Significativamente Oltre

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Candidatura a Coordinatore di Circolo PD Pistoia Centro Storico – Marco Frediani

“Tornare a esortare i giovani a costruire un futuro migliore, basato sullo sviluppo compatibile della Terra e dei popoli, su un’alternativa economica, più equa e più giusta, sul rilancio delle grandi istituzioni europee. A resistere con creatività, intelligenza, voglia di fare” (da ‘Impegnatevi’ di Stéphan Hessel).

 

Il Circolo PD Pistoia Centro Storico rappresenta ormai da tempo una realtà del nostro territorio che ha fatto della continuità di lavoro, dell’unità, del pluralismo, dell’inclusione, del dialogo e della partecipazione i propri punti di riferimento. Molte sono le persone che gravitano attorno a quello che non ho difficoltà a definire ‘uno straordinario punto di incontro’. E se la vita è l’arte dell’incontro, è dai buoni incontri che nascono le buone politiche. Perciò iscritti, non-iscritti, semplici passanti e assidui frequentatori, ognuno a suo modo ha lasciato una traccia importante nel nostro percorso. Un percorso intenso, a volte difficile ma quello che è più importante, un percorso prima di tutto ‘vivo’.

 

Personalmente sono convinto che il rinnovamento dell’Italia parta dal rinnovamento dei partiti. E in particolare dal rinnovamento del Partito Democratico, attualmente unico vero spazio politico e di confronto. L’Italia ha chiaramente dei limiti di funzionamento e questo è dovuto non tanto a un deficit di potere, come in troppi ancora pensano, anche nel Pd, ma a un deficit di partecipazione: per questo servono metodi nuovi. Per questo oggi in politica sempre più il ‘come fare’ diventa sostanza insieme al ‘cosa fare’. Fatto salvo il principio di democrazia rappresentativa occorre iniziare ad aprirsi a elementi di democrazia deliberativa.

 

Negli ultimi tre anni molto è stato fatto nel nostro Circolo. Le riunioni sono state tante, per quanto riguarda gli incontri pubblici è difficoltoso ricostruirne l’elenco completo (“Il vento del cambiamento” – Pistoia incontra Milano, “Verso Stati Uniti d’Europa”, i temi della sostenibilità ambientale ed energetica, alternativa economica, Ius Soli, la questione del Nord Africa, il bilancio del Comune di Pistoia, il piano del commercio, cene raccolta fondi, il percorso di ‘Terra Franca’ ecc.). E questo basandoci su semplice autofinanziamento e le entrate dal tesseramento. Tanto che il bilancio del Circolo si trova attualmente in uno stato di solido attivo.

 

Se molto è stato fatto, molto resta ancora da fare.

 

Ed è per questo che ho deciso di ricandidarmi come coordinatore di questo Circolo. Per proseguire un percorso di costruzione di un partito nuovo che sia sempre di più un’organizzazione partecipata di iscritti, di cittadini e di associazioni. Per un partito a supporto degli amministratori e non per un partito degli amministratori.

Una sfida di metodo ma anche culturale. Oggi al patrimonio storico dei temi “tradizionali” della sinistra (contrapposizione capitale – lavoro, giustizia, equità) occorre aggiungere quelli delle “nuove dimensioni” della politica e della costruzione di una nuova cultura democratica autenticamente ambientalista.

 

Nuove dimensioni che partono dalla consapevolezza dell’interdipendenza tra Stati da un punto di vista economico-finanziario, ambientale (acqua, cibo, energia, cambiamento climatico) e sociale in termine di fratellanza tra popoli.

 

Per la costruzione di una visione nella condivisione. Per valorizzare un’idea di insieme, di comunità, di unità nella diversità, per riscoprire l’empatia e il dialogo accanto alla dialettica politica. Il piacere del collaborare e del fare insieme, la diplomazia come vera forza della politica.

 

Di seguito, brevemente, alcuni punti per il programma di mandato da svolgere con il nostro Circolo. Un’idea di programma aperta naturalmente a eventuali contributi e integrazioni:

 

1)    Maggior radicamento territoriale:

  • Rafforzamento del ruolo politico del circolo quale elemento di connessione fra partito, amministrazione cittadina e società civile (di cui l’associazionismo è parte integrante), in una prospettiva ‘per’ e mai ‘contro’.
  • La necessità di una sede e maggiore organizzazione dell’attività.

2)    L’idea di Circolo come Laboratorio: uno spazio palestra di idee, proposte, azione ma sopratutto di collaborazione.

 

3)    Riattivazione/modernizzazione del blog del Circolo e di altri spazi virtuali (facebook, twitter ecc.) come luoghi di discussione e trasparenza.

 

4)    Tutela del pluralismo del partito e della libera circolazione di idee:

  • Terzietà del ruolo di segretario
  • Rispetto di ciascuna delle anime del partito, garanzia di rappresentatività e libertà di espressione.

 

Un programma naturalmente da costruire e svolgere insieme.

Marco Frediani

L’incontro tra gli Innovatori Europei e i candidati segretari della federazione romana del PD

Ieri – 22 ottobre – nella sede del PD Roma Centro Storico, si è svolto un breve incontro tra alcuni esponenti di Innovatori Europei (IE) Roma e il candidato alla segreteria della federazione romana Tobia Zevi.

Gli altri candidati invitati, pur ringraziando per l’invito, non sono riusciti ad essere presenti. Tommaso Giuntella ha inviato un documento politico. All’iniziativa erano presenti, tra gli altri, il Presidente Nazionale di IE Massimo Preziuso e gli esponenti del Lazio Paolo Di Battista e Giuseppina Bonaviri.

Con Zevi abbiamo condiviso la necessità di rinnovare nelle persone e nei metodi il partito romano. E gli abbiamo esposto brevemente due nostri progetti, da lui condivisi:

– Roma capitale culturale dell’euro mediterraneo, protagonista del nuovo dibattito verso la federazione europea (organizzazione convegno a Roma).

– Roma capitale “intelligente”, centro di una rete di città smart.

L’incontro si è concluso con il proposito di riaggiornarsi con la federazione romana, a congresso concluso.

Resoconto incontro tra Innovatori Europei Napoli e i Candidati alla Segreteria Provinciale del PD

Innovatori-Europei-defIeri – 17 ottobre – nella sede del PD Campania in Via S. Brigida, si è svolto un vivace ed interessante incontro tra gli Innovatori Europei (IE) di Napoli e i candidati alla segreteria provinciale del PD Napoli Gino Cimmino e Venanzio Carpentieri. All’iniziativa erano presenti, tra gli altri, il Presidente Nazionale di IE Massimo Preziuso e il neo-coordinatore di IE Napoli Gaetano La Nave. 
I due candidati alla segreteria provinciale del PD Napoli hanno condiviso le riflessioni di IE sulla necessità che la nuova fase del partito provinciale comporti una maggiore apertura alle competenze, ai saperi, alle energie, all’associazionismo presenti nella società napoletana. Tanti i temi toccati durante l’incontro: dalla governance policentrica ma integrata dell’area metropolitana di Napoli; alle necessarie bonifiche e riconversioni territoriali di zone importanti del territorio come Pianura, Bagnoli, il Giuglianese e il Nolano; dalla progettazione per la realizzazione di un hub internazionale di ricerca nella zona occidentale del capoluogo, a partire dalla proposta IE di una “Stanford a Bagnoli“; alla mobilità integrata e lo sviluppo portuale. Entrambi i candidati hanno condiviso e accolto la proposta degli IE di Napoli che veda la costituzione all’interno del PD provinciale di un dipartimento  che sia un luogo di progettazione e di ricerca, aperto a contributi esterni, e che operi in perfetta sinergia con il partito e con chi lavora quotidianamente nelle istituzioni. A tal riguardo la rete dei saperi internazionali presente in IE sarà messa a disposizione e in dialogo con la prossima segreteria provinciale del PD per sostenere uno sviluppo reale e strategico della “Grande Napoli”, tra i temi principali di dibattito nei prossimi Stati Generali di Innovatori Europei, che si terranno a fine novembre a Roma.

Un centro di ricerca euromediterraneo sulle tecnologie e risorse energetiche del futuro. In Basilicata

di Massimo Preziuso (su L’Unità)turbina

La Lucania è terra di risorse naturali preziose, che la dovrebbero rendere tra le più ricche di Italia.

Eppure, da sempre, e ancora oggi, le statistiche economiche dicono incredibilmente il contrario.

Secondo dati pubblicati dalla Banca di Italia, la regione Basilicata risulta sempre più arretrata nel contesto nazionale. PIL 2012 al -3% , disoccupazione attorno al 15% e accentuata caduta della produzione industriale, del 9,5% rispetto al 2011.

Senza una forte presenza di piccola e media impresa diffusa, capace di competere sui mercati internazionali (anche e soprattutto per carenza di infrastrutture), la Regione in questi anni è sopravvissuta al tornado della crisi soprattutto grazie alle imponenti attività estrattive di petrolio e gas. Le compagnie petrolifere infatti estraggono enorme ricchezza dal territorio in cambio delle cosiddette “royalties” compensative.

Con risorse davvero ingenti – solo 2011  erano pari a 120 milioni di euro (di cui 100 milioni destinati all’ente Regione) – al netto di alcune interessanti ed iniziative in ambiti “nuovi” per la Basilicata (come il cinema, la cultura), non si è riusciti finora a disegnare alcun vero cammino di sviluppo sistemico. A livello regionale le royalties sono infatti servite al finanziamento di voci di bilancio (università, sanità), al finanziamento di “buoni benzina” (!), mentre a livello locale al più all’avvio di piccoli progetti occupazionali.

E proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea certifica la retrocessione della Regione Basilicata, che torna tra le regioni “Ex – Obiettivo 1”.

E allora, passati vari anni dall’inizio di questo ciclo estrattivo intensivo – che non durerà all’infinito e che impatterà pesantemente l’ambiente – in tanti  si chiedono se e come esso potrà ancora determinare un impatto positivo sullo sviluppo di lungo periodo della Regione.

E’ evidente infatti che la rendita assicurata da risorse naturali – postulata nella staple theory – non è un fenomeno naturale, soprattutto in una Regione povera e piccola come la Basilicata, carente di un sistema di imprese diffuso.

Ed è proprio quella – l’imprenditorialità diffusa – la condizione necessaria allo sviluppo territoriale legato allo sfruttamento di risorse naturali, come quelle petrolifere. L’impresa quale moltiplicatore di sviluppo.

Ma è anche evidente che – per essere competitive e quindi insediarsi – le imprese necessitano di un milieu adatto.

Ebbene, oggi ci sono proprio tutte le condizioni al contorno per crearlo questo contesto “imprenditivo”:

– La Strategia Energetica Nazionale pone su un piano di forte centralità la Basilicata nel futuro dello sviluppo energetico ed economico del Paese.

Si parla infatti della realizzazione di un hub energetico dell’euro mediterraneo e si indica nella Basilicata il baricentro di una piattaforma di servizi di alto livello nel settore della distribuzione, attraverso imponenti attività di stoccaggio e lo sviluppo di una rete “smart” su scala europea e mediterranea.

– Il memorandum Stato – Regione sul petrolio lucano approvato nel mese scorso continua ad andare in questo senso, anche se va assolutamente “rinforzato” nella qualità e nella quantità della progettualità ipotizzata, ed equilibrato nella sua visione “centralistica” di governance di risorse che sono “locali”.

– La prossima programmazione dei fondi europei 2014-2020 prevede la necessità di un approccio “strategico” e di “originale” allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo.

Dunque, se al futuro davvero si vuole arrivare, e non ci si vuole ritrovare invece con un territorio semplicemente depauperato di risorse naturali e di ricchezza ambientale, è bene cominciare a parlare di una strategia di sviluppo, che sia “sostenibile” sia da un punto ambientale che da un punto di vista economico, che sia “strategico”, e che sia “originale”.

E’ per questo necessario partire dalla messa a rete del sistema dei saperi universitari e dell’industria energetica attorno allo sviluppo di un distretto delle tecnologie e risorse energetiche del futuro. Un progetto che veda protagonisti per primi i colossi petroliferi “lucani”– ENI, TOTAL e SHELL – e la Regione Basilicata, insieme nel promuovere un nuovo utilizzo delle royalties petrolifere nel rapido disegno e successiva implementazione di una strategia che guardi al futuro.

Un progetto, questo, di chiara valenza internazionale, in quanto centrale per lo sviluppo delle politiche energetiche dell’area euro – mediterranea, che quindi deve vedere coinvolta la Commissione Europea e i fondi strutturali 2014-20, oltre alle risorse derivanti dall’estrazione petrolifera.

Di un polo energetico internazionale si parla da tempo nel documento Strategia Regionale per la Ricerca, l’Innovazione e la Società dell’Informazione della Regione Basilicata. 

E la realizzazione di un distretto dell’energia è presente tra i progetti presenti nel “Memorandum petrolifero” tra Stato e Regione da poco pubblicato in Gazzetta ufficiale.

La Basilicata può oggi ambire a diventare il principale hub di ricerca e sviluppo di base e applicata (all’impresa) nei settori della manifattura legata all’energia del futuro (rinnovabile e fossile).

E così porsi come attrattore di nuove imprese, investimenti e professionalità internazionali.

Questa è la Lucania che si deve osare ad immaginare da adesso. Ed oggi ci sono proprio tutte le condizioni politiche al contorno per farlo.

L’intervento di Enrico Letta per la fiducia al Senato

fiducia letta

di Enrico Letta

Signor Presidente, onorevoli senatori, nella vita delle Nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile. Sono le parole di Luigi Einaudi quelle che richiamo qui oggi: le richiamo qui in Parlamento, davanti al Paese, davanti a tutti voi, per venire subito al cuore della questione. L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, irrimediabile. Sventare questo rischio, cogliere o non cogliere l’attimo, dipende da noi, dipende dalle scelte che assumeremo in quest’Aula, dipende da un sì o da un no.

C’è un monito, un monito più recente, ugualmente solenne, che voglio qui ricordare. Poco più di cinque mesi fa il Presidente, cui va una volta ancora la mia, la nostra, profonda gratitudine, per quanto ha fatto e sta facendo per l’Italia, il presidente Giorgio Napolitano invitava le Camere riunite ad offrire una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di volontà di dare risposte vere ai problemi del Paese. Invitava tutti coloro che lo avevano appena eletto una seconda volta alla Presidenza della Repubblica – fatto unico nella nostra storia – a uno scatto di dignità, di attaccamento alle istituzioni, di amore per l’Italia.

Quel monito fu accolto, anche allora, da un appassionato plauso della maggioranza dei presenti di queste Aule. Quel monito ha avuto come seguito nei mesi successivi l’impegno, con tutte le forze e la massima determinazione possibile, del Governo per costruire soluzioni tangibili ai problemi veri delle persone, per provare ad alimentare una rinnovata fiducia nella politica, nella sua capacità di riformare l’Italia e anche, problema più serio, di riformare se stessa, per restituire al mondo l’immagine di un Paese giovane, dinamico, affidabile.

I componenti del Governo hanno dato prova di lealtà. Tutti, pur consapevoli dello spazio ristretto nel quale ci si muoveva, si sono adoperati in Consiglio dei ministri e nell’attività da Ministri per costruire insieme politiche efficaci, senza certo rinunciare alla propria identità politica o ai propri convincimenti di parte, ma lavorando tutti con vero spirito costruttivo. Abbiamo fatto passi avanti, impensabili anche solo fino a pochi mesi fa, nella comprensione reciproca. Ci siamo confrontati su un orizzonte più alto, più nobile, quello dell’interesse generale degli italiani. E gli italiani, nella stragrande maggioranza, ci dicono, mi verrebbe da dire ci urlano, che non possono più delle messe in scena da «sangue e arena» e del «si scannano su tutto, ma poi non cambia niente». Cambia se vogliamo che cambi. Cambia se ci predisponiamo noi per primi al coraggio. Cambia se siamo solidi al punto da non temere che l’incontro con l’avversario sporchi o inquini la nostra reputazione: solo chi ha un’identità debole teme il confronto con le ragioni altrui.

Io stesso, lavorando gomito a gomito con i Ministri, con i parlamentari che militano in altri partiti rispetto quello nel quale milito io, sono in grado oggi di apprezzare e di testimoniare la passione che alberga in tutti i settori della politica italiana, settori che non sono il mio, settori che hanno dato esempio di vitalità complessiva del sistema, ai quali voglio quindi rendere testimonianza e che, voglio sottolineare, rappresentano uno dei punti nevralgici della discussione che stiamo svolgendo. Solo chi non ha le spalle larghe finisce ostaggio della paura del dialogo, perfino quando il dialogo è virtuoso e volto solo e soltanto al bene comune.

La prima sede deputata al confronto sono certamente le istituzioni. Per questo in ogni atto del Governo, in ogni iniziativa, nazionale e internazionale, in ogni passaggio, anche delicato o doloroso, ho doverosamente coinvolto il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati. Personalmente, con oggi, ho risposto dell’operato del Governo, io stesso, in Parlamento, 15 volte in poco più di 150 giorni. Ho ripristinato lo strumento del question time alla Camera dopo anni e anni di assenza; l’ho introdotto per la prima volta in quest’Aula al Senato. Perché questo è il luogo della sovranità popolare. Perché il rispetto e l’amore per le istituzioni sono intrinseci alla cultura, alla mia cultura, e costitutivi della mia storia personale e politica. Perché il Governo che guido è nato in Parlamento, e, se deve morire, deve farlo qui: in Parlamento, appunto, alla luce del sole, di fronte a tutti gli italiani.

Questa trasparenza, con la linearità dell’azione politica ad essa sottesa, è il modo migliore per affrontare anche le più complesse e apparentemente inestricabili commistioni tra questioni diverse e in conflitto tra di loro. È il caso – non intendo certamente girarci attorno – della vicenda giudiziaria che investe Silvio Berlusconi. La vita del Governo e la decisione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato sulla sua decadenza da senatore si sono sovrapposte in queste settimane in un crescendo di convulsioni che ha sempre più condizionato il dibattito pubblico. Un crescendo culminato mercoledì scorso nell’annuncio delle dimissioni da parte dei parlamentari del PdL, giunto proprio mentre intervenivo, a nome di tutta l’Italia, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Ebbene, esattamente una settimana fa si è creata una situazione insostenibile che mi ha portato qui oggi a tracciare davanti a voi la separazione tra quella questione giudiziaria e l’attività di un Esecutivo che è nato per servire l’Italia. I due piani non potevano né possono essere sovrapposti.

La nostra Repubblica democratica si fonda sullo Stato di diritto, sul principio di legalità, sulla separazione dei poteri. In uno Stato democratico le sentenze si rispettano, si applicano  fermo restando il diritto intangibile a una difesa efficace, senza leggi o trattamenti né ad personam, né contra personam. Un diritto che va riconosciuto e concesso a un parlamentare come a qualsiasi altro cittadino italiano.

Onorevoli senatori, il Governo, questo Governo in particolare, può continuare a vivere e a fare bene solo se è convincente nella definizione del programma e nella sua attuazione, in un vero e proprio nuovo patto, giorno dopo giorno, con la prospettiva sempre focalizzata sui problemi veri delle persone, delle famiglie, delle imprese, della nostra comunità. Tutto il resto (le minacce quotidiane, le polemiche tossiche agitate strumentalmente) ingenera caos, disagio, smarrimento nei cittadini; di certo nulla di buono e sano porta alla gestione della cosa pubblica, tanto più in una stagione di gravissima complessità quale quella che stiamo vivendo.

Più e più volte in questi mesi mi avete ascoltato tessere in Italia e all’estero l’elogio della stabilità: stabilità intesa come valore assoluto, da perseguire e alimentare ora dopo ora, stabilità messa così clamorosamente a repentaglio.

Non è sempre stato così nella storia italiana. Nella primissima fase della Repubblica, dal 1946 al 1968, abbiamo avuto una stabilità politica impensabile oggi. In quegli anni, dal ’46 al ’68, tre Presidenti del Consiglio hanno governato la maggior parte di quel tempo. I benefici della stabilità di allora li conoscono tutti gli italiani; hanno avuto conseguenze: la ricostruzione dalle macerie della guerra, il boom economico, una crescita media del 5 per cento l’anno, un debito pubblico che a quel tempo era ben al di sotto del 50 per cento del PIL. Poi, tra il 1968 e il 1992 si sono succeduti ben 24 Governi; la crescita è rallentata, il consenso elettorale è stato acquisito allargando i cordoni della borsa dello Stato, facendo più che raddoppiare il debito pubblico. La fase successiva, quella attuale, avrebbe dovuto essere la stagione della democrazia compiuta e governante. Non lo è stata, ahinoi!

Dal 1992 ad oggi si sono avvicendati addirittura 14 Governi. Per un impietoso confronto, in Germania ci sono stati solo tre Cancellieri nello stesso periodo. Noi 14, loro tre in tutto! Un altro spread, a ben vedere, un altro spread che pesa eccome nel confronto con le grandi democrazie europee.

È evidente a chiunque che le politiche per la crescita, che necessitano di un lungo respiro perché chi le attua possa goderne frutti, sono possibili solo con una prospettiva temporale ragionevole e con Governi stabili. Nel breve orizzonte manca il coraggio perché ai primi costi – e le riforme sono costose, oltre che spesso dolorose in termini di consenso – il Governo viene mandato acasa. Avanti il prossimo, e poi il prossimo ancora, oppure tutti alle urne.

Questa è una delle ragioni – non certo l’unica – che spiega la mancanza di crescita e l’impennata del debito pubblico. Dietro, a ben vedere, c’è un’altra grande mancanza, quella della politica: c’è l’assenza di scelte forti, c’è l’ossessione del presente, del consenso a tutti i costi, qui e subito.

Oggi rischiamo di trovarci in una situazione analoga. Non sono le forze dell’opposizione, che legittimamente si oppongono a un Esecutivo che non condividono: sono le forze della maggioranza a trovarsi in una fibrillazione che potrebbe precipitare la crisi. E una crisi significherebbe, di nuovo, contrarre ancora gli orizzonti, posticipare ancora le misure a favore di imprese, lavoratori, disoccupati (disoccupati giovani e non) che aspettano solo di essere aiutati per uscire dalla crisi. Significherebbe di nuovo sedere sul banco degli imputati in Europa e nel mondo: l’Italia incorreggibile l’Italia che non impara mai dai propri errori, l’eterna incompiuta che manda nel panico i mercati e scatena la preoccupazione.

Questo significherebbe, anche, oggi, rinunciare alla riforma indispensabile della politica e delle istituzioni. Riforma cui tutte le forze di maggioranza si sono solennemente impegnate ad aprile: mai più porcellum, mai più finanziamento pubblico ai partiti, mai più storture del bicameralismo paritario. Oggi, in poco tempo, possiamo riformare davvero la politica: i provvedimenti varati dal Governo in questi mesi sono ora all’esame del Parlamento. Se rapidamente discussi e approvati, possono costituire davvero una svolta nel rapporto con una pubblica opinione che, dobbiamo esserne tutti consapevoli, non dà più credito alle promesse, non attende più. Il tempo d’attesa è scaduto.

In caso di crisi rischiamo invece di scivolare verso elezioni che potranno sì, ma che – lo sappiamo – rischierebbero portare a un raggiustamento nelle percentuali tra un partito e l’altro, di consegnare per l’ennesima volta il Paese all’ingovernabilità. Probabilmente, ci troveremmo ancora, dopo le elezioni, per uscirne, le larghe intese, perché con questa legge elettorale, con questo assetto bicamerale, con questo sistema politico frazionato in quattro o cinque coalizioni, le prossime elezioni rischierebbero di non produrre una chiara maggioranza.

Sulle riforme oggi la direzione è tracciata. In questi cinque mesi, in anticipo sul cronoprogramma che ci eravamo imposti e che avevamo deciso insieme in Parlamento, il Comitato dei saggi ha completato un impianto di riforma delle istituzioni ambizioso e moderno, equilibrato. Nessun stravolgimento, nessun golpe, nessun attentato ai principi fondamentali della Carta costituzionale: indicazioni di rotta per cambiare in meglio e rendere finalmente funzionante la democrazia italiana.

D’altronde, come si fa a difendere il bicameralismo paritario? Come si fa a non ridurre il numero dei parlamentari? Come si fa a non vedere gli intralci e le storture generate dalla riforma del Titolo V del 2001? Oggi siamo, come dicevo, nelle condizioni di chiudere in anticipo, rispetto alle previsioni iniziali, e di completare, dunque, il percorso di riforma in 12 mesi da oggi. Questa volta ce la possiamo fare; possiamo costruire istituzioni funzionanti e, prima di ogni altra cosa, scrivere, come sta avvenendo qui in Senato, in la Commissione affari costituzionali, (è materia tipicamente parlamentare e il Governo è rispettoso dell’iniziativa del Parlamento), una legge elettorale in grado di restituire il diritto di scelta ai cittadini, di consegnare al Paese vincitori e sconfitti, di mettere chi vince nelle condizioni di governare davvero, fuori dalle polemiche per il bene dei cittadini e con il coinvolgimento di tutte le forze politiche dentro e fuori la maggioranza.

Il Governo, dunque, intende sostenere e accompagnare attivamente il percorso parlamentare (che oggi, con la procedura di urgenza in atto qui al Senato, è un procedimento concreto) di modifica dell’attuale legge elettorale sia in previsione di una possibile pronuncia della Corte costituzionale sia per evitare comunque il rischio che il Paese possa tornare al voto con l’attuale legge, che toglie ai cittadini il diritto di scegliersi gli eletti e che porta maggioranze diverse, come capita questa volta, nelle due Camere.

Un percorso di modifiche che non è in contrasto con la consapevolezza che la legge elettorale andrà poi rivista in base alle scelte di modifica costituzionali in materia di forme di Governo e bicameralismo.

Onorevoli senatori, che ce la possiamo fare l’ho detto e ridetto all’infinito a tutti coloro che ho incontrato nelle ultime settimane. Vale per la riforma delle istituzioni, vale a maggior ragione per l’economia e la società. Dopo otto trimestri di contrazione, l’economia italiana si è stabilizzata e avviata verso una graduale ripresa. Abbiamo alle spalle un incubo, abbiamo alle spalle un periodo di recessione senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale; una recessione che segue il decennio perduto. Con la crisi l’Italia ha perso più di otto punti percentuali di PIL, l’Italia ha perso oltre un milione di posti di lavoro; un cataclisma nell’economia, nella società, che porta e ha portato preoccupazione, disagio, disperazione nelle famiglie italiane.

È a loro, prima che a chiunque altro, che dobbiamo rendere conto delle nostre azioni; è su di loro che le conseguenze del voto di oggi potrebbero causare danni irreparabili. Per evitarlo, subito, tra pochi giorni, abbiamo l’occasione di fare una nuova politica economica e industriale che si concentri su tre grandi priorità: il rafforzamento della ripresa in atto, il taglio consistente delle tasse sul lavoro e sui lavoratori, un intervento drastico sui fattori che limitano la competitività dell’economia.

Dal suo insediamento il Governo ha investito oltre 12 miliardi di euro, quattro dei quali sul lavoro, la cassa integrazione, gli ammortizzatori sociali e la lotta alla povertà. Lo ha fatto in costante e proficuo dialogo con il sindacato e con tutte le parti sociali, ed è stata una buona notizia il documento comune sulla crescita presentato un mese fa imprenditori e sindacati, documento sul quale siamo pronti oggi al confronto.

Il nostro obiettivo, dichiarato da tempo, è un aumento del PIL pari all’1 per cento per il 2014 e superiore negli anni successivi. La legge di stabilità è l’occasione per raggiungere questi obiettivi e dimostrare al Paese che il cambiamento è in atto. Questo non significa naturalmente che abbiamo intenzione di arretrare di un millimetro nel processo di risanamento della finanza pubblica, anche perché ogni allentamento delle politiche si riflette pesantemente sui costi di finanziamento del nostro debito.

Il risanamento ci ha consentito, grazie ai sacrifici di tutti gli italiani e all’azione degli Esecutivi precedenti e di questo Governo, di uscire a fine giugno dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo dell’Unione europea; ci ha permesso finalmente di non essere più sotto esame. Per questo vogliamo e possiamo confermare, con la serietà che ci è richiesta e di cui certo disponiamo, che rispetteremo gli impegni con l’Europa per il 2014: l’indebitamento nominale deve restare e resterà entro la soglia del 3 per cento; l’indebitamento strutturale deve tendere e tenderà rapidamente verso il pareggio; il peso del debito deve ridursi e si ridurrà. Nell’immediato il Governo adotterà le misure necessarie per ricondurre l’indebitamento del 2013 entro il 3 per cento.

In questi cinque mesi, onorevoli senatori, abbiamo sostenuto l’economia in primo luogo attraverso la forte accelerazione impressa al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese; un percorso iniziato durante il Governo Monti, che ci eravamo impegnati a velocizzare. L’abbiamo fatto e documentato settimana dopo settimana; a oggi, 2 ottobre, alle imprese sono arrivati 12 miliardi di euro, con un’accelerazione di settimana in settimana. Completeremo il tutto nel 2014, e anche in questo caso non c’è certo bisogno di ricordare che l’eventualità di un Governo debole rallenterebbe o addirittura impedirebbe di portare a compimento il pagamento. Interverremo poi per ridurre i costi delle bollette elettriche e rilanceremo politiche industriali di settore; continueremo interventi specifici a favore delle piccole e medie imprese, cuore del nostro sistema economico e imprenditoriale.

In questi mesi, abbiamo inoltre varato leggi a sostegno dell’edilizia ecocompatibile, del mobile-arredo, dell’efficienza energetica, delle infrastrutture e iniziative per migliorare la qualità della spesa pubblica e dare sostegno alla domanda interna. Queste azioni proseguiranno nell’ultimo trimestre dell’anno e nel 2014.

Non intendo certo qui stilarne la lista: è troppo lunga, ma siamo stati tutt’altro che il Governo del rinvio. Lo dico perché voglio far presente che proprio oggi «Il Sole 24 Ore» ha un inserto tutto dedicato al tema dei lavori per la casa, per le infrastrutture, per gli interventi ecocompatibili, antisismici, per il contrasto d’interessi, che renda possibile che quando si chiede una fattura vi sia da una parte l’interesse ad ottenerla e dall’altra parte l’interesse di chi svolge una funzione effettivamente a farla e a fare tutto alla luce del sole.

È la dimostrazione, qui, che chi parla di Governo del rinvio mente, è la dimostrazione, qui, dei fatti concreti che in questi cinque mesi sono stati messi in campo per rilanciare l’economia, i posti di lavoro e le attività del nostro Paese.

A chi parla di Governi del rinvio invito a chiedere ai beneficiari delle centinaia di misure messe in cantiere da aprile in poi se condividono o meno questa percezione: ai precari della pubblica amministrazione, alle donne vittime di soprusi, agli esodati per licenziamento individuale, ai cassaintegrati, agli insegnanti di sostegno, agli assegnatari delle borse di studio, agli operatori della cultura, ai lavoratori delle fondazioni liriche, a chi sta ristrutturando casa, a quanti ieri stesso in tre ore hanno fatto un clic – (5.500 posti di lavoro nuovi che si sono creati per i giovani), ai piccoli imprenditori beneficiari della nuova legge Sabatini, ai ragazzi che fino a ieri erano figli legittimi, naturali, adottivi e oggi sono figli, figli e basta. E potrei continuare.

Invece che di rinvii, parliamo di serietà: serietà perché i problemi li abbiamo affrontati in questi mesi, con soluzioni immediate quando è stato possibile. Penso ancora alla cassa integrazione, alla riforma per rendere più rapida la giustizia civile, al piano casa per le giovani coppie e per i precari, alla legge contro il femminicidio, al diritto allo studio, alla cultura, all’edilizia scolastica che è ripartita, allo sblocco dei cantieri, ai primi interventi di lotta alla povertà, agli ecobonus, alla defiscalizzazione di tanto lavoro per i giovani.

Quando invece le soluzioni immediate non sono state oggettivamente percorribili, abbiamo scelto la via della costruzione paziente di riforme destinate a durare, certo oltre il nostro stesso mandato. È una scelta che rivendico, sì, è una scelta di serietà.

 

Questo stesso metodo ci guiderà nel prossimo futuro: selettività, attenzione, cura per la cosa pubblica senza alcuna ansia dettata dalle pressioni del dibattito pubblico. La legge di stabilità estenderà il campo d’azione degli interventi per la crescita, sposterà l’enfasi della politica di bilancio verso la riduzione della spesa e verso la riduzione delle tasse, in linea con quanto abbiamo fatto finora, confermando anche in materia fiscale e di fisco per la casa la rotta degli impegni assunti.

Proprio perché non vogliamo nuove tasse, intendiamo mettere il livello complessivo della spesa pubblica al centro dell’impostazione dell’azione di bilancio per il 2014. Al contenimento della spesa pubblica contribuirà il processo di revisione delle strutture pubbliche e delle loro procedure. Vorrei che questo passaggio fosse chiaro a tutti noi: non esistono tagli di spesa facili, a meno che non s’intenda, ma sono certo che nessuno in quest’Aula lo voglia, procedere a colpi di tagli lineari. La revisione va dunque fatta con accortezza, attenzione, competenza. Se otterremo la fiducia chiederemo al dottor Carlo Cottarelli di assumere il ruolo di commissario per la spending review.

Crediamo sia possibile fare un’efficace azione di revisione della spesa nella pubblica amministrazione, assicurandone le funzioni fondamentali e tutelando le fasce più deboli della popolazione.

E d’altronde – lo voglio dire rivendicandone tutta la forza – in questo 2013 abbiamo realizzato finora 1.700 milioni di euro di riduzione della spesa pubblica. Cifre, fatti, non annunci!

In questi cinque mesi, onorevoli senatori, ho rappresentato l’Italia in quattro Vertici internazionali, due Consigli europei, un G8 e G20. Ben tre di essi, tre su quattro, hanno avuto al centro la battaglia contro i paradisi fiscali nel mondo. Il nostro contributo è stato importante per l’assunzione di decisioni ormai vincolanti: il cerchio si sta stringendo attorno ai Paesi che alle banche che hanno consentito in questi anni l’esportazione illegale di capitali finanziari sottratti all’erario, dunque alla collettività.

Il tempo dei capitali esportati illegalmente all’estero sta dunque finendo, è in corso una svolta storica nel mondo che dobbiamo cogliere, affinché vinca la legalità e l’Italia possa riappropriarsi di risorse che consentiranno, già a partire dal prossimo esercizio finanziario, di far scendere il deficit e centrare il nostro obiettivo principale: abbassare le tasse a vantaggio dei cittadini onesti.

Chiederò per questo al procuratore Francesco Greco di riaggiornare rapidamente le conclusioni del lavoro svolto l’anno scorso, per consentirci di avviare un piano articolato sul tema della legalità e dei capitali all’estero.

La delega fiscale darà poi stabilità e certezza al regime impositivo, contribuirà a rendere più sistematica la lotta all’evasione e a migliorare i rapporti tra fisco e contribuenti, oltre che a consentire una revisione periodica dell’entità complessiva e delle motivazioni delle agevolazioni fiscali.

Vogliamo procedere ad una revisione della struttura delle aliquote dell’IVA e anche l’introduzione della service tax permetterà di accrescere la responsabilità fiscale dei Comuni, secondo un principio molto elementare di “vedo-pago-voto”.

Voglio peraltro porre in rilievo – e voglio insistere su questo punto al di là di tutte le cose dette, spesso a partire da informazioni sbagliate, in questi mesi e in questi ultimi giorni in particolare – che questi cinque mesi di Governo hanno già determinato un primo significativo sollievo fiscale per gli italiani.

A chi ancora oggi fa polemiche sul tema del fisco ricordo che grazie al nostro Governo gli italiani hanno pagato, in questi cinque mesi, meno tasse rispetto al previsto per oltre 3 miliardi di euro e anche questi sono fatti, non sono rinvii. Con la legge di stabilità e i provvedimenti collegati punteremo, come ho detto, ad una riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro in entrambe le componenti, quella a carico del datore di lavoro e quella a carico del lavoratore. Dunque (lo scandisco bene): più soldi in busta paga per il dipendente, più margini di competitività per le imprese, riattivazione della domanda interna. Più incentivi all’assunzione dei lavoratori a tempo indeterminato. E poi: sgravi fiscali per le start up innovative; rafforzamento dell’ACE (l’aiuto per la crescita economica messo in campo dal Governo Monti) così da incentivare la patrimonializzazione delle imprese e gli investimenti; avvio di un importante programma di dismissioni immobiliari e privatizzazioni e razionalizzazione delle società controllate, statali e locali.

Nessuna svendita, ma fondamentali immissioni di nuovi capitali per essere più competitivi ed evitare quelle delocalizzazioni che soprattutto nelle Regioni del Nord, con le vicine e competitive aree della Slovenia, dell’Austria e della Svizzera, rendono complesso il lavoro delle nostre piccole e medie imprese.

L’azione congiunturale e le riforme strutturali devono essere collegate strettamente, dobbiamo completare gli interventi già avviati nei campi della giustizia civile, della regolamentazione e della riforma della pubblica amministrazione. Su questa traccia muove il Piano destinazione Italia, presentato personalmente alla comunità finanziaria mondiale la scorsa settimana.

Si tratta di un pacchetto di certezze con tre priorità assolute: assicurare agli investitori stranieri e ai nostri imprenditori la certezza del fisco, essenziale per la pianificazione degli investimenti; la certezza dei tempi, appunto con la riforma della giustizia civile; la certezza delle regole, per esempio con la riforma della Conferenza dei servizi e con un Testo unico sulla normativa del lavoro.

Più in generale, proprio in tema di regole, sulla giustizia il nostro lavoro potrà basarsi sulle importanti indicazioni contenute nella relazione conclusiva del gruppo di lavoro nominato dal presidente Napolitano il 30 marzo 2013.

In questo quadro di opportune e urgenti riforme si collocano sia l’adempimento degli obblighi europei (a cominciare dal rispetto delle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea) sia la necessità di ulteriori misure per affrontare la questione carceraria, oggetto di un annunciato messaggio del Capo dello Stato alle Camere e di un suo appassionato discorso nell’ultima visita al carcere napoletano di Poggioreale.

Tornando al piano di attrazione degli investimenti «Destinazione Italia», abbiamo iniziato a costruirlo fin d’ora perché il momento in cui il mondo farà rotta sull’Italia è dietro l’angolo. EXPO 2015 è dietro l’angolo, guai a considerarlo soltanto un evento: è la scossa di fiducia con cui ci scrolleremo di dosso una volta per tutte quella cappa di autolesionismo e minimalismo che troppo spesso ha accolto le nostre paure. È un’occasione per tutta l’Italia ed è, in particolare, una grande sfida per il Nord e per le aree più produttive del Paese.

Il tema dell’EXPO «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita» è straordinario, scritto proprio pensando a noi italiani, alla forza dell’ambiente, dell’agricoltura, dell’enogastronomia italiana, che anche nella crisi hanno trascinato il made in Italy nel mondo. Insieme possiamo nutrire l’Italia che fa crescere ogni giorno la ripresa.

In parallelo, occorre portare a compimento l’assetto del decentramento fiscale e completare gli atti, rimasti ancora in sospeso, che riguardano il federalismo fiscale. Le linee guida del Governo sono l’equilibrio di bilanci, la responsabilità fiscale, la semplificazione. Occorre muovere verso un vincolo di bilancio pienamente coerente con la riforma costituzionale, prima di tutto costruendo un Patto di stabilità interno più intelligente, strategico, industriale e non solo contabile, capace di stimolare gli investimenti anziché bloccarli sia con l’obiettivo di creare lavoro in questa fase di crisi sia perché, senza investimenti, non esistono innovazione, riforme e crescita.

Lo faremo nel rispetto del ruolo dei territori, nel rispetto del ruolo dei Comuni, che dobbiamo liberare, e nel rispetto del ruolo delle autonomie speciali.

La ripresa della attività produttiva attenuerà la disoccupazione e le diffuse condizioni di disagio economico. È, però, indispensabile potenziare sotto il profilo quantitativo e qualitativo gli strumenti di sostegno alle fasce deboli della popolazione: i centri per l’impiego, le misure per l’inclusione sociale, il contrasto alla povertà. Milioni di persone vivono oggi in Italia in una situazione di estrema vulnerabilità. Non c’è niente – davvero niente – di più urgente e indispensabile che continuare, come abbiamo iniziato a fare, a mettere in moto strumenti concreti per attenuare la loro disperazione, per evitare che essa si trasformi in rabbia e in conflitto. Nella legge di stabilità inseriremo il sostegno all’inclusione attiva, per aiutare le famiglie povere, specialmente quelle con figli minori, condizionato ovviamente alla prova dei mezzi, all’attivazione sul mercato del lavoro e ad altri impegni da parte dei beneficiari. L’aver già approvato in questi mesi la Carta per l’inclusione sociale dimostra che anche su questo terreno, altro che rinvii: le prime risposte sono arrivate, altre arriveranno.

Questo, onorevoli senatori, è valido per tutto il Paese, ma a maggior ragione è valido per il Sud. In questi primi cinque mesi abbiamo puntato per il Sud sugli investimenti, sulla scuola, sulla cultura, sulle infrastrutture.

Sulla cultura, insisto sulla portata del grande piano per Pompei, oggi finalmente in grado di farne uno dei simboli dell’Italia che torna ad investire sul suo migliore patrimonio.

Abbiamo inserito poi l’obiettivo Mezzogiorno nel nuovo piano industriale della Cassa depositi e prestiti che, complessivamente, prevede investimenti fino a 95 miliardi di euro nel periodo triennale.

Dobbiamo lavorare per garantire a costi accessibili la continuità territoriale, in particolare per la Sardegna. Lo sblocca cantieri ha fatto ripartire la metropolitana di Napoli, l’Alta Velocità Napoli-Bari, la progettazione dell’Alta Velocità fino a Reggio Calabria, le autostrade Agrigento-Caltanissetta e Ragusa-Catania.

Ancora, sul Sud vogliamo vincere la grande battaglia contro la dispersione scolastica. Abbiamo stanziato i primi 15 milioni per far sì che il reclutamento della scuola batta il reclutamento della strada; che tutti i nostri ragazzi abbiamo diritto al futuro con l’istruzione. Perché al Sud, lo sappiamo, l’intensità di ogni problema è moltiplicata all’ennesima potenza; perché al Sud peggiore perfino della rabbia rischia di essere la disillusione e lo scoramento di milioni di giovani, donne, innanzitutto; perché al Sud l’impatto devastante della crisi si accompagna all’effetto della rivoluzione perennemente annunciata e mai arrivata: quella fatta di secoli, di promesse mancate, di illusionisti, di scorciatoie, quella che allontana il Sud dall’Italia e rischia di allontanare l’Italia dall’Europa.

A proposito di Europa, le prossime settimane saranno decisive per i fondi strutturali europei. Gli atti di programmazione del nuovo ciclo 2014-2020 vanno definiti, negoziati ed approvati entro i primi mesi del 2014. Le risorse del vecchio ciclo vanno spese assolutamente entro il 2015, pena il disimpegno.

Abbiamo alle spalle un grande lavoro di ricognizione e razionalizzazione, culminato con la creazione dell’Agenzia per la coesione, proprio per impiegare al meglio i fondi europei di oggi e quelli che verranno. Non possiamo permetterci di buttare tanti soldi alle ortiche. Non siamo nelle condizioni di sprecare risorse, di sprecarle ancora.

Le risorse, tanto più in questa stagione, dobbiamo impiegarle bene e laddove davvero servono a costruire futuro. E insisto su questo punto. Per noi italiani cultura e educazione dovranno essere il cuore della nostra riscossa. Abbiamo già cominciato a dare il primo segnale di inversione di tendenza con i due decreti di agosto e di settembre: “Valore Cultura” e “L’istruzione riparte”.

Sono forse tra i risultati di cui vado più fiero. La strada anche qui è tracciata. Se ci darete la fiducia la percorreremo con maggiore convinzione e slancio ancora. Cultura ed educazione devono essere il centro della nostra ripartenza. Anche, e forse soprattutto da questo, dipende il nostro futuro in Europa e nel mondo.

Al G8 e al G20 abbiamo intensamente lavorato per supportare la risoluzione politica del dramma siriano; ciò a dispetto dello scetticismo iniziale con il quale sono stati commentati certi interventi. L’intesa raggiunta nei giorni scorsi a New York da conto del nostro contributo e riflette anche la posizione italiana, sulla quale, peraltro, hanno finito per convergere anche gli altri Paesi europei: centralità delle Nazioni Unite, condanna inequivocabile dell’utilizzo delle armi chimiche, massimo impegno nell’aiuto umanitario per il dramma senza precedenti di oltre 2 milioni di rifugiati.

Onorevoli senatori, nel 2014 l’Italia assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, per l’unica volta in questo decennio. Quella precedente era nel 2003, 10 anni fa. La prossima volta sarà tra 15 anni. Il 2014 è domani. È un anno decisivo; un anno in cui non possiamo permetterci di far tacere o mancare la voce dell’Italia.

Le parole crescita e lavoro saranno al centro del nostro semestre. Sarà il primo semestre della nuova legislatura 2014-2019. Dovremo fare, di quella legislatura europea, la legislatura della crescita dopo la legislatura dell’arretramento e della sola austerità che in Europa abbiamo vissuto dal 2009 ad oggi.

Porteremo al centro dell’attenzione continentale una gestione attenta e solidale del fenomeno delle migrazioni, partendo dall’appello di Papa Francesco a Lampedusa. L’Europa riparlerà finalmente di Mediterraneo.

Subito però scrolliamoci di dosso l’idea che stare in Europa voglia dire «fare i compiti a casa». L’Europa non è un compitino, è un cammino dei popoli, in cui l’Italia non deve mettersi da sola dietro la lavagna, ma agire da guida, perché l’Italia può farlo. In questi mesi abbiamo dimostrato, onorevoli senatori, che nei cambiamenti dell’Europa l’Italia può essere protagonista. Abbiamo portato l’Europa, con una iniziativa italiana, ad affrontare il grande dramma del nostro tempo: la disoccupazione giovanile. Oggi possiamo e dobbiamo fare di più, anzitutto su difesa e sicurezza e sulle politiche industriali, per raggiungere l’obiettivo di far arrivare il nostro manifatturiero al 20 per cento del PIL entro il 2020, per far sì che un’industria più forte sia volano dell’innovazione. Anche per questo, al Consiglio europeo di fine ottobre punteremo tutto sullo sviluppo dell’Agenda digitale, tema fondamentale proprio per la competitività dell’Italia ed il recupero dei tanti, troppi, divari Nord-Sud.

Onorevoli senatori, abbiamo il diritto di sognare gli Stati Uniti d’Europa, per noi e soprattutto per i nostri figli. Ma non è più tempo solo di sogni. La buona battaglia per l’Europa, che segnerà l’Europa dei prossimi 15 anni, si gioca ora, nel 2004: come si muore di austerità, si può morire di timidezza, di assenza di leadership.

Abbiamo un’agenda ambiziosa per il 2014, sulla rotta Italia-Europa, fatta di appuntamenti urgenti ed irrinunciabili: penso all’attuazione della Garanzia giovani a partire da gennaio, con il lavoro necessario sui centri per l’impiego, e al piano per l’edilizia scolastica con la Banca europea per gli investimenti. Sono politiche pubbliche italiane ed europee che valgono oltre 2 miliardi di euro per il nostro Paese.

L’Italia può arrivare forte e credibile al 2014 quando guideremo l’Europa per costruirla (e raccontarla) più unita, più solidale e più vicina ai cittadini. Ma non c’è influenza senza credibilità. Credibilità vuol dire conti in ordine, stabilità politica, obiettivi politici chiari.

Possiamo scegliere di chiuderci nel nostro cortile delle lotte di politica interna oppure possiamo giocare all’attacco, impegnando tutte le nostre carte su quell’unione sempre più stretta tra i popoli europei, in cui intendo impegnarmi nei prossimi mesi. La nostra prova arriva adesso: dimostriamo all’Europa intera, con il nostro ambizioso semestre, che non è un caso che il Trattato dal quale ha preso le mosse quella che poi sarebbe diventata l’Unione sia proprio il Trattato di Roma, il Trattato firmato a Roma, il Trattato firmato in Italia.

Signor Presidente, onorevoli senatori, il Paese – e vado a concludere – è stremato dai mille conflitti di una politica ridotta a cannoneggiamenti continui da un fronte all’altro, una politica tanto più rissosa quanto più immobile, ripiegata su se stessa, sorda ai veri interessi di chi dovrebbe rappresentare: gli italiani. Questa è l’occasione giusta per dire basta.

L’appello che rivolgo a tutti quanti siedono in quest’Aula lo rivolgo in primo luogo a me stesso: basta con la politica da trincea, concentriamoci finalmente solo su ciò che dobbiamo fare, sulle risposte concrete che il Paese si sta persino stancando di chiederci e che invece ha il pieno diritto di rivendicare: le risposte che si attendono le donne (e so bene che il nostro decreto contro il femminicidio è importante, ma è sul terreno delle pari opportunità, della vera applicazione delle pari opportunità, che dobbiamo muovere in maniera sempre più incisiva); le risposte che dobbiamo dare in materia di ambiente; le risposte che dobbiamo dare in materia di contrasto alle mafie, di quel presidio all’ordine pubblico e della legalità che in questi mesi è stato uno dei capisaldi della nostra azione; le risposte che passano per ulteriori investimenti seri nella scuola, nella ricerca, nella cultura e nell’università.

Onorevoli senatori, coraggio e fiducia è quello che torno a chiedervi. Mi appello oggi al Parlamento, mi appello al Parlamento tutto. Dateci fiducia per realizzare questi obiettivi; dateci fiducia per tutto ciò che si è fatto e si è impostato in questi pochi mesi, una fiducia che non è contro qualcuno. È una fiducia per l’Italia, una fiducia per le italiane e per gli italiani, una fiducia per tutti coloro che aspettano dal Parlamento, dalle istituzioni, dalla politica comportamenti, parole in base ai quali orientare le proprie scelte e su cui fondare ciò che abbiamo il dovere di restituire ai nostri figli: la speranza.

L’11 marzo del 1947 un grande liberale, Benedette Croce, si rivolse in Parlamento ai suoi colleghi costituenti, nell’Assemblea costituente, con le stesse parole che io vorrei oggi qui sommessamente rivolgere ad ognuno di voi, personalmente prima che decidiate se votare il si o il no alla fiducia. Diceva Benedetto Croce: «Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, con il suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso».

Gli Innovatori Europei per un’altra politica. “Sapere abilita l’Uomo”

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Gli Innovatori Europei per un’altra politica 

“Sapere abilita l’Uomo” 

Innovatori Europei partecipa al dibattito politico italiano, a cominciare dal congresso del Partito Democratico, per contribuire all’azione riformatrice che serve nelle istituzioni, nell’economia e nella società italiana, nell’orizzonte della unificazione europea. Il tema centrale del nostro impegno sarà “Sapere abilita l’Uomo”. Attorno ad esso apporteremo contributi di innovazione su questioni interagenti e prioritarie come:

  • Federazione europea dei popoli, traguardo non procrastinabile.
  • Innovazione del sistema pubblico politico e amministrativo.
  • Apertura della politica alle forze associative e alle competenze della società
  • Protagonismo di giovani e donne, motori del rinnovamento italiano.
  • Ricerca e Innovazione: metodo guida per la società e la politica.
  • Smart cities e green economy per lo sviluppo sostenibile europeo.
  • Politiche industriali ed infrastrutturali per il Sud nell’Euro Mediterraneo
  • Pluralismo radiotelevisivo nell’era del digitale
  • Politiche di rilancio industriale e sviluppo competitivo del Paese
  • Incentivare e sostenere le aziende innovative
  • Redistribuire risorse per produrre lavoro e crescita sostenibili
  • Nuove politiche sanitarie nell’Italia del dopo crisi
  • Nuovo protagonismo per le comunità di italiani all’estero
  • Internazionalizzare il Paese per favorire una nuova crescita interna

Con questo documento avviamo una discussione aperta che ci porterà agli Stati Generali degli Innovatori Europei, che si terranno il prossimo 9 Novembre a Roma.

Il tutto nella direzione del rafforzamento del ruolo di Innovatori Europei quale piattaforma di sviluppo di progetti politici complessi, in Italia ed in Europa, a partire dalle città.

Per aderire e contribuire al dibattito: email infoinnovatorieuropei@gmail.com o Facebook

Roma, 24 Settembre 2013, Gli Innovatori Europei – www.innovatorieuropei.org

Massimo Preziuso, Giuseppina Bonaviri, Paolo Di Battista, Osvaldo Cammarota,  Filippo Bruno Franco, Stefano Casati, Luisa Pezone, Antonio Diomede, Paolo Salerno, Gaetano Daniele La Nave, Michele Mezza, Mario Polese, Marco Frediani, Francesco Augurusa, Luigi Della Bora, Andrea Sabatino, Zaira Fusco, Daniele Preziuso, Ruggero Arico, Paolino Madotto, Francesco Zarrelli, Aldo Perotti, Nicola Pace, Domenico Varuzza, Paolo Cacciato, Anna De Ioris, Dario Mastrogiacomo, Antonio Giuseppe Preziuso, Diego Bevilacqua, Gianclaudio Oliva

CHI SIAMO

Dal 2005 Innovatori Europei (www.innovatorieuropei.org) mette insieme variegate esperienze di protagonismo associativo di matrice europeista. Oggi, IE è una realtà densa di iniziative innovative, che guardano ai territori italiani, con un orizzonte internazionale ed europeo. La nostra idealità è da sempre quella di costruire una rinnovata e migliore proposta politica riformista che guidi l’Italia verso i successi che merita e attende, ponendoci quale serbatoio di competenze e comunità di persone al servizio del bene comune.

Cosa ci dice l’evasione fiscale nel nostro territorio

immagine di Giuseppina Bonaviri

 “Il Sole” ha pubblicato la stima dell’evasione fiscale nelle 103 province italiane elaborata dal Centro Studi Sintesi. Il Centro ha incrociato i dati, relativi al 2011, del reddito disponibile pro-capite, con il benessere effettivo delle famiglie ed ha ricavato una graduatoria, in cui tanto più alta è la differenza fra i due dati, tanto maggiore è stimato l’ammontare del reddito che è sfuggito al fisco. La provincia di Milano è considerata con 152 punti quella con il minore tasso d’evasione;  quella di Ragusa, con 52 punti, la meno virtuosa. Nel Lazio, la provincia di Roma occupa l’11° posto,con 123 punti; le altre quattro, sono nella parte finale della graduatoria: Frosinone è all’86° posto, Rieti e Latina all’94°, Viterbo al 98°.  

 Fanno riflettere le stime dell’evasione fiscale, nel 2011, nelle province italiane pubblicate dal quotidiano economico della Confindustria, sia per i livelli di evasione stimati paragonabili a quelli delle province meridionali maggiormente in ritardo nello sviluppo sia per l’arretramento  della situazione socio-economica, nel 2012 e nel 2013, come più volte denunciato anche da Confcommercio, Confindustria Lazio e da Cgil, Cisl, e Uil.

Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che un maggiore benessere potesse essere conseguito allentando “lacci e lacciuoli”: liberare le risorse morali e culturali della società civile ed i vincoli della Pubblica Amministrazione, per inseguire le migliori opportunità, sperando che questo condizioni fossero sufficienti ad una crescita complessiva. Ciò non si è verificato e la crisi mondiale ha ulteriormente aumentato le disuguaglianze e gli squilibri esistenti nel nostro territorio e fra questo ed il resto della regione, in particolare con la Capitale.

Eppure per quanto grave dovremmo evitare di soffermarci sul riflesso economico ed osservare le conseguenze che un così elevato tasso di evasione fiscale produce nella sottostante situazione sociale e della convivenza civile.

Una prima considerazione è che le dimensioni dell’evasione nel nostro territorio è tipica di economie locali in cui situazioni di eccellenza sopravvivono in un contesto di sottosviluppo. Assumerne consapevolezza significa intervenire in quell’indispensabile potenziamento del territorio che l’accordo di programma di 80 milioni di euro, dovrebbe iniziare a rendere possibile, per invertire la tendenza. Il secondo elemento di questa strategia è recuperare un’autonomia fiscale a livello comunale in grado d’essere meno gravosa sulle attività produttive e con l’auspicio di far emergere, con accordi sugli oneri sociali ed i contratti, le attività economiche in nero. Un’esigenza questa di cui si dovrebbe farsi carico anche la Regione Lazio.

Una seconda considerazione che scaturisce dalla stima dell’evasione fiscale è che il reddito sottratto al fisco attraverso l’economia sommersa e il lavoro nero, chiama in causa un’emergenza economica e sociale più vasta: i finanziamenti al consumo e alla produzione al di fuori dei circuiti legali. Non è questa una novità per la provincia di Frosinone: la Rete La Fenice e Libera denunciarono già nel dibattito pubblico avvenuto a Frosinone nel dicembre 2012 -in occasione della prima conferenza tematica “ Per una Regione libera dalle mafie e dalla corruzione”- le dimensioni gigantesche del fenomeno e l’inquinamento che produce nella vita collettiva: Cassino e Frosinone- secondo le stime  2011/2012 dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della nostra Regione- si trovavano ai primi posti tra i comuni dell’intera Regione come il paradigma negativo di quello che succede in una regione amministrata male. Infatti il lavoro senza tutele e l’immissione illegale di capitali che non di rado sconfina nell’usura e nell’espropriazione di proprietà ed attività economiche per quanti non  sono in grado di assolvere agli impegni assunti, sono forme di subalternità fisica e psicologica delle persone di cui occorre avere piena consapevolezza nell’interesse di tutti.

C’è infine un aspetto nell’evasione fiscale che sembra essere divenuto retorico ma che, invece, non lo è affatto: il venir meno del rispetto della legalità. La trasgressione dell’obbligo fiscale è una insidia per il più generale rispetto delle leggi e dell’autorità dello Stato. Deve inquietare in pari misura i responsabili della cosa pubblica ed i cittadini: i primi per la delegittimazione del proprio operato, i cittadini per il venir meno della consapevolezza d’esser essi stessi parte di una unica comunità. L’intreccio sempre più stretto tra corruttela e criminalità e non soltanto quella organizzata, favorisce un clima opaco e lesivo del libero svolgimento delle attività istituzionali ed imprenditoriali, alimentando l’incertezza del diritto, minando la sensibilità e la coscienza morale del paese con un sentimento diffuso di sfiducia che, di per sé, è nocivo allo sviluppo dell’intera Nazione.

 

 

 

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