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R-innovamenti Bersaniani necessari, adesso!
di Massimo Preziuso su L’Unità
Come volevasi dimostrare già a novembre 2011, ci avviciniamo alla Grecia anche noi, inaspettatamente (allora) anche “grazie” a questo governo, che ha dato il colpo finale a un Paese già in ginocchio, paralizzandolo completamente nella sua “vita reale”.
Alcuni dati di queste ore, su tutti:
– obbligo di ferie forzate – per tutto il mese di Agosto – richiesto ai dipendenti di moltissime aziende italiane,
– debito pubblico cresciuto al livello record (nonostante 10 mesi di pura azione anti-debito),
– totale blocco delle assunzioni, a tutti i livelli, in Italia (mentre aumentano massicci i piani di licenziamenti nelle primarie aziende e banche) con un paio di generazioni già oggi fuori da qualunque futuro lavorativo.
Si abbia ora tutti (media per primi) il coraggio di dire prima di tutto questo, smettendola di difendere la mitologia di un “Super Monti” soprattutto dopo che oggi, dopo una due giorni infernale nei mercati per l’Italia, se ne esce con un imbarazzante: “situazione difficile, puntare su economia reale”.
I partiti politici, fino ad ora, lo hanno solo velatamente e a tratti criticato, per poi correggere subito dopo il tiro, per paura di essere attaccati da media e cittadini (si, anche noi!).
Ora la Politica deve fare un passo avanti, o non lo farà mai più.
Per primo il Partito Democratico, che deve accelerare sui tempi decisionali e (provare, rischiando, a) prendere la guida del Paese, da adesso, aldilà di quando si andrà a votare.
Bersani indichi subito e senza timori la data delle primarie e convochi (dopo) i “partners” con cui vuole condividere un percorso politico e programmatico.
Aprirà così una nuova stagione, grazie a quelle enormi energie potenziali presenti nel Paese, che si metterebbero in gioco con lui, e che oggi invece rischiano di andare in “corto circuito” per sempre.
Non c’è più tempo da perdere, pena ritrovarci con un Monti Bis in una Italia irriconoscibile e in “stato di guerra”, già a cominciare da Ottobre – Dicembre prossimi.
Questo perchè è ormai chiaro a tutti che il Paese è attaccato per due motivi, prima ancora che per il Debito Pubblico (che c’è sempre stato e sempre ci sarà, seppure in maniera un po’ più ridotta): la assenza di un futuro politico delineato (nella continua tentazione, forse ormai distrutta da fatti così netti, verso una “grande coalizione Montiana”) e la inattitudine dell’attuale Governo ad affrontare il tema della crescita, in un periodo di conclamata recessione.
Non è possibile stare a guardare il Paese affondare. E per il Partito Democratico è davvero ora di smetterla con la “strategia” e le “grandi questioni” e di cominciare a proporre semplicimente la propria visione per il futuro di un’Italia – lasciata allo sbaraglio dal Governo dello spread – che ha bisogno da subito di almeno un minimo di normalità.
Forza, Bersani, ora tocca a Te!
Il discorso di Zingaretti, candidato sindaco della Capitale
Addì 16 luglio 2012 , in quel di Trastevere, nella piazza di S. Cosimato, Nicola Zingaretti, presidente della provincia di Roma, ha lanciato il suo guanto di sfida per la conquista della poltrona di Sindaco di Roma Capitale.
Lo ha fatto con efficacia, dipanando il film di quello che sarà il suo vademecum di candidato a una carica che, almeno nella storia recente, è stata assai avara di gratificazione per chi ha voluto interpretarla come propedeutica a progressi successivi nella politica nazionale.
Zingaretti, consapevole o meno di questa circostanza, si è astenuto dall’enumerare attraenti traguardi, rivolgendosi ai cittadini romani non per sedurli con promesse ma per chiedere il loro contributo , impegnandosi, non senza solennità, ad ascoltarli per affrontare unitariamente lo stato deprimente in cui ormai Roma è costretta a specchiarsi.
I cittadini hanno colto tale proposito come la via obbligata per uscire dalla loro rassegnazione e ritrovare la strada maestra delle tradizioni più autentiche della loro città.
Il silenzio della sua allocuzione sui tanti problemi che assillano Roma, di imponenza tale da tracimare facilmente in senso di impotenza, può facilmente essere perdonato, se non del tutto giustificato, data l’ ufficialità della dichiarazione della sua candidatura.
Dicasi questo in relazione ai pendenti problemi della nettezza urbana, alla crisi permanente della mobilità, ai piani urbanistici e alla colossale e tuttora incerta voragine debitoria del bilancio capitolino, peraltro di non facile leggibilità anche dal punto di vista di un rapporto della Corte dei Conti di quasi tre anni or sono.
Ma il suo appello sulla necessità preliminare di ascoltare la gente, della irrinunciabilità della trasparenza politica, del metodo della verifica dei risultati, in sintesi della politica come servizio e non come privilegio, non poteva non suscitare nella mente degli ascoltatori, la comparazione e le analogie con gli aforismi che hanno marcato tanti fenomeni, antichi e recenti, di movimentismo spontaneo.
Sono ben impressi nella più avvertita coscienza collettiva,la memoria recente dei girotondi, del popolo viola e, nella fase attuale, la evidente progressione, anche elettorale, del fenomeno del movimento di Grillo, depurabile o meno delle sue insidiose venature demagogiche.
Con la differenza, tuttavia, a favore di Zingaretti, di un solido presupposto che può conferire, a priori, maggiore credibilità alle sue parole : quello di poter vantare, ai suoi fianchi, la risorsa di un partito (ancora) organizzato che, con le asserzioni menzionate, presenta, almeno teoricamente, innegabili attinenze.
La riuscita di Nicola ha un duplice e obbligato percorso da effettuare: la fermezza personale del mantenimento dei suoi propositi e , quale inderogabile e più problematica condizione, un diverso e più emancipato rapporto con il suo partito, nella convinzione che a nessuno può appartenere l’ esclusiva di una politica riformista.
Per le idee e gli uomini che sceglierà a coadiuvarlo, voglia e possa, Zingaretti, superare ogni reticenza sulle contraddizioni del Pd, inducendolo, in sede non solo romana, a modificare le troppe linee di condotta che, nei pochi anni della sua esistenza, hanno deluso, ampiamente e non poche volte, la pubblica opinione : come dimostrano gli oltre tre milioni e mezzo di elettori persi in un quadriennio.
Le sciarade di Alemanno e Zingaretti
Anche reputando ormai poco verosimile l’ ipotesi di uno scioglimento anticipato del parlamento, appena trascorso il periodo estivo, il mondo politico italiano entrerà progressivamente nel clima elettorale.
Ma a Roma questo clima si arroventerà assai più velocemente perché, in concomitanza con le assise politiche nazionali, anche il Campidoglio, sede simbolica e fattuale della città metropolitana di Roma Capitale, ospiterà la nuova assemblea e il Sindaco eletti dai romani per gestire il quinquennio “2013 -2018”.
Nella previsione corrente i due concorrenti che si contenderanno alla fine tale incarico hanno entrambi il volto già noto, sul piano nazionale, di Gianni Alemanno, sindaco in carica , e di Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, che, in questo torrido scorcio preferiale , giocano le loro prime credenziali.
Alemanno, poche sere or sono, invitato televisivamente a definire il suo maggiore successo coma sindaco della capitale, non ha esitato a identificarlo, nella delimitazione delle conseguenze del fallimentare bilancio ricevuto in eredità dall’ amministrazione Veltroni.
Zingaretti, dal canto suo, fa presumere di voler caratterizzare la sua immagine di candidato sindaco, con una proposta urbanistica nuova consistente nella rigorosa denegazione del consumo di territorio, specie dell’ agro romano, per nuove iniziative edilizie, attività alle quali il rivale Alemanno appare invece particolarmente proteso.
Il paradosso che ne consegue vede entrambi i candidati alle prese con un incrocio di curiose contraddizioni cui altri eventuali candidati minori, concorrenti alla carica, o l’ acribia dei giornalisti, potranno agevolmente sottolineare.
Potrebbe essere richiesto ad Alemanno il motivo di tanto ritardo nella denuncia del deficit della città, in considerazione specifica della sua duplice funzione di sindaco e di commissario al bilancio ai cui relativi doveri, almeno apparentemente, ha omesso di ottemperare, dall’ inizio del suo mandato, per renderne pubbliche le coordinate essenziali e illustrarne i ritenuti possibili rimedi .
A Zingaretti, specularmente, potrebbe essere chiesto di spiegare il silenzio con cui, pressoché con tutto il Pd, di cui da tempo è stato dirigente romano e nazionale, ha condiviso ( ed esaltato ) la faraonica impostazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 2008, ultima fatica del sindaco Veltroni.
Quel piano regolatore, precisamente, che assurse a ideale colonna portante del celebre “modello Roma” ( ora dimenticato ) , che prevedeva un volume fabbricativo di oltre 60 milioni di metri cubi, con i connessi “diritti compensativi” e “accordi di programma” , a maggior gloria e intraprendenza degli immobiliaristi dell’ urbe.
Forse, per queste contraddizioni, Roma ha meritato davvero di essere gratificata del nuovo titolo di Capitale della Nazione.
Quella paralisi di fine impero
Ma cos’altro bisogna tentare per scalfire questo muro opprimente dello spread? Rispetto a questa domanda i ministri dell’Economia dell’Eurogruppo riuniti ieri a Brussels apparivano ancora più impotenti dopo che persino il tanto celebrato vertice che si è tenuto dieci giorni fa e che era parso a tutti segnare una discontinuità rispetto al passato, si è dimostrato incapace di invertire l’inarrestabile aggravarsi della crisi: i progressi che dopo l’incontro erano stati realizzati in termini di risparmi potenziali nel costo di finanziamento del debito pubblico di Italia e Spagna sono stati in solo dieci giorni completamente spazzati via.
Cosa manca allora dopo ventisette vertici dall’inizio della crisi più grave che l’Unione Europea abbia mai affrontato? Cosa continua a mancare in una rincorsa affannosa che vede i governi europei costretti nella scomoda posizione di un medico al quale rimane solo la possibilità di comprare tempo in attesa che a qualcuno venga un’idea?
Molti commentatori continuano ad invocare passi decisi verso l’unione fiscale. Tuttavia, essa non può che esigere anche un’unione politica che pur essendo teoricamente la soluzione, appare oggi improponibile per la stessa mancanza di condizioni politiche che l’inconcludenza dei vertici fa emergere. Voler fare, in questo momento, il salto verso gli Stati Uniti d’Europa tra Paesi che neppure si riescono a mettere d’accordo sull’utilizzazione di 500 miliardi di Euro da attribuire al fondo creato per assicurare la stabilizzazione finanziaria (ESM), sarebbe un po’ come per una coppia decidere di fare un figlio quando si è in crisi: le difficoltà verrebbero accantonate momentaneamente per la necessità di rispondere alla nuova sfida solo a costo di esporsi a guai ancora più devastanti nel giro di pochi mesi.
All’Unione politica mancano, del tutto, opinioni pubbliche europee, meccanismi istituzionali e modelli di partecipazione che costringano le nuove istituzioni a rispondere nei confronti dei contribuenti europei dell’utilizzazione di risorse pubbliche: più grave ancora è il fatto che sia mancato un qualsiasi serio investimento nella direzione della costruzione di un demos europe senza il quale l’Unione politica rischia paradossalmente di sancire una nuova drastica lacerazione tra classi dirigenti e cittadini.
Molto più utile è, come segnala il think tank Breugel, lavorare più pragmaticamente su quella che è la contraddizione più forte che si legge in tutti gli atti dell’Unione: la distanza tra gli annunci con i quali si cerca di placare i mercati, e l’implementazione che lasciano regolarmente gli operatori economici, finanziari e persino i cittadini nella più totale incertezza.
Anche per ciò che concerne, l’ultimo vertice la realizzazione concreta delle due più importanti decisioni prese – la possibilità che l’ESM intervenga direttamente nell’abbassare il costo del debito pubblico dei Paesi in maggiore difficoltà e nella ricapitalizzazione delle banche – è condizionata da almeno cinque aspetti si sa troppo poco per indicare che una strada precisa è stata intrapresa: quale è il livello in termini di aumento dei rischi di insolvenza per le banche e del rendimento sui titoli pubblici oltre il quale scatta l’operazione di salvataggio? A quali condizioni di miglioramento di tali indicatori l’assistenza finanziaria verrebbe fornita ed in che misura ai vertici – governi per gli Stati e management per le banche – sarà concessa l’autonomia per raggiungere tali obiettivi e quando scatterebbe al contrario l’alternativa di sostituire di fatto chi ha assunto le decisioni che hanno creato il problema? Fino a quando l’intervento di supporto deve e soprattutto può continuare e, considerando che le risorse attualmente a disposizione del meccanismo di stabilizzazione sono una frazione molto piccola dei debiti sovrani e bancari da garantire, attraverso quali meccanismi è possibile immaginare un suo rifinanziamento? Quali criteri di informazione sui rischi – nel caso delle banche – e omogenizzaione delle contabilità pubbliche – in quello dei governi – devono essere rispettati da tutti gli aderenti al patto in maniera tale che il soggetto deputato a stabilizzare possa identificare le crisi prima che esse si materializzino? Ed infine chi governa l ‘intero processo nelle due diverse aree di consolidamento degli Stati e delle istituzioni finanziarie e su quali basi giuridiche verrebbero perseguiti eventuali inadempimenti considerando che i soggetti regolati sono sovrani o comunque soggetti a leggi nazionali?
Stati e Banche rappresentano, ovviamente, questioni diverse sia per motivi tecnici che politici e, tuttavia, le due crisi gemelle avvicinano i due problemi e impongono un approccio in una certa misura simile.
La soluzione, a mio avviso, deve essere in entrambi i casi quanto più lineare è possibile: uno o due organismi – certamente uno dei quali deve essere la Banca Centrale Europea – devono essere dotati della capacità autonoma di intervento e della possibilità di finanziarsi o attraverso aumento della quantità di moneta oppure attraverso obbligazioni garantite dai Paesi dell’Eurozona collettivamente. I livelli di rischio ai quali corrisponda l’attivazione di pre definite tipologie di intervento devono essere stabiliti in anticipo in maniera tale da rendere più credibile l’impianto di stabilizzazione e ridurre le possibilità di doverlo effettivamente scattare. La capacità di risposta deve essere potenzialmente illimitata in maniera da scoraggiare gli speculatori e le soglie oltre le quali intervenire devono essere fissati a livelli sufficientemente bassi per limitare i rischi.
Un vertice come quello consumato nelle ore della semifinale tra Italia e Germania avrà impatto: le possibilità però che esso diventi l’ennesima occasione per salvare chi meriterebbe di uscire dalla partita con l’effetto di aumentare la propensione all’azzardo morale, sono però assolutamente uguali a quelle che costituisca un buon equilibrio tra necessità di non uccidere il malato ed esigenza assoluta di una modifica dei comportamenti che ne hanno determinato la malattia.
Tutto dipenderà dai dettagli nei quali spesso il diavolo si nasconde. Questi dettagli mai più devono essere rimandati da un vertice ad un altro , passando da livelli politici ad altri più tecnici. Non necessariamente tutti gli aspetti potranno essere stabiliti una volta e per tutte e correzioni del meccanismo sulla base dei risultati dovrà essere previsto. Ma perlomeno una strategia chiara deve essere chiaramente condivisa in maniera da far capire a tutti in che direzione – nei prossimi anni e non nei prossimi giorni – ci si vuole muovere per salvare un progetto – quello europeo – che merita visione e pragmatismo.
Lentezza incomprensibile della società civile
Assistiamo in questo torrido segmento di luglio alla rappresentazione mediatica di un gran fervore dell’ azione di governo, impegnato nell’ opera di “ spending review “ ( analisi critica della spesa pubblica n.d.r. ) .
Esso si accompagna allo speculare conclamato dissenso dei sindacati, all’ intenso lavorio sottotraccia delle direzioni dei partiti nella ( finta o autentica ) elaborazione di una nuova legge elettorale, a una opposizione parlamentare di minoranza, dura ma non rassegnata della sua scarsa incisività, infine alla silente ma compiaciuta attesa del movimento grillino.
Delude invece il mancato riscontro di nettezza di analisi e di proposte da parte di tutte quelle associazioni che, quale surrogato dei partiti e quali espressioni della società civile, sono sorte, nominalmente, per una più spregiudicata elaborazione di nuove ipotesi di offerta politica o per un più realistico approfondimento dei tanti temi che investono il quadro politico italiano ed europeo.
In questa fascia di iniziativa politica, oggettivamente impotente a bucare visibilità mediatica, e nota soltanto nell’ ambito di cittadini particolarmente sensibili al crescente aggravarsi della situazione politica, esistevano i presupposti di una capacità di reazione più costruttivo e comunque alternativo alla visione ormai difficilmente contrastabile del M5s ( movimento 5 stelle , quello di Grillo ) e al suo monolitismo demolitore.
Due sembrano infatti gli elementi ostativi a ogni concorrenza con il M5S per assumere un ruolo di ipotesi elettoralmente accettabile : entrambe forse riconducibili a paradigmi extra politici, forse di carattere psicanalitico .
L’ evidente indisponibilità , da parte delle numerosissime associazioni in campo, riscontrabile nelle principali realtà cittadine, in primis a Roma , di connettersi, per gelosia e diffidenza, fra di loro per realizzare una sufficiente massa d’ urto e la difficoltà di condividere iniziative in non piena formale armonia con i presupposti d’ origine e con la politica attuale, delle variegatissime provenienze individuali.
La cartina di tornasole più significativa è rappresentata da Alba, la più recente fra tutte le associazioni, che per inconscia vocazione, dopo una partenza non priva di clamore, non riesce a darsi capacità di crescita se non ricorrendo a obiettivi che vadano oltre formulazioni organizzative interne di funzionamento, identificabili con la lentissima predisposizione di uno Statuto.
Forse l’ imprinting dei diversi percorsi di apprendistato ideologico e politico entra a far parte del substrato di quei complessi che la psicanalisi individua come ostativi al libero sviluppo della personalità individuale.
R-innovamenti politici dalle associazioni
di Massimo Preziuso su L’Unità
La situazione politica è alquanto strana, come al solito, in Italia.
Basta leggere il botta e risposta di pochi minuti fa su Twitter tra la senatrice Finocchiaro (che dice “vogliamo che gli elettori scelgano gli eletti, ma non vogliamo le preferenze”) e il leader Casini (che risponde “ma senza preferenze, con l’uninominale, i cittadini non scelgono nulla”) – laddove la riforma elettorale è l’unico eventuale goal che gli italiani possono fare con questo Governo tecnico, fatto solo di austerità, tagli e nuove tasse – per capire che siamo messi male davvero.
E’ chiaro che i Partiti tutti sono immobilizzati nelle solite logiche di dibattito interno sulla direzione da prendere.
E in questo immobilismo stanno tralasciando completamente le esigenze di noi cittadini, nel nome dello “spread” (è sempre di pochi minuti fa la reazione fuori dai canoni del premier Monti alla critica, da me condivisa a pieno, del presidente confindustriale Squinzi sull’operato del primo, che dice “in questo modo, facciamo crescere lo spread”) e dei mercati finanziari.
Tra le necessità, le principali sono due: il lavoro e la riforma elettorale appunto.
Sul tema lavoro, mentre migliaia di lavoratori ogni settimana vengono “dismessi” da aziende che molte volte approfittano della crisi per dichiararsi “fallite” e chiedere l’intervento dello Stato, il governo e la politica non si rendono conto della necessità di interventi globali, possibilmente di natura europea, come i “sussidi alla disoccupazione” accompagnati ai “contratti di solidarietà” (di cui abbiamo discusso sin dal 2009 in Innovatori Europei), prima che il calo dei consumi e della produzione ci porti a breve in una spirale irreversibile di recessione economica e crisi sociale.
Sulla riforma elettorale, mentre il governo tecnico va avanti come un treno (solamente) nell’abbassare standard di vita raggiunti in Italia in almeno 50 anni, iniziando pure a mandare sul mercato i primi (ma non ultimi) importanti pezzi di patrimonio pubblico, con i partiti politici (in questo caso) ”distratti” dalla gestione di proprie complessità interne, i cittadini rischiano di dover votare di nuovo molti di quei politici che dovrebbero tornare a vita privata, non avendo raggiunto nemmeno minimamente i propri obiettivi di public servants.
Come ci siamo detti già nei mesi scorsi è proprio tempo di r-innovamenti politici, nei partiti e nelle associazioni.
Ma è soprattutto da queste ultime che deve arrivare nuova linfa verso le istituzioni e la società tutta.
E’ arrivato il momento che vari pezzi dell’associazionismo di settore – che in molti casi condividono radici, percorsi e finalità – la smettono di viaggiare in solitario e si uniscano per fare goal condivisi, per il bene del futuro prossimo del Bel Paese.
Non è più possibile stare a guardare la politica e le istituzioni auto riformarsi.
E’ un dovere per tutti partecipare, con i propri limitati mezzi e le proprie capacità, alle prossime elezioni politiche.
Con o senza (molto più probabile) il permesso dei partiti politici.
Questo il mio augurio per il nostro Paese.
La leggenda di Super Mario
di Francesco Grillo (su Il Mattino del 3 Luglio)
Negli ultimi fantastici giorni vissuti tra Varsavia e Brussels, tra gli italiani si deve essere diffusa una strana leggenda: quella di uno, anzi due, forse tre Fratelli Super Mario (Monti, Ballottelli e probabilmente Draghi) che proprio come nel famoso gioco della Nintendo avrebbero salvato, ancora una volta, il Paese che più di qualsiasi altro e’ specializzato a sfornare miracoli dell’ultima ora. Un paese vecchio, depresso, che da tempo perde la parte migliore delle sue generazioni piu’ giovani, da un anno sull’orlo di un vero e proprio fallimento e che da venti non riesce più a crescere. Una specie di bella addormentata che però trova sempre un eroe buono disposto a caricarsela sulle spalle e tirarla fuori dalla acque limacciose che rischiano costantemente di farla affogare.
E’ stato proprio Prandelli, uno dei personaggi più positivo degli Europei, a dire quanto la favola – perfettamente riuscita sei anni fa a Berlino – del trionfo costruito sula disperazione sarebbe stata controproducente:“la vittoria avrebbe fatto perdere l’equilibrio a tanti” – ha ricordato il nostro Commissario Tecnico – perché “per cambiare c’e’ bisogno di molto tempo” e solo quando “ci saremo riusciti, saremo pronti per rivincere subito dopo un risultato positivo, senza alternare picchi e periodi bui”.
Deve essere per questo motivo, per poter continuare il Progetto che Prandelli ha deciso di rimanere proprio dopo aver perso. E quello che dice l’allenatore italiano vale non solo per il calcio. Anche per l’economia e la società italiana la logica è la stessa: un paese fermo per vent’anni, avrà bisogno dei prossimi venti per fare i conti con un passato ingombrante e trovare una prospettiva di crescita duratura.
La Nazionale “ha, in effetti, provato a cambiare in un Paese vecchio”. E se e’ vero che l’età media dell’Italia era ancora più alta di quella fatta registrare in media dalle altre nazionali, è altrettanto vero che, rispetto al Mondiale del Sud Africa, la squadra è ringiovanita di quasi due anni e che in termini di numero medio di presenze (ventotto) nella squadra nazionale prima del torneo, i giocatori azzurri erano quelli che erano cambiati di più subito dopo la Polonia e la Francia.
Tuttavia, è altrettanto vero che non basta rinnovare i vertici, i punti più visibili di un movimento o di un Paese per modificare quella società in profondità: e così come a Prandelli non possono bastare le buone intenzioni se le squadre di club non gli consentono di allenare con sufficiente continuita’ gli azzurri, a Mario Monti non può bastare la credibilità internazionale se, contemporaneamente, a casa, la montagna della revisione del rapporto complessivo tra lo Stato e i cittadini è costretta a partorire il topolino di cinque miliardi di Euro che neppure vedra’ mai la luce per l’opposizione pre giudiziale dei sindacati e della Camusso.
Non basta Mario Ballottelli che diventa insieme la bandiera dei giovani e degli immigrati che tanto possono dare ad un Paese che non ha più fame. Non basta se dalle pubbliche amministrazioni italiane continua ad essere escluso per legge (a differenza degli altri Paesi) chi non è cittadino italiano, laddove in alcune aree – ad esempio la stessa polizia di stato – ce ne sarebbe bisogno vitale per poter avere le competenze linguistiche e le conoscenze per affrontare fenomeni nuovi. E non basta che un ventunenne diventi simbolo di un’Italia vincente, se nel frattempo l’approccio puramente contabile alla trasformazione della macchina statale ha prodotto solo un lento e inesorabile invecchiamento che ha, di fatto, pietrificato universita’, ospedali, ministeri, magistrature, organi istituzionali di uno Stato che vive ormai solo per sopravvivere a se stesso. Non basta anche perche’ Mario e’ anche il simbolo involontario di tanti giovani talenti italiani che sono scappati dal nostro Paese e che non vedono le condizioni per poter tornare.
Non basta una vittoria del cuore anche se puo’ costituire la premessa per la riscossa. Non basta un accordo tra capi di governo – quello di Brussels della settimana scorsa e’ peraltro ancora quasi totalmente da riempire di contenuti – e non basta da solo neppure lo scudo anti spread, anche se puo’ essere utile per comprare tempo laddove un governo in difficolta’ dimostrasse alla Commissione Europea di fare veramente autocritica. E non esiste, infine, un bottone magico premendo il quale otteniamo la crescita anche perché la leva degli investimenti pubblici per far ripartire l’economia dovra’ essere usata in maniera molto limitata e selettiva.
Quello che dobbiamo davvero realizzare per ottenere una crescita sostenibile, intelligente, inclusiva come chiede il documento conclusivo del vertice della settimana scorsa, e’ un enorme trasferimento di risorse tra sprechi e rendite di posizione a generazioni e gruppi sociali che avrebbero i mezzi per creare ricchezza ma che sono stati assurdamente penalizzati per decenni. Dobbiamo avere meno avvocati, meno notai, meno amministratori di patrimoni che essi stessi senza cambiamenti sono destinati a ridursi progressivamente; meno lobbies che ferocemente litigano per conservare la propria fetta di una torta che sta scomparendo. E molti piu’ innovatori veri, disposti a rischiare per il proprio talento e che, prima di tutto, possano essere messi in grado di utilizzare la propria inventiva.
Un cambiamento di mentalita’ ed una riallocazione di priorità così massiccia richiede di più dello sforzo di un governo o di una squadra; qualcosa di diverso dei “sacrifici per uscire dalla crisi” che continuano ad essere centrali nella retorica del presidente del consiglio italiano. Esse richiedono una trasformazione che non può che coinvolgere una parte grande della opinione pubblica ed, in particolar modo, delle “classi” (giovani, donne, immigrati) che dal cambiamento sarebbero beneficiati; riforme che non possono vivere senza il supporto dei cittadini che decidano di spegnera la televisione e scendere in campo per difenderne le ragioni; richiede un’autocritica di milioni di italiani che dallo status quo sono stati beneficiati per molto tempo e che da quei privilegi rischiano essi stessi di essere travolti; e, anche, sacrifici che pero’ non possono essere uguali per tutti perche’, per definizione, se dobbiamo ripartire dovremo farlo con chi da questa crisi otterra’ il riconoscimento – atteso da tanto tempo – del proprio valore.
Seconda lettera al sindaco di Frosinone
Verso una democrazia partecipativa
La Rete Indipendente “ Nuove Idee nei territori” ritiene urgente ed auspicabile, all’interno della Amministrazione comunale di Frosinone, proporre l’istituzione a costo zero di un tavolo di lavoro per l’organizzazione di un modello di democrazia, quello del governo partecipato, responsabile e condiviso e di un Garante ai “Beni Comuni e alla Partecipazione”.
Si propone contemporaneamente una riflessione che, rispondendo ai principi di trasparenza e integrità, previsti dalla normativa vigente per tutte le pubbliche amministrazioni istituisca referendum abrogativi e propositivi senza quorum soprattutto per le opere di interesse pubblico e dai costi sociali particolarmente rilevanti quale risposta ad un percorso di consultazione nel pubblico dibattito.
Proponiamo altresì l’adozione dello schema operativo di Agenda 21 locale che può diventare un modo di operare strategico a medio e lungo termine essendo modello partecipativo, democratico, antidogmatico e consapevole responsabilizzante tutti i soggetti partecipanti al dibattito sulla cosa pubblica. Inoltre, attenendosi al principio di legalità nella gestione delle amministrazioni, appare determinante che nei contratti pubblici sia abolito il criterio del “massimo ribasso” e venga istituita una commissione comunale, sempre a costo zero, per l’attuazione di un sistema tale da controllare in automatico eventuali infiltrazioni malavitose mediante verifiche incrociate dei dati su appalti, licenze, redditi, anagrafe. Sarà fondamentale, per evitare sprechi, implementate sia la formazione che l’aggiornamento dei dipendenti comunali così da ridurre al minimo le consulenze esterne.
Certi di trovare adeguata risposta alla suddetta proposta la Rete si rende disponibile ad una collaborazione, su un concetto chiave di gratuità assoluta, perché il percorso individuato sia fattibile ed in linea con una idea di innovazione dei Governi locali.
Giuseppina Bonaviri
Rete Indipendente “Nuove Idee nei territori”
Pd/ Un intreccio complicato di tesoreria, affari, e di discutibile senso di responsabilità
Mentre scriviamo, come radio e televisioni informano, sono contemporaneamente in corso la deposizione formale ai magistrati inquirenti, dell’ ex senatore Luigi Lusi, e le allocuzioni, in due differenti convegni, di due presumibili contendenti alle primarie del centro sinistra, se ci saranno, che dovranno determinare il candidato premier del centro sinistra : Pier Luigi Bersani, a Roma, e Matteo Renzi, a Firenze.
Non risulta che i due esponenti del Pd abbiano ritenuto di far cenno al concomitante evento dell’ avvio formale di una azione giudiziaria che mette in discussione la legittimità di gran parte dei gruppi dirigenti del Pd di cui, specificamente Bersani ( ex Ds ) , come segretario, e Rosi Bindi ( come presidente del partito ), dovrebbero essere, ma non sono, in massimo grado consapevoli.
Eppure dovrebbe essere evidente il declino del loro credito politico serpeggiante nelle fila degli iscritti al Pd e, ancor più, degli elettori del centro sinistra, in rapporto ai loro comportamenti nel caso Lusi e di quello altrettanto non commendevole del consigliere regionale Penati.
Nel quadro della acclarata gravità del caso Lusi e del caso Penati, emerge chiarissima la profonda insensibilità politica che sta alla base della legge istitutiva degli oltremodo cospicui rimborsi, solidalmente con tutti i partiti, e la violenza ( non solo lessicale, on. Rosi Bindi ) con cui è stato fatto strame del referendum abrogativo di ogni forma di finanziamento pubblico, approvato da quasi trenta milioni di elettori.
E’ doveroso dare eticamente credito alla parola di Bersani , non dichiaratosi informato delle super disinvolte operazioni amministrative del capo della sua segreteria politica, Penati, nella sua veste di presidente della Provincia di Milano,
Ma è altresì doveroso sottolineare che, proprio sotto tale rispetto, egli abbia evidenziato, una profonda incapacità di conoscenza psicologica e di sagacia selettiva degli uomini di cui aveva scelto di avvalersi.
Vi è una responsabilità “in vigilando” che, per un uomo politico, deve ritenersi altrettanto importante della su stessa onestà personale.
Chi non ricorda le dimissioni immediate del presidente tedesco Willy Brandt appena reso edotto che uno degli uomini della sua segreteria era indagato come sospettabile di spionaggio ?