multinazionali e Stati attraverso arbitri scelti dalle parti?

R. Sull’Isds ribadiamo le perplessità rispetto ad uno strumento che, così com’è pensato oggi, non ci convince sul piano della trasparenza e dell’efficacia. Due grandi aree politico-economiche avanzate come gli Usa e l’Unione europea hanno sistemi giuridici adeguati per far fronte alle possibili dispute. La protezione degli investitori potrebbe essere garantita attraverso i sistemi nazionali o meccanismi State-to-State. È necessario quindi trovare soluzioni diverse che garantiscano più trasparenza perché si possa trovare un compromesso.

(foto ¬© European Union 2015 EP)

Finalmente flessibilità. Ora il patto di stabilità è un po’ più intelligente

di Gianni Pittella su Huffington Post

Si potrebbe dare fiato alle trombe. Ma non lo facciamo. Vogliamo solo salutare, con un pizzico di legittima soddisfazione, quel che è avvenuto in sede europea dopo tanto parlare, in questi ultimi mesi, della battaglia tra austerità e crescita. La Commissione Juncker ha mantenuto la promessa e ha consegnato il suo regolamento sul famoso fondo europeo per gli investimenti strategici.

É significativo che ciò sia avvenuto nel giorno di chiusura del semestre di presidenza italiana a poche ore dal resoconto svolto nell’aula di Strasburgo dal presidente Renzi. Ed è importante che la politica di flessibilità possa tagliare oggi un importante traguardo. A dimostrazione che le battaglie politiche condotte con convinzione e fermezza si possono vincere.

Questo rapporto – un vero e proprio testo legislativo – è adesso una realtà. Si tratta di quel provvedimento così tanto atteso che punta in tre anni a mobilitare più di 300  miliardi di investimenti pubblici e privati per favorire la crescita e l’occupazione. Vogliamo e dobbiamo essere chiari e leali quando si evocano cifre che possono alimentare, a torto o a ragione, delle facili aspettative.

Il piano varato dall’esecutivo comunitario, a pochi mesi dal suo insediamento, non promette la Luna. Ma costituisce – questo è indubbio – una inversione di tendenza, e dunque di azione politica economica, negli atti e nei comportamenti delle Istituzioni dell’Ue. Grazie a questo, possiamo registrare un primo successo. Con la mobilitazione di risorse pubbliche e private. Più ci sarà fiducia e ottimismo, più il piano agirà a cascata in un moto – ci si augura – che trascini e gonfi il vento della crescita.

Non è retorica, ma una possibilità reale. Proprio perché stavolta l’Europa si impegna con risorse importanti agevolando gli Stati membri i quali potranno scorporare quelle spese per gli investimenti. Dopo sei anni di crisi si comincia a prendere coscienza della necessità di un’inversione di tendenza. Forse non è esagerato affermare che da questo momento può iniziare anche un nuovo modo di servirsi della costruzione europea, mettendo l’accento su lavoro e sul sociale provando a bandire l’immagine, costruita spesso ad arte, di un’Unione nemica dei popoli e amica della Finanza.

Nell’azione dell’Unione non ci sono mai state inversioni di rotta repentine. Ma accelerazioni certamente. Questo evento politico, che mette in testa nell’agenda europea un intervento di considerevole portata nella sfida alla crisi economica che scuote il continente da parecchi anni, è uno di questi momenti. Un passo avanti, un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare le questioni più sensibili e urgenti. Stiamo parlando di uno strumento di azione economica, che dovrà essere approvato dai due legislatori (Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue) entro il prossimo mese di giugno, un “colpo di frusta” per l’economia europea come ha detto Juncker.

La Comunicazione sulla flessibilità nel patto di Stabilità e crescita, approvata ieri e alla cui definizione il nostro gruppo ha contribuito in maniera decisiva, fa diventare il Patto di stabilità e di crescita meno stupido (come disse Romano Prodi) e anzi, lo rende più intelligente. Perché – ecco il punto politico più interessante – introduce una quota di flessibilità e un margine di manovra per i bilanci dei Paesi che hanno una sofferenza dal punto di vista del debito e che intendono investire massicciamente per il rilancio delle proprie economie. È quel che si voleva? Certamente, anche se si tratta di un primo passo. Ma già da solo rappresenta una spinta formidabile se saremo capaci di sfruttarla in pieno. Utilizzando in maniera efficace e produttiva le risorse, specie quelle contenute nei Fondi Strutturali.

Di sicuro, il piano di Bruxelles non imporrà, come taluno aveva fatto credere, alcuna imposizione di riforme “dall’alto”. L’Europa punitiva, questa volta, non ha trovato acqua in cui nuotare. Anzi, gli Stati nazionali che contribuiranno al Fondo di Investimento della Bei, si vedranno riconosciuti e non conteggiati questi sforzi del loro bilancio e gli Stati impegnati in riforme strutturali interne vedranno riconosciuto questo loro operato. Inoltre, la cosiddetta “regola d’oro” funzionerà anche se il limite del 3% resta, per il momento, non rimuovibile. Non cesseremo, ovviamente, di batterci.

Ci sono, dunque, una serie di condizioni che hanno il segno del cambiamento. Si tratta di cogliere al volo questa opportunità. L’Europa, come si vede, può cambiare. Anche se ciò costa sempre un lavoro paziente, a volte testardo, e di lunga lena. Una strada si è aperta. Tocca a noi, agli Stati, alle forze politiche, di asfaltarla e renderla transitabile. Per allontanarci definitivamente dalla cieca austerità.

Meriti e limiti del piano Junker

di Francesco Grillo

Ci sono due buone notizie potenziali per l’Italia nel piano straordinario di investimenti che il Presidente della Commissione Europea Junker ha annunciato ieri. E due, altrettanto potenzialmente, negative.

Quella positiva è che si accetta, per la prima volta, che gli investimenti pubblici – quelli che avvengono sotto forma di contributi degli Stati al Fondo strategico che Junker renderà operativo a Giugno – possono avvenire senza pesare sulle regole del patto di stabilità. Ma anche che ci si pone l’obiettivo, finalmente ambizioso, di colmare con l’iniziativa della Commissione (che dovrebbe riuscire a mobilitare 315 miliardi di Euro) quasi per intero il buco di investimenti che ci separa dai livelli pre-crisi (370 miliardi nella stima della Commissione).

Ciò che lascia perplessi chi continua ad aspettare terapie d’urto, è che di “soldi freschi” ce ne sono pochi, come Junker ammette: la Commissione e la Banca Europea degli Investimenti vi dirottano 21 miliardi ed il resto dovrebbe venire da un effetto leva che è stimato poter essere pari a quindici. Ma, soprattutto, la notizia che dovrebbe preoccupare il presidente del Consiglio italiano Renzi è che lo strappo all’austerità arriva in cambio di un rafforzamento del ruolo di quei tecnici contro i quali il Presidente del consiglio ha condotto una battaglia personale. Non c’è nessuna garanzia che i soldi versati dagli Stati al Fondo rifluiscano ai Paesi in funzione dei versamenti effettuati; a decidere sarà un gruppo di tecnici (proprio loro) e i progetti saranno esclusivamente valutati sulla base del ritorno sociale che garantiscono e della capacità di mobilitare ulteriori investimenti da parte dei privati.

Il cambiamento di verso – non a 360 gradi, ma di certo significativo – al quale il Presidente della Commissione Europea affida la possibilità di caratterizzare il proprio mandato, è nelle parole che Junker ha scelto. Scelta resa ancora più delicata dalla necessità di dare una risposta sul piano della politica, all’appello con il quale Papa, sul piano dell’etica, aveva scosso il Parlamento europeo il giorno prima.

“Non abbiamo una macchina per stampare soldi”, dice Junker, e, del resto, “la possibilità di spegnere lo spettro della deflazione buttando da un elicottero banconote” – come farebbe un monetarista di Chicago – non esiste. Con i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale Europea, già c’è una montagna di liquidità di cui banche e imprese non sanno cosa fare. Inoltre, il capo della Commissione ribadisce che “non permetteremo di accumulare ulteriori debiti che spetterà alle generazioni future pagare”, perché – a differenza di ciò che succedeva negli Stati Uniti dove fu chiamato Keynes a risolvere il problema della depressione – il debito pubblico in rapporto al PIL è già al 90% e la spesa pubblica è vicina alla metà. Né tantomeno, si può immaginare di risolvere il problema “scavando buche per poi riempirle”, perché la stessa fine dell’Abenomics – per anni indicata come modello dagli avversari dell’austerità – in Giappone dimostra, come non sia risolutiva, una politica meramente espansionistica.

Non possiamo, dunque, permetterci un Piano Marshall e, tuttavia, il Piano Junker vuole comunque lanciare – facendo di necessità virtù – un’offensiva degli investimenti per sfuggire all’idea di aver perso un intero decennio nella stagnazione.  Con l’intelligenza indispensabile per intervenire sulle innovazioni – banda larga, infrastrutture di trasporto, scuola, ricerca, tecnologie – che maggiormente possono attivare processi di sviluppo. I soldi andranno dove c’è qualità progettuale e capacità istituzionali e, però, la conseguenza non è indolore e Junker sembra mettere le mani avanti: se “la crescita indotta dal Piano sarà più forte in Francia che in Italia” – l’esempio scelto sembra anche un avvertimento – l’Italia potrà, comunque, beneficiarne – dice consolatorio Junker – attraverso un aumento delle esportazioni.

Più investimenti, dunque. Ma anche un forte premio a chi ha le capacità istituzionali per farlo. Ed è qui che la vittoria di Renzi rischia di trasformarsi in un’ennesima vittoria a metà. Perché se è vero che la burocrazia europea è parte del problema, ciò vale ancora di più per quella italiana.

Siamo al ventiseiesimo posto su ventotto Paesi per capacità di spesa, ad esempio, degli investimenti finanziati con fondi strutturali che le regioni e le amministrazioni centrali avrebbero potuto impiegare per infrastrutture come quelle sulle quali il Fondo di Junker concentrerà tre quarti delle sue munizioni. Il problema, peraltro, non è solo al Sud – la Puglia ha fatto meglio del Lazio nella passata programmazione – e non solo delle Regioni – il Ministero della ricerca è una delle amministrazioni alla quale in passato sono state tagliate maggiormente le risorse per evitare guai peggiori. Peraltro, non solo perdiamo per strada – come spesso si sente dire – tanti dei soldi che ci spettano. La novità è che presto la Commissione Europea potrebbe, persino, chiederci la restituzione di alcuni miliardi di euro per finanziamenti spesi per progetti che non sono stati completati o che non funzionano: ciò potrebbe, ad esempio, portare in bancarotta centinaia di amministrazioni comunali in Campania.

Non molto migliori sono le prospettive sulle infrastrutture telematiche: il Fondo di Junker potrebbe fornire un’iniezione di liquidità assai significativa al progetto ambizioso appena annunciato dal Governo, di voler portare la percentuale di popolazione italiana coperta da banda ultra larga dallo zero all’85%, da qui al 2020. Tuttavia, la strategia dell’Agenzia digitale di crescita dei servizi – soprattutto, pubblici – che dovrebbero incontrarsi sulla nuova autostrada informatica, non appare ancora in grado di “vedere” le tecnologie come fattore di trasformazione radicale dell’organizzazione di comparti come la sanità, la giustizia, la scuola. In questo contesto, l’autostrada potrebbe rimanere inutilizzata e destinata a logorarsi.

Migliore è, tuttavia, la prestazione dell’Italia quando alla “gara europea per la crescita”, partecipano direttamente le singole università e le imprese senza l’intermediazione delle amministrazioni pubbliche. Sui cosiddetti “programmi quadro” l’Italia è al quarto posto: potremmo fare meglio, ma questo è un dato che deve far pensare che, seppur impoverito, il settore privato e quello della ricerca è più intraprendente di ministeri e regioni.

Ottima la notizia di una grande sfida progettuale lanciata all’Europa. Per vincerla, però, è fondamentale fare un salto di qualità in Italia. E decidere di rottamare – sul serio – quei burocrati che sono più responsabili della Germania della crisi di investimenti e fiducia che ci fa soffrire più dell’Europa.

Che le risorse si spostino – anche in Italia – dalle amministrazioni incompetenti a quelle più capaci. In maniera trasparente così che gli elettori sappiano chi punire e chi premiare. E dal pubblico al privato, se necessario. Con una frazione dei miliardi di euro di fondi strutturali che avranno, a disposizione nei prossimi sette anni le amministrazioni italiane, potremmo anche noi cercare un effetto leva: istituire fondi chiusi che investano nelle “specializzazioni intelligenti” e nelle aree territoriali che il governo avrà identificato, lasciando a operatori finanziari internazionali che ci mettano soldi e competenze il compito di selezionare specifici progetti di innovazione.

Il sottosegretario Del Rio sembra aver colto la necessità che aldilà delle cifre in gioco, c’è da fare un cambio di passo. Un investimento in intelligenza. Da qualunque parte arrivi. Responsabilizzando tutti sui risultati di una partita che non possiamo assolutamente perdere.

 

 

 

 

L’Europa ha bisogno di una “terapia choc” per uscire dalla crisi

Il Piano di investimenti europei (Eur 800 mld nel 2015-2020) per la transizione economica sostenibile del vecchio continente – oggi proposto dal PSE  – sommato al massiccio stimolo monetario avviato da BCE l’ultima chance per invertire una terza lunga stagnazione, che potrebbe essere letale.
Speriamo diventi subito una proposta condivisa.
Gli Innovatori Europei

Oggi, il gruppo S&D ha proposto di creare un nuovo fondo da 400 miliardi all’interno del piano di investimenti per promuovere la crescita e l’occupazione in Europa.

Il piano è stato presentato oggi durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Il presidente del gruppo S&D Gianni Pittella ha dichiarato:

“Per la prima volta dopo l’era Barroso, crescita e flessibilità sono seriamente prese in considerazione dalla Commissione. Questo nuovo approccio potrebbe rappresentare l’inizio di una rivoluzione per l’Europa.

“Vogliamo portare avanti una terapia choc. Una terapia choc attraverso l’investimento di nuove risorse fresche (pubbliche e private), nuovi strumenti di investimento europei e finalmente l’azione di una ‘clausola per gli investimenti’ associata al piano di Juncker: il denaro pubblico speso dagli stati membri per determinati progetti europei non deve essere calcolato nel computo del deficit nazionale.

“Non è più tempo di mezze misure. E’ tempo di decisioni coraggiose e sagge. Abbiamo proposto una terapia choc per far partire la ripresa della nostra economia e salvare l’Europa da lotte sociali, populismi e disintegrazione”.

La vicepresidente del gruppo S&D per lo Sviluppo sostenibile, Kathleen van Brempt, dichiara:

“Gli investimenti senza capo né coda non rimetteranno l’Europa in carreggiata. Ciò che importa non è soltanto la quantità degli investimenti, ma dove le risorse saranno investite.

“La transizione verso un’economia sostenibile e basata su un uso efficiente delle risorse è la priorità e la sola strada che abbiamo davanti. Gli investimenti devono essere mirati alla transizione e all’efficienza energetica, all’economia digitale, all’innovazione e alle risorse umane, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Europa deve focalizzarsi su progetti che non potrebbero mai svilupparsi senza lo stimolo di investimenti pubblici”.

La vicepresidente del gruppo S&D per gli Affari economici, finanziari e sociali, Maria João Rodrigues, aggiunge:

“Oggi l’Europa si trova dinanzi al rischio di un lungo periodo di bassa crescita e di disoccupazione di massa. Siamo anche di fronte a un deficit di investimenti stimato in 300 miliardi all’anno. Gli Stati membri hanno bisogno di recuperare la flessibilità in modo da essere in grado di investire. Occorre ripristinare sia gli investimenti privati, sia quelli pubblici. I fondi pubblici devono servire come leva per attrarre gli investimenti privati. Forme leggere di sovvenzioni, come ad esempio un prestito senza interessi, potrebbero sbloccare molti progetti importanti che altrimenti non potrebbero permettersi il finanziamento a condizioni puramente commerciali. Gli investimenti europei devono riguardare tutti gli stati membri dell’Ue ed essere rivolti al sostegno delle regioni in crisi”.

La vicepresidente del gruppo S&D per il Bilancio, Isabelle Thomas, ha sottolineato:

“Non sosterremo un ‘finto’ piano di investimenti”. Abbiamo bisogno di denaro fresco. Per questo proponiamo di creare un fondo speciale. Il capitale iniziale sarebbe gradualmente fornito dagli stati membri dell’Ue per raggiungere i 100 miliardi entro entro sei anni. Tali contributi nazionali dovrebbero essere esentati dal calcolo del deficit e del debito pubblico.

“Su questa base, il fondo potrebbe mobilitare ulteriori 300 miliardi messi sul piatto dagli investitori privati. Questa capacità finanziaria pubblica di 400 miliardi potrebbe generare un totale di 500 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati”.

“Non solo fondi UE, al Sud serve un progetto”, la mia intervista per «Il Mattino»

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Intervista di Gianni Pittella per «Il Mattino»

Onorevole, qual è il significato di questa nuova visita del premier a Napoli e nel Mezzogiorno?

«Ha innanzitutto un grande valore simbolico – spiega Gianni Pittella, capogruppo del Pse a Strasburgo – perché vuole significare l’importanza che ha il Sud per Renzi e per il Governo, ma anche per l’Europa intera. Il Mezzogiorno è un’area che può diventare strategica per la crescita e per la ripresa economica nel continente. Aggiungo: so che Renzi visiterà anche delle aziende d’eccellenza. E questo è un altro motivo di questa visita: il premier viene a sottolineare le virtuosità di cui il Sud è ricco, viene a dare un segnale di fiducia e di incoraggiamento peri tanti attori dello sviluppo che nel Mezzogiorno fanno per intero la loro parte, a dispetto di chi critica soltanto».

A suo giudizio cosa fa e cosa potrà realizzare il governo Renzi per il Sud?

«Il governo ha saputo preparare l’avvio della nuova programmazione dei fondi comunitari. La parola d’ordine è concentrazione delle risorse: per evitare ritardi e ulteriori perdite di fondi. D’altronde solo l’ottimizzazione delle risorse può impedire la dispersione in mille rivoli, tipo quella dei 500mila progetti della vecchia programmazione. Un esempio: puntare tanto sulle infrastrutture, sia quelle fisiche come i porti, come l’Alta velocità, come l’Alta capacità, ma anche quelle immateriali, come la banda larga».

Si riferisce all’Agenzia per la coesione?

«Anche. Perché è importante che il governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Ecco, credo che sia questo il nuovo orizzonte: anziché fantasticare sulla macro -regione istituzionale credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare».

Sempre e solo fondi Ue: onorevole, ma al Sud non serve anche altro?

«Concordo: in questi anni è mancata una visione, un’attenzione. E non c’è stato nessuno sforzo serio di programmazione. Ma io credo che in questo senso Renzi possa dare una svolta».

Come?

«A mio avviso sono cinque i punti fondamentali. Delle Infrastrutture già ho detto. Poi penso all’istituzione di Zone Economiche Speciali, come in Polonia, dove un regime di fiscalità e la semplificazione amministrativa possano attrarre gli investimenti. Ancora: turismo e ambiente, con tutti gli sforzi che ne derivano per recuperare ad esempio il terreno perduto con la “terra dei fuochi”. Quindi, l’adozione dei progetti di studio Erasmus su scala mediterranea, per accrescere anche una coscienza più aperta: sarebbe un segnale anche dal punto di vista politico rispetto a quanto accade sulle altre coste del Mediterraneo. Infine la lotta alla criminalità: penso all’impiego delle nuove tecnologie, ma anche ad un’azione socio-culturale che coinvolga il volontariato e le associazioni, e ad un utilizzo più efficiente dei beni confiscati alle mafie».

Renzi potrà fare tutte queste cose o la crisi sarà l’alibi buono per rinviare ancora?

«Mi fido di Renzi e penso anche che tante di queste cose si possano realizzare senza particolari impegni finanziari. Poi non dimentichiamo che, al di là dei fondi comunitari, ci sono quei famosi 300 miliardi in 3 anni derivanti dal piano straordinario investimenti adottato da Juncker su nostro pressing: anche una quota di quelle risorse potrà andare a colmare lo storico divario Sud-Nord. L’importante è che tutti gli attori facciano la loro parte: anche le banche, perché non siano solo prestatori di danaro a fini di lucro, ma aiutino a creare una cultura nuova, aperta al cambiamento. Che senso ha chiedere ai giovani imprenditori garanzie che loro non possono dare?».

………………

Pittella in conversazione su suo post su Facebook aggiunge: “È fondamentale che il Governo coinvolga le regioni ad un tavolo comune, perché finalmente si ragioni tutti insieme in una visione più complessiva e organica. Anziché fantasticare sulla macro-regione istituzionale, credo sia più importante lavorare tutti insieme ad un grande progetto. Prendiamo ad esempio l’Alta velocità: che senso ha se ciascuna regione pensa esclusivamente alla sua piccola porzione? Eppure quella delle infrastrutture che consentano una maggiore accessibilità è una delle sfide più decisive per il Mezzogiorno, da affrontare e da superare. Farò di tutto perché questo avvenga. Anche grazie a una parte dei fondi che siamo riusciti ad ottenere.”

Commento di IE: “Ci sono tutte le condizioni ora per unire il Mezzogiorno per la sua infrastrutturazione che apra  Italia e l’Europa al Mediterraneo, di cui da anni parliamo fino alla proposta per il Semestre europeo a guida italiana dell’Osservatorio infrastrutture e logistica mediterranee”.

Le conclusioni dell’Assemblea nazionale di Laboratorio Democratico affidate a Gianni Pittella

Pittella rivendica il ruolo di suo e di Matteo Renzi nella fondamentale adesione del PD al PSE nei pochi mesi a cavallo delle Primarie per la Segreteria con il suo appoggio al Segretario – Premier.

Ricorda l’importanza del successo italiano alle elezioni europee di maggio per la stabilità europea.

E tra le altre e tante proposte rilancia le proposte di Innovatori Europei: la messa in comune di parte di Fondi Strutturali delle Regioni del Sud per la sua infrastrutturazione, che lo apra al Mediterraneo.

Il Movimento Innovatori Europei propone la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. Intervista all’Ing. Massimo Preziuso, fondatore del Movimento

Intervista su NaNotizia

imagesIl 21 giugno scorso presso la sede del Partito Democratico del “Nazareno”, il Movimento Innovatori Europei, fondato e guidato dall’Ingegnere lucano Massimo Preziuso, ha proposto al Pd e al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. La proposta è stata elaborata e redatta in un documento al termine dei lavori dell’annuale convegno organizzato dal Movimento, che quest’anno ha titolo: ”Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese“.  Per il Movimento: “La Logistica dei Trasporti e le indispensabili Infrastrutture a essa strettamente collegate debbono assolvere lo scopo di rilanciare con forza l’economia del Paese, riconsegnando al Mezzogiorno la sua plurisecolare funzione di collegamento col Mediterraneo ciò che la stessa Unione europea gli attribuisce nell’attuale momento storico”. Per comprendere meglio i contenuti della proposta abbiamo posto alcune domande al fondatore del Movimento, l’Ingegnere Massimo Preziuso.
  • Come verrà strutturato l’Osservatorio?

“Come è noto, L’Osservatorio ha preso l’avvio da incontri con un gruppo di esperti, operatori e accademici operanti nel settore della Logistica e delle Infrastrutture. Le attività da portare avanti saranno suddivise per macrotemi; di conseguenza risultando le problematiche alquanto  complesse, occorrerà  un approccio strutturato e rigoroso”.

  • Se la Vostra proposta sarà accettata, chi ne farà parte attiva?

“Stanno procedendo i lavori avviati formalmente con il convegno del 21 presso il Nazareno mentre la proposta al governo è stata attivata. Il nostro obiettivo è che essa venga dibattuta in una delle date della agenda del semestre italiano e come tale possa quindi proseguire come progettualità istituzionale”.

  • Come verrà finanziato l’Osservatorio?

“Per il momento si procede utilizzando la volontarietà di Innovatori Europei, che riunisce attorno a sé una serie di personalità che guidano Associazioni e primarie realtà di settore. Su come finanziarlo sarà lo stesso Governo a proporlo. A settembre verrà stilata una apposita  tabella di marcia”.

  • Il ruolo del mondo Imprenditoriale e Sindacale?

“Da molti anni ci adoperiamo affinchè il privato sociale diventi un percorso da  attualizzare insieme;  è comunque nostra intenzione, e lo si è visto già nella scelta dei relatori del convegno di giugno, portare il mondo della Impresa e del Sindacato più innovativo al centro di un dibattito sullo sviluppo delle economie reali nei territori italiani e di tutto l’Euro mediterraneo”.

  • Quali sono le iniziative che potrà prendere l’Osservatorio?

“L’Osservatorio è ricco di risorse umane. Al di là delle riflessioni tecniche ed economiche sul tema della infrastrutturazione e logistica euro mediterranea ogni ulteriore decisione scaturirà dall’esame di problematiche  condivise. Ci auguriamo comunque che l’avvio del progetto porti  fattibilità e occupazione”.

  • Il ruolo di Napoli?

“A Napoli esiste da anni un gruppo che collabora alla costruzione delle linee guida nazionali degli Innovatori Europei. L’idea è di sviluppare  una forte iniziativa attorno al tema  “Città – Porto intelligente””.

  • Il governo Renzi accetterà la proposta e la porterà in Europa?

“E’ l’augurio che facciamo a questo Governo perché anche in questo senso dimostri nei  fatti di essere innovativo e al passo coi tempi”.

www.innovatorieuropei.com

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