Significativamente Oltre

lavoro

1° Maggio e Politica del lavoro

In occasione della festa dei lavoratori, ecco alcune nostre considerazioni sul tema, nate da una discussione interna, coordinata da Luca Lauro:

Il lavoro è un bene pubblico, questa è la premessa di una corretta politica del lavoro, anche quando è lavoro privato.

La fase storica che stiamo vivendo è caratterizzata da un grave errore di valutazione da parte dei protagonisti siano essi i decisori quanto i rappresentati, l’idea che essere disoccupato sia un problema solo del singolo e non della società;

questa errata  valutazione sta de-strutturando le coscienze individuali e collettiva, condizionando negativamente la cultura occidentale e neanche l’eco della più importante disposizione della Costituzione, che dice l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, resiste a questo andazzo mediatico, sociale ed economico.

L’articolo 1 della Costituzione infatti intende ora come allora affermare e chiarire agli italiani qual’è la direzione verso cui guardare tutti senza esistazione e quali sono i valori i beni fondamentali che condividiamo in vita come nella morte:

la Res-pubblica, la ricchezza di tutti, la Demos-crazia il governo di tutti, il Lavoro, il fare di tutti.

Quindi sebbene il lavoro sia la più importante risorsa dell’economia la sub – cultura di oggi tende a considerarlo sempre di più come un problema anche da parte di chi ha le responsabilità pubbliche e politiche, proprio a causa di una radicata visione miope della realtà, che finisce per essere l’unica visione.

L’attuale politica del lavoro impostata dal governo in carica conferma questa impostazione:

si parte dall’assunzione di un obiettivo politico che è senza dubbio economicamente legittimo e opportuno, come l’aumento della produttività di sistema per essere concorrenti sui mercati internazionali, superare la crisi e rilanciare lo sviluppo, ma ciò dovrebbe avvenire con l’aumento delle ore totali di lavoro da un lato e la riduzione dei lavoratori impiegati nel processo economico dall’altro, lasciando a casa braccia e cervelli per una politica del lavoro asservita alla logica di poteri forti e circoscritti sia politici che  finanziari.

E’ evidente che lo stesso risultato può essere raggiunto in maniera più efficiente e meno rischiosa aumentando gli occupati, sicchè l’aumento dell’occupazione deve ritornare ad essere un obiettivo prioritario.

La verità è che l’attuale politica non ha il coraggio di attuare una vera riforma del lavoro che renda disponibile le forze sane alle parti di sistema produttivo che più ne hanno bisogno e allo stesso tempo non crea le condizioni per aggiornare e migliorare le professionalità che sono rimaste indietro, anche per la mancata innovazione dei processi produttivi ed economici in cui i lavoratori sono già impiegati:

la politica del lavoro deve ritornare ad essere politica di investimento nelle risorse umane, siano esse quelle di nuova entrata nel sistema siano esse quelle già coinvolte; tutti devono essere motivati a guardare nella stessa direzione e con fiducia dando un proprio contributo;

concretamente, le imprese che assumono a tempo indeterminato devono ricevere sgravi fiscali duraturi, ma altrettanti devono essere i benefici riconosciuti alle imprese che investono in programmi di formazione per aggiornare il livello professionale delle proprie risorse umane.

Questo nuovo trend non tarderà a ridare all’economia quello stimolo di cui ha bisogno da troppo tempo.

Sarà questo un tassello importante per riconoscere all’impresa quel ruolo sociale che merita quando lavora lealmente nel rispetto delle leggi e che deve aiutarci a superare l’idiota e fallimentare contrapposizione ideologica impresa/lavoratori che ancora ci impedisce di formulare soluzioni corrette ad un problema di sistema economico, tramite la politica del lavoro.

La necessità di aiutare i giovani a realizzare i propri desideri

di Massimo Preziuso

Vorrei fare alcune osservazioni sul dibattito che è scaturito dalla provocazione del Vice Ministro Martone, il quale ha detto ieri che ‘chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato’.

Si sono infatti subito manifestati due schieramenti, che provo a riassumente grossolanamente in: quello che vuole criminalizzare ‘i tanti giovani laureandi svogliati’ e quello che attacca un ‘sistema in cui tocca lavorare mentre si studia’.

Io faccio parte di un ulteriore partito: quello che vede la ‘necessità di adattarci ad una naturale traslazione del ciclo lavorativo stabile’, che si è già nei fatti spostato dall’intervallo 20-60 anni a quello del 30-70 anni per andare tra non molto ancora piu’ a destra verso il 40-80 anni.

Detto questo, visto che ormai si deve lavorare per legge fino a 70 anni, perchè non progettiamo (con contributo pubblico e privato), in maniera intelligente e efficace, un fondo di sostegno per i giovani, che li accompagni fino a quando essi non entrino stabilmente nel mercato del lavoro, permettendo loro di farsi una professionalità a cui ambiscono, senza trasmettergli le attuali angosce?

Se così si facesse, ci sarebbero numerosi effetti positivi sui giovani e sulla società tutta.

– Per primo, si vedrebbe in un attimo finire il precariato-sfruttamento su cui crescono malamente (rimettendoci alla fine nel loro percorso di sviluppo) oggi le aziende italiane, perchè reso possibile proprio dalle frustrazioni e dal senso di vuoto – smarrimento che oggi un giovane si trova a vivere (soprattutto ma ormai non solo in Italia) non appena esce dall’università (se non rientra nel famoso 110 e lode a 23 anni) e che gli fa accettare lavori che non centrano nulla con quello che potrebbe e vorrebbe fare, pur di placare un’ansia che tutta la società gli trasmette.

– Si vedrebbero così generazioni di giovani tornare a immaginare il proprio futuro piu’ vicino possibile ai propri desideri e aspirazioni, a cominciare da quelli professionali, che tanto sono importanti.

– Infine, cesserebbe una insana guerra intra e inter generazionale a chi entra o chi esce prima dal mercato del lavoro, che svilisce uomini e donne, e li rende schiavi e non parte attiva di un processo di crescita aziendale e sociale. Questa a mio avviso la logica nuova con cui un mondo (del lavoro) radicalmente cambiato va interpretato. E non quella della competizione sempre piu’ spinta, dell’efficienza a tutti i costi, che ammazza la creatività di un popolo pieno di cultura e di storia, che potrebbero tradursi in enorme crescita e innovazione se lo si lasciasse un po’ piu’ libero di pensare e agire in libertà.

Utopia? Non credo.

Se già il Governo Monti partisse dal ripensare la cassa integrazione, come sembra voler fare spostandone risorse verso un’idea di reddito di cittadinanza con baricentro inizialmente un po’spostato verso i giovani, si farebbe implicitamente un gran passo avanti nel cominciare a vedere gli italiani tutti, figli e genitori, (poter) tornare a rischiare per il proprio futuro e i propri desideri. E si vedrebbe l’Italia tornare a volare in pochi anni, al netto di qualsiasi altra doverosa ma non sufficiente riforma.

Il Sud sta morendo

di Francesco Grillo su Il Mattino

 Il Sud sta morendo. Potrebbe essere questa la sintesi del rapporto annuale della SVIMEZ presentato ieri a Roma. Sta morendo messo definitivamente nell’angolo dalla scarsa attenzione dei media e della politica, a Roma, così come a Napoli e a Bruxelles da una crisi più vasta che rischia di minacciare la stessa sopravvivenza del progetto europeo, così come di quello unitario. E, tuttavia, il rapporto – impietoso e condivisibile nelle analisi – appare non affrontare direttamente la questione delle classi dirigenti che è il nodo che ha strozzato qualsiasi prospettiva di sviluppo.

Più di quelle relative all’evoluzione del PIL, tra le molte cattive notizie che il rapporto fornisce, quella che colpisce di più riguarda il lavoro, i giovani, alla quantità e alla qualità di capitale umano che il Sud sta perdendo e, di conseguenza, a ciò che sta diventando la società meridionale.
La recessione nel Sud è, soprattutto, il crollo nel numero di occupati in un territorio che già prima della crisi vedeva le quattro grandi regioni del Sud collocate agli ultimi quattro posti tra le duecentocinquanta regioni europee.
Se tra il 2008 ed il 2010 in Italia si sono persi più di mezzo milione di posti di lavoro, ciò che impressiona è che il Sud – che rappresenta meno di un quarto dell’economia nazionale – ha assorbito più della metà di queste perdite. Ma ancora più eclatante è constatare che in effetti questa riduzione è interamente concentrata nella fascia di popolazione tra i quindici e i trentaquattro anni: in soli due anni gli occupati giovani si sono ridotti di una percentuale superiore al venti per cento. Questa ritirata in massa dei giovani dal mondo del lavoro nel Sud non è, peraltro, attenuata da un aumento del numero di persone che frequentano l’università: se nell’anno scolastico 2002 – 2003 il numero di diplomati che sceglieva di iscriversi ad un corso di laurea era simile nel Nord e nel Sud – e superiore al settantadue per cento – dieci anni dopo questo valore è crollato di dodici punti nelle regioni meridionali. Il risultato finale è l’incrementodei giovani che non sono né impegnati nello studio, né nel lavoro: i laureati con età inferiore a trentaquattro anni e che sono in una situazione di totale inattività sono centosettantamila ed il paradosso è che dovrebbero essere la punta più avanzata di una società che decidesse di voler essere normale.

La questione meridionale è, dunque, sempre di più questione generazionale. Del resto ai giovani del Sud rimane spesso solo l’opzione della fuga: seicentomila – buona parte laureati – si sono spostati verso il Centro Nord negli ultimi dieci anni lasciando progressivamente un Sud che – rispetto agli stereotipi – è semplicemente sempre più vecchio, sempre più assistito e soprattutto senza capacità di dare voce ad un progetto politico qualsiasi.

Il problema è ancora però quello delle classi dirigenti politiche ed amministrative che continuano a perdere un’occasione dietro l’altra e che hanno di fatto spezzato qualsiasi possibilità di ricambio lasciando a chi aveva competenza e talento solo la possibilità di andare via.

I dati, del resto, continuano a togliere qualsiasi legittimità alla lamentela sulla mancanza di fondi. È vero che la quota di spesa pubblica in conto capitale e, persino, quella corrente destinata al Mezzogiorno continua a scendere, come rivelano i dati della SVIMEZ. Tuttavia, è altrettanto vero che come dice la ragioneria generale dello Stato le regioni del Sud non riescono a spendere neanche i soldi dei fondi strutturali: a poco più di due anni dalla fine del periodo di programmazione 2007 – 2013 dei quarantaquattro miliardi di euro messi a disposizione dai programmi comunitari per lo sviluppo del mezzogiorno non ne sono stati spesi neanche cinque, laddove la peggiore prestazione è quella della Regione Campania che pure era una delle amministrazioni europee con la maggiore quantità di risorse a disposizione.

Non convince in questa situazione la creazione di nuove agenzie o di nuovi coordinamenti che rischiano di sommare tra di loro debolezze ed incapacità. Bisogna, invece, avere il coraggio di mettere pesantemente in discussione l’insostituibilità delle amministrazioni pubbliche.

Le idee che altre regioni che sono riuscite nel miracolo che solo alle regioni del Sud non riesce ci sono già: coinvolgimento di fondi di venture capital ai quali demandare l’individuazione e la condivisione del rischio di progetti innovativi; sostituzione di amministrazioni pubbliche incapaci – da individuare attraverso criteri oggettivi, semplici e trasparenti – con altre che si sono dimostrate migliori e che esistono anche al Sud a pochi chilometri di quelle inefficienti; distribuzione diretta ai giovani di parte delle risorse sotto formadi buoni con i quali comprare formazione o di incentivi fiscali per chi decida di tornare e di mettere a disposizione di un progetto il proprio talento; finanziamento di parte del capitale di cooperative di cittadini che accettino la sfida di far funzionare ciò – musei, siti archeologici – che lo Stato ha abbandonato.

Tutte queste misure partono però dal presupposto di porre concretamente la necessità di applicare concretamente il principio della sussidiarietà e dall’idea che nessuno possano usare risorse scarse senza darne conto e che ci sia, invece, nella società – anche in quella meridionale – l’energia per poter invertire declini che non sono mai irreversibili.

(pubblicato su Il Mattino il 28 settembre 2011)

Sabato 9 Aprile in piazza in tutta Italia contro il Precariato

Mentre la benzina vola verso i 1,6 Euro a litro, il Parlamento lavora giorno e notte attorno ai problemi giudiziari del Premier, la crisi libica e del mediterraneo diventano un mero problema di gestione “alla meglio” di flussi migratori, non esiste  alcuna azione di politica economica ed industriale in corso e, nel contempo, gran parte delle ultime due generazioni di italiani vivono in assenza assoluta di certezze…

…domani, 9 Aprile, è proprio il caso che scendiamo in piazza in tutta Italia contro il Precariato.

Massimo Preziuso

Roma, il 19 Luglio ore 21: “Il lavoro nella società della conoscenza”

 Lunedì 19 Luglio ore 21.00 Palco PDROMA – Festa del’Unità di Roma

Rete dell’innovazione, in collaborazione con Innovatori Europei, organizza

“Il lavoro nella società della conoscenza”

con On. Marianna Madia (Comm. Lavoro) e Paolo Guerrieri (Resp. Forum Economia Nazionale del PD) e Paolino Madotto (Rete dell’Innovazione)

Tra gli interventi previsti : Antonello Busetto (Confindustria Servizi Innovativi), Eutelia, ISPRA, Alessio Cartocci, Ugo Bonelli, Francesco D’ausilio, Benedetta Cosmi, Massimo Preziuso (Innovatori Europei) e quanti vorranno iscriversi a parlare.

Considerazioni sulla lettera del direttore Celli

pierluigicelli
Dopo aver “digerito” la lettera del Direttore della Luiss, Celli (che esorta -provocatoriamente – il figlio (ovvero i tanti giovani laureati italiani) a lasciare il nostro Paese, alla ricerca della normalità), ecco alcune mie considerazioni a riguardo.
 
– Vi è poco da dubitarne, e lo dico per esperienze che conosco, oggi un giovane italiano di medio talento (e lo sono in tanti), quando va all’estero (in Uk, Germania, Usa..) cresce e fa bene, e questo per almeno due ragioni:
 
1) il nostro Paese ha un sistema universitario che, mediamente, prepara i giovani con una seria impostazione “teorica”, che alla fine paga molto di piu’ della sommatoria di “Business cases” di cui oggi si articolano tanti corsi universitari d’oltralpe (e questa “teoria” diverrà un di piu’, soprattutto ora che è finita l’era della “rapidità delle decisioni” e si va verso quella della “sostenibilità delle azioni”)
 
2) in Italia i giovani continuano a crescere in un “contesto” che è sicuramente piu’ “sociale” che in molti altri Paesi, e questo si riflette in una innata capacità di “stare con gli altri” (che sarà un altro asset fondamentale per i prossimi anni) anche quando ci si trova all’Estero
 
(sebbene questi due “importanti vantaggi comparati”, in questi anni, abbiano subito un serio declino, che fortunatamente la crisi in atto dovrebbe automaticamente fermare).
 
– Vero anche il fatto che è arrivato seriamente il momento (si veda l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) di pensare all’Italia come una Regione di Europa, e che quindi per molti giovani debba essere oggi naturale pensare di andare a vivere o studiare (anche solo per un anno o due) in Inghilterra o in Francia, anche perche’, rispetto a soli 10 anni fa, oggi è molto piu’ facile (soprattutto grazie ad Internet, va detto) farlo.
 
– Vero anche che bisogna lavorare per provare a riportare in Italia i tanti giovani che sono riusciti a fare cose buone all’estero.
 
– E’, pero’, altrettanto fondamentale riflettere, per  il bene della maggioranza di giovani che restano (a soffrire) in Italia, sul fatto che in questo Paese, nella maggioranza dei casi, nella selezione di un candidato (e, poi, nella selezione di un progetto, etc. etc.), il “merito” e il “talento” vengano (da sempre?) spazzati via da “appartenenza” e “discrezionalità”.
 
E’ arrivato forse il momento di concentrarsi sul “collo di bottiglia”, il momento della selezione del lavoratore, definendone una nuova modalità, che assicuri trasparenza al momento decisionale?
O vogliamo continuare a sperare che le classi dirigenti si auto-riformino ed aprano improvvisamente al merito e al talento, trasformando di incanto tutta la società?
 
Non è piu’ pensabile che un Paese come il nostro continui a distruggere il proprio futuro attraverso la selezione di persone incompetenti.
 
Perche’, allora, non pensare a definire insieme, pubblico e privato, un NUOVO MODELLO DI SELEZIONE DEL LAVORATORE?
 
Che ne pensate?
 
Massimo Preziuso

Ed ecco il Partito Democratico


 

Dopo le belle elezioni primarie di ieri, 25 Ottobre 2009, viene voglia di scrivere qualcosa: perchè sono state un successo, sotto vari punti di vista.

– 3 milioni di votanti sono tantissimi, soprattutto se si pensa che l’Italia non sta vivendo un momento di “euforia” (come invece accadde nel corso delle primarie del 2007).

– Ha vinto la squadra di Pierluigi Bersani, il nuovo Segretario, perchè è quella che meglio garantisce all’elettore – simpatizzante quel connubio necessario tra “esperienza e valori” del Passato e “visione e progettualità” per il Futuro.

– I “competitors”, Franceschini e Marino, hanno dimostrato, da subito, apertura e rispetto verso il nuovo Segretario: questo porterà ad una sana dialettica ed un irrobustimento dell’azione politica del Partito nei prossimi mesi.

– Con queste Primarie si disegna  una squadra di Segretari Regionali “giovani e preparati” (con Amendola in Campania, Martina in Lombardia, Speranza in Basilicata, Basso in Liguria, Serracchiani in Veneto, e tanti altri): emerge, dunque, una nuova classe dirigente.

– Queste elezioni hanno finalmente portato al centro Temi che erano stati lasciati troppo a lungo in periferia: dal Lavoro quale diritto fondamentale, alla Green Economy quale opportunità di sviluppo economico e culturale, alla Ricerca e Innovazione quale necessità per competere in un mondo che cambia rapidamente, all’Immigrazione e la Diversità viste come opportunità di crescita per la società tutta,  alle Alleanze politiche “per tornare a governare il Paese”.

Ebbene, in questo fine 2009, dopo un anno di seria crisi e di immobilismo (della Politica e dell’Economia), si apre uno spiraglio per agire e far cambiare rotta all’Italia: un Paese che ha dimostrato, in queste elezioni, di voler esserci e di saper scegliere in maniera critica.

A Bersani il delicato ma possibile compito di raggiungere questo obiettivo, cominciando (questo il mio suggerimento) dal tema fondamentale dell’Organizzazione (centrale e periferica) del Partito Democratico.

Buon lavoro, Segretario.

Massimo Preziuso

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