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SPERANZE, ILLUSIONI E FERMENTI
di Pierluigi Sorti
Si stanno facendo ormai nitide le fisionomie delle liste che competeranno nelle prossime elezioni.
Le militanze di base vivono in queste ore la trepidazione delle tifoserie nell’ imminenza di competizioni decisive, ma sono ancora distanti da assunzioni di protagonismo, seppur parziale.
Eppure un filo di speranza è serpeggiato un pomeriggio delle scorse giornate nel grande giro del popolo degli email ( che chiameremo d’ora in avanti e.p.= email people ): dal quartiere generale del loft di piazza di S. Anastasia, secondo alcune anticipazioni email, veniva riconosciuto il principio dell’ introduzione delle (“piccole”, come sono state subito definite) primarie.
E’ stato uno scambio generalizzato di email fra speranze, richieste di chiarimenti e di compiacimenti reciproci : ma quasi subito, comunicazioni più fredde ridimensionavano il tutto con il quadro più preciso del possibile e limitato concorso dei soci fondatori a scelte, con carattere integrativo, con le designazioni delle segreterie nazionali e per di più in sintonia – cioè con la supervisione – delle segreterie regionali.
Ciò nonostante l’ e.p. ( giustamente a nostro parere ) non ha reputato conveniente classificare la notizia come un espediente tattico, per di più destinato ad agire da boomerang, da parte della dirigena nazionale. E’ prevalsa la constatazione, più o meno consapevole, che la supponenza tradizionale dei gruppi dirigenti, avverte il pericolo di continuare ad agire oligarchicamente.
E’ scattato un fermento di iniziative, fatalmente segnate non solo dall’ urgenza delle scadenze imminenti per la presentazione delle liste, ma dall’ assemblea dei circa tremila costituenti, che si riunisce, – sabato 16 febbraio presso la nuova Fiera di Roma – per l’ approvazione finale dei documenti fondamentali del Partito: statuto, principi etici, manifesto dei valori.
Non suggeriremmo di scommettere grosse somme sulla riuscita di questi tentativi che hanno i loro punti ispiratori ( secondo quanto registriamo dal nostro osservatorio ) a Cremona, Bologna, Pistoia, Roma, Cagliari, corroborati da taluni interessanti editoriali ospitati nelle pagine interne della stessa “L’Unità”.
E tuttavia non sarebbe costruttivo smorzare l‘ ottimismo di chi interpreta questo indizio come la possibilità di un momento di svolta e di superamento dello stato d’animo di disorientamento dell’ elettorato di centro sinistra e specificamente degli aderenti al Pd, attuali e potenziali.
Già in questo frangente, i neo costituiti circoli del Partito possono assumere congrui responsabili atteggiamenti costruttivi approfondendo la pur timida occasione di apertura offerta dalla Direzione nazionale: per valorizzarla al massimo possibile, ma soprattutto per rendere evidente che gli aderenti vecchi e nuovi del Pd non si conformeranno ai canoni ossequiosi di comportamento in uso nelle militanze dei partiti della prima e, forse, della seconda repubblica.
Siamo certi che i sodalizi, come il nostro, non mancheranno di presentarsi ai prossimi appuntamenti politici con questo spirito.
UNA NUOVA STAGIONE
ARIA DI CAMBIAMENTO NEGLI USA
C’è proprio aria di cambiamento in tutto il mondo.
Questo sorpasso di OBAMA sulla Clinton, che in molti, me compreso, non si aspettavano che potesse avvenire, è segno di una innovazione politica e culturale che ormai ha pervaso il mondo intero.
Adesso è chiaro che OBAMA sarà protagonista (al limite come vice?) della politica dei democratici a livello mondiale nei prossimi anni: fa sinceramente piacere vedere un GIOVANE governare un Paese (un Mondo?) che ha bisogno di cambiare.
In questo 2008 che sarà ricordato come un Anno di passaggio e di cambiamento drastico, di cui ormai sentono tutti il bisogno!
Intanto, in bocca al lupo, OBAMA!
Massimo Preziuso
PRIMARIE: PD – PARTITO NUOVO?
A mio avviso, questo passaggio della accettazione delle PRIMARIE per la scelta dei parlamentari è un passaggio fondamentale per il nostro Paese, e chiaramente per il Partito Democratico.
Vedremo ora se il PD capirà l’importanza di far partecipare tutti i votanti alle Primarie, e non solo gli iscritti al Partito, ma sicuramente questo è un ulteriore segno di cambiamento e di innovazione.
Non so voi, ma io non me lo aspettavo: ero convinto che avrebbe vinto il classico ragionamento del “poi vediamo”.
Invece questo Partito Nuovo sta cominciando a stupire in positivo.
Speriamo che questa strada sia solo all’inizio.
Buon lavoro al Partito Democratico: Innovatori Europei non potrà non continuare a sostenerlo.
Massimo Preziuso
ANALISI DI UN DIFFUSO DISAGIO
di Pierluigi Sorti
Ostentare ottimismo è generalmente ritenuto un messaggio politicamente consigliabile. Ma trascurare sintomi di disagi e di malcontento, nel corpo complesso di una forza politica, per di più di recente costituzione, può facilitarne il loro diffondersi.
Grazie ai mezzi di comunicazione capillare che internet consente, il linguaggio delle gerarchie politiche non ha più l’efficacia rassicurante per i suoi aderenti che, prima dell’ era elettronica, imputavano alla personale scarsità dei suoi mezzi di conoscenza la loro insicurezza interpretativa delle scelte operate dalla propria parte politica.
Questo fenomeno sta accadendo nella situazione presente che vede il neonato Pd, costretto ad affrontare una competizione elettorale politica che non si era abbastanza considerato come ipotesi possibile e che comunque si era tentato di esorcizzare.
Fra pochi giorni, l’ assemblea costituente, nella teorica completezza dei suoi oltre duemila cinquecento membri, sarà chiamata ad approvare uno Statuto, la carta etica e quella dei valori.
Nelle stesse ore raggiungerà il suo diapason la polemica sui temi molto più carnosi della composizione delle liste elettorali compilate da un gruppo di regia che assisterà il segretario nella scelta di quelli che scenderanno nell’ agone elettorale nelle posizioni di privilegio nelle liste medesime.
L’ immagine di Veltroni, ripreso con significativa enfasi dalla berlusconiana rete 4, mentre tratteggia i platonici connotati del partito sullo sfondo della francescana armonia delle colline umbre, risulterà fatalmente stridente e non veritiera se il segretario del Pd non saprà accogliere gli appelli che, in queste ore e in questi giorni, si susseguono sui computer dei democratici d’ Italia.
Appelli che altro non sono che una corale invocazione sulla esigenza di non ripercorrere i riti dello strapotere della casta. Non sarà digerito il pretesto del tempo che manca per evitare il ricorso a procedure che esistono e si conformano assai di più ai principi dello statuto proposto all’ approvazione dell’ assemblea costituente.
La credibilità del Pd non verrà realizzata da coloro che ritengono funzionale opporre il silenzio alle tante voci di malcontento e scelgono la sordità al crescere delle richieste di cambiamento, nei metodi e nelle persone che ne saprebbero essere interpreti capaci.
Su queste stesse pagine abbiamo salutato molto positivamente la nettezza espressiva del primo articolo dello statuto e il profondo significato del suo messaggio, sottolineandone il suo riconnettersi a quegli articoli della costituzione che ancora attendono dopo 60 anni il loro compimento.
Il vasto consenso che ha accompagnato la concezione, la formazione e la nascita del Pd non merita davvero di rischiare ancora una volta un destino gattopardesco.
DEDICATO A VELTRONI
Dedicato a Veltroni.
Ho seguito tutti i suoi interventi ed ho analizzato quanto mi può suggerire la bandiera del Pd così come è stata realizzata. Sarebbe ora che un politico di vertice rompa quel falso europeismo che trasuda di becero, superato, masochistico e velleitario nazionalismo e che naviga ancora nell’ambiente politico europeo configurando un quadro di scarsissima qualità. Quella bandiera non rompe ancora quello schema provincialotto che sta nella testa dei nostri politici. Essa meriterebbe , proprio perché il partito si chiama Partito Democratico e suggerisce qualcosa che non è più necessariamente legato ad uno staterello italiano in una Europa frazionata, qualcosa che significa un pensiero ed un respiro più ampio e che suggerisce un collocamento a pieno titolo in una Europa autenticamente federata.
Insomma quella bandiera ha un estremo bisogno di essere completata con le stelle dell’Europa.
Solo così può suggerire che in Italia vi è sul serio un rinnovamento che si adegua ad una realtà geografica economica e politica che vuole evincersi dal nanismo in un mondo di giganti. Occorre prendere atto che il grado di sviluppo del mondo produttivo ha superato il quadro istituzionale nazionale e non ha più sede in piccoli stati velleitari e ridicoli. Se non ci si adegua, si condanna al fallimento qualsiasi ipotesi sia essa liberale o socialista o di altra natura.
Se Lei riprenderà con costanza l’opera iniziata (e poi tradita dai politici che seguirono) dai padri fondatori dell’Europa, solo allora potremo dire che abbiamo realizzato un partito nuovo e moderno non superato dalla storia già in partenza. Le assicuro che questo salto di qualità porterebbe un consenso enorme da parte della massa silenziosa, finora delusa ed ormai lontana dalla classe politica e che avverte da tempo di essere continuamente tradita nel percorso della pace reale che si può ottenere solo con l’integrazione effettiva ed istituzionale dei cittadini europei.
Ma non solo, perché è ben cosciente in maggioranza che questa è pure la via per una conquista economica e sociale che ci tolga da una situazione di pigmei nel mondo in tali settori !!!
Ma non solo, perché è pure l’unica possibilità per influenzare positivamente gli avvenimenti, ora orchestrati da quel complesso di stati giganti multipolare che è il vero direttore dell’orchestra nel mondo e che ha messo in un cantuccio noi ormai impotenti europei, seduti sulle nostre glorie medioevali !!!
Non prenda superficialmente ciò che Le scrivo perché il vero realismo in politica non è quello di adagiarsi e non fare nulla con la scusa che la partita europea è difficile ma è quello che avverte in profondità il problema ed agisce ! Solo così la storia ci ricorda. Vada più avanti Veltroni, non ci tolga la speranza e con Lei saremo in tanti !!!!!!!!! A sua disposizione invio cordiali saluti.
Riccardo Sani – Innovatori Europei Trento
(ex vicesindaco di Trento e consigliere di amministrazione del Mediocredito-Investitionbank- Trentino-Südtirol)
LA LUNGA CODA DEL PD
di Rocco Pellegrini
Il fatto che Forza Italia ed Alleanza Nazionale stiano prendendo in seria considerazione il rinunciare alle liste identitarie per
unificarsi nel partito delle libertà è un’altra delle grandi novità che la nascita del partito democratico sta realizzando nel panorama
politco italiano.
Di fatto per la prima volta dal tempo della DC, PCI ma in una forma molto più compiuta ed inclusiva, gli italiani potranno scegliere tra
due grandi forze che lotteranno per il governo del paese.
Senza la formazione del PD questa cosa non sarebbe stata nemmeno pensabile ed ancora una volta si può constatare come, quale che sia la legge elettorale ed il quadro formale in cui si realizza l’azione politica, quel che conta è l’iniziativa politica, la determinazione a
cambiare il proprio comportamento, cosa che alla fine cambia anche il comportamento altrui.
Ecco perchè siamo di fronte a grosse novità e questa elezione appare molto più matura della precedente, quasi fossero passati secoli.
Paolo Mieli, oggi nell’editoriale del Corriere della Sera http://www.corriere.it/editoriali/08_febbraio_08/mieli_PD_390732c6-d60d-11dc-88e3-0003ba99c667.shtml esamina la storicità di quel che sta succedendo nel panorama politico italiano e trovo che il suo ragionamento sia davvero interessante.
Il coraggio di chi ha fatto il PD sta cambiando il paese e, forse, presto si potrà sperare di diventare un paese normale che abbandona la
vergognosa storia dei guelfi e dei ghibellini che viene da un medioevo di lotte fratricide che hanno rovinato, da sempre, il bel paese.
TERREMOTO NELLA POLITICA
di MASSIMO GIANNINI – La Repubblica
Financial Times: l’Inferno di Dante è la metafora migliore della politica italiana. Wall Street Journal: in Italia il caos è la normalità politica. I giudizi caustici e sarcastici della grande stampa internazionale, formulati in questi giorni sulla solita crisi di governo dei soliti spaghetti-boys, meritano una postilla critica.
Se di caos si tratta, non è certo “caos calmo”. Stavolta si può parlare di “caos creativo”. La campagna elettorale appena cominciata si apre con un autentico, e speriamo palingenetico terremoto. L’epicentro del sisma è il Partito democratico. La decisione di Veltroni di presentarsi da solo al voto del 13 aprile, ieri confermata all’unanimità dall’intero vertice del Pd, si è rivelata un formidabile moltiplicatore di semplificazione e di innovazione dell’intero sistema politico. A sinistra, il consolidamento della “vocazione maggioritaria” ha prodotto, con geometria quasi gramsciana, un immediato sovvertimento dei rapporti di forza. Non è più l’avanguardia riformista a dover subire gli impedimenti tattici e i condizionamenti programmatici della retroguardia radicale o della vecchia guardia centrista, come è successo in questi tormentatissimi due anni di governo Prodi. Stavolta è Rifondazione a dover inseguire ipotesi di accordo “tecnico” al Senato, e sono il Pdci e i Verdi a dover accelerare sulla Cosa Rossa per non sparire dal panorama della rappresentanza nazionale. Stavolta, mentre Mastella e Dini trasmigrano allegramente sull’altra sponda senza lasciare il briciolo di un rimpianto, sono Di Pietro e Boselli a dover immaginare punti di convergenza sulla piattaforma dei “democrats”. È un cambio di fase straordinario. Appariva impensabile fino a poche settimane fa. E invece ora esiste, nella realizzazioni pratiche del “nuovo” centrosinistra e non solo nelle proiezioni oniriche di qualche suo leader.
Ma la svolta autonomista del Pd non ha terremotato solo la sinistra. Da ieri, il sisma attraversa con la stessa intensità anche l’altra metà campo del centrodestra. Anche qui si verifica un’inversione di ruoli mai vista prima. Stavolta è Berlusconi che deve inseguire, e non più tirare la volata. La discussione su una possibile lista unitaria dei tre partiti maggiori della ex Cdl, Forza Italia, An e Udc, federati con la Lega, apre anche a destra scenari inediti e promettenti. Costringe il Cavaliere a tornare a far politica, e a riprendere in mano, con una variante più realistica, la marinettiana “rivoluzione del predellino” che aveva inventato due mesi fa a Piazza San Babila. Stavolta, chiedendo ai suoi alleati ritrovati di fare oggi quello che Ds e Margherita avevano fatto oltre due anni fa. Non si tratta ancora di fondare un partito unico, ma di avviare intanto un processo di convergenza, che semplifica il quadro elettorale e avvicina le forze moderate più affini sul piano culturale.
Non sappiamo ancora se il tentativo berlusconiano sarà coronato dal successo: come dimostrano i tumultuosi quindici anni della sua biografia politica e personale, l’uomo cambia idea quasi ogni giorno, e Casini si conferma un figliol prodigo straordinariamente generoso, ma anche particolarmente geloso del suo “marchio”. Allo stesso modo, non sappiamo affatto se il tentativo veltroniano sarà coronato dal successo: i sondaggi premiano il cammino “solitario” avviato dal Pd, ma la distanza da colmare è ancora molta, e soprattutto si fa fatica a credere che il nuovo partito, non coalizzato a sinistra, possa raggiungere la maggioranza dei consensi contro un’alleanza di destra comunque coalizzata.
Ma intanto una cosa è sicura. Grazie alla scelta quasi temeraria di Veltroni, alle elezioni del 13 aprile gli italiani potrebbero trovare nell’urna una scheda che offre da una parte un unico partito riformista che si candida a governare da solo, dall’altra una lista unica moderata che riunisce tre simboli diversi. È un grande passo avanti. Una prima risposta, autoprodotta dal sistema politico, contro i suoi stessi vizi consolidati in questi decenni: la frammentazione partitocratica, la partenogenesi delle nomenklature, la conflittualità permanente tra le coalizioni, la ricerca di visibilità dei singoli.
Il processo è solo agli inizi. Ma al di là dei sondaggi, quello che sta accadendo è già sufficiente a considerare una felice intuizione il progetto del Partito democratico. È già sufficiente a giudicare lungimirante la strategia di chi lo ha lanciato più di tre anni fa, cioè Prodi e D’Alema, e di chi lo ha realizzato oggi, cioè Veltroni. Il verdetto elettorale sarà quello che sarà. Ma una nuova storia è già cominciata. “Si può fare”: e stavolta non è solo vuota retorica.
(8 febbraio 2008)
LA COSTRIZIONE PREVIDENZIALE
di Paolo Mieli – Corriere della Sera
La scelta del Partito democratico di presentarsi da solo alle prossime elezioni politiche non va tenuta nel conto di un espediente. È un fatto, certo, che se la coalizione di centrosinistra si fosse riproposta tal quale si era presentata nel 2006, l’esito sarebbe stato per lei disastroso. E questa catastrofe, va detto, si sarebbe avuta non già per la prova del governo Prodi che, anzi, nelle condizioni date ha offerto una prestazione di tutto rispetto. L’esito per il centrosinistra sarebbe stato molto negativo proprio per le «condizioni date» e cioè per la conclamata indisponibilità di micropartiti e piccole correnti a farsi carico della logica di coalizione, ovvero del rispetto del principio di maggioranza all’interno della coalizione stessa. Walter Veltroni, dunque, non poteva presentarsi alla guida di un partito legato a soci indisciplinati oltreché inaffidabili ed è costretto, sì costretto a correre in solitudine.
Ma, a questo punto della storia della sinistra italiana, si tratta di una costrizione provvidenziale che lo obbliga a tagliare con un colpo netto un nodo che altrimenti sarebbe rimasto ancora a lungo aggrovigliato. Di che cosa stiamo parlando? Dal 1861, dalla formazione del nostro Stato unitario, anche prima della nascita e dell’affermazione del Partito socialista, in Italia la sinistra di governo fu quella di ex adepti del movimento garibaldino e mazziniano (adepti di rango: Agostino Depretis, Giovanni Nicotera, Francesco Crispi) che lasciavano dietro di sé nel territorio di provenienza, un campo antisistema, parte consistente della loro legittimazione. L’identità forte restava appannaggio dei loro compagni rimasti sul terreno della radicalità: ai transfughi rimaneva un’ identità dimidiata, la necessità di attestare di continuo una qualche fedeltà agli ideali di un tempo, l’obbligo morale di proporre misure in cui credevano poco, solo per dimostrare al loro elettorato potenziale rimasto fuori dal sistema di appartenere ancora a una stessa famiglia. E per avere libertà di manovra nella complicata arte del governo toccò loro, alla sinistra storica, persino di elevare a dottrina il trasformismo (1882).
Le questioni legate alla figura del transfuga che si stacca dal ceppo d’origine si proposero anche fuori dai nostri confini, ad esempio per Alexandre Millerand, il primo socialista francese che nel 1899 entrò nel governo di difesa repubblicana presieduto da Waldeck-Rousseau. Ma presto i socialisti di Francia vennero a capo di questo problema, dopo appena quindici anni, allorché nel corso della prima guerra mondiale — con Jules Guesde e Marcel Sebat in rappresentanza dell’intero partito — entrarono nel governo (di grande coalizione) presieduto da Viviani. In quegli stessi giorni i laburisti inglesi facevano il loro ingresso nei gabinetti (anche questi di coalizione) di Asquith e Lloyd George. E subito dopo la Grande guerra i socialdemocratici tedeschi Ebert e Scheidemann guidarono i primi governi della Repubblica di Weimar. In altre parole i socialisti dell’Europa più avanzata già all’inizio del Novecento, prima o a ridosso della Rivoluzione d’ottobre, si addossarono responsabilità ministeriali dandosi — in conformità all’occasione — una salda identità via via sempre più riformista.
Da noi le cose andarono diversamente. I primi socialisti che andarono al governo, Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi nel 1916, lo fecero anche loro da transfughi alla guida di una piccola formazione scissionista che si era staccata dal Psi quattro anni prima. E dopo il conflitto Filippo Turati, pur avendo capito fino in fondo che cosa si dovesse fare, non riuscì a divincolarsi per portare il suo partito in un gabinetto che grazie alla forza dei socialisti avrebbe potuto sbarrare la strada al movimento mussoliniano. Poi fu il ventennio dei fascismi e della stringente logica per cui i socialisti europei furono costretti ad aderire ai fronti popolari, cioè all’alleanza con i comunisti. Ma, finita la seconda guerra mondiale, i laburisti inglesi di Attlee, i socialisti francesi di Guy Mollet e Ramadier, quelli tedeschi di Schumacher ruppero subito con i comunisti staliniani riprendendo con ciò la loro identità originaria e con essa la via del governo. In Italia no. I socialisti nostrani ancorché (particolare non irrilevante) nel 1946 fossero il primo partito della sinistra italiana restarono, unici nell’Europa democratica, avvinghiati al Pci in un legame frontista. Si staccò, è vero, nel 1947 Giuseppe Saragat ma il suo piccolo partito socialdemocratico, come già era stato per Bonomi e Bissolati, portò con sé una parte infinitesimale della sinistra che pressoché al completo rimase egemonizzata dal Pci nel campo della radicalità antisistema. E quando negli Anni Sessanta i socialisti di Pietro Nenni andarono finalmente al governo, il grosso dell’elettorato (con annessa l’identità vera della sinistra italiana) restò con il Pci all’opposizione. Insomma qui in Italia non è mai accaduto che il principale partito della sinistra si mettesse nelle condizioni di candidarsi davvero a governare— con un programma coerente di riforme coraggiose sì ma compatibili —al riparo da veti e intrusioni da parte di entità politiche collocate su posizioni estreme. Mai.
L’unità nazionale (1976-1979) fu altra cosa e neanche l’Ulivo prodiano — che pure è stato il progenitore del Partito democratico — può essere considerato qualcosa di simile ai confratelli socialisti europei che dall’inizio del secolo scorso hanno avuto (ed esercitato in prima persona) responsabilità di governo. Se non altro perché l’Ulivo non si è mai candidato a governare libero da ipoteche di sinistra. Oggi, per la prima volta dopo centoquarantasette anni, questo accade anche da noi. E grazie al fatto che Rifondazione mostra di aver ben compreso — pur non facendolo proprio — il senso di questa evoluzione, il divorzio della sinistra riformista da quella massimalista e rivoluzionaria avviene in un clima che si può definire di separazione consensuale.
Quello che sta accadendo al Partito democratico (sempre che Veltroni riesca a tenere duro al cospetto delle irragionevoli obiezioni di alcuni dei suoi) è qualcosa che va al di là di ciò che si deciderà il 13 e 14 aprile. Se il suo partito uscirà consacrato da un risultato abbondantemente superiore al 30 per cento, anche in caso di sconfitta potrà dispiegare una politica potente in grado di dare frutti molto prima di quanto si pensi. È vero che la Casa delle libertà al nastro di partenza per la corsa del 13 aprile ha maggiori e non immeritate chances di vittoria ma è vero altresì che la coalizione berlusconiana è in grande ritardo sulla via della formazione di un partito unico. E questo, agli occhi di chi come noi ha a cuore la stabilità e la funzionalità del sistema politico italiano, peserà. Silvio Berlusconi è ancora in tempo per dare un’accelerazione a questo progetto che ha sempre dichiarato essere il suo. Se lo facesse questa sarebbe una seconda positiva sorpresa che darebbe un carattere storico a questa campagna elettorale.
08 febbraio 2008
LA RETE TERRITORIALE DI INNOVATORI EUROPEI
Ciao a tutti.
Come ho già avuto molto di scrivere a tutti i referenti territoriali che finora ci hanno supportato, abbiamo adesso bisogno di fare un check up della situazione, e capire chi realmente vuole contribuire a far crescere Innovatori Europei nei territori.
Speriamo di avere una vostra disponibilità nel collaborare con noi, in modo da poter poi ristrutturare la sezione Organizzazione del Sito.
Vi ringrazio.
Massimo