Significativamente Oltre

leadership

Clonare @fabriziobarca

 di Alessandro Aresu (su Lo Spazio della Politica)

Negli ultimi giorni ha preso piede il rumor giornalistico-politichese (a partire dall’articolo di un quotidiano maestro di questo genere ) secondo cui il Ministro della Coesione Territoriale Fabrizio Barca potrebbe essere un nuovo Romano Prodi, capace di unire i delusi di questa stagione politica in un progetto di rilancio dell’Italia.

Questa notizia mi ha sorpreso, perché avevo deciso, a partire da uno scambio di battute su Facebook con Massimo Preziuso, di dedicare a Barca una nuova puntata della serie di profili de Lo Spazio della Politica che propongono la “clonazione” delle personalità italiane che ci hanno colpito (una storia cominciata qui). Finora non ho mai preso posizione sulle figure da clonare e non vorrei basarmi su indiscrezioni giornalistiche, ma su un altro livello di approfondimento. Prima, una breve nota sulla serie della “clonazione” dello Spazio della Politica: cerca di essere un esercizio con una morale, perché l’attenzione per le personalità (senza che diventi un’ossessione) vuole dare l’idea di una cultura dell’esempio. Ognuno di noi si porta appresso un pantheon di maestri diretti e indiretti, consapevoli e non consapevoli. Non è possibile basare un percorso e una visione del mondo solo su di sé e vale la pena di stare in dialogo, se si vuole crescere.

La stessa descrizione del ministero di Barca, per la coesione territoriale, è il primo passaggio  su cui vale la pena di soffermarsi. Direi che, prima dei colpi giunti dalle recenti vicende, è stata la scelta politica con cui Giorgio Napolitano ha allungato le celebrazioni dell’Unità d’Italia e tolto la stagione leghista dall’agenda. Al posto del federalismo, la coesione: si tratta di un ministro senza portafoglio, ma il messaggio che fornisce è opposto a quello della retorica della rivendicazione di indipendenza per una parte dell’Italia rispetto a un capro espiatorio, sia nella prospettiva del Nord che nella prospettiva del Sud. Allo stesso tempo, con Barca Napolitano ha recuperato una figura che, rispetto ai colleghi ministri, presenta alcune particolarità. È vero, proviene dall’amministrazione pubblica come molti altri. Troppi, a mio avviso, non solo perché Lucio Caracciolo è meglio di Terzi ma per un motivo che non riguarda le nostre preferenze faziose: quando hai un problema di inefficienza della spesa pubblica l’amministrazione centrale è pienamente coinvolta, ed è utopico pensare che si impegni seriamente per l’autoriforma, a partire dall’autocritica necessaria per ogni processo di questo tipo.

Il padre di Fabrizio Barca, Luciano, è stato responsabile economico del PCI, e lui è stesso è stato membro di quella fucina di classe dirigente che è stata la Federazione dei Giovani Comunisti Italiani. Più ancora che sulla sua collocazione politica, tuttavia, vorrei soffermarmi su tre punti. Il primo riguarda proprio la necessità di riempire di contenuto l’espressione continuamente ripetuta, “classe dirigente”, nel contesto della storia dello sviluppo e dell’impresa in Italia. Un profondo conoscitore della società e dell’impresa italiana, Giulio Sapelli, ha pubblicato un pamphlet critico sul governo dei professori (si può leggere per intero su Linkiesta), in cui se la prende contro la “crudeltà istituzionale” del governo e scrive:

I professori italiani, come quelli europei e di tutto il mondo, vivono nell’iperuranio dell’astrattezza, in primo luogo gli economisti che troppo spesso sono solo professori e non intellettuali, con conseguenze ancor più umanamente devastanti: concepiscono i soggetti umani come cavie e non come persone.

Chi, come lo stesso Sapelli, ha letto “Storia del capitalismo italiano”, sa che questa definizione non si applica affatto a Barca, che i suoi lettori conoscono come intellettuale. In quel testo, l’economista parte dal progetto incompiuto di Raffaele Mattioli (che nel 2012 compie quarant’anni) dell’Associazione per lo studio della classe dirigente dell’Italia unita e compie un’analisi pregevole della fase “gloriosa” del capitalismo italiano secondo la categoria del compromesso senza riforme. È un saggio che consiglio a tutti quelli che sono interessati a capire le occasioni mancate dello sviluppo italiano, in un volume che spicca anche per la capacità del curatore di aggregare alcuni dei migliori studiosi che aiutano a comprendere il nostro Paese, da Franco Amatori a Marcello De Cecco. Analisi di questo genere segnalano, tra l’altro, che la risposta alla domanda cruciale “Come è fatta l’Italia e come è possibile cambiarla?” non deve giungere necessariamente dai consulenti di Boston Consulting Group o di McKinsey. Non è obbligatorio pagare profumatamente questa gente affinché ci insegni a pensare e a vivere sotto forma di report. La risposta può giungere anche da chi l’Italia l’ha girata di persona e, come nel test dell’ultimo libro di Charles Murray, ha magari messo almeno una volta piede in un capannone o in una stalla. E può venire da quei serbatoi, come la Banca d’Italia, in cui il nostro Paese, tra pregi e difetti, ha mostrato di poter produrre classe dirigente. Senza alcuna stupida presunzione autarchica e avendo sempre davanti l’errore del dopoguerra, quella “rinuncia a disegnare un meccanismo istituzionale che assicuri il rinnovamento del ceto dirigente”, altrimenti il “compromesso senza riforme” si trasforma in “nostalgia senza progetto”. Confortati da nuove testimonianze, ci ritroviamo ancora a celebrare il grande Raffaele Mattioli, senza sapere che fare, un po’ sconfortati.

Il secondo punto per cui abbiamo bisogno di “Clonare Fabrizio Barca” riporta all’articolo di Chiara Mazzone che abbiamo pubblicato a gennaio, “Ce la faremo a spendere i fondi europei nel 2012?”, a cui rinvio per maggiori approfondimenti. L’innesto tra interesse nazionale e politica europea è uno dei punti su cui Lo Spazio della Politica cerca di spendersi di più, fin dai contributi di Moris Gasparri e Matteo Minchio al nostro lavoro collettivo sull’Europa di tre anni fa. Già nel 2003, su Limes, Barca invitava a “prendere sul serio la politica di coesione comunitaria, attiva, con i suoi 30 miliardi di euro annui di dotazione” suggerendo per il Paese una mappa in quattro punti: per la competitività di tutte le regioni, meno aiuti di stato e addizionalità, difendere la “Maastricht del Mezzogiorno” e riformarne le regole, contenere il contributo finanziario netto dell’Italia. Dopo dieci anni, giornali come “Il Corriere della Sera” indicano con un cronometro il tempo trascorso dall’impegno dei presidenti delle camere per la riforma sul finanziamenti ai partiti. È un tema di rilievo e sentito fortemente dai cittadini, come quello che riguarda la legge elettorale. Allo stesso tempo, noi pensiamo che sia altrettanto urgente, seppur più faticoso da inserire nel dibattito pubblico, il cronometro dei fondi europei. Un tema non percepito, ma cruciale, perché dietro quel cronometro vi sono grandi, medie e piccole opere infrastrutturali, nuove imprese, percorsi di formazione, posti di lavoro, oltre alla questione dell’efficienza della nostra amministrazione pubblica. Dobbiamo anche pensare a questo, magari in una pausa dei nostri continui litigi, e a Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellin, che negli edifici riqualificati nelle zone degradate delle città faceva appendere lo striscione “le vostre tasse sono qui!”. Anche questo sarà un mattoncino della coesione, che vince quando è più concreta della paura e del generico auspicio della bellezza della tassazione, e quando non si riduce al semplice catalogo delle cose da fare.

Infine, e questa è la ragione del titolo, il terzo motivo per cui vale la pena di clonare il ministro Barca riguarda il suo uso di Twitter. Il ministro è su Twitter dal 5 dicembre 2011 e la lettura integrale delle sue comunicazioni (la parte curata dallo staff è molto minoritaria, anche se presente per la cronaca live degli eventi) dà una buona prospettiva sulla sua attività di governo, dal racconto delle diverse città e strade italiane che ha visitato, al suo profilo di studioso (vedi i tweet sul servizio dell’Economist sull’ascesa del capitalismo di stato, qui il dibattito) per giungere poi al punto più importante, l’interazione con i cittadini, oltre che con i giornalisti e le altre autorità. Questa parte del profilo di Barca, con un po’ di buona volontà, non sarà poi difficile da clonare.

Chi si ferma è perduto

globalizzazione

di Fabrizio Macrì

Ginevra 15 marzo 2010, Palais des Nations, sede delle Nazioni Unite.

Nelle sale conferenza 25 e 26 di questa storica sede si è svolto un interessantissimo simposio tra accademia, agenzie governative e organizzazioni internazionali sul tema degli investimenti diretti esteri. L’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) è la massima autorità mondiale in materia e da ormai 20 anni produce il World Investment Report, pubblicazione di riferimento per chiunque si occupi di analizzare i flussi di investimento tra Paesi. Scopo dell’incontro: una definizione degli ambiti di ricerca in questi campo negli anni a venire con particolare attenzione alle esigenze dei paesi in via di sviluppo e degli obiettivi di sviluppo sostenibile per l’economia mondiale.

Un magnifico incontro tra istituzioni specializzate (l’UNCTAD appunto), agenzie governative preposte tra le altre cose al marketing territoriale e accademia, qui fortemente rappresentata ed assoluta fonte di ispirazione per tutti i partecipanti alla conferenza.

La discussione partita apparentemente a ruota libera, presto si concentra sullo scottante tema del rapporto tra istituzioni (organizzazioni internazionali, governi ed enti locali) ed aziende multinazionali generatrici dei flussi di investimento internazionali.

La dicotomia che viene qui immediatamente affrontata e che divide le menti presenti è quella tra politica pubblica ed interesse privato, tra etica democratica e dei diritti umani e share holders value, dividendi delle TNC’s (Trans-national Corporations) autrici di forti investimenti nei Paesi in Via di Sviluppo.

La domanda che tutti si pongono è: dato per scontato che il libero mercato ed il crescente processo di internazionalizzazione delle economie in atto portano inevitabilmente a dei “market failures”, degli “errori di mercato” e quindi degli squilibri sociali, quali politiche pubbliche devono essere messe in atto per correggerli e per far si quindi che i flussi di investimento siano compatibili con le esigenze di sviluppo dei paesi poveri?

Cosa bisogna fare, per scendere nel concreto, per evitare che gli investimenti fatti nel Mozambico si concentrino nell’area metropolitana della Capitale Maputo dove per le multinazionali è più facile realizzare profitti immediati, ma che si dirigano anche nelle aree più periferiche e si traducano in infrastrutture, utilities e servizi pubblici utili alla maggioranza della popolazione che vive in condizioni di miseria?

E soprattutto sono i Governi nazionali gli interlocutori più affidabili per garantire il connubio sviluppo economico e diritti umani, crescita degli utili d’impresa e allargamento della democrazia?

Quale livello di Governance deve essere coinvolto, quello delle istituzioni internazionali, dei Governi nazionali o degli enti locali da cui spesso hanno origine gli incentivi per l’attrazione degli investimenti esteri sui territori? Di fronte a questi temi epocali che attengono al destino politico-economico del Pianeta, l’UNCTAD, già di per se dotata di uno staff internazionale di fini economisti, chiede aiuto con questo simposio al mondo dell’accademia, delle più prestigiose università internazionali, presenti per l’Italia l’Università di Torino, di Urbino e la Bocconi di Milano.

Di fatto l’organizzazione nr.1 al mondo chiede aiuto a squadre di giovani e brillanti ricercatori provenienti da tutto il mondo e lascia loro mano libera nella ricerca di soluzioni che forse un giorno arriveranno, attraverso i canali dell’ONU all’attenzione dei Governi e dei decision maker internazionali. Indiscusse protagoniste sono le università del mondo anglosassone, USA e UK ma anche e soprattutto del Pakistan, della Cina e dell’India, impressionante la presenza di ricercatori africani, i più motivati e protagonisti assoluti della conferenza.

Ci si chiama per nome, si accompagnano all’esposizione di non banali concetti di economia internazionali, simpatiche e informali battute che rendono il terreno fertile, il confronto immediato e produttivo, la ricerca di risposte sincera.

L’Europa c’è ma tace, l’Italia è quasi assente..del resto mentre osserviamo ammirati l’evolversi di questo appassionante confronto, il pensiero non può che andare al dibattito che ci tiene impegnati nel Bel Paese: le intercettazioni, la procura di Trani, le epurazioni televisive, le elezioni regionali, parteciperà il PDL alle elezioni di Roma? Chi vincerà l’isola dei famosi? Un ministro malmena un giornalista, Emilio Fede ha un malore, il Milan esprime un calcio aggressivo e si riavvicina all’Inter.

In Italia ci siamo accorti che il Mondo corre e non aspetta? Ci siamo accorti che fuori dai nostri confini e anche fuori dai confini della Vecchia Europa si stanno formando classi dirigenti destinate a mettere in discussione l’egemonia americana sul mondo nel giro di dieci anni? Che ci sono decine di piccoli paesi ancora poveri ma ricchi di voglia di competenze, di giovani brillanti che parlano 5 o 6 lingue, modesti ma preparatissimi che aspettano solo di ribaltare la gerarchia del potere economico e politico nel mondo? Si sono accorti le centinaia di Ingegneri, Geometri Dottori, Onorevoli, Cavalieri e Saltimbanco che nella provincia italiana  sfoggiano eleganti cravatte e supponenza da vendere che il mondo parla di strategie nazionali, si chiede come conciliare sviluppo economico e democrazia, rispetto dell’ambiente ed innovazione tecnologica? Lo sanno costoro che cosa pensa l’Italia del suo ruolo da qui a 10 anni? Su quali mercati esporteremo, dove investiremo, chi verrà (se verrà) ad investire tra le Alpi e la Sicilia? Pagheremo finalmente i nostri migliori ricercatori, faremo finalmente ponti d’oro a cinesi, indiani africani per venire a studiare da noi, per invadere le nostre Università e travolgerci con il loro entusiasmo? Pronto Italia c’è qualcuno? Il mondo là fuori progetta il futuro, investe e scommette su cambiamenti radicali, da noi tutto tace.. silenzio… inizia il varietà a reti unificate…abbiamo bisogno di distrarci, meglio non pensarci.

Ex Grande Potenza Industriale vendesi, in buono stato ma ferma da 15 anni.

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