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Una poltrona, anche piccola. L’ultima lotta dei continuisti

di Sergio Rizzo per il “Corriere della Sera”

Qualcuno, in questi giorni di trattative frenetiche, ha coniato per loro un singolare neologismo: continuisti. Sono coloro che contrasterebbero i cosiddetti rottamatori, quelli che vorrebbero dare il benservito ai manager della vecchia guardia che hanno gia’ superato, in qualche caso pure ampiamente, il limite dei tre mandati.

Dal fronte renziano assicurano che le ultime resistenze sono ormai superate. Per capirci, quelle di chi sperava se non proprio in una riconferma, almeno nel passaggio dalla poltrona di amministratore delegato a quella di presidente. Per quanto, a giudicare dai nomi che girano, consistenti schegge di «continuismo» restano in circolazione.

Con precise paternità. C’è per esempio chi ha provato a candidare per qualche presidenza l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, classe 1942: diplomatico di rango che è stato per anni consigliere diplomatico dell’ex premier Silvio Berlusconi. Oggi è già presidente di un’altra società pubblica, la Sace.

E c’è oggettivamente da chiedersi quale potrà essere il tasso di innovazione all’Eni se troveranno conferme le indiscrezioni che vogliono al posto di Paolo Scaroni l’attuale suo direttore generale Claudio Descalzi. Tanto più se alla presidenza si dovesse davvero materializzare Giampiero Massolo, altissimo funzionario della Farnesina dove ha fra l’altro ricoperto l’incarico di capo di gabinetto di Gianfranco Fini, attualmente capo del Dipartimento informazioni per la sicurezza: i servizi segreti di Palazzo Chigi.

Scelta che ha tutto il sapore di un compromesso bello e buono con gli apparati burocratici ai quali i renziani avevano lanciato il guanto di sfida. Del resto, non era stato lo stesso Renzi a dire in televisione qualche giorno fa che «L’Eni è un pezzo fondamentale dei nostri servizi segreti?». 

E l’attuale presidente della Finmeccanica Gianni De Gennaro, nominato lo scorso anno dal governo di Enrico Letta e a quanto pare l’unico destinato a restare al proprio posto, non è forse stato il predecessore di Massolo alla guida dell’intelligence della presidenza del Consiglio?

Ecco allora che il confronto fra continuisti e rottamatori è molto più dialettico di quanto non si possa pensare. O non si voglia far credere. Ed ecco perché la diatriba in qualche caso assume una veste inedita: fra chi vorrebbe optare per scelte interne (vedi Descalzi) e chi, invece, preferirebbe voltare pagina puntando su candidature esterne. Caso tipico, l’Enel. Certo l’amministratore delegato di Greenpower Francesco Starace non può essere considerato emblema della continuità con Fulvio Conti: ne è stato il principale oppositore interno. Eppure se la dovrà vedere al ballottaggio con il capo di Gdf Suez Italia, Aldo Chiarini.

Per chiudere la partita ci sono ancora quarantotto ore di tempo. Con una complicazione in più rispetto ai precedenti rituali: lo stipendio che il governo suggerirà alle assemblee dei soci di limitare a 400 mila euro annui. L’ultimo scoglio, a quanto pare, è la faccenda del genere. Si cercano donne di peso disponibili ad assumere gli incarichi di presidenza. Confidiamo che non sia questa la sola vera innovazione.

Per rinnovare il Paese, un nuovo management è urgente adesso

aziende pubblichedi Innovatori Europei

Nelle prossime settimane il governo Renzi nominerà i nuovi managers delle grandi aziende controllate dallo Stato.

Come sempre capita in questi casi, non vi è discussione pubblica a riguardo, nonostante l’importanza cruciale di queste scelte per provare a rimettere in campo il Paese – in ginocchio dopo un decennio pieno di crisi – disegnando nuove politiche industriali e nuove alleanze internazionali.

Evidente infatti quanto le grandi aziende italiane (ENI, Enel, Finmeccanica, Telecom e le altre) contribuiscono a definire quello che è il presente e quello che potrebbe essere il futuro del Paese.

In questo passaggio cruciale, il governo ha la possibilità di definirsi “innovatore”, nel rinnovare con nuove personalità e competenze di caratura internazionale i management di queste grandi aziende, per poter ragionare insieme ad essi sulle nuove sfide di natura industriale e politica, emerse nell’ultimo decennio, che possono essere affrontate e vinte dal nostro Paese.

E con un nuovo management dare il senso del cambiamento di prospettiva e di visione ad un intero Paese, con effetti positivi – politici e sociali – a cascata che sono immaginabili.

Per il momento, le attese suscitate dal Governo Renzi sono sicuramente positive e l’idea di cambiare la totalità dei top-manager attuali delle grandi imprese dopo molti anni di governo di quelle imprese e risultati a volte modesti (come documentato per la più grande società italiana, l’Eni, da un ottimo articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera) è presupposto fondamentale per continuare incisivamente la sua azione riformatrice.

A leggere la stampa delle ultime settimane, anche il Tesoro, con il competente neo ministro Padoan, sembra volere puntare dritto in questa direzione.

Come qui doverosamente già evidenziato alcuni giorni fa, l’unico elemento di perplessità in questa vicenda riguarda il lavoro di uno dei cacciatori di teste scelti a suo tempo dal precedente Governo proprio per collaborare proprio con il Tesoro alla selezione dei nomi per la guida delle grandi imprese partecipate. Ci riferiamo a Spencer & Stuart, i cui requisiti di indipendenza in questo caso rischiano di essere offuscati in quanto sembra essere consulente proprio delle grandi imprese il cui management dovrebbe contribuire a cambiare. E dalla presenza nel suo advisory board della figura politica di Gianni Letta, che fu evidentemente uno dei protagonisti principali delle nomine degli attuali vertici delle imprese di stato.

Tutte notizie che oggi risultano confermate anche da L’Espresso, con un articolo della sua importante firma Denise Pardo.

Viene allora da chiedersi: possibile che, anche per motivi di opportunità, non potesse essere individuato un altro cacciatore di teste al suo posto?

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